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Autore: ChiiCat92    08/12/2017    1 recensioni
"« Qui è dove probabilmente morirai. Fallo con sentimento, al pubblico piace. » in lontananza, clangore di spade, urla disumane, stridore di metallo contro la carne. « Se invece sopravvivrai sarai ricompensato con gloria, fama, e...un'altra occasione per morire. »
I soldati lo spinsero dentro quella che da quel momento in poi sarebbe stata la sua casa: quattro luride pareti di pietra arredate con paglia e macchie di sangue e feci. "
[Akusai]
Genere: Angst, Avventura, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Saix, Xemnas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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13/11/2017

 

Ombre e Polvere

 

 

« Qui è dove probabilmente morirai. Fallo con sentimento, al pubblico piace. » in lontananza, clangore di spade, urla disumane, stridore di metallo contro la carne. « Se invece sopravvivrai sarai ricompensato con gloria, fama, e...un'altra occasione per morire. »

I soldati lo spinsero dentro quella che da quel momento in poi sarebbe stata la sua casa: quattro luride pareti di pietra arredate con paglia e macchie di sangue e feci.

Il suo corpo stremato dalla fame e dal movimento forzato si accasciò sul pavimento senza fare resistenza. Aveva male dappertutto, rimaneva cosciente solo per pura forza di volontà. La stessa che l'aveva risparmiato dalla morte: il fuoco nei suoi occhi di smeraldo era la ragione per cui non era stato ucciso sul momento. Uomini senza onore e senza anima avevano saccheggiato il suo villaggio, radendo al suolo tutto ciò che incontravano sul loro cammino e uccidendo senza pietà chiunque alzasse la testa, ma lui era stato risparmiato. Forse gli Dèi avevano qualcosa di meglio in serbo, forse quel fuoco dentro di lui doveva essere domato e spento in un luogo che non fosse la terra zuppa del sangue della sua famiglia.

Così era finito con una catena al collo come una bestia da soma, legato alla carovana di altri come lui, strappati dal conforto della morte per subire chissà quali altre nefandezze.

Ne aveva visti morire molti lungo il cammino, per la stanchezza, le ferite, o per le percosse dei soldati.

Quante notti aveva pregato di poter morire, quando i piedi scalzi sanguinavano e le piaghe gli impedivano la marcia. Ma quel fuoco nei suoi occhi non si era mai spento, nonostante i suoi desideri e le sue accorate richieste: gli Dèi erano sordi alla sua voce e ciechi alla sue sofferenze.

Poi c'erano state le aste nelle piazze della città. Ogni volta era la stessa storia: i soldati costringevano i prigionieri a stare dritti come fusi, il mento alto, e il banditore declamava virtù e vezzi di ognuno di loro, come fossero oggetti esposti sulla bancarella di un mercato. Nobili fasciati in meravigliosi vesti si erano contesi le loro vite per pochi sesterzi.

Ricordava vagamente quei momenti, e solo perché i morsi della fame lo tenevano cosciente.

Era stato Letonio a comprarlo per conto di un ricco signore, il cui sigillo gli era stato impresso a fuoco su un braccio, come si fa con i capi di bestiame, e l'aveva sbattuto in quella prigione.

Di ciò che sarebbe stato della sua vita non lo sapeva, a quel punto sperava solo che la morte sopraggiungesse rapida, come le parole di Letonio promettevano.

 

*

 

A svegliarlo fu una secchiata d'acqua gelida che il suo corpo percepì come una stilettata di dolore in tutti i nervi.

Tremava senza poterselo impedire, e l'uomo che era venuto a dargli quel dolce risveglio si fece una grassa risata. Doveva apparire come la più patetica delle creature.

« Non durerai neanche un attimo nell'arena. » constatò il soldato, dopo averlo tirato su di forza per un braccio.

Era vero, che speranze aveva di sopravvivere contro lottatori più esperti e disperati di lui?

Per di più, non aveva dalla sua neanche la prestanza fisica. Non era mai stato robusto, dato che poteva mangiare solo quanto gli offriva la terra, che spesso era crudele con i raccolti, però il lavoro da contadino nei campi gli aveva regalato una muscolatura snella e flessibile, abbellita dall'eleganza della giovinezza. Ma la marcia forzata nella carovana di schiavi e il trattamento dei soldati avevano asciugato maggiormente il suo fisico, rendendolo più uno spirito che un essere in carne e ossa.

Nonostante questo, gli incolti capelli rosso fuoco, gli splendidi occhi di smeraldo, e la carnagione dorata dal sole lo rendevano bello abbastanza da aver suscitato dell'uomo che l'aveva fatto arrivare a Roma, all'anfiteatro Flavio, di cui aveva sentito parlare solo nelle storie degli anziani.

Cosa ci faceva lì, per cosa esattamente volevano sacrificarlo, in nome di quale divinità? Per il suo aspetto esotico, per il suo fuoco, o solo per il vezzo del signore che l'aveva comprato?

Non aveva alcuna possibilità, era solo un contadino, le uniche armi che sapeva brandire erano l'aratro e la zappa. Sperava solo che durasse poco, e che fosse indolore.

Il soldato lo pungolò con la lancia, costringendolo a camminare. I piedi gli facevano male, ma ignorò il dolore e continuò a camminare.

Celle come la sua si aprivano tristemente lungo il corridoio come orbite putrescenti, al loro interno schiavi non meno emaciate di lui ricambiavano lo sguardo mentre passava. Il puzzo di sudore e secrezioni gli faceva girare la testa, mentre la fame gli ottenebrava i sensi.

Aveva a malapena la concezione di sé, del luogo in cui si trovava.

Non era riuscito neanche a piangere la morte della sua famiglia e la distruzione del suo villaggio. Era successo tutto così in fretta da non essersene reso conto. Un attimo prima dormiva nel suo caldo giaciglio di paglia e lana, un attimo dopo urla di dolore si alzavano nella notte.

Non aveva potuto seppellire suo padre, non aveva potuto rendergli omaggio. Se solo fosse morto con lui, con loro, con tutto il villaggio.

Il soldato lo spinse ancora, forse perché, senza accorgersene, aveva rallentato il passo. Gli rivolse uno sguardo di velenoso odio, tanto intenso da farlo titubare per un attimo. D'altronde, erano quegli occhi che l'avevano salvato dalla morte. Se solo avessero potuto fare lo stesso nell'arena.

Prese a fissarsi i piedi per evitare di inciampare, ma tenne per sé i gemiti di dolore e le smorfie conseguenti: non avrebbe permesso a nessuno di compatirlo.

Il clangore delle lame si fece più ovattato man mano che proseguivano, le celle si diradavano, i corridoi si facevano più larghi. Stavano entrando, forse, in una zona più agiata destinata ai veri e propri gladiatori, non agli schiavi, la carne da macello, i bocconcini per leone e pantere.

Cercava di respirare con la bocca per non aspirare il puzzo di morte che permeava ogni anfratto di quel luogo. Nonostante le apparenze, c'era tanta sofferenza lì da soffocarlo.

Il soldato lo condusse in un'ampia sala dove diversi gladiatori si stavano allenando, accanendosi gli uni contro gli altri o infilzando manichini di paglia fino a sbudellarli.

Un brivido gli percorse la schiena al solo pensiero che cose come quelle succedevano anche nell'arena.

« Ah, eccolo qui, il nostro nuovo acquisto. »

Sollevò la testa solo perché riconobbe quella voce: Letonio, l'uomo che l'aveva portato fin lì, doveva essere il lanista.

Avvolto in una veste pregiata, con un drappo rosso sulle spalle, Letonio aveva l'espressione soddisfatta di un predatore a stomaco pieno. L'odio che gli ispirava solo a guardarlo gli faceva ribollire il sangue, e il marchio a fuoco che aveva sul braccio sembrava pulsare più forte, più dolorosamente. Aveva una faccia piatta, lunga, occhi piccoli e neri, un sorriso storto con denti gialli troppo distanti tra loro. Viscido, aveva tutto del viscido.

« Hai riposato bene nel giaciglio che abbiamo approntato per te? »

Per tutta risposta, lui gli sputò in faccia. Avrebbe fatto di più se solo il soldato non fosse stato svelto a rispondere, schiaffeggiandolo tanto forte che lui sentì il sangue riempirgli la bocca.

« Speriamo che tu mantenga questo carattere anche nell'arena, prima di morire. » commentò quindi Letonio, senza smettere di sorridere, pulendosi il volto dallo sputo. « Devi impressionare il tuo signore, adesso che gli appartieni. Se non gli porti dei guadagni la morte sarà l'ultimo dei suoi problemi. »

Lui sbuffò divertito, tanto che Letonio lo guardò perplesso. « Cos'altro potete farmi che già non mi avete fatto? »

« Oh, allora parli. » mormorò il lanista, recuperando immediatamente il sorriso. « Qual è il tuo nome? »

Il ragazzo strinse i denti. Il nome era l'ultima cosa che gli era rimasta, il retaggio di suo padre e dei suoi cari ormai defunti, della sua vita, del suo mondo perduto. Fu a testa alta che lo disse, dando ad ogni lettera il giusto peso e significato. « Axel. »

« Axel. » annuì Letonio. « Un magister ti addestrerà al combattimento nelle prossime settimane, dovremo farti mettere su peso e muscoli, seguirai una dieta speciale. Non vogliamo certo che la gente ti veda entrare in arena e rimanga delusa dal tuo aspetto. Da questo momento in poi sei un gladiatore di Roma. »

 

*

 

Il ludus magnus, l'accademia dei gladiatori, era adiacente all'anfiteatro Flavio, abbastanza vicina da permettere ai futuri guerrieri di sentire le urla dei compagni nell'arena e il boato della folla.

Ad Axel sembrava di impazzire. I muscoli gli facevano male per i crampi da sforzo. Le armi erano pesanti, e il suo magister era spietato. Non lo frustava soltanto perché non poteva rovinare il suo corpo già provato, ma trovava modi fantasiosi per farlo crollare a terra, grondante di sudore.

Ogni singola fibra di lui bruciava, sollevare un'arma era diventato impossibile, ma doveva dimostrarsi in grado di combattere se non voleva fare una brutta fine.

Axel non aveva idea di cosa succedesse fuori dal ludus magnus, le sue giornate erano scandite dal ritmo che gli dava il suo magister. Tra addestramenti strazianti, combattimenti senza fine, e pasti forzati, aveva ben presto perso il senso del tempo.

La luce del sole filtrava a malapena dalla finestrella della sua cella, e aveva ormai dimenticato il colore del sole, e cosa significava sentire il soffio dell'aria fresca sulla pelle. Tutto ciò che aveva intorno era sporcizia, sangue, sudore e piscio.

Rannicchiato in un angolo, la schiena dolorante contro la parete deliziosamente gelida, si chiedeva quanto ancora sarebbe durato quello strazio.

Doveva forse aspettare i primi giochi gladiatori? O doveva usare una delle tante armi con cui lo facevano addestrare per uccidersi alla prima occasione? Sarebbe stato sempre più veloce e indolore di quello che lo aspettava nell'anfiteatro.

La testa gli scoppiava di pensieri, eppure le lacrime non volevano saperne di salirgli agli occhi. Si sentiva svuotato di ogni emozione, come se gli avessero strappato via il cuore.

La bruciatura sul braccio si era ormai rimarginata, lasciando un segno profondo e nero sulla pelle. Accarezzò il sigillo con la punta delle dita, seguendo il percorso del serpente attorcigliato intorno al bastone. Non aveva ancora visto l'uomo a cui quel sigillo apparteneva, l'uomo a cui lui apparteneva. L'aveva comprato e subito sbattuto nel ludus magnus per prepararlo ad affrontare dei giochi per cui non sarebbe mai stato pronto. Quella situazione lo faceva ridere. Sarebbe morto ancora prima di avere il tempo di sollevare la spada.

La risata si fece strada nella sua gola fino a raggiungere le labbra secche, raschiante, nervosa, del tutto fuori luogo, eppure lo fece sentire bene: dopo tutto, ci vuole un cuore per poter ridere, forse non glielo avevano davvero strappato dal petto.

La porta della sua cella si aprì, e lui scattò in piedi nonostante il dolore ai muscoli.

« Il lanista chiede di te, forza. »

Axel sbuffò, ma non se lo fece ripetere, era stanco di venire spinto come se fosse un animale testardo che non vuole arare un campo.

Percorse i corridoi a testa alta, con lo sguardo fiero.

In quel periodo di reclusione i capelli si erano allungati tanto da raggiungergli la schiena. In altri tempi li avrebbe tenuti legati, ma senza i mezzi tenerli a bada erano diventati selvaggi tanto quanto lui. Non gli dispiaceva, erano come un marchio di fabbrica.

Il soldato lo portò al cospetto di Letonio, che come al solito lo guardò come se fosse un pezzo di carne sanguinolenta. Come lui desiderava vederlo coperto di sangue e morente, altrettanto lo voleva Axel. Alla prima occasione, continuava a ripetersi ogni volta che lo vedeva, gli avrebbe tagliato la gola.

« Vedo che la permanenza al ludus magnus ti ha rafforzato. » disse l'uomo. Vestito di viola, con alloro sulla testa come erano soliti fare i poeti, appariva come la caricatura di un nobile. Persino Axel sapeva che i lanisti non erano visti di buon occhio a Roma. Si limitò a guardarlo con occhi truci, gli occhi di una preda messa all'angolo. « Il tuo magister dice che non sei ancora pronto, ma noi abbiamo da poco perso un gladiatore. Che ne dici di debuttare in anfiteatro? »

Axel sentì lo stomaco contorcersi in una morsa dolorosa. Pensava che quel momento non sarebbe mai giunto. L'inferno che aveva vissuto al ludus era diventata la sua unica realtà, la sua unica, squallida certezza, e l'idea di uscire di lì gli metteva addosso un'inaspettata paura.

Come avrebbe retto allo sforzo del combattimento quando si sentiva a pezzi per gli allenamenti?

Non rispose, non ebbe un fremito, né un sussulto, neanche quando Letonio ordinò al soldato di scortarlo nel tunnel che collegava la struttura all'anfiteatro.

Sentiva sopra di sé già la folla scalpitare, urlare nomi di gladiatori morti o morenti, aizzare le bestie.

Avrebbe potuto tagliare la tensione con la lama di un coltello, il tanfo dei corpi ammassati era quasi insopportabile.

Mentre si inoltrava nelle viscere del Colosseo vide vino scorrere insieme al sangue, sentì le pietre farsi più gelide e i lamenti dei leoni tenuti in gabbia senza cibo e acqua.

Il respiro si fece più veloce e le gambe instabili, avrebbe potuto tentare la fuga, prendere alla sprovvista il soldato che lo stava scortando con un colpo al basso ventre e sperare di fargli male abbastanza da potergli sfilare la spada per ucciderlo.

Quante possibilità avrebbe potuto avere dopo quell'uccisione?

Dèi, avrebbe dovuto contare le guardie che aveva incontrato fino a quel momento, avrebbe saputo quante avrebbe dovuto ucciderne.

« Buona fortuna. » disse, una risata nella voce, il soldato, per poi spingerlo in una stanzetta asfittica.

Una volta chiusa la porta alle sue spalle, Axel si trovò da solo con l'evidenza.

Stavano per gettarlo in un'arena contro non sapeva quale avversario, lo scontro sarebbe terminato solo con la morte di uno dei due, quelli potevano essere letteralmente gli ultimi istanti della sua vita.

Per l'ennesima volta toccò il sigillo sul proprio braccio. Chissà se il suo padrone sarebbe stato sugli spalti a vederlo morire, se avrebbe imprecato o avrebbe gioito di vederlo sgozzato tra le fauci di un leone.

Chiuse gli occhi e rivolse una preghiera vaga agli Dèi dell'Olimpo. Doveva decidere se valeva la pena lottare per la sua vita.

A separarlo dall'arena c'era solo un pesante battente di legno, quando sarebbe stata l'ora l'avrebbero alzato e lui avrebbe visto la folla delirante, i nobili grassi sulle loro poltrone, la sabbia intrisa di sangue.

Non sapeva quanto tempo gli rimaneva, né se essere armato avrebbe fatto la differenza, ma non poteva scendere nell'arena e semplicemente lasciarsi uccidere.

Qualcosa dentro di lui si accese, come una fiammella rianimata da un soffio di vento, e si gettò con foga sulla rastrelliera piena di armi che era addossata al muro. Il magister gli aveva insegnato come indossare un'armatura, ma non c'era tempo di bardarsi completamente, scelse quindi una pettorina di ottone ammaccata dagli urti, troppo grande per lui ma abbastanza leggera. L'interno di cuoio sdrucito era macchiato forse del sangue di chi ci era morto dentro. Rivolse un sentito ringraziamento al gladiatore passato di lì prima di lui mentre stringeva le cinghie.

Un gladiatore professionista poteva vantare delle armi proprie, offerte dal suo signore, ma lui era poco meno di uno schiavo, e doveva arrangiarsi con quello che trovava.

Anche se questo avrebbe potuto esporlo a rischi decise di non indossare alcun elmo, voleva che la gente vedesse i suoi capelli di fiamma, i suoi occhi ardenti.

Provò a pesare diverse spade, ma nessuna era abbastanza leggera e maneggevole: niente di simile a quello che aveva usato per addestrarsi con il magister.

Stava ancora lì, con una gladio in una mano e un piccolo scudo rotondo nell'altra, quando il portone, lentamente, cominciò ad alzarsi.

All'improvviso uno spiraglio di luce filtrò nella stanzetta e per la prima volta in settimane poté vedere il sole.

Invece di provare paura, un nulla pastoso si impadronì dei suoi sensi. Sentiva le membra stanche stringere il gladio troppo pesante, le gambe farsi rigide eppure pronte a scattare.

La folla lo accolse con urla di gioia, ovunque guardasse non c'erano che volti stravolti dalla pazzia, come di una bestia a più teste che si agitava sugli spalti. Colse solo di sfuggita i signori nei loro palchetti privilegiati, che guardavano in basso con distaccato interesse, come se non fossero lì per piacere ma per dovere, mentre dentro di loro fremevano non meno febbrilmente della plebe.

A colpire più di tutto Axel, però, fu il cielo a cui subito rivolse lo sguardo: terso, azzurro, privo di ogni traccia di nuvole, non vedeva un cielo così da giorni, settimane, mesi.

Sembrava che gli Dèi avessero preparato per lui il migliore scenario possibile in cui morire.

Sentì come da molto lontano che qualcuno urlava il suo nome, e colse anche quello del signore che l'aveva comprato, e seppe di dover muovere i passi in avanti che l'avrebbero portato al centro dell'arena.

Tutto intorno i corpi di chi era morto prima di lui ingombravano il passaggio, i piedi calpestarono una pozza di sangue e si costrinse a non guardare. Non voleva sapere, non voleva avere la certezza di finire come tutti loro.

Di lì a poco sarebbe potuto essere un grumo di carne maciullata.

Cominciò a respirare più velocemente, ma la paura non lo prese. Sentì invece l'adrenalina riempirlo come un fiume in piena, tracimante in ogni parte di lui.

Era quello che si provava a combattere per la propria vita?

Se solo avesse potuto avere tutto quello il giorno in cui i soldati romani avevano raso al suolo il suo villaggio, forse avrebbe potuto salvare la sua famiglia.

Poi un ruggito, che percepì tanto forte da far tremare ogni parte di lui. Abbassò lo sguardo e lo vide: un leone dalla criniera insanguinata, il muso ancora lordo della carne degli uomini che aveva ucciso.

La bestia sarebbe stata il suo primo avversario, o l'unico, se si fosse fatto prendere alla sprovvista.

Sentiva le urla della folla ovattate, lontane, come se non fossero lì a guardarlo, incitarlo, o aizzare il leone lanciandogli pietre dagli spalti.

Pose a sua difesa lo scudo, anche se il braccio gli faceva male e tremava per lo sforzo. I suoi occhi non facevano che schizzare da una parte all'altra, cercando di analizzare il suo avversario.

Era un animale, avrebbe agito d'istinto, avrebbe fatto degli errori di calcolo se si fosse avvicinato troppo o se si fosse sentito in pericolo. Non avere il dono del raziocinio poteva essere un punto a favore di Axel.

Quella calda rassicurazione che diede a se stesso doveva essere il modo della sua mente di difendersi, perché c'era una parte di lui che sapeva perfettamente che ogni movimento poteva essere l'ultimo.

Il leone prese a studiarlo, cercando di intimidirlo ruggendo e soffiando, le orecchie piatte dietro la testa. Era un esemplare massiccio, la criniera folta, il dorso, l'addome e le zampe piene delle cicatrici che doveva aver riportato da anni di scontri, nonché delle ferite fresche ancora sanguinanti che doveva aver riportato poco prima. Un veterano, un sopravvissuto.

Axel non osava immaginare a quante torture dovevano averlo sottoposto, quante sofferenze doveva aver patito tanto da averlo incattivito a tal punto da sbranare chiunque gli si avvicinasse.

Provò pena per lui, ma non per questo era intenzionato a lasciarsi uccidere.

Fu il primo ad attaccare, forse perché quell'immobilità e quell'attesa l'avevano reso audace, e la folla accompagnò il primo fendente con un urlo di gioia.

La bestia scartò di lato, velocemente, abituata a quel genere di stupidità, e Axel capì subito che avrebbe dovuto difendere il fianco scoperto se non voleva che quelle fauci si chiudessero sulla sua carne.

Torse il busto nel medesimo istante in cui il leone gli si gettava contro, e il tonk del suo muso contro lo scudo lo stordì. Non riusciva a credere di essere riuscito a bloccarlo. Anche la bestia dovette esserne parecchio stupita, dato che arretrò confusa scuotendo il capo.

La folla sembrava impazzita. C'era chi urlava al leone di sbranarlo, altri che incitavano lui.

Per un attimo, inebriato da tutto quel clamore, si sentì come un vero gladiatore, come se qualcuno avesse preso il suo spirito e l'avesse insinuato a forza dentro il corpo di qualcun altro, qualcuno più forte e valoroso di lui, che a malapena aveva la forza di sgozzare le galline e spennarle per il pranzo.

Batté le palpebre confuso e si riebbe quando il leone ruggì con forza. Aveva un occhio sanguinante, ed evidentemente la cosa l'aveva fatto infuriare.

Con gli artigli sguainati e le fauci spalancate si gettò di nuovo contro di lui. In quel momento, Axel realizzò quanto la bestia gli fosse fisicamente superiore. I muscoli che si contraevano, i grandi polmoni, gli arti fatti apposta per uccidere: come si poteva sopravvivere a qualcosa del genere?

Cadde a terra sotto l'enorme peso, ma per fortuna tra lui e i denti affilati della bestia c'era lo scudo.

Si sentì mugolare in modo patetico mentre il leone premeva contro lo scudo con tale forza che ebbe l'impressione che il braccio si sarebbe spezzato.

Era caduto di fianco ad un uomo morto da poco, forse azzannato da quello stesso leone. L'odore del sangue gli prendeva la gola, la sabbia dell'arena rendeva più difficile respirare.

Se non avesse fatto qualcosa sarebbe morto.

Chiuse gli occhi e pregò Marte di guidare la sua mano.

Fu la sensazione più strana che avesse mai provato. Non aveva mai ucciso niente di più grosso di una capra, e sventrare e scuoiare gli animali non gli aveva mai dato quella gioia folle, quella soddisfazione, quella sensazione di essere padrone di una vita.

Sangue caldo gli scorreva lungo il braccio, e aveva come fonte il fianco infilzato del leone.

Lo sentì gemere, mugolare nel tentativo di realizzare di essere appena stato colpito a morte, per poi accasciarsi inerme in un lato.

Axel riuscì a tirarsi in piedi, e la folla intorno a lui cominciò a urlare più forte di prima.

La bestia respirava appena, negli occhi poteva leggere disperazione. Non provò senso di colpa quando affondò la spada nel suo petto, trafiggendogli il cuore: era la morte più dignitosa che avrebbe potuto dargli.

La folla degenerò in urla, applausi, fischi, non riusciva a comprendere cosa gli dicessero. Seppe solo che quando due soldati tentarono di farlo tornare dentro, lui reagì alzando la spada, per poi capire di non avere nessuna speranza contro di loro.

Lanciò un ultimo sguardo verso l'arena prima di tornare nel tunnel che l'avrebbe riportato al ludus magnus.

Come aveva detto Letonio, aveva guadagnato un'altra occasione per morire.

 

 

« Incredibile, incredibile! » il lanista era sovreccitato, nessuno l'aveva mai visto così contento. Si sfregava le mani come se avesse appena trovato un tesoro di inestimabile valore. Invece aveva davanti Axel. Sudato, stanco, provato dallo scontro, con le gambe molli per l'incredulità: aveva davvero combattuto nell'arena e ucciso un leone senza riportare alcuna ferita? « In tutta sincerità, credevo che saresti morto. » commentò, senza tanti fronzoli. D'altronde anche Axel credeva che sarebbe morto. « Questo fa di te un gladiatore, lo sai? » a malapena aveva coscienza di sé, non aveva neanche idea di cosa Letonio stesse dicendo.

Sentiva uno strano ronzio nelle orecchie, gli sembrava di distinguere le voci della folla che avevano inneggiato alla sua vittoria.

Avrebbe voluto potersi sdraiare nel suo giaciglio di nuda terra nella sua cella, che adesso gli appariva come il più comodo dei palazzi, ma reggeva un'espressione truce e la testa alta, o almeno l'avrebbe fatto finché rimaneva in presenza di Letonio.

« A questo punto hai diritto ad una stanza tutta tua. » continuò il lanista, annuendo come se Axel gli stesse dando ascolto, quando invece aveva la mente del tutto occupata da altro: pensava all'ironia della sorte, che proprio quando rimpiangeva il suo giaciglio di pietra Letonio gliene offriva uno più comodo. « Per l'equipaggiamento vedremo cosa dirà il tuo signore. Per il momento combatterai con gladio e scudo, come hai fatto oggi. » come se avesse diritto di parola su quello. A malapena consideravano la sua opinione. « Continuerai a combattere con le belve, a quanto pare piace molto la tua figura, ma ti affiancheremo a qualcun altro. Le coppie di gladiatori sono più amate dalla folla. »

« Qualcun altro? » fu l'unica cosa che riuscì a chiedere, perché quella era l'unica cosa ad aver attratto la sua attenzione.

« Certo. » annuì Letonio, come se fosse ovvio. « Adesso che la folla ti ha notato non possiamo mandarti a morire come un idiota contro qualcuno che è ovvio ti ucciderebbero subito. Ma lavorando in coppia con qualcuno dei nostri gladiatori non più...in auge porterai nuovi guadagni! »

Axel avrebbe voluto chiedere se avrebbe mai visto l'ombra di un sesterzio, o se quei guadagni andassero tutti in tasca del signore che possedeva la sua vita come un bambino possiede un giocattolo, o se dovesse essere felice di tutto quello, quando non aveva più una patria o una famiglia o qualcosa per cui valesse la pena combattere. Ma si morse la lingue, come tante altre volte avrebbe fatto in futuro, e annuì stancamente. Evitò persino di congedarsi, nonostante si sentisse il puzzo della morte addosso e le mani lorde di sangue.

Doveva sopportare tutto quello solo un altro po', il tempo necessario perché gli dicessero che era libero di andare.

« Ho già in mente il partner perfetto per te. Vieni, te lo presento subito. »

Oh certo, perché no. Annuì nuovamente e seguì Letonio in silenzio, scortato da due soldati che non vedevano l'ora di pungolarlo con le spade nel qual caso avesse rallentato il passo, o tentato qualcosa di stupido.

In quelle lunghe settimane di permanenza aveva memorizzato ogni angolo del ludus, avrebbe saputo recitare a memoria i nomi delle guardie e ripercorrere con la mente il loro percorso durante i turni, conosceva le vie d'uscita sicure e quelle che portavano all'arena.

Ma non poteva comunque scappare di lì. A parte la morte, non c'era nient'altro per lui là fuori.

Letonio lo condusse nell'arena di addestramento, la stessa che aveva visto la prima volta che l'avevano portato lì, la stessa dove ogni giorno si era allenato con il suo magister.

Gladiatori giovani e vecchi, esperti e non combattevano tra loro con diverse armi, contro fantocci o sacchi di paglia, testando le loro capacità nella speranza, forse, di ferirsi in qualche modo per non dover scendere in arena. Una speranza vana, dato che nonostante le contusioni, la stanchezza, le ferite, erano comunque costretti ad esibirsi per il piacere del pubblico romano.

Ecco, c'era qualcosa del ludus magnus che Axel non conosceva: i volti dei gladiatori. Questo perché la morte, lo sfizio dei nobili, o solo le esigenze della folla rendeva variabile la schiera di guerrieri come il guardaroba di una ricca signora.

Il continuo ricambio di combattenti aveva impedito ad Axel di affezionarsi a qualcuno, o anche solo di poter conoscere qualcuno, il che non era propriamente un male: non voleva avere rapporto con nessuno, nel rischio di vederlo morire nell'arena il giorno dopo. L'unico contatto umano che gli era stato concesso era quello del suo magister, che di umano aveva veramente poco.

« Eccolo. Ci è stato gentilmente offerto da un nobile tornato dai paesi nordici. Il bastardo ha ucciso tanti uomini da essersi guadagnato il titolo di gladiatore ancora prima di arrivare qui. »

Solo allora, con un sospiro, Axel volse lo sguardo verso l'uomo che Letonio gli stava indicando. E per poco non gli si fermò il cuore.

Nonostante all'apparenza non sembrasse più vecchio di lui, se non di un paio d'anni, il corpo dalla pelle candida come la neve era coperto di segni di vecchi scontri, come un giovane lupo che si è guadagnato il suo titolo di capobranco a furia di uccidere gli avversari; aveva capelli di un meraviglioso blu scuro, come il manto della notte, muscoli scattanti, un petto ampio e forte, ma il suo volto sottile ne tradiva la giovane età, nonostante l'ampia cicatrice a X tra gli occhi ne incattivisse lo sguardo.

Axel si chiese immediatamente chi o cosa potesse avergli inferto una così terribile ferita, ma poi fu catturato dalla bellezza delle iridi ambrate dell'uomo che, forse sentendoli arrivare, aveva alzato gli occhi.

Maneggiava come se fosse fatta d'aria un'enorme spada a due mani, pregiata all'apparenza, con cui aveva tranciato di netto diversi manichini da addestramento.

Era legato con catene alle caviglie, come per impedirgli di scappare, paura non del tutto ingiustificata considerando la rabbia barbarica nel suo sguardo.

Per un attimo Axel ne ebbe più paura che del leone nell'arena, e forse per istinto si tirò indietro, tanto che i soldati dovettero spintonarlo.

« Saïx, ti presento il tuo nuovo compagno di combattimento. » fece Letonio, indicando Axel. Lo sguardo ambrato del guerriero si fece più rigido, le labbra si contrassero appena. Il rosso ebbe l'impressione che potesse strappargli la giugulare a morsi come un cane rabbioso. « Mi raccomando, cercate di andare d'accordo e diventerete le due stelle del nostro ludus. » diede una pacca sulla spalla di Axel, rimasto immobile di fronte a Saïx come di fronte ad una belva. « Finito l'allenamento verrai condotto nella tua nuova stanza. Adesso che sei un vero gladiatore non verrai più seguito da un magister, ma ti allenerai con il tuo compagno. »

Axel avrebbe voluto chiedere se tutto quello fosse uno scherzo, ma poi Letonio si congedò, lasciandolo solo con il barbaro.

Non era neanche sicuro che parlasse la sua lingua. Da dove aveva detto che veniva? Dal nord? E avrebbe combattuto per Roma?

Non poté fare a meno di chiedersi come avevano fatto a sopraffarlo, sembrava impossibile tenergli testa, e quello spadone a due mani che maneggiava senza sforzo...

« Cos'hai da guardare? » lo apostrofò il barbaro. Aveva una voce profonda, piena di sfumature e mistero. Axel quasi sobbalzò quando si sentì apostrofare in quel modo. Allora parlava la sua lingua, anche se aveva un pesante accento nordico. In qualche modo, al rosso piaceva.

« Nulla. » rispose, abbassando la testa.

Per un attimo sentì gli occhi del barbaro addosso, scrutarlo e analizzarlo come un predatore fa con la preda. Axel deglutì a forza. Per quell'uomo non doveva essere difficile ucciderlo, non più che con un capretto. Altrimenti perché lo tenevano legato con delle catene? Doveva essere più che pericoloso, doveva essere letale.

« Quel sangue è tuo? » chiese poi, dopo quel lungo istante di silenzio imbarazzato e pesante.

Axel si affrettò a scuotere la testa. « Ho appena combattuto nell'arena. »

Ebbe come l'impressione che il barbaro provasse un certo rispetto per i guerrieri. Non che lui potesse definirsi tale, visto che aveva a malapena ucciso un leone già provato da precedenti scontri.

« Qual è il tuo nome? »

A quel punto si azzardò ad alzare gli occhi su di lui. Immaginò il barbaro nel suo momento di massimo splendore, con la pelliccia di lupo sulla schiena, come solevano fare quelli del suo genere, e la spada a due mani alta a mietere vittime. Doveva essere un grande guerriero, e anche ridotto ai ceppi ne manteneva le dignitose sembianze. Quegli occhi, poi, quegli occhi brillanti da animale feroce, gli fecero venire i brividi.

« Axel. » gli disse quindi, pronunciando il suo nome con uno strano tono di voce, come se non fosse sicuro.

« Bene, Axel. » riprese il barbaro, volgendogli le spalle. I ceppi ai piedi gli riducevano i movimenti, e ora che il rosso guardava bene c'erano tre soldati poco distante che lo tenevano d'occhio. Era davvero così pericoloso? « Spero che tu sappia badare a te stesso. » sollevò lo spadone a due mani e con un fendente rapido quanto potente divise a metà l'ultimo rimasto dei manichini di paglia per l'addestramento. « Perché nell'arena sarai da solo. »

 

*

 

Allenarsi con il barbaro era come non allenarsi affatto. Non era interessato al lavoro di squadra, e quando Axel provava a imporsi il suo sguardo gelidamente tagliente come una lama d'ambra gli impediva di andare oltre.

Lo terrorizzava, non poteva negarlo, e averci a che fare era una sfida giornaliera.

Era scostante, aggressivo, sempre sulla difensiva. Non che potesse biasimarlo, non doveva essere facile essere un prigioniero, costantemente sotto la minaccia delle lance dei soldati, con catene ai piedi che non gli permettevano di muoversi.

Doveva essere frustrante, e di conseguenza lo era anche per Axel.

Dopo una settimana non erano ancora stati mandati a combattere nell'arena, il che aumentava la sensazione di claustrofobia prima solo latente.

Le pareti gelide del ludus, per quanto la nuova stanza fosse confortevole, innervosivano Axel, che si sfogava sui manichini d'addestramento, dato che il suo “compagno” non gli rivolgeva neanche una parola.

Di tanto in tanto, tra un fendente e l'altro, Axel lo guardava.

Si riscopriva a fissare i muscoli che si flettevano e contraevano con interesse sempre crescente. Era attratto dalla sua bellezza.

Quando poi il sudore dello sforzo copriva quella pelle candida e lui legava i capelli in un'alta crocchia quasi smetteva di respirare.

Il fatto che fosse un insensibile ammasso di ghiaccio passava quasi in secondo piano.

Axel si terse il sudore dalla fronte e sgranchì le mani intorpidite. Aveva perso il senso del tempo a furia di maneggiare la spada.

Ormai poteva dire di conoscere ogni aspetto di quella lama corta. Ne conosceva il peso, sapeva usarla con entrambe le mani, era diventata come un'appendice del suo braccio.

Non era cambiato solo il suo status, ma anche il suo corpo. Quelle lunghe ore di allenamento avevano rafforzato i suoi muscoli, che affioravano dal fisico longilineo. Per di più, il cibo destinato ai gladiatori era di gran lunga più nutriente e abbondante di quando era solo uno schiavo.

Se solo avesse avuto anche la libertà avrebbe potuto dire che tutto sommato non era una brutta vita.

Riusciva persino a non pensare alla sua famiglia, al suo villaggio, alla sua terra: tutto era diventato un rumore di fondo appena percepibile.

Se solo Saïx avesse smesso di trattarlo come un rifiuto.

Stava estraendo il gladio dai resti informi di un manichino quando due soldati gli si fecero vicino, le spade sguainate.

Axel sapeva bene cosa significasse. Deglutì, senza sapere di avere la gola annodata dalla paura.

Stava aspettando quel momento da giorni, e adesso che era arrivato gli sembrava di impazzire.

Saïx alzò la testa, forse fiutando nell'aria la tensione che si accumulava. Gli uomini che gli facevano da guardia si avvicinarono pian piano per aprire i ceppi che aveva alle caviglie.

Per un attimo, quando le serrature scattarono, Axel fu certo che il barbaro avrebbe mulinato lo spadone per tranciare quelle loro inette teste con un solo fendente.

Il pensiero, quantomeno, attraversò la sua mente, ma quel che fece fu solo abbassarsi per massaggiare le caviglie doloranti, per poi rizzarsi in tutta la sua altezza. Il rosso non aveva mai realizzato quanto Saïx fosse imponente.

I soldati non proferirono parola, ma gli fu subito chiaro che dovevano seguirli.

Li scortarono nel tunnel che conduceva all'anfiteatro, come la prima volta, solo che adesso Axel si sentiva in grado di combattere.

I muscoli formicolavano non per il dolore, ma per l'adrenalina che scorreva al loro interno. Era una sensazione in contrasto con il terrore che gli attorcigliava le viscere.

Vennero spinti entrambi in una stanza con un grande portone di legno a fare da ingresso sull'arena.

Come la prima volta, Axel poté sentire il rombo della folla, gli applausi, le incitazioni.

Contro cosa li avrebbero fatti combattere stavolta? Animali? Altri gladiatori?

Sentiva il cuore battere all'impazzata mentre, in un gesto automatico, stringeva le cinghie della pettorina ammaccata che era stata la sua unica protezione nel primo scontro. A quanto pareva alla folla piaceva che combattesse in quel modo, e per il momento il suo signore non l'aveva omaggiato di una nuova attrezzatura.

Mentre tutto il corpo tremava per i brividi di impazienza e paura, Saïx appariva sereno.

Aveva con sé lo spadone a due mani e non scelse nessuna armatura da indossare. Axel si chiese se le cicatrici che aveva addosso potessero bastare a proteggerlo: suscitavano abbastanza paura da poter tenere alla larga chiunque.

« E così... » tentò il rosso mentre sceglieva lo stesso scudo della prima volta. Il sangue del leone non era stato lavato via. « ...sembra che questo sia il nostro debutto. »

La risposta di Saïx fu solo una smorfia di disgusto e un'occhiataccia che convinsero Axel della necessità di tenere la bocca chiusa: non voleva che il suo compagno gli si rivoltasse contro per il solo piacere di farlo.

Lentamente, come in un incubo, il portone si spalancò, e la luce polverosa dell'arena irruppe nella stanza.

Le urla erano troppo intense per le orecchie di Axel, il cielo gli sembrava troppo azzurro, l'aria troppo fresca. Non era più abituato a vivere fuori, nel mondo reale. Per lui fino a quel momento c'era stato solo il ludus magnus.

Con la coda dell'occhio colse Saïx prendere un profondo respiro di sollievo, con lo sguardo verso l'alto come se si stesse godendo il momento. Forse anche il terrificante barbaro subiva le conseguenze della reclusione forzata.

Si ritrovò a sorridere, all'improvviso si sentiva vicino a lui.

La voce urlante di qualcuno sugli spalti annunciò il loro arrivo e li presentò alla folla. Il boato fu spacca timpani, tanto che Axel incassò la testa tra le spalle.

Tutti quei visi stravolti dal desiderio di vederli morire nell'arena erano forse la cosa più sconvolgente.

Deglutì, e senza accorgersene si ritrovò spalla contro spalla con il barbaro. Per un attimo pensò che l'avrebbe scostato di malagrazia, ma lui a malapena si accorse della sua presenza, tanto che neanche lo guardò.

I suoi occhi giallo ambra erano puntati sugli spalti, sotto una tenda di broccato rosso, dove sedevano i nobili.

Axel seguì quello sguardo fino a incrociare quello di un uomo ben vestito che stava guardando verso il basso. Aveva sul volto un'espressione vuota ma crudele; la carnagione scura, troppo per un romano, rifulgeva in contrasto con i capelli argentei cinti di alloro. Ma fu forse lo stendardo con il serpente attorcigliato intorno ad un bastone, che sventolava di fianco a lui, che più fece rabbrividire il rosso: era lo stesso simbolo impresso a fuoco sul suo braccio, e sulla spalla destra di Saïx.

Quell'uomo doveva essere il loro padrone.

La rabbia che scorse negli occhi di Saïx sembrava la stessa di un cane bastonato.

Ebbe l'impressione che l'uomo sugli spalti sorridesse, ma poi Saïx si mosse in avanti con lo spadone alto e dovette distogliere lo sguardo.

Leoni, tre per l'esattezza, liberi e inselvatichiti con le zanne snudate pronte a chiudersi intorno alle loro membra, si stavano lentamente avvicinando a loro.

Axel sentì il panico impadronirsi di lui. Le belve erano sempre state nell'arena o vi erano entrate mentre era distratto? Un errore del genere avrebbe potuto ucciderlo.

I suoi piedi si mossero subito, e velocemente, verso Saïx per coprirgli le spalle, prima ancora che potesse pensare di farlo.

Sembrava che al barbaro non gli importasse di vivere o morire, si era gettato contro gli animali con tale foga da sembrare intenzionato a farsi uccidere.

Axel impedì ad un leone di saltargli al collo diverse volte, ma lui non dava segno di accorgersi della sua presenza o a quella di chiunque altro.

Con rabbia affondò la spada nel petto di un leone, guardandolo con distacco mentre moriva, per poi voltarsi verso Saïx. Stava ripulendo la lama del suo spadone, gli altri leoni erano già morti.

L'impeto violento di quell'uomo era terrificante.

La folla, però, parve apprezzare, tanto che le grida divennero insopportabili.

Axel si volse di nuovo verso gli spalti dei signori senza potersi impedire di guardare il padrone. Più lo guardava, più il desiderio di trafiggergli il petto cresceva. Non avrebbe portato riposo agli spiriti della sua gente, ma gli avrebbe dato una certa soddisfazione.

Percepì alla lontana una voce che annunciava che forse le belve non erano abbastanza per domare i due nuovi gladiatori, e che quindi dovevano occuparsene guerrieri alla loro altezza. Nell'arena entrarono quindi cinque uomini, armati ma spaventati. Non avevano l'aria di essere gladiatori esperti, e di certo Axel non li aveva mai visti nel ludus magnus.

Saïx si gettò contro di loro con la foga di un animale, con la stessa intenzione di uccidere che avevano avuto i leoni. Axel avrebbe voluto avvertire gli uomini, ma dove potevano scappare? Non c'erano luoghi in quell'arena dove potersi nascondere dalla furia animalesca del barbaro.

« Saïx! » gli urlò dietro, inseguendolo più veloce che poté. Ma quando gli fu vicino, uno degli uomini era già morto, la testa mozzata di netto. « Basta, smettila! » sentì l'urlo del secondo uomo quando venne trapassato da parte a parte dalla lama crudele di Saïx.

Axel si gettò contro di lui, parando un mortale colpo con lo scudo. Il braccio quasi cedette, la forza di quell'uomo era inimmaginabile.

« Togliti di mezzo. » furono le sue atone parole. Gli occhi d'ambra sembravano bruciare.

« No. » riuscì a dirgli. Saïx non diminuiva la pressione contro lo scudo ed era sempre più difficile per Axel tenerlo su. « Sono uomini che non hanno neanche idea di come si regga in mano una spada, non puoi ucciderli! »

« Se non li uccidiamo saranno loro a farlo. » ringhiò il barbaro.

Axel stava per dirgli qualcosa quando lui, alzato lo sguardo, scattò in avanti per spingerlo di lato, in modo che potesse abbattere uno degli uomini che si era avvicinato per tentare di colpirlo alle spalle.

Saïx ebbe ovviamente la meglio, ma gli ultimi due sopravvissuti si gettarono su di lui, prendendolo alla sprovvista.

Per Axel fu come vedere il proprio corpo muoversi senza controllo. Vide la lama del primo uomo puntare al fianco di Saïx e fu istintivo per lui frapporsi con lo scudo. Il colpo stordì l'uomo a tal punto che indietreggiò, boccheggiante, e fu allora che il rosso lo trafisse al petto, senza quasi pensarci.

Sentì il sangue bagnargli le mani, più denso, più corposo di quello del leone, ma lui non ci fece caso, perché mulinando la spada, dopo averla estratta, con un tondo preciso, falciò un braccio del secondo uomo.

L'urlo agghiacciante che gettò trafisse le orecchie di Axel, ma fu ben presto messo a tacere da Saïx, che lo finì con un fendente al fianco.

Per un attimo fu solo silenzio, persino la folla si era ammutolita. Saïx, con le sopracciglia sollevate dallo stupore, si volse a guardare Axel.

Ancora con il fiatone e le mani zuppe di sangue, il rosso cominciò a essere consapevole di quello che aveva appena fatto.

Ho ucciso un uomo.

La folla esplose in un boato di approvazione. Applausi, grida di gioia, fischi, qualcuno lanciò loro persino dei sesterzi. Il padrone nel suo spalto annuiva, soddisfatto.

Saïx gli si avvicinò. Dovette leggere sul suo volto la confusione e la paura. Conosceva quell'espressione, era quella di chi non aveva mai ucciso prima.

Gli poggiò una mano sulla spalla e per poco Axel non sobbalzò spaventato come un leprotto, poi con un cenno del mento lo invitò a camminare verso il portone, spalancato adesso per consentirgli di tornare al ludus magnus.

I piedi di Axel si mossero senza consenso, e se non ci fosse stato Saïx a spingerlo probabilmente non si sarebbe mosso.

Il buio e la frescura del tunnel li accolsero deliziosamente, e Axel fu quasi grato a quell'oscurità: lontano dalla luce del sole ciò che aveva fatto gli appariva meno atroce.

Quando tornarono al ludus fu Saïx, con una gentilezza che da lui non si aspettava, a togliergli di mano il gladio che stava stringendo tanto forte da far sbiancare le nocche.

Furono occhi negli occhi per un lungo, caldo istante, in cui Axel ebbe la precisa sensazione che Saïx lo capiva, lo capiva eccome. Come il leone contro cui aveva combattuto, anche lui era stato costretto a uccidere per guadagnarsi il suo lurido, misero posto in quel mondo crudele.

« Mi hai salvato. » disse il barbaro. Un tono di voce così gentile non glielo aveva mai sentito usare. C'era umanità nei suoi occhi, calore, qualcosa che non pensava potesse mai provare. « Grazie. » Avrebbe voluto poterne gioire, ma a malapena riusciva a respirare, con i muscoli tesi fino allo spasmo, e la mente ribollente di mille pensieri.

« Axel, Saïx! Siete stati fantastici! » era la voce di Letonio, ma arrivava come ovattata alle orecchie del rosso.

Fu ben felice di vedere il barbaro prendersi la briga di parlare con il lanista, così poteva rimanere invischiato nei pensieri bui della propria mente.

Qualcuno gli fece i complimenti e gli strinse la mano, tanto che lui si chiese se in questo modo il senso di colpa per aver ucciso quell'uomo si sarebbe dimezzato, sporcando altri con il suo sangue.

 

*

 

Axel non faceva che chiedersi se l'uomo che aveva ucciso avesse una famiglia o se, come lui, fosse stato brutalmente strappato alla sua vita.

E se da una parte la sua mente riviveva il momento in cui la sua spada aveva spezzato il suo respiro, dall'altra non faceva che ripetergli le parole di Saïx: “Se non li uccidiamo saranno loro a farlo.”

Non poteva negare che quelle parole rispecchiassero al verità, dal momento che, se non fosse intervenuto, il barbaro sarebbe stato colpito, forse a morte.

Ma come poteva far finta di niente? Aveva spezzato una vita, e non aveva esitato a farlo nel momento in cui si era creata l'occasione.

Nel ludus non facevano che complimentarsi con lui. Il padrone, dopo averlo visto combattere, gli aveva fatto avere una pettorina di bronzo intagliato con un motivo fiammeggiante, abbinata ad un nuovo scudo rotondo, e ad una lama rossa come il sangue che aveva versato nell'arena: era il suo premio per aver ucciso.

Solo qualche mese prima, rannicchiato sul pavimento della sua cella, aveva meditato il suicidio, adesso il suo corpo lo tradiva così, valutando la sua vita superiore a quella di chiunque altro?

Che ingenuo era stato, pensare di combattere contro le belve per tutto il resto della sua vita sarebbe stato troppo semplice. Era ovvio che prima o poi l'avrebbero mandato a uccidere altri poveracci come lui, no?

Eppure non riusciva a smettere di sentirsi un abominio con l'anima nera.

La sua nuova stanza da gladiatore era lussuosa più di quanto si aspettasse. Aveva un letto con materasso di paglia tanto comodo da farlo sentire a disagio, ma soprattutto aveva una finestra che dava sull'anfiteatro. Di giorno poteva vederlo rifulgere sotto il sole, di notte era un'ombra scura che si stagliava contro il cielo stellato. Lo guardava con il terrore di essere chiamato per andare di nuovo a combattere, e quando scendeva la sera era grato ad ogni divinità per averlo risparmiato ancora per un po'.

Quella mattina Axel si diresse all'arena di addestramento svogliatamente. La nuova spada era più lunga e sbilanciata del gladio con cui si era allenato fino a quel momento ed era difficile da maneggiare.

Se non ci fossero state le guardie e tirarlo a forza fuori dalla sua stanza al sorgere del sole, sarebbe rimasto volentieri rannicchiato a letto per il resto della sua vita.

Ormai gli sembrava di vivere un incubo ad occhi aperti, un incubo da cui sapeva non esserci alcun risveglio.

Teneva la testa bassa per non incrociare gli occhi di chi lo guardava con rispetto, come se uccidere fosse degno di onori. Non lo sopportava, ma cos'altro poteva fare?

Si chiese se, prima o poi, uccidere avrebbe smesso di farlo stare così male, di fargli sentire dolore fisico ogni volta che chiudeva gli occhi, se il senso di colpa si sarebbe affievolito.

Con lo sguardo catturò la figura di Saïx. Anche lui aveva ricevuto nuova attrezzatura dopo lo scontro, ma continuava imperterrito ad usare lo spadone a due mani. Si allenava sempre a petto nudo, così come combatteva. Axel non poté non chiedersi, ancora una volta, l'origine di tutte quelle cicatrici, se gli uomini che gliele avevano inferte fossero poi morti per causa sua.

Così solo si superava la morte, portandone i segni addosso?

Si chiese anche se ricordasse chi e come gli fossero stati fatti, se i visi dei morti tormentassero la sua mente quando sfiorava i segni biancastri sulla pelle candida.

Chissà se fu perché aveva percepito quei pensieri che Saïx sollevò il capo nella sua direzione, o solo perché l'aveva sentito arrivare.

Lo guardava in un modo nuovo, non più così distante e freddo, nonostante ci fosse ancora della diffidenza sul fondo di quegli occhi.

Gli avevano tolto i ceppi ai piedi come premio per aver combattuto nell'arena e aver dimostrato di essere fedele al padrone ma Axel dubitava che fosse sicuro lasciarlo libero. Sarebbe stato perfettamente in grado di andarsene quando voleva, e nessuno avrebbe potuto fermarlo.

Inaspettato fu per Axel l'imbarazzato disagio che gli inondò il petto trovandosi in sua presenza. Non aveva provato nessun sentimento a parte il bruciante senso di colpa fino a quel momento.

Distolse lo sguardo, ma sentiva comunque addosso gli occhi ambrati del barbaro.

Da qualche parte la sua mente gli ripropose il candido “grazie” che gli aveva rivolto dopo lo scontro.

Saïx poggiò lo spadone da una parte quando lui gli fu abbastanza vicino. Chiaramente lo stava studiando, e Axel avrebbe voluto dirgli di smetterla, ma non riuscì a darsi voce.

Per cui scelse di concentrarsi su un manichino di paglia, ignorando del tutto lo sguardo di Saïx.

Il barbaro parlò ancora prima che potesse alzare la nuova spada.

« Oggi ci alleniamo insieme. »

Axel non lo guardò, se lo impedì, rimase con gli occhi verdi puntati sul manichino che aveva davanti. « Perché? »

La risposta arrivò dopo un teso silenzio, e non fu confortante o piacevole a sentirsi, dal momento che Saïx non doveva conoscere le basilari regole delle interazioni umane, o che semplicemente le ignorava. « Sei stato fortunato nell'ultimo scontro, ma saremmo potuti morire entrambi. Meni la spada qua e là come se questo bastasse a fare di te un guerriero. »

Axel trattenne una smorfia. All'improvviso quel “grazie” che gli aveva rivolto perse tutto il suo benefico significato. Se era questo il suo modo di dirgli che voleva aiutarlo a migliorare la tecnica di combattimento prima di finire ucciso, beh, avrebbe anche potuto evitare di parlare.

Sospirò tanto profondamente che per un attimo non ebbe più aria nei polmoni. L'idea di diventare più bravo, di migliorare, di rendersi in grado di uccidere con intenzione non gli piaceva.

Ma, di nuovo, aveva scelta?

Quella era la sua vita ormai, e per quanto il sangue dell'uomo che aveva ucciso gli rendeva difficile il solo pensare di sollevare quella spada rossa, c'era una parte di lui che voleva fortemente sopravvivere.

Era così che ci si sentiva quando non si avevano alternative? Disperatamente in balia del desiderio di respirare ancora un altro giorno?

« D'accordo. » mormorò, risentito, mentre si voltava verso il barbaro, la spada ancora bassa.

« Per prima cosa la postura. » quasi sobbalzò quando lui gli si fece vicino. Le sue mani erano più fredde di quanto avesse immaginato.

Si poggiarono sulla sua schiena e lui, quasi per istinto, la raddrizzò. Poi gli sollevò il braccio e gli aggiustò il polso in modo che fosse parallelo all'elsa della spada.

« Rimani fermo. » la sua voce ad un nulla dal suo orecchio gli fece venire i brividi.

Sentiva il suo profumo, i suoi capelli di zaffiro sfiorargli il viso, il suo corpo quasi troppo vicino al proprio.

Cercò di concentrarsi solo sulla mano che reggeva la spada. Era più pesante del gladio e ben presto il braccio prese a tremargli. Rimanere in quella posizione forzata metteva a dura prova i suoi muscoli, che per quanto rinforzati non riuscivano a reggere la nuova arma.

« Non...non ce la faccio. » bofonchiò, irritato, mentre il sudore cominciava ad imperlargli la fronte.

« In battaglia non esiste “non ce la faccio”. » ribatté, quasi gelido, il barbaro. Una mano si andò a poggiare sui suoi fianchi, mentre pose l'altra sul suo gomito per aiutarlo a reggere il peso della spada. Da quella posizione, con la coda dell'occhio, il rosso poteva vedere i grossi muscoli dell'avambraccio, del braccio, della spalla, che messi a paragone con i suoi lo facevano sembrare un bambino. « La resistenza è tutto se vuoi sopravvivere. »

Il braccio ormai gli tremava senza riserve e il dolore stava cominciando a farsi insopportabile. Il solo sollievo era la mano di Saïx sotto il gomito teso, e fu su quello che si concentrò per non impazzire. Strinse i denti, trattenne il fiato, ma si impose di non mollare, almeno fin quando non sarebbe stato lui a dirglielo.

Passarono infiniti momenti in cui credette che non sarebbe mai più riuscito a sollevare nulla, neanche un sassolino, mentre la spada ondeggiava pericolosamente seguendo il tremore del braccio ormai intorpidito. Poi Saïx mormorò un “basta così”, e Axel lasciò subito cadere l'arma a terra.

Il dolore era anche peggiore adesso che non doveva più reggere la spada. Strinse il braccio al petto, come se questo potesse in qualche modo migliorare la situazione, ma Saïx lo afferrò per il polso e lo costrinse a stenderlo. Non riuscì neanche a opporsi, tanto lo sentiva debole.

Prese a massaggiargli i muscoli, affondando i pollici nella carne con tale pressione da farlo gemere, ma dopo un paio di minuti cominciò a diventare piacevole, nonostante tutto.

« Devi imparare a conoscere i tuoi limiti. » mormorò, lo sguardo basso sul braccio che stava massaggiando come se fosse la cosa più importante al mondo. « È ben più importante che conoscere i limiti del tuo avversario. Quello lo impari con l'esperienza. Ma se ignori quale sia il tuo punto di rottura allora morirai prima ancora di accorgertene. »

« Questo serve a conoscere i miei limiti? »

Il barbaro si lasciò scappare uno sbuffetto divertito, forse per via del tono che Axel aveva usato: infantile e piagnucolante. « È un punto di partenza. »

Quando gli lasciò andare il braccio era meno dolorante di prima, riusciva a fletterlo senza provare dolore.

Si chiese se Saïx aveva imparato tutto quelle cose a suo discapito, e se ci fosse stato un tempo in cui anche lui riusciva a sollevare a malapena una spada. Sembrava impossibile immaginarlo diverso da com'era.

« Usi la sinistra? » gli chiese prendendolo quasi alla sprovvista. Non si era accorto che Saïx aveva preso la spada da terra e gliela stava porgendo nuovamente.

« Solo...solo per reggere lo scudo. »

« Fammi vedere come maneggi la spada. »

Praticamente lo costrinse a stringere l'elsa con la sinistra. Non aveva mai provato sensazione più strana, come se all'improvviso non sapesse usare un'appendice che era stata parte di sé per tutta la vita. Il polso non rispondeva come voleva e il braccio era più debole del destro, nonostante fosse abituato a sopportare gli urti e il peso dello scudo.

« Non credo di essere in grado... »

Ma qualsiasi protesta morì nel momento in cui Saïx lo attaccò con lo spadone. Quando, esattamente, aveva raccolto la sua arma? Non se n'era neanche accorto. Anche se era pesante, abituato alla carica a testa bassa, era di una velocità incredibile.

Era quasi ovvio il perché: bisognava essere versatili in battaglia, padroneggiare ogni stile, essere pronti a tutto per evitare di essere uccisi.

Con il braccio destro del tutto inutilizzabile, Axel si ritrovò obbligato a usare la spada con la sinistra.

Si chiese se fosse il piano di Saïx sin dall'inizio, indebolire l'arto con cui combatteva di solito per rendergli impossibile cambiare mano alla prima occasione. Ma non ebbe il tempo di rispondersi, dal momento che la sua mente si concentrò sui fendenti del barbaro.

Attaccava per uccidere o era solo sua impressione?

Riuscì debolmente a parare qualche affondo, e si rese conto che più andava avanti ad usare la sinistra, più gli diventava facile, persino ignorare il dolore da sforzo non era poi così impossibile.

Divenne più audace e si arrischiò a tentare qualche fendente verso il barbaro, che prontamente lo parò. Non riuscì a rompergli la guardia neanche una volta, dalla sua aveva non solo l'esperienza ma anche la potenza e l'estensione dello spadone che lo tenevano obbligatoriamente ad una distanza di sicurezza da lui.

Alla fine, con un colpo dall'alto, Saïx riuscì a disarmarlo, perché il polso cedette allo sforzo. E proprio come gli aveva detto, prima di rendersene conto, si ritrovò la lama dello spadone sul collo.

« A questo punto saresti morto. » lo informò, bonariamente, nel qual caso non l'avesse realizzato da solo.

« Hai giocato sporco. » fu lo stanco commento di Axel. La lama era gelida contro la pelle, la sentiva pungere. Lui aveva un autocontrollo tale da non graffiarlo neanche, nonostante fosse affilata.

« Nessuno gioca pulito quando combatte per la propria vita. » allontanò la lama e Axel portò una mano a massaggiarsi collo. Con sua somma sorpresa notò che si trattava della sinistra. Saïx gli rivolse un sorriso e lui si affrettò ad abbassarla.

« Se avessi combattuto per ucciderti saresti caduto al primo fendente. Sei disattento, guardi troppo la tua lama. »

« Mi hanno insegnato così. » ed era vero, era stato il magister del ludus a dargli spiccioli fondamenti di scherma e a mettergli le prime armi in mano. Non conosceva altro che quei pochi giorni passati ad allenarsi per come gli era stato detto.

« Ti hanno insegnato male. » sbuffò il barbaro, altezzoso. Axel non l'aveva mai sentito parlare così tanto, né gli aveva mai rivolto parole tanto pacate e piene di sincero coinvolgimento. Voleva davvero insegnargli quello che sapeva, voleva davvero che sopravvivesse nell'arena.

La cosa, per qualche ragione, scaldò il petto di Axel, che subito pensò alle sue mani sul proprio corpo. Era stato un gesto necessario e nulla più, ma quel contatto, anzi, il pensiero di quel contatto aumentava i battiti del suo cuore.

« Bene. » acconsentì Axel, non senza un tono irritato e che suonava come quello di un bambino che fa i capricci. « Allora insegnami tu come si fa. »

« È proprio quello che ho intenzione di fare. »

 

*

 

C'era una cosa che Saïx non aveva ancora insegnato ad Axel, e che forse non sarebbe mai stato in grado di insegnargli: sopportare il dolore della morte, inghiottire la colpa, e ignorare gli incubi che perseguitavano il suo sonno la notte.

Ormai aveva perso la percezione del tempo che passava. Per quanto ne sapeva da tutta la vita si trovava nel ludus magnus, era nato e cresciuto tra quelle pareti, le conosceva fino alla più piccola fessura.

Stando rinchiuso in quella gelida prigione aveva perso il suo colorito dorato dal sole. Persino il suo corpo stava perdendo quel poco che gli era rimasto della sua terra.

Axel il contadino, il ragazzo che arava i campi, mungeva le vacche, e raccoglieva acqua al fiume era ormai morto, di lui non era rimasta alcuna traccia.

Era Axel il gladiatore a possederlo adesso.

Al fianco di Saïx aveva combattuto innumerevoli volte nell'arena, a volte contro le bestie, a volte contro altri gladiatori, a volte contro schiavi condannati a morte, e il risultato era sempre lo stesso: la vittoria, e il sangue sulle sue mani.

Non avevano perso un solo incontro combattendo insieme, e l'unica cosa su cui Axel cercava di concentrarsi era mettere a frutto gli insegnamenti del barbaro. Grazie a lui e al suo duro ma produttivo addestramento era riuscito a padroneggiare nuove tecniche che poi testava sul campo di battaglia.

Non riusciva neanche più a provare paura quando lo mandavano a combattere all'arena. Il suo cuore era diventato arido e spento.

Solo due cose erano rimaste: la gioia della presenza di Saïx, e il bruciante senso di colpa.

Se non ci fosse stato il barbaro probabilmente sarebbe stato ucciso al primo scontro contro altri gladiatori. Gli doveva la vita tanto quanto gliela doveva lui.

La complicità di combattere insieme li aveva avvicinati, anche se lui non parlava molto se non per impartirgli qualche lezione.

Axel sperava che non arrivasse mai ad insegnargli tutto quello che sapeva, non voleva perdere quei momenti con lui.

Poteva sentire il dolore lenirsi quand'erano insieme, perché diviso in egual modo tra loro, ma quando era costretto a lasciarlo tornava nuovamente a tormentargli l'anima.

Il clangore dell'arena di addestramento era diventato per Axel familiare, non riusciva quasi più a farne a meno. Gli riempiva le orecchie e lo aiutava ad estraniarsi.

Forse un po' troppo.

Un colpo di scudo lo colpì in pieno petto e lui caracollò indietro rischiando di perdere l'equilibrio.

« Non sei attento oggi. » la voce di Saïx, pregna di disappunto. « Devi essere concentrato o... »

« O muoio, sì, lo so. » sbuffò il rosso, gettando da un lato scudo e spada, snervato.

« Qualcosa non va? »

« Wow, sei proprio un genio, grazie per averlo capito. »

Si pentì quasi immediatamente di quel tono aggressivo e per questo non alzò gli occhi. Ma d'altronde se le spade non potevano ferire Saïx perché avrebbero dovuto farlo le parole?

« Senti ragazzino, non farmi perdere la pazienza. » ringhiò il barbaro. Quasi gli sembrava di sentirlo com'era ai primi tempi, crudele e gelido come il ghiaccio.

Axel non avrebbe potuto sovrastarlo, perché lui era più alto e con le spalle più larghe, ma dal momento che combattevano insieme aveva imparato una o due cosette su di lui, compresi alcuni punti deboli.

« Cosa succede qui? » i due si volsero verso la voce del lanista. Erano settimane che non faceva vedere il suo brutto muso al ludus. Voci suggerivano che fosse in giro a “reclutare” nuovi gladiatori e ad organizzare i più grandi giochi che Roma avesse mai visto.

Il rosso gettò un'occhiataccia a Saïx, dopo di che spostò lo sguardo.

Letonio non era molto sveglio, o lo era abbastanza da capire che non era il caso di indagare oltre sulle tensioni tra i due, ma il sorriso falso e tirato che si aprì sulle sue labbra fu comunque disgustoso. Non sembrava in grado di sorridere davvero, con il cuore.

« Ho una bellissima notizia per voi. » prese a dire il lanista. Axel si chiese se per caso la notizia fosse inerente ad un massacro di schiavi che avrebbero dovuto compiere lui e Saïx nell'arena. « Dal momento che state avendo così tanto successo come gladiatori, il vostro padrone vi concede un giorno di riposo. »

« Benissimo, allora torno nella mia stanza. » bofonchiò il rosso, già pronto ad andarsene.

Si stupì quando a fermarlo su non un soldato con una lancia, ma la mano si Saïx sulla spalla. Quando alzò lo sguardo verso di lui aveva un'espressione divertita sul volto.

« Evidentemente il nostro giovane guerriero non sa in cosa consiste un giorno di riposo per i gladiatori. » Axel rivolse la sua attenzione a Letonio, per la prima volta da quando era arrivato. « Passerete la giornata al balnea privato del vostro padrone! Contenti? »

Axel non conosceva neanche le parole per dire a Letonio quanto contento si sentisse all'improvviso.

 

 

Uscire fuori dal ludus magnus per qualcosa che non fosse andare a combattere all'anfiteatro gli faceva girare la testa.

Tutti quei colori, quei suoni, persino gli scossoni del carro: era meraviglioso.

Con occhi di bambino Axel guardava quella città che non aveva mai visto, pur avendovi vissuto per mesi e mesi.

Aveva odiato Roma, ogni giorno, in ogni istante, perché aveva conosciuto di lei solo la parte più oscura e terribile.

Adesso, libero e lontano dalla sua prigione, si sentiva come rinato.

La luce del sole accarezzava la sua pelle schiarita, accendeva di riflessi rosso intenso i capelli ormai diventati lunghi e ingestibili.

Con gli occhi socchiusi, palpitanti di vita, gioiva di ogni raggio come se dovesse essere l'ultimo.

Lo scalpiccio dei cavalli, ritmico, gli riempiva le orecchie.

Era a malapena consapevole della presenza di Saïx al suo fianco, ma sapeva che era . Avrebbe saputo disegnare le sue forme ad occhi chiusi, conosceva di lui ogni anfratto come se fosse parte del proprio corpo. Riponeva nel barbaro la sua più totale e cieca fiducia. Ma nonostante questo non riusciva ancora a decifrare i suoi pensieri.

Certe volte, quando lo sguardo si faceva cupo e l'espressione assente, si chiedeva se stesse pensando al suo passato, e se mai glielo avrebbe raccontato.

Ma non importava, non oggi, il passato era lontano, e tutto ciò che Axel voleva pensare erano le vasche del balnea, il calore dell'acqua, il banchetto che gli avrebbero servito.

Una parte di lui, però, non poté fare a meno di chiedersi se avrebbero, finalmente, incontrato il loro padrone.

Dopo avergli regalato armi nuove e una giornata di riposo ai suoi bagni privati era quasi un dovere far vedere almeno una volta il suo brutto muso.

Axel pensò al momento in cui avrebbe incontrato l'uomo che aveva comprato la sua vita. Immaginò se stesso dargli un pugno sul naso e vederlo stramazzare a terra.

Lo aveva visto da lontano, sugli spalti dell'anfiteatro, e non era riuscito a capire che tipo di uomo fosse. Viscido, crudele e senza scrupoli di certo, quello era ovvio.

Il carro si fermò all'improvviso, bruscamente, strappando Axel ai suoi pensieri. Meglio così, in ogni caso non voleva rimanere invischiato in quelle supposizioni.

Saïx scese prima di lui. Se c'era una cosa che aveva capito del barbaro era che odiava rimanere fermo nello stesso posto per troppo tempo. Chissà, magari era perché l'avevano tenuto chiuso in una piccola gabbia come un animale in quella che ormai era un'altra vita.

Axel gettò le braccia verso l'alto per stiracchiarsi e respirò a fondo l'aria fresca.

Anche se riusciva a vedere l'anfiteatro in lontananza, si sentiva abbastanza distante da quel mondo da non esserne turbato. Aveva lasciato l'assassino nella sua stanza insieme con spada e scudo.

Era un giorno di riposo persino dai cattivi pensieri.

Il balnea del loro padrone era grande abbastanza da fare invidia alle terme pubbliche della città. Nell'enorme atrio costruito con marmi bianchi erano esposte varie statue di divinità a cui Axel non avrebbe saputo dare un nome, a parte la donna con i seni scoperti e i capelli fluenti così ben scolpiti nella pietra da sembrare realmente scossi dal vento: doveva essere Venere.

C'era un pacato via vai di ancelle e uomini in toga e asciugamani, a piedi nudi come per percepire il calore proveniente dal pavimento.

Sotto di loro l'acquedotto di Roma trasportava senza tregua l'acqua necessaria perché i bagni funzionassero, mentre grandi fornaci nascoste alla vista la riscaldavano a tal punto da produrre vapore.

Vennero presentati come i gladiatori del serpente – con sommo dispiacere di Axel che pensava di poter scoprire il nome del padrone almeno in quella occasione – e condotti da una timida ancella verso gli spogliatoi.

Il rosso ebbe l'impressione di entrare in un altro mondo. L'atrio era freddo, con alti soffitti e un colonnato che terminava con il grosso portone d'ingresso, ma bastava svoltare l'angolo per entrare in corridoi più stretti e caldi, immersi nel caldo vapore delle terme. Profumi d'oli orientali spandevano tutto intorno i loro morbidi effluvi, riempiendo i polmoni e invitando a respirare più profondamente; piccoli bracieri a mo' di torce penzolavano alle pareti sia per riscaldare l'ambiente, sia per illuminarlo di una bassa, soffusa luce arancione.

L'ancella gli indicò la porta degli spogliatoi, tenendo rigorosamente la testa bassa come se avesse davanti due divinità semoventi.

Per qualche ragione fece venire i brividi ad Axel. Forse la ragazza aveva visto i loro combattimenti, o ne aveva sentito parlare. Il suo comportamento era dovuto alla paura, allo sdegno o al rispetto? In ogni caso, non voleva saperlo.

Dentro lo spogliatoio il calore era anche maggiore, c'erano teli di lino da portare dentro le terme e una sottile porta di legno li separava dallo sciabordio dell'acqua calda.

Per un po', i due gladiatori rimasero immobili senza ben sapere cosa fare.

Fu quasi doloroso per Axel realizzare che avrebbe dovuto spogliarsi e rimanere nudo, completamente nudo, di fronte a Saïx.

Imbarazzato, lanciò un'occhiata prima al sottilissimo telo di lino con cui poteva coprire le vergogne, poi al barbaro.

Si sorprese quando vide che stava cominciando a spogliarsi, del tutto a suo agio nonostante la sua presenza.

Il rosso si sentì andare a fuoco, mentre il cuore prendeva a battere all'impazzata. Avrebbe voluto evitare di guardare ma non ci riuscì: Saïx era così bello.

Lo vedeva combattere a petto nudo tutti i giorni, vedeva il sudore coprire la pelle candida quando si allenava, ma adesso, nell'intimità di quella stanza, gli suscitava emozioni completamente diverse.

Si morse le labbra a sangue e si costrinse a concentrare lo sguardo altrove. Tentativo che fallì quando intravide nel suo campo visivo i glutei muscoli e sodi di Saïx.

Lo stomaco si attorcigliò pericolosamente, e gli piacque pensare di non stare sbirciando il barbaro che legava i lunghi capelli una crocchia, di non stare ammirando i muscoli della schiena che si contraevano e il collo niveo.

« Non ti spogli? »

Sobbalzò come se Saïx l'avesse appena colpito con qualcosa. Per un attimo, mentre lo guardava, ebbe la precisa sensazione che lui avesse capito tutto.

« S-sì, sì certo. » riuscì a biascicare, per poi concentrare tutta la sua attenzione a slacciare i gambali e sfilarsi le vesti.

Fu rapido ad avvolgersi il telo di lino intorno al bacino, anche se così si sentiva impacciato nel camminare. Saïx aveva scelto di entrare nelle terme completamente nudo, il che di per sé non era né uno scandalo né una novità, ma costrinse Axel a camminare fissandosi i piedi per evitare di gettare rapide occhiate a quello che aveva tra le gambe.

Entrarono nel balnea vero e proprio e vennero subito travolti dallo scroscio dell'acqua e dal calore che si alzava in volute dalla superficie bollente; ancelle con grandi vassoi pieni di frutta andavano avanti e indietro verso gli uomini seduti nell'acqua. L'ambiente non era molto ampio ma il soffitto era alto come quello dell'atrio, solo che, a causa del vapore, non era possibile vederlo. Di tanto in tanto, dalla giusta posizione, si intravedevano finestre ad archi sospese in un apparente vuoto.

C'erano diverse vasche, a cui si accedeva tramite un scalinata di pochi gradini; l'acqua, nel punto più profondo, non superava l'ombelico.

Il padrone doveva essere molto ricco per potersi permettere un posto come quello, e Axel si chiese quanto costasse passare una giornata lì, o anche solo poche ore. Una quantità tale di sesterzi, in ogni caso, non li avrebbe mai neanche visti.

Rimase per un po' con il naso all'insù nel tentativo di intravedere il soffitto, e allora si accorse che tutte le pareti erano finemente decorate con preziosi mosaici. Rappresentavano tutte scene religiose, con divinità rampanti e nude nell'atto di vincere questa o quella battaglia, o di ninfe mollemente adagiate sulle rive di fiumi.

A quel punto Axel aveva la bocca spalancata per lo stupore.

Saïx si allontanò cercando un posto appartato dove immergersi. Non c'erano molti uomini lì, ma tutti avevano i pingui lineamenti dei nobili romani, e il barbaro non aveva intenzione di venire importunato da uno di loro durante il suo unico giorno libero. Axel gli trotterellò indietro, reggendosi il telo con entrambe le mani per paura che potesse cadere.

Trovarono una vasca laterale, rotonda, con il fondo decorato con gli stessi mosaici di tutta la sala – rappresentanti in questo caso Poseidone e le sue figlie –, separata dalle altre da una serie di pannelli di legno con chiusura a ventaglio.

Saïx si immerse subito, sospirando piacevolmente per l'acqua calda che lambiva il suo corpo nudo.

Axel fu grato al vapore, così il suo viso arrossato dall'imbarazzo sarebbe stato subito giustificabile. Si sentiva un ragazzino e non sapeva spiegarsi perché. Dov'era tutta la sicurezza e l'aggressività che ostentava quand'era al ludus magnus? Forse aveva perso tutto non appena aveva messo piede nel mondo reale?

Si chiese se fosse il caso di immergersi nella stessa vasca di Saïx. Magari il barbaro voleva avere un po' di intimità, della sua compagnia doveva averne abbastanza. Stavano praticamente incollati l'uno all'altro tutto il giorno tutti i giorni.

Si guardò intorno cercando un altro posto dove andare, spostando imbarazzato il peso del corpo da un piede all'altro.

A causa dell'eco non era possibile capire di cosa stessero parlando i due uomini grassi immersi nella vasca centrale, ma Axel seppe subito di non volerlo sapere nel momento in cui uno dei due colpì con uno schiaffo il sedere di un'ancella che passava con una brocca di vino, facendola sobbalzare a tal punto da rovesciare metà del contenuto. Lei dovette persino scusarsi, dal momento che i due uomini le inveirono contro per aver versato il vino.

Il disgusto distorse il suo viso con una smorfia. No, non voleva mischiarsi a gente del genere.

« Posso...posso stare qui? » chiese quindi, tornando a guardare Saïx, che nel frattempo aveva poggiato la testa all'indietro, sul bordo della vasca, e aveva chiuso gli occhi come per riposare.

Per un attimo non rispose, tanto che Axel credette che si fosse assopito, poi diede in un sospiro.

« Non c'è niente che te lo vieti. »

Non sembrava proprio un invito, ma il rosso lo prese comunque come tale.

Anche se Saïx teneva gli occhi chiusi aveva come l'impressione che sbirciasse da sotto le ciglia tutto quello che faceva. Forse era l'imbarazzo a farlo sentire così, ma cercò di scoprire meno pelle possibile mentre entrava in acqua.

Un piacevole brivido gli attraversò il corpo e dovette trattenere un mugolio.

L'acqua calda era un bene di lusso di cui lui non aveva mai beneficiato. Dalle sue parti non c'era nessun acquedotto, e doveva andare a prendere l'acqua al pozzo, come tutti.

Quando voleva farsi un bagno, riscaldava l'acqua nel paiolo della zuppa, e la versava in una tinozza che quand'era bambino gli sembrava grande come una vasca, ma che in realtà lo conteneva a stento con le gambe strette al petto. Il calore rimaneva per pochi minuti e usciva prima di cominciare a battere i denti. Non aveva teli di lino in cui avvolgersi per asciugarsi, anzi, alle volte si infilava i rozzi vestiti di tela mentre era ancora bagnato.

Non pensava che avrebbe sentito la mancanza di quei momenti.

« Vicino al mio villaggio scorre una fonte d'acqua calda. » Axel si riscosse dai suoi pensieri e volse lo sguardo a Saïx. Teneva ancora gli occhi chiusi, e l'espressione seria non lasciava intendere cosa provasse, o se provasse qualcosa. Ma non lo aveva mai sentito parlare del posto in cui viveva prima, e trattenne quasi il fiato per l'emozione. « Ci si può fare il bagno, perché si raccoglie in piccole pozze, non troppo profonde, e tutto attorno il vapore crea come una nebbia calda. »

La neve, Axel provò ad immaginarla. Era una nemica dei raccolti, ma non come il ghiaccio. Le gelate invernali erano più pericolose. Raramente una nevicata durava più di mezza giornata, e la neve non attecchiva mai sul terreno.

Ma certo, a nord faceva più freddo, vicino alle montagne. Il mondo di Saïx doveva essere così bianco.

« Con un po' di fortuna. » continuò Saïx. « Puoi rimanere nell'acqua mentre nevica. » Axel riuscì a vedere la scena davanti agli occhi come se lui l'avesse evocata e si strinse le braccia intorno al petto per il freddo improvviso.

Avrebbe voluto chiedergli di più, avrebbe voluto che lui gli parlasse del paese da cui proveniva, che gli descrivesse come fosse il cielo. Era azzurro anche lì?

Ma Saïx tacque, come se si fosse reso conto di aver detto troppo, di aver attraversato una sottile linea di confine che aveva imposto a se stesso.

Axel si morse le labbra. Se non avesse detto qualcosa adesso avrebbe perso quel flebile contatto con lui, e forse non sarebbe mai più stato in grado di recuperarlo.

« Non ho mai visto la neve. » disse, per poi rendersi conto di quanto fosse stupido. « Cioè...sì, l'ho vista ma dove vivo io non rimane mai per troppo tempo. » era strano parlare al presente, come se ci fosse una qualche flebile speranza di tornare a casa. Non esisteva neanche più una casa in cui tornare, e lo stesso valeva per Saïx. Ma c'era un che di confortante in tutto quello. « Non fa abbastanza freddo credo. Nelle notti invernali, però, a volte il terreno si gela e se non usciamo a rompere il ghiaccio rischiamo di... »

Non riuscì a finire la frase, perché Saïx gli si avvicinò, una mano a trattenergli un braccio come se temesse che potesse reagire bruscamente, e l'altra a sbarrargli ogni via d'uscita.

Si chiese con un mugolio come aveva potuto permettergli di avvicinarsi così tanto, come aveva fatto a non rendersene conto.

Nei suoi occhi la confusione prese il sopravvento, cominciò a respirare più in fretta. Riuscì a chiedersi se per caso volesse ucciderlo. Era un pensiero caotico generato dalla parte meno razionale di lui, ma in qualche maniera funzionava. Le ancelle sarebbero state troppo occupate a urlare e chiamare i gendarmi per accorgersi del barbaro che fuggiva: il caos creato dal ritrovamento del suo corpo morto sarebbe stato il palcoscenico perfetto. Si chiese anche se stava programmando il suo omicidio da tanto tempo e se aspettasse solo un'occasione come quella. Lontano dal ludus magnus, senza le catene, con la sua morte come diversivo. Avrebbe dovuto saperlo, immaginarlo, sentirlo: Saïx era una barbaro, quelli come lui erano più simili a lupi che a persone, potevano rimanere buoni fino a cogliere al balzo la possibilità di staccare la mano a chi li nutriva.

Pensò a tutto quello in una frazione di secondo, con sommo disappunto. Era riuscito a sopravvivere nell'arena solo per morire nudo in una balnea?

Avrebbe di gran lunga preferito essere divorato da un leone piuttosto che questo.

Poi accadde qualcosa che mai si sarebbe aspettato: le labbra di Saïx, umide e calde per il vapore della vasca, si poggiarono contro le sue, con tale delicatezza che sembrava avesse paura di romperle.

Axel sgranò gli occhi, e si riscoprì deluso più che sorpreso. Dopo aver pensato il peggio si sentiva stupido. Con che coraggio avrebbe guardato Saïx ammettendo a se stesso che aveva pensato che avesse voluto ucciderlo?

Il barbaro lo guardava interrogativo, senza osare avvicinarsi per baciarlo ancora, anche se, per gli Dèi, non c'era cosa che volesse di più.

« Perché? » gli chiese Axel, e si pentì subito, dato che la sua vocetta strozzata sembrava quella di un bambino, un bambino davvero idiota.

« Ho visto come mi guardi. » e per la prima volta lo vide sorridere. Un sorriso fugace, sollevando solo un angolo delle labbra, tanto veloce che se non gli fosse stato così vicino avrebbe potuto giurare di esserselo sognato.

Non aveva come ribattere se non con un mugolio frustrato. Provò a distogliere lo sguardo, ma era difficile quando lo aveva così vicino. Il suo odore era meraviglioso, e il suo sapore ancor di più. Il suo corpo nudo, la pelle chiara, avrebbe solo voluto toccarlo.

Lui rimase immobile come le statue dell'atrio, dando l'impressione ad Axel di avere davanti un'apparizione, poi fece per ritrarsi, forse pensando che non avesse intenzione di ricambiare e che tutto quello fosse un errore. E il rosso, in realtà, per un attimo lo pensò davvero. Ma quando Saïx gli lasciò andare il braccio e avvertì il suo corpo allontanarsi, qualcosa lo costrinse a gettarglisi contro afferrandogli il volto con entrambe le mani.

Lo aggredì con un bacio avido e il respiro fermo che riprese solo quando sentì le sue mani poggiarsi sui suoi fianchi.

Non riusciva a credere che tutto quello stesse succedendo e aveva la mente piena di pensieri che si contraddicevano a vicenda, poi lui gli strinse i glutei con una mano e allora qualsiasi pensiero cosciente si spense.

Prese a tremare nonostante il caldo che gli accendeva il corpo, aveva la pelle d'oca, il respiro a singhiozzi.

Saïx sollevò lo sguardo su di lui, preoccupato, le sopracciglia aggrottate.

« M-mi dispiace. » balbettò il rosso, mordicchiandosi le labbra, gli occhi bassi. Le mani che teneva sulle spalle di lui aumentarono la presa, come se avesse paura di vederlo andare via. Non voleva, ma non riusciva comunque a smettere di tremare.

Saïx sospirò lievemente. « Non sei costretto a fare nulla. »

Le labbra di Axel tremolarono verso l'alto in un sorrisetto. « E pensare che si parla così male dei barbari del nord. Credevo che...vi...prendeste con la forza qualsiasi cosa. »

« Sì, e stupriamo le donne e diamo fuoco ai villaggi. » bofonchiò lui, non proprio infastidito ma appena appena punto nell'orgoglio. « Non siamo tutti uguali. »

« È la mia prima volta. » soffiò fuori Axel. Ormai si aggrappava quasi disperatamente a Saïx, tanto che si chiese come mai non era ancora sobbalzato per il dolore, dal momento che aveva le unghie affondate nella pelle candida della schiena.

Per l'imbarazzo non osò guardarlo, e il suo silenzio lo fece sentire ancora più a disagio.

« Davvero? » non sembrava una domanda derisoria ma sinceramente stupita. Ragazzi come lui normalmente erano già sposati, avevano già persino un figlio o due.

« Non ho mai...trovato la persona giusta. » che vergogna, gli sembrava di andare a fuoco. Avrebbe voluto allontanare Saïx e allo stesso tempo il pensiero lo faceva star male. La sensazione del suo corpo contro il proprio gli piaceva, ma nonostante questo si sentiva a disagio.

« La persona giusta? » chiese ancora Saïx, nella voce un tono di interessata curiosità.

« Sì...sai...una persona da...amare. » Axel si azzardò ad alzare gli occhi, ma quando incrociò quelli ambrati del barbaro il cuore gli schizzò in gola e dovette riabbassarli.

« Sei davvero un ragazzo strano. » di nuovo, fece per allontanarsi. Il rosso strinse di più, e stavolta gli strappò un gemito. Lui lo guardò con più severità. Era assurdo come quegli occhi potessero esprimere tutte le emozioni che il suo volto non esprimeva. « Io non sono la tua “persona giusta”. »

Il modo in cui lo disse, con quella freddezza, con quel suo modo distaccato, fece tremare Axel. Ma nonostante questo non lo lasciò andare. « Lo so. Non importa. » mormorò, e quando tornò a baciarlo c'era più convinzione, più intensità. « Sei la persona giusta adesso. »

Saïx lo guardò con espressione interrogativa, ma il rosso annuì, annuì e basta.

Per un attimo lui indugiò, non convinto di quello che stava per fare, poi, come mosso da un desiderio irrefrenabile, prese a baciarlo e toccarlo ovunque. E non smise più.

 

 

*

 

Axel si sentiva come ubriaco. La testa leggera, le membra pesanti. Gli veniva difficile concentrarsi, o anche solo allontanare il pensiero da Saïx.

Da quel giorno al balnea tra loro era tutto cambiato. Non erano solo gladiatori dell'arena o compagni di allenamento, erano qualcosa di più, anche se lui non era riuscito a trovare un modo per definire il loro rapporto.

Il rosso non poteva negarlo, la prima volta aveva fatto male, un male da morire, tale che si era sentito strappare le viscere, e poi inondare di piacere. Ma migliorava ogni volta che si univa a Saïx, il dolore si allontanava, e voleva farlo sempre più spesso.

Il barbaro non smetteva di essere rigido e insopportabile quando si allenavano, ma quando il sole tramontava, sgusciava leggero fuori dalla sua stanza, e lo raggiungeva. Passavano insieme la notte, e a malincuore si separavano all'alba.

Axel aveva come l'impressione che quelli fossero gli unici momenti in cui fosse davvero vivo.

Nonostante questo, cercavano di tenere quella loro passione nascosta. Il rosso non aveva idea del perché, non sarebbe stato così scandaloso, molti degli imperatori di Roma avevano avuto amanti omosessuali, ma gli piaceva pensare che dipendesse dal desiderio di Saïx di proteggerlo e averlo tutto per sé.

Sapeva che la sua mente stava viaggiando troppo, e che se Saïx l'avesse saputo si sarebbe arrabbiato. Ribadiva di continuo, quando lo guardava con i suoi occhi da cucciolo, che non era la persona giusta per lui.

Non doveva farsi illusioni. Forse il barbaro voleva soltanto qualcuno con cui divertirsi, ma ad Axel importava appena.

Che fosse giusto o sbagliato, si aggrappava a lui ora più che mai.

Sdraiato nel suo morbido letto imbottito di paglia, coperto per metà dalla grezza coperta, Axel guardava lo spicchio di cielo fuori dalla finestra.

Le stelle erano accese, sgargianti nel tessuto blu, mentre la luna brillava tonda e pallida.

L'aria cominciava a farsi più fredda adesso che l'inverno si avvicinava. Sarebbe stata la sua prima stagione invernale da gladiatore e non da contadino. Era un tempo infinitamente lungo considerando la facilità con cui si moriva in quel posto, per le ferite o solo per un colpo di sfortuna.

Con gli occhi della mente immaginò cosa avrebbe fatto in quel momento se fosse stato a casa, se il suo mondo fosse rimasto come lo aveva sempre conosciuto, e poi, inevitabilmente, pensò alla neve e a Saïx.

Gli sarebbe piaciuto vedere la sua terra avvolta nel manto bianco dell'inverno. Doveva essere bellissima, quasi quanto lui.

Capiva di essere dentro questa cosa, qualsiasi cosa fosse, fino al collo perché tutte le volte che pensava a lui sorrideva.

Forse non lo amava, forse non avrebbe mai saputo cos'era l'amore, ma andava bene così.

Gli andava bene così.

Avvertì un bussare leggero e il cuore gli schizzò in gola, colmo di trepidante gioia.

Quando aprì la porta e vide Saïx sulla soglia il sorriso sulle sue labbra si fece più largo.

Si fece da parte per farlo entrare.

La stanza non era grande, e in due sul letto non riuscivano a sdraiarsi. Stendevano la coperta sul pavimento e lì rimanevano fino al sorgere del sole. Né la durezza della pietra né il freddo toglieva loro la gioia di quei momenti, o almeno, per Axel era così.

Guardava sempre con attenzione tutti i piccoli gesti di Saïx. Non gli si avventava mai addosso con foga, non lo aggrediva con la sua passione, non subito. Lasciava che fosse lui ad avvicinarsi, a prendergli la mano, ad abbracciarlo, magari a baciarlo.

C'era in quell'atto rispettoso una tenerezza che scaldava il cuore di Axel. Sapeva quanto poteva essere difficile per lui trattenere il desiderio, e la sua attesa paziente rendeva il tutto ancor più prezioso, fragile.

Eppure, tra le sue braccia, Axel si sentiva indistruttibile.

Chi l'avrebbe mai detto che il cuore del barbaro era soffice come la neve appena caduta?

Gli si avvicinò, gli poggiò le mani sul petto, lo accarezzò piano come per prenderne le misure, poi gli avvolse le braccia intorno al collo. Doveva reggersi sulle punte per arrivarci, le spalle del guerriero erano forti e larghe.

Non c'era bisogno di troppe parole, bastava specchiarsi l'uno negli occhi dell'altro, alla ricerca di qualcosa.

Il rosso sarebbe potuto rimanere così per tutta l'eternità. La notte non poteva avere fine quando stava con lui, gli Dèi non avrebbero permesso al sole di sorgere.

« Hvit. » mormorò il barbaro all'improvviso. Axel piegò di lato la testa, curioso come un bambino. « Il nome del mio villaggio. » un fremito percorse la schiena del rosso. Si strinse di più a lui in un gesto quasi automatico.

« Quei vigliacchi dei romani lo hanno assaltato durante la notte. » parlava in fretta, come se avesse paura di pentirsi di ogni parola, o come se temesse di non riuscire a dirne una di più. « Non è un villaggio di guerrieri, perché alcuni di noi hanno preferito salpare e cercare fortuna in terre più calde. » Saïx prese ad accarezzargli la guancia con il dorso della mano. Lo sguardo lontano, il dolore sul volto. « Per lo più ci sono famiglie di allevatori e cacciatori, qualcuno abile a tirare di spada veterano di guerre di cui ormai si ricordano solo i nomi. » proprio come lui, un vecchio lupo stanco di combattere.

« Non sono riuscito a...proteggerli. » un sibilo tra i denti, doloroso a tal punto da rendergli gli occhi lucidi.

Axel ingoiò il magone, cercò di rivolgergli un sorriso confortante. « Non è stata colpa tua, ti sei battuto con onore. Erano in numero maggiore e vi hanno presi alla sprovvista. »

« Noi non usciremo vivi da qui. » continuò, come se non l'avesse neanche sentito, sul filo dei pensieri tormentati che l'avevano portato in quella stanza, quella notte. « Non posso affezionarmi a te. Non sono...in grado di proteggerti. »

Distolse lo sguardo, tanto lontano che Axel non avrebbe potuto raggiungerlo: era rivolto ad un futuro nero di morte.

Il rosso gli prese il viso con entrambe le mani, lo costrinse a tornare da lui, nel presente. « Combatteremo per comprare la nostra libertà. » gli disse, sicuro di poter cambiare le sfumature scure di quel futuro. « Non saremmo i primi gladiatori liberi, anzi. E quando saremo fuori di qui, andremo a Hvit, mi farai vedere quella fonte d'acqua calda e le pozze in cui ci si può immergere. »

C'era qualcosa di non detto negli occhi di Saïx, qualcosa che sarebbe stato troppo doloroso dire. Axel era così ingenuo, così convinto che quella storia potesse avere un lieto fine, ma lui aveva visto scorrere troppo sangue e sentito sibilare troppe spade romane per pensarla come lui.

Tutto ciò che voleva era che lui sopravvivesse a tutto quello. Lo voleva così tanto che gli opprimeva il cuore e gli fermava il respiro.

Non avrebbe dovuto permettergli di entrargli dentro in quel modo.

Lo baciò, un bacio disperato, e lui gli si strinse contro. Era solo un ragazzino. Le mani si infilarono sotto la sua veste, gli accarezzarono la pelle, percorsero il profilo della sua schiena.

Lo stesso fece Axel, toccando ad una ad una le cicatrici che portava addosso. « Un giorno mi racconterai come te le sei fatte? » mormorò, mentre Saïx lo spingeva contro il muro e gli divaricava piano le gambe.

« Sono vecchie storie. » morbide e calde, le labbra di Axel non chiedevano che di essere baciate. Se solo avesse potuto prendere da lui il calore, portarlo nel proprio petto e farlo suo. Saïx si sentiva spaventosamente gelido.

« Mi piacciono le vecchie storie. »

Tremava ancora quando le mani di lui lo toccavano, e tremò anche stavolta. Non ne conosceva il motivo, ma non se lo chiedeva neanche: smetteva quando Saïx lo stringeva più forte.

Non conosceva altro che quello che lui gli offriva, e lo voleva prendere tutto, fino a rimanere senza fiato.

Le mani di Saïx lo spogliarono lentamente, come testando la sua reazione, lo accarezzarono, frizionando le braccia con la pelle accapponata. Non era l'aria fredda dell'inverno a farlo rabbrividire così.

Axel provava un misto di paura ed eccitazione ogni volta. Voleva donarsi a lui ma al contempo ne aveva il terrore.

Il suo corpo si sarebbe abituato mai a quel dolce shock?

Respirò a fondo, reprimendo un gemito, quando sentì Saïx accarezzargli le cosce. Sentiva il corpo diventare sempre più caldo, rovente come un tizzone. Lui lo mandava in fiamme.

Gettò la testa all'indietro, si morse le labbra. Forse, se fosse stato consapevole, si sarebbe vergognato di essere già eretto, ma tutto sommato, non sapeva se fosse qualcosa di cui vergognarsi o meno, e Saïx non l'aveva mai reso fonte di imbarazzo.

Aveva come l'impressione che se si fosse distratto solo un attimo avrebbe perso il controllo di sé, non sarebbe riuscito a reggersi sulle gambe che ormai tremavano senza freno, e si sarebbe accartocciato a terra.

Poi una mano di Saïx gli afferrò un gluteo, mandandogli una scarica di adrenalina su per la schiena, e all'improvviso non tremava più.

Le braccia strette intorno al collo di Saïx erano l'unica cosa reale in quell'istante di eterno piacere, né la parete alle proprie spalle, né il soffitto su di loro o il pavimento su cui poggiavano i piedi lo erano altrettanto: solo Saïx, il suo corpo, il suo odore, il suo corpo, la sua presa su di lui.

Quando la mano si chiuse poi intorno alla sua erezione quasi squittì per la sorpresa. Non sapeva neanche di poter produrre certi imbarazzanti suoni, ma al barbaro sembravano piacere, perché sorrideva sornione quando li sentiva.

Con lenti movimenti, su e giù, ritmici ma secchi, accompagnò quell'erezione gonfia fino a farlo gemere apertamente.

« No...no ti prego... » pigolò Axel, ansimante, con gli occhi semiaperti colmi di un lussuriosa angoscia. « ...non così. P-prendimi. »

Non seppe neanche da dove venivano quelle parole, qualcosa dentro di lui aveva parlato con la sua voce. Era così strano sentirsi in sé e al contempo essere un estraneo nel proprio corpo. Come quando combatteva.

L'amore era come una battaglia?

Se così era voleva combattere per sempre.

Saïx colse quelle parole per quello che erano: una supplica. Non attese molto prima di sollevarlo, reggendolo per entrambe le cosce. E Axel affondò le dita nelle sue spalle per aggrapparsi a lui. Sapeva che adesso sarebbe arrivato il dolore. Un piccolo prezzo da pagare per avere tutto il resto.

Lanciò un mugolio stridulo che Saïx smorzò aggredendo le sue labbra con un bacio infuocato.

Il dolore gli prendeva la viscere, lo scuoteva dall'interno mentre lui lo penetrava. Ma durò poco, così poco che quando arrivò il piacere a malapena lo ricordava.

Ondate calde andavano e venivano lungo tutto il suo corpo sempre tremante. Baciò Saïx come se dovesse nutrirsi di lui, come se fosse la sua ninfa vitale.

Affondò le dita tra i suoi capelli, tirò forse troppo dal momento che Saïx gemette, ma fu subito ricambiato con una spinta che gli fece stringere i denti, ormai non capiva più se per il dolore o il piacere.

Con lui le due cose si confondevano, così come si confondevano realtà e finzione. Quanto di tutto quello stava succedendo davvero e quanto era solo nella sua testa?

Spinse il bacino contro di lui, per sentirlo a fondo dentro di sé. Era inebriante, il cuore quasi gli scoppiava in petto. Sentiva il respiro di Saïx sulla pelle, le sue mani ovunque.

Un brivido lo percorse da capo a piedi e lui capì che era vicino. Mormorò il nome del barbaro più e più volte come se fosse una formula magica, cercò i suoi occhi e vi lesse lo stesso piacere.

Si strinse di più a lui quando il suo corpo si contrasse, cercando il suo calore come una falena vicino al fuoco di una torcia. Strinse i denti per non urlare, ma gli uscì comunque un gridolino sommesso, che cercò di sotterrare affondando il volto nel collo di Saïx.

Non venne dentro di lui, ma Axel si premurò di fargli raggiungere il piacere. Non ci volle molto, la sua eccitazione era ancora calda. Il pensiero di prenderla in bocca lo attraversò per un attimo, con tanta forza che quasi rimase senza fiato.

Quando venne non emise un suono se non un lungo sospiro, che Axel interpretò come segnale per tornare a stringerlo con entrambe le braccia.

Rimasero stretti l'uno all'altro per molto tempo, almeno finché la pelle nuda e coperta di sudore non cominciò a tremare per il freddo.

Si accucciarono sul pavimento gelido, con le poche coperte di cui disponevano, godendo del calore reciproco.

Axel teneva il capo sul petto di Saïx, sentiva battere il suo cuore, così vivo, così forte.

« Sì. » disse all'improvviso il barbaro, tanto da costringere il rosso ad alzare lo sguardo, interrogativo. « Un giorno ti racconterò la storia delle mie cicatrici. »

Il rosso sorrise, un sorriso rosso come un fiore appena sbocciato. Si sporse per baciarlo e poi tornò ad accoccolarsi a lui.

In quella vita non gli era rimasto niente, eppure gli sembrava di avere tutto.

 

 

All'alba, quando la luna era già sparita e le stelle spente, Saïx lasciò l'abbraccio di Axel, a malincuore.

Lui si lamentò nel sonno come un bambino, cercando di afferrarlo per farlo rimanere. Era quello che tentava di fare tutte le volte, e non rendeva il compito più facile al barbaro.

Lo sollevò per rimetterlo sul suo piccolo letto e lo coprì con la coperta ancora calda dei loro due corpi, e quando gli baciò la fronte aveva già dimenticato il suo intento: si rannicchiò in posizione fetale con espressione beata e non emise più alcun suono.

Saïx scosse la testa, reprimendo un sorrisino.

Gli rivolse giusto un ultimo sguardo prima di uscire dalla stanza.

Non si guardò intorno come faceva sempre, inebriato dal sentimento che aveva tanto cercato di reprimere, in quel momento sembrava non essercene bisogno.

Continuò a camminare verso la propria stanza, e quando arrivò si chiuse la porta alle spalle, senza pensare a null'altro che non fosse Axel, e il suo profumo.

 

 

Axel si sentiva pieno di energie, sferrava fendenti tanto potenti che Saïx quasi stentava a pararli. Era diventato bravo con la spada, a tal punto da non riconoscerlo più. Del ragazzino che a malapena sapeva reggere un'arma non era rimasta che una vaga ombra.

Saïx scartò di lato un colpo potenzialmente mortale e colpì il polso di Axel con il pomolo del suo spadone, facendogli perdere la presa sulla spada.

Faceva sempre così quando voleva metterlo in guardia su una distrazione, in quel caso lo rese consapevole del fatto che non stava controllando il polso, e il polso era tutto: persa l'arma, perso lo scontro.

Axel sbuffò, ma non si perse d'animo, raccolse subito la spada e tornò ad attaccarlo, stavolta reggendo l'elsa tanto forte da farsi sbiancare le nocche. Il barbaro gli rivolse solo un breve cenno.

Come quando erano soli nella stanza, anche quando combattevano erano soli. I loro movimenti eleganti si completavano a vicenda, i fendenti venivano parati, evitati e ricambiati con il ritmo di una danza, mentre i muscoli si gonfiavano per lo sforzo e la pelle si inumidiva di sudore. Erano belli da guardare, portatori di morte.

Furono distratti da un battito di mani, e ancor prima di voltarsi capirono cosa volesse dire: Letonio andava a chiamarli solo quando dovevano scendere nell'arena, o quando aveva qualche comunicazione importante da fargli.

Nonostante tutto quel tempo passato al ludus magnus, Letonio continuava a non piacergli.

Axel si chiese se sarebbe mai riuscito ad ignorare quel sorriso sporco, o se un giorno gli avrebbe spaccato la faccia con un pugno.

« Alla luce di recenti fatti. » cominciò Letonio, come se stesse riprendendo un discorso cominciato molto tempo addietro. « Il vostro padrone intende incontrarvi di persona per discorrere di importanti questioni. » Axel sgranò gli occhi e si volse verso Saïx, che invece era immobile con lo sguardo serio: la maschera del guerriero che teneva sempre sul volto. « Su avanti, non c'è tempo da perdere. »

« Ehi, un attimo, ci presentiamo davanti al padrone sudati dopo un allenamento? » scherzò il rosso, appoggiata la spada da una parte.

« Sì, come ho detto, non c'è tempo da perdere. »

Letonio sembrava serio, e Axel non ribatté oltre.

Li condussero fuori dal ludus. Soldati romani gli si affiancarono immediatamente, come se temessero qualche mossa avventata. Non presero carri o cavalli, perché non dovevano andare poi così lontano: erano diretti all'anfiteatro.

Con suo somma sorpresa, Axel realizzò che per la prima volta da quando era a Roma entrava nell'anfiteatro da sopra e non dal tunnel che lo collegava al ludus, come facevano tutti gli spettatori, e tutti i nobili.

C'era una gran folla, già mezza ubriaca, che schiamazzava felicemente mentre sciamava verso gli spalti.

I giochi stavano per cominciare, ecco perché il padrone voleva incontrali lì: non si sarebbe perso neanche un incontro di gladiatori.

Se Axel era eccitato dalla novità, Saïx era teso. Non gli piaceva tutto quello, sentiva qualcosa di strano nell'aria. Nervoso, lanciò uno sguardo al rosso, che invece stava con il naso all'insù a contemplare gli archi e le pietre di cui era fatto quel colossale anfiteatro.

Li condussero ad un'entrata laterale, quella predisposta per i nobili, non senza suscitare mormorii ed esclamazioni. In molti li riconobbero, tra cui nobildonne con sguardi ammiccanti.

Il padrone aveva un posto riservato in un piccolo palchetto proprio al centro dell'arena, da cui sventolava lo stendardo con il suo inquietante simbolo.

Quando lo vide, Axel fu certo che si trattava di lui, anche se non l'aveva mai incontrato prima. Aveva la pelle scura come un moro; capelli d'argento di una brillantezza preziosa; un corpo muscoloso, come quello di un guerriero, fasciato in una lasciva tunica romana che non gli si addiceva, come se fosse stato costretto a vestire in quel modo per vivere civile; ma di certo ciò che lo rendeva accattivante erano i suoi occhi, quegli occhi d'ambra intensa come un fuoco che arde, forgiati direttamente da Efesto nella sua fucina.

Li accolse con un'espressione solenne e un sorriso appena accennato in labbra troppo carnose: erano in grado da amare, ma lui non lo era.

Axel avrebbe voluto avere la sua arma, gli prudevano le mani. Il desiderio di uccidere quell'uomo superava persino la paura che aveva di lui. Una paura del tutto immotivata, tentava di dirsi, dal momento che era solo un altro di quei pigri, ricchi nobili che si trastullavano con ancelle e vino.

« Finalmente vi conosco. » disse, con una voce vellutata che aveva il suono di una lugubre melodia. Diede i brividi al rosso che però non abbassò la testa. « Vi ho visti trionfare nell'arena a mio nome, mi avete portato grandi ricchezze. » anche se le sue parole stonavano in qualche modo con la sua espressione, e con il loro vero significato, dal momento che non indossava gioielli o vesti particolarmente preziose. Che cosa ne aveva fatto di quelle “grandi ricchezze”? « Mi sembrava il minimo, dopo tanto tempo, farvi portare al mio cospetto. »

« Quale onore. » ringhiò Saïx, una smorfia di disgusto sulle labbra tirate. Se Axel si stava trattenendo dal saltare al collo di quell'uomo, lui stava facendo il doppio dello sforzo. Tra i due di certo era lui quello che avrebbe potuto sgozzarlo a mani nude, e solo gli Dèi sapevano che voglia aveva di farlo.

« Dal momento che siete i mie migliori gladiatori. » continuò l'uomo, il padrone, di cui nessuno di loro conosceva ancora il nome. « Vorrei farvi un regalo. » Axel sentì il cuore perdere un battito. Strinse e rilassò le mani più e più volte cercando di reprimere il bisogno di guardare Saïx. « Quindi mi chiedevo: di cosa avete bisogno? »

« La libertà, signore. » riuscì a dire il rosso, solo dopo aver fatto rotolare quelle parole a lungo in bocca. Sentì come un dolore fisico l'occhiata di furia che Saïx gli rivolse, ma lui non si volse, continuò invece a fissare il padrone con sguardo di sfida. « Vogliamo essere gladiatori liberi. »

L'uomo piegò leggermente la testa in un lato, come se non avesse ben capito. Axel si sentì catturato da quello sguardo.

« Liberi? » chiese, quasi divertito. Era impossibile decifrare quel volto, ora inespressivo ora carico di sentimenti che se avevano un nome non era uno che avrebbe voluto conoscere.

« Sì, signore. » si limitò a ribadire, cercando di tenere la testa sempre alta, anche se adesso cominciava a diventare più difficile.

L'uomo rimase in silenzio mentre tutto intorno a loro la folla cominciava ad inneggiare e alzare canti verso il dio della guerra. Gli spalti si riempivano di persone urlanti, venute come sempre a godere del massacro.

« Pondererò la vostra richiesta. » disse alla fine l'uomo, guardandolo dritto negli occhi, e stavolta gli rivolse un sorriso. Non gli piacque. « Adesso andate, il popolo di Roma vi reclama. »

Fu difficile volgere la schiena a quell'uomo, tutto in lui lasciava intendere che avrebbe potuto colpirli alle spalla da un momento all'altro. Per ironia della sorte, se non ci fossero stati i soldati romani a scortarli, Axel avrebbe avuto paura di lui.

Fecero il tragitto a ritroso, fin fuori l'arena, dove gli ultimi ritardatari si affrettavano ad entrare alla spicciolata.

I soldati li condussero poi ad un'entrata che li avrebbe portati, ancora una volta, nelle profonde viscere dell'anfiteatro.

Per tutto il tempo Saïx non gli rivolse neanche uno sguardo, anzi, marciò in silenzio come non aveva mai fatto.

Li lasciarono nella solita stanza preparatoria, dove trovarono le proprie armi pronte per il combattimento.

Axel stava per prendere la pettorina quando Saïx lo afferrò per un braccio, strattonandolo.

« Cosa diamine ti è venuto in mente? » sibilò, a pochi centimetri dal suo volto, come se avesse paura di essere spiato da qualcuno.

Ovviamente, Axel capì subito a cosa si riferisse. « Perché, tu gli avresti chiesto qualcosa di diverso? » rispose, cercando di divincolarsi. Lo stringeva talmente forte da fargli contrarre la mascella per il dolore.

Lo lasciò andare bruscamente, una smorfia sul viso che amava tanto baciare. « Hai sprecato un'occasione. » sputò tra i denti. « Non ci libererà mai, gli fruttiamo troppi soldi. »

« Ha detto che ci penserà. »

« Oh, Dèi, sei davvero così stupido? Non ci penserà affatto! Gli hai solo dato l'occasione per non darci assolutamente niente. »

« E tu cosa avresti chiesto, allora?! » ribadì.

Saïx provò a dire qualcosa, ma poi si morse le labbra e scosse la testa con un ringhio frustrato. Per Axel fu come se avesse risposto “non lo so”, o qualcosa del genere.

Lo superò e prese la pettorina dalla rastrelliera, per poi cominciare a metterla, stringendola con disattenzione.

Il barbaro sospirò e gli si fece vicino. « Fermo, stai facendo un disastro. » sbottò, allontanandogli una mano per occuparsi di stringere le cinghie.

Quella cortesia non richiesta dopo il modo in cui gli si era rivolto gli fece mettere il broncio, proprio come un bambino.

Lo lasciò fare e lo ringraziò con un filo di voce mentre andava a recuperare la propria spada.

« Contro chi credi dovremmo scontrarci stavolta? » non lo guardava ancora, fingendo di doversi accertare che il filo della spada fosse ancora intatto.

Saïx prese il suo spadone e lo fece sibilare nell'aria per un attimo, poi rispose: « Chiunque sia, nessuna pietà. »

Axel annuì.

Nessuna pietà, perché se gliene avesse dato l'occasione nessuno l'avrebbe data a lui.

Il portone di legno si aprì e il rosso sentì il solito, lento e piacevole formicolio in tutto il corpo: l'adrenalina che precedeva la battaglia, quell'emozione piacevole che spegneva la ragione e i sensi di colpa.

Avrebbe pianto dopo, sul petto di Saïx, la morte di chi aveva incrociato la spada con lui.

Quando entrarono nell'arena dagli spalti si alzò un grido di gioia. Axel notò che alcuni sventolavano stendardi rossi fiammanti, altri blu zaffiro. Ormai erano delle celebrità.

Il padrone li stava guardando, potevano sentire il suo sguardo addosso anche se era solo un puntino lontano proprio sotto lo stemma del serpente.

« Romani! » urlò la solita voce, quella disincarnata che annunciava i combattimenti. Axel non si era mai chiesto a chi appartenesse, chi avesse tanta aria nei polmoni per far riecheggiare quel grido in tutta l'arena. « Quest'oggi un destino avverso sorride ai nostri gladiatori! » calò improvviso il silenzio, tanto che i due guerrieri si scambiarono uno sguardo confuso. Doveva esserci sul loro volto la stessa perplessità di quelli del pubblico.

« La libertà a volte ha un caro prezzo, e questi due audaci gladiatori si batteranno per averla! »

Axel batté le palpebre, sconvolto, e si volse verso il padrone. Non riusciva a distinguerlo, ma doveva avere una coppa di vino tra le mani perché percepì un vago brillare metallico.

Allora aveva davvero accolto la sua richiesta? Era bastato così poco? Uno scontro nell'arena e avrebbe riavuto la sua libertà?

Si girò per guardare Saïx che non sembrava entusiasta quanto lo era lui, anzi, aveva i muscoli tesi per il nervosismo e stringeva lo spadone con troppa forza. Dava quasi l'idea che potesse spezzarlo.

« E chi, chi potrà donare loro la libertà? Chi dovranno falciare sotto le loro lame per poter uscire dall'arena come uomini liberi? » il pubblico rimase silenzioso, come un sol essere era teso verso il centro, come se potesse scorgere la presenza di un nemico fantasma, così oscuro e potente da non poter essere sconfitto: la schiavitù eterna di un padrone facoltoso.

« Ma è ovvio, amici romani! » continuò la voce, adesso più forte che mai. Axel si chiese distrattamente se non stesse usando qualcosa per amplificarla, come un imbuto d'ottone o qualcosa del genere. « I due si batteranno tra loro, e il vincitore vivrà libero. »

Per un attimo non ci fu altro che l'attonito silenzio degli spettatori, poi cominciarono le urla, le grida, di gioia e di rabbia, e gli incitamenti, ora per Axel ora per Saïx.

« Si dia inizio al combattimento! »

Un tamburo suonò insieme a trombe da guerra, scandendo un ritmo cupo quanto incalzante.

Axel corrugò le sopracciglia, guardandosi attorno confuso.

« Beh? Dove sono gli sfidanti? » chiese, forse rivolto agli spalti.

Non aveva capito, non aveva capito nulla.

Saïx, terreo in volto come un cadavere, era rimasto immobile fino a quel momento, ora con lo spadone basso e l'anima in frantumi.

Era come vivere negli incubi che avevano popolato entrambi il suo sonno e i suoi pensieri coscienti. Quando volte lo sguardo verso il padrone fu certo di vederlo sogghignare.

Ma certo, era quello l'unico modo in cui avrebbero potuto conoscere la libertà: da morti.

Non poteva permetterlo, non poteva sopportare l'idea di vedere Axel primo di vita, trapassato dalla sua spada.

Fu allora che decise. Gli faceva male il cuore, gli occhi si appannavano per il dolore. Scattò in avanti con lo spadone teso all'indietro, pronto a sferrare un colpo mortale.

Axel sgranò gli occhi, sorpreso, e riuscì all'ultimo a pararsi con lo scudo, scricchiolante sotto il peso di Saïx.

« Cosa stai facendo?! » gli strillò, mentre cercava in tutti i modi di non cadere. Saïx spingeva tanto forte da costringerlo ad indietreggiare.

« Non hai sentito? » ringhiò in risposta il barbaro. « La tua vita per la mia libertà. »

Quanto si odiò per il dolore che vide sul suo volto quando il rosso realizzò la bugia di cui stava gettando i semi.

« Ti prego, non farlo. » quasi singhiozzò Axel, mentre spingeva con tutte le sue forze per far arretrare Saïx. Ci riuscì, anche se non seppe come: non era così forte.

« Credevi che ti amassi davvero? » la freddezza con cui lo disse, il totale disinteresse mentre caricava un secondo colpo.

Axel sapeva che avrebbe tentato di colpirgli il fianco coperto dallo scudo: conosceva tutte le sue mosse.

Fu il suo corpo ad agire per impedirgli di morire, come se il suo cuore non lo fosse già. Perché quell'istinto di sopravvivenza si ostinava ancora a tenerlo in piedi?

Lo spadone di Saïx incontrò lo scudo, che velocemente Axel aveva passato a coprire il fianco prima scoperto. Qualche parte della sua mente confusa gli suggeriva che quello era un colpo troppo facile, troppo scontato, se stesse combattendo per uccidere avrebbe tentato ben altro.

All'improvviso tutto divenne reale, le urla delle folla, gli occhi del padrone sugli spalti, le bandiere dei due colori così diversi stagliati contro un cielo terso, le parole dell'uomo che aveva annunciato i termini di quel combattimento: tutto apparve agli occhi di Axel con lucida chiarezza.

« Tu non aspettavi che un momento come questo. » gli strillò, per l'ennesima volta spingendolo indietro. Con quanta facilità riusciva a smuoverlo ora che era animato solo dalla disperazione. « Hai aspettato che aspettassi la guardia, che mi innamorassi di te. »

« Oh sì. » sorrise Saïx, un sorriso tirato, così ben costruito da essere perfetto. « Ti avrei ucciso comunque, anche se il padrone non ci avesse dato questa meravigliosa occasione. »

La sensazione che Axel aveva provato alla balnea, era dunque vera? Il suo istinto non si era sbagliato?

Ma le sue parole, i suoi gesti, i suoi baci, le attenzioni che gli rivolgeva, gli insegnamenti. Si era preso cura di lui per così tanto tempo, era tutto falso?

Saïx afferrò lo spadone con entrambe le mani e caricò a testa bassa, seguito dall'ululato della folla. Come inneggiavano al barbaro, come speravano di vedere sangue e morte.

E sarebbe stato probabilmente quello che avrebbero visto se Axel non fosse stato pronto a scartare di lato, parandosi con lo scudo. Sentì il sibilare della lama a poca distanza dalla pelle, tanto che quasi bruciava.

« Attacca o muori. » fu il ringhio animalesco di Saïx, e Axel seppe che l'avrebbe ucciso, senza riserve.

Cominciò a crivellarlo di colpi, incalzanti e sfiancanti. Puntava a rompergli la guardia, già indebolita dallo sforzo. Sentiva che ogni parata sarebbe stata l'ultima. I muscoli urlavano per il dolore, nessuno addestramento avrebbe potuto prepararlo a quello, alla rabbia barbarica di Saïx.

Per un momento lo immaginò sul campo di battaglia, fiero come un leone, letale come il più pesante dei veleni. Con quale velocità e quale precisione trapassava un uomo dopo l'altro come se fossero manichini di paglia.

Per lui la vita non aveva alcun senso.

« Mi hai raccontato solo bugie. » Axel si accorse da come gli tremava la voce che aveva cominciato a piangere, perché la ragione si rifiutava di accettarlo: se avesse lasciato modo alla vista di annebbiarsi, avrebbe rischiato la morte.

« Un giorno ti racconterò la storia delle mie cicatrici. » disse Saïx, con un tono canzonatorio, di quelli che si usano con i bambini.

Axel sentì rabbia e vergogna divampargli in petto con eguale intensità.

Caricò un colpo che non sarebbe andato a segno se Saïx avesse combattuto come doveva, e lo ferì al fianco.

Lo spruzzo di sangue scuro gli colpì il volto, tanto caldo e denso da sembrare un vino pregiato. Gli occhi di Axel si sgranarono e fu tentato di gettare spada e scudo per correre verso di lui.

Il barbaro si piegò su se stesso come per contenere il dolore, ma poi si rialzò, un sorriso crudele sulle labbra.

« Adesso morirai, Axel. » commentò solo, e lui non poté che rabbrividire: il furore nei suoi occhi era quello di un animale a lungo tenuto con la catena al collo finalmente libero.

Si gettò con tanta foga sul rosso che a malapena riuscì a difendersi, i colpi erano raddoppiati in potenza, anche se era ferito e ad ogni movimento un fiotto di sangue ricadeva sul terreno.

Quanto a fondo l'aveva colpito, quanto grave era la ferita? Non smetteva di domandarselo.

E non smise neanche quando lo spadone di Saïx incontrò la sua carne, spezzò tendini e muscolo, fratturò l'osso fin a tagliargli di netto la mano con cui reggeva la spada, all'altezza del polso.

Il dolore esplose come fuoco e il suo urlo ammutolì l'anfiteatro. Tutto d'un tratto non c'erano più bandiere rosse e o blu che sventolavano contro il cielo, ma un unico ammasso di dolore viola, tanto intenso da togliere il fiato.

Axel urlò e urlò, lasciò cadere lo scudo per portarsi al petto il moncherino sanguinante come da bambino faceva con le dita bruciacchiate per aver rubato un pezzo di stufato dal pentolone. Per quello bastava chiudere gli occhi per un istante e il dolore cessava, come se non fosse ma stato lì, ma questo dolore non passava, questo dolore lo rendeva folle, cancellava qualsiasi altra cosa avesse mai sentito fino a quel momento. Per se stesso e per Saïx.

Realizzò che sarebbe morto presto se non fermava l'emorragia, ma a quel punto non gli interessava: voleva vedere Saïx agonizzare. Lo stesso Saïx che aveva amato tanto da star male, lo stesso Saïx che aveva rubato ogni fibra d'amore rimasta nel suo corpo.

Raccolse la spada da terra con la sinistra, gli insegnamenti del barbaro l'avevano reso sicuro nel maneggiarla come se l'avesse sempre fatto.

Intravide solo un brillare negli occhi del barbaro prima di lanciarsi su di lui con impeto. Tutto ciò che gli era rimasto, tutta l'aria nei polmoni, la impiegò per quell'unico attacco.

Aveva avuto modo di constatare quanto facile fosse uccidere, quanto fosse fragile la carne e deboli le ossa, ma ne rimase stupito questa volta, perché Saïx non tentò di difendersi.

La spada lo trapassò da parte a parte, all'altezza del petto, tanto che Axel fu sicuro di sentire il singulto sommesso del suo cuore trafitto prima che crollasse a terra.

Come poteva un corpo così grande e imponente accasciarsi al suolo senza un rumore?

Axel non poté impedire a quella parte ancora rovente d'amore per lui di correre al suo fianco, come spinto da una forza misteriosa, da un bisogno intenso mentre il sangue che scorreva dal moncherino gli faceva girare la testa.

« Perché? » gli chiese, singhiozzando per la rabbia, lacrime di un calore intenso.

L'unica mano rimastagli andò a premere la ferita al petto, come se solo con la forza di volontà e l'amore che ancora provava avessero potuto rimettere tutto apposto, a com'era solo la notte prima.

Mentre la folla esplodeva in un applauso assordante, che sommerse qualsiasi pensiero, Saïx allungò una mano a sfiorare il viso del rosso, che si lasciò fare, come pietrificato dal dolore.

« Avrei...chiesto al padrone di liberare te. » riuscì a mormorare. Un filo di sangue colò tra le sue labbra, giù, fino al collo, insieme con le lacrime che riempivano i suoi occhi d'ambra. « Ma solo...solo così potevi essere veramente libero...ora sei...padrone di te stesso. » gli sorrise, cercando il suo sguardo, ma Axel seppe subito che quegli occhi non potevano più vedere: la sua anima era già stata reclamata.

Quali Dèi avrebbe dovuto pregare? Quali riti avrebbe dovuto celebrare? Quale obolo avrebbe dovuto pagare perché potesse traghettare in sicurezza il fiume Archeonte sulla barca di Caronte?

Non glielo aveva mai chiesto, non gli aveva mai chiesto in cosa credeva.

Invocò il suo nome, provò a scuoterlo, inutili lacrime gli bagnarono il viso.

Saïx chiuse gli occhi, smise di respirare, nelle acclamazioni di gioia dei romani Axel poté sentire chiamare il proprio nome.

La sua ombra e quella di Saïx si fondevano nell'abbraccio della polvere. Il barbaro era morto, e aveva fatto di lui un uomo libero.  

 


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The Corner 

E così, dopo un milione di anni, torno con una nuova one shot (lunghissima, mi dispiace, davvero). 
Mi ha ispirata Assasins Creed: Origins (anche se è ambientato in Egitto, lo so, ma una cosa tira l'altra), ma come sempre è per la mia bella Musa, lei che mi ispira e ogni giorno mi fa tornare la voglia di scrivere.
Spero che ti sia piaciuto questo scorcio di Roma. 

N.B. Alcuni fatti potrebbero non essere storicamente attendibili, ma questa vuole essere un'opera di fantasia libera, per cui non prendete per oro colato tutte le informazioni sulla Roma antica che avete trovato nel testo!

Chii

   
 
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