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Autore: InuAra    10/12/2017    13 recensioni
ULTIMO CAPITOLO ONLINE!
Con due bellissime fanart di Spirit99 (CAP. 4 e 13)
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Cosa succede se il mondo di Ranma incontra il mondo di Shakespeare? Rischia di venirne fuori una storia fatta di amori, avventura, amicizia, gelosia, complotti. Tra fraintendimenti e colpi di scena, ne vedremo davvero delle belle!
DAL CAPITOLO 2
Ranma alzò lo sguardo verso il tetto. “Akane. Lo so che sei lì” “Tu sai sempre tutto, eh?” A Ranma si strinse il cuore. Ora che era lì, ora che l’aveva trovata, non sapeva cosa dirle. Soprattutto, non poteva dirle nulla di ciò che avrebbe voluto. “Beh, so come ti senti in questo momento” “No che non lo sai” “Si può sapere perchè non sei mai un po’ carina?” “Ranma?” “Mmm…”  “Sei ancora lì?” “Ma certo che sono qui, testona, dove pensi che vada?” Fece un balzo e le fu accanto, sul tetto. “Sei uno stupido. So benissimo che sei qui perchè te l’ha chiesto mio padre” “E invece la stupida sei tu”, si era voltato a guardarla, risentito e rosso in viso, “E’ vero, me l’ha chiesto, ma sono qui perchè lo voglio io! Volevo… vedere come stai…ecco…”
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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N.d.A. Nel capitolo precedente abbiamo lasciato Ranma e Akane a riconoscersi nel caos della battaglia, giusto un attimo prima che lui corresse a farle da scudo col proprio corpo per un’esplosione…

Ed eccoci arrivati finalmente all’ultimo capitolo (è lunghissimo, siete avvisati)!
Alla fine troverete, oltre ai ringraziamenti, alcune curiosità. E una volta per tutte verrà svelata l’opera di William Shakespeare che ha ispirato questa storia!
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A mio papà.
 
 
 
 
 
PHEBE
Good shepherd, tell this youth what 'tis to love.
SILVIUS
It is to be all made of sighs and tears; (…)
It is to be all made of faith and service; (…)
It is to be all made of fantasy,
All made of passion and all made of wishes,
All adoration, duty, and observance,
All humbleness, all patience and impatience,
All purity, all trial, all observance.
 
FEBE
Buon pastore, dì a questi giovani cosa significa amare.
SILVIO
Esso è fatto di sospiri e lacrime; (…)
 è fatto di fede e servizio; (…)
 è fatto di fantasia,
di passioni e brame,
di adorazione, dovere e osservanza,
di umiltà, di pazienza e impazienza,
di purezza, di tribolazione, di reverenza.
 
As you like it - W. Shakespeare
 
 
 
 
Neanche le cornacchie osavano violare il silenzio del campo dopo la battaglia.
Sottili colonne di fumo si alzavano lente dal terreno. Intorno, solo corpi e macerie.
Un rumore di passi ruppe l’immobilità di quel momento.
Passi esitanti, rispettosi di tanto orrore.
 
“Abbiamo aspettato troppo tempo…”
 
Il dottor Tofu si fermò di colpo, si passò una mano sulla fronte bagnata e guardò l’orizzonte. L’alba era di una bellezza crudele.
Al suo fianco, Kasumi aveva il fiatone. Camminavano già da qualche ora, su e giù per il campo, in cerca di uomini ancora vivi.
 
“Abbiamo aspettato troppo…”
 
Sentì la mano di Kasumi premere contro il suo braccio, con una risolutezza che non le riconobbe. Aveva gli occhi segnati, la dolce Kasumi, e le mani fredde.
 
La guerra era terminata. I prigionieri erano stati catturati.
Prima ancora che si facesse giorno, lui e la ragazza erano già sul campo di battaglia, ma ad accoglierli non avevano trovato altro che una distesa desolata di corpi senza vita.
 
“Guardate là...!”, Kasumi lo strattonò appena, puntando il dito verso una massa indistinta a pochi metri da loro.
 
I passi ripresero e si fermarono solo di fronte a due corpi intrecciati tra loro.
Kasumi si portò le mani alla bocca.
 
Un uomo e una donna, bellissimi, la pelle di alabastro e gli abiti scarlatti del loro sangue, erano abbracciati in un modo così intimo e quotidiano che per un attimo il dottore distolse lo sguardo, sentendosi di troppo.
La mano di lei si era fermata nell’atto di accarezzare la guancia di lui, le cui braccia lambivano la schiena della ragazza.
Gli occhi di entrambi erano coperti da palpebre talmente leggere che sembravano essersi appena chiuse.
Fronte contro fronte, i capelli dell’uno si perdevano in quelli dell’altra.
 
Il dottor Tofu si chinò senza una parola. E prese il polso di lui tra le dita. 
 
 
Come se lo spirito stesso avesse abbandonato il suo corpo e vi fosse stato immediatamente risucchiato con violenza: così si sentì il cinese quando riaprì gli occhi. Non vi era altro modo per descrivere il dolore vuoto in cui si sentiva galleggiare. Aveva un sapore metallico in bocca, la testa gli pulsava e si sentiva drenato fin nel midollo. Eppure era vivo. Sollevò le palpebre pesanti e si rese conto di essere fasciato stretto praticamente in ogni parte del suo corpo. Doveva aver perso molto sangue, ma era vivo.
Si chiese dove si trovasse lei ed ebbe paura di scoprirlo.
Poi udì pronunciare il suo nome, debolmente, e lui riconobbe la voce di lei.
Il cuore gli saltò in gola e ogni fitta si amplificò di rimando. Eppure quando si voltò verso di lei, si aprì nel più sincero dei sorrisi.
Lei lo guardò con occhi stanchi, beffardi, felici. “Sì”, sembravano dirgli, “Ce l’ho fatta. E sono qui, con te”
Arrancò zoppicando verso di lui, sostenuta da Kasumi e si lasciò cadere sulle ginocchia. Era coperta di bende anch’essa, pallida, persino le sue labbra erano prive di colore.
Eppure era bellissima. Vibrante. Lui trovò la forza di sollevare una mano per accarezzarle il volto e lei socchiuse gli occhi, beandosi di quel tocco.
Poi furono soltanto lacrime e baci e sorrisi.
Come due bambini felici di essere al mondo, dimentichi di ogni odio, orgoglio, rabbia, dimentichi di essere feriti e di trovarsi nelle mani del nemico.
Felici di essersi ritrovati, grati di essere arrivati a vivere quel momento.
 
 
 
 “Dottor Tofu… Dottore…”
 
La voce di Kasumi gli sembrò lontana e distorta. Cercò di mettere a fuoco lo sguardo, senza riuscirvi, e solo allora si rese conto delle lacrime che gli bagnavano il volto.
 
“Dottor Tofu…”
 
La piccola mano di lei non si arrese e continuò a scrollarlo per una spalla.
 
Il dottore guardò i due amanti senza vita davanti a lui e capì che non ci sarebbe stato nessun cinese a chiedersi al risveglio dove si trovasse la propria donna; non ci sarebbero stati sorrisi né occhi beffardi.
Capì che per quanto fosse desiderabile, perdersi nella proiezione di cosa sarebbe potuto accadere, non avrebbe riportato in vita i due amanti. Immaginarsi addirittura di essere quel ragazzo, evocare quel sapore metallico in bocca e quella sensazione di vuoto, immaginarsi di pensare come lui e perfino di gioire, così da convincersi fino in fondo di quella realtà, non li avrebbe portati indietro né salvati. Avrebbe, piuttosto, condotto lui alla pazzia.
 
Gli scappò un singhiozzo.
 
Se solo fosse arrivato un po’ prima…
 
“Non sareste riuscito a salvarli comunque”, mormorò Kasumi.
 
La mano di Tofu si mosse da sola a prendere quella di lei, che non si era spostata dalla sua spalla. Era un medico, abituato a fare giornalmente i conti con la morte. Eppure non riusciva a non provare un senso di ingiustizia di fronte a quelle due vite spente ai suoi piedi.
Si stupì di come le lacrime non si fermassero e gli rovinassero in grembo e si stupì di ritrovarsi a stringere quella piccola mano tra le dita, di portarsela alle labbra.
La sentì sussultare e per la prima volta guardò Kasumi negli occhi, scoprendo che erano l’esatto specchio dei suoi, bagnati e impotenti.
E ancora più inaspettato fu l’abbraccio di lei, che accolse tremante il suo volto nell’incavo del proprio collo, perché lui piangesse le lacrime che aveva da piangere, perché lei potesse passargli le dita tra i capelli, e confortarlo.
 
Forse fu la debolezza del momento, o forse fu una rivincita contro la morte.
Il dottor Tofu sollevò il capo e tutto l’amore timido e silente che aveva covato dal momento in cui aveva incontrato Kasumi bruciò nel bacio con cui la sorprese.
Ma a sorprendersi fu di nuovo lui, quando sentì la ragazza abbandonarsi a quell’abbraccio, ricambiando la forza di quello stesso amore senza parole.
 
Quando si rialzarono, un’urgenza nuova mosse i loro passi.
Dando il loro ultimo addio ai due sfortunati amanti, si affrettarono alla ricerca di altre vite da strappare al destino.
 
Mano nella mano, proseguirono per ore.
Intorno a loro non c’era altro che morte.
Dopo tanto vagare, mentre si stavano inerpicando su un terreno scosceso, gli occhi di Tofu caddero sul corpo di Shinnosuke.
Ancora lontano, riconobbe dalle insegne uno dei primi generali dell’esercito nemico. Avvicinandosi a lui gli si strinse lo stomaco, riconoscendo in quel volto il giovane uomo che non troppo tempo prima aveva fatto visita a Soun Tendo per rinsaldare i trattati di pace. 
I soldati giapponesi erano già passati di lì, portando via come prigionieri i pochi superstiti. Non Shinnosuke. Lui, l’avevano lasciato lì a terra.
Non c’era più nulla da fare.
 
Sospirando, Tofu si chinò su di lui, con reverenza. Aveva incontrato alcune volte il generale Shinnosuke e aveva avuto modo di scambiarvi qualche parola. Gentile, umile, onesto. La sua perdita rappresentava una sconfitta per entrambi gli eserciti, la vittoria della guerra su ogni cosa.
Kasumi si accovacciò accanto a lui e insieme iniziarono a comporre il suo corpo.
 
Fu quando Tofu premette le mani fredde del generale incrociandole sul petto che il respiro del dottore si fermò.
 
“Gli sento… gli sento battere il cuore…”
 
Kasumi sgranò gli occhi di fronte al dottore che con le guance arrossate dall’emozione si affannò a cercare una vena sul collo che confermasse ciò che temeva di essersi, ancora una volta, immaginato.
 
“E’ molto debole, ma… sì, sento il suo battito!”
 
Salvare quell’uomo divenne di fondamentale importanza.
 
 
 
***
 
 
 
La pioggia si è arrestata.
Le urla intorno a me si sono zittite.
Una sola voce tra le altre.
La tua voce.
Così nitida nel pronunciare il mio nome.
Sento gli occhi sgranarsi, il fiato mozzarsi, il cuore soffocare. Non riesco a metterti a fuoco, troppa è l’emozione.
La tua mano, quella sì la riconosco, la tua mano forte mi protegge la nuca, il tuo corpo è caldo contro il mio, il tuo respiro mi accarezza il collo, mentre col tuo peso sulla schiena mi schiacci a terra.
E non ho più paura, perché ci sei tu a salvarmi.
Poi ogni cosa si sgretola in questa luce immensa che mi esplode negli occhi.
E ti perdo ancora.
E non sono più.
 
 
Fu il suono stesso del gemito che le uscì incontrollato dalla gola a scuoterla e a riportarla nel mondo dei vivi.
Le palpebre le rimasero incollate agli occhi, troppo dolenti per essere sollevate.
Il boato dell’esplosione le vibrava nelle orecchie.
Erano passate ore o settimane? Non seppe dirlo.
Prima ancora di percepire le proprie membra, Akane avvertì sulla pelle il ricordo del calore di Ranma.
Il ricordo di un sogno.
Ranma che si era gettato su di lei.
Un sogno così dolce e spietato.
Ranma che l’aveva protetta col suo corpo.
Le narici le parvero ancora piene del suo odore.
 
Quanto possono essere stupidi, i sogni.
 
Alcune gocce gelate le rovinarono sul capo e un’umidità spessa la investì.
Nel primo respiro con cui gonfiò i polmoni provò di colpo un dolore sordo e lancinante; non c’era parte del suo corpo che non le facesse male.
Definitiva fu l’amarezza di essersi immaginata ogni cosa. Come poteva essere diversamente?
Avrebbe riso di se stessa se non le avessero fatto male anche i muscoli del viso.
 
Il puzzo di sangue, misto a fango e polvere da sparo la nauseò. Fu assordata dai lamenti degli uomini che improvvisamente si accesero intorno a lei.
Aprì gli occhi a fatica. Era giorno o notte? Difficile dirlo. Si trovava in un luogo buio, chiuso, che sapeva di terra, una grotta, forse.
Si rese conto di avere i polsi legati, e che era addossata a una parete di roccia viscida.
Si abituò velocemente alla luce della torcia che illuminava quell’angolo, ma preferì non averlo mai fatto, di fronte alla visione di tutti quei corpi ammassati gli uni agli altri e divisi ognuno dal dolore delle proprie ferite.
Gridavano e piangevano, oppure restavano immobili a fissare il vuoto, in attesa di essere curati, liberati, forse anche ammazzati.
 
Non lo vide subito, confusa dalle ombre che oscuravano ogni cosa, ma lui era lì ai suoi piedi, lo era sempre stato: un corpo sdraiato, fasciato accuratamente sul busto, privo di sensi.
Il generale Shinnosuke.
Di fronte a quel volto pallido, pendente da un lato, Akane sentì una mano di ghiaccio strizzarle il cuore.
Non distolse lo sguardo, e fu felice di non averlo fatto. Respirava, il generale Shinnosuke.
Respirava, seppur debolmente.
Vivo.
Chiuse gli occhi, grata.
Come fossero arrivati fin lì non le importava. Ciò che contava era che il buon generale non fosse morto come aveva temuto prima di perdere lei stessa i sensi.
Lasciò andare il capo in un sospiro e per la prima volta constatò che a dispetto dei dolori diffusi in tutto il corpo, lei non aveva ferite.
Chiunque si fosse preso la briga di salvarla – perché qualcuno, qualcuno che non poteva essere Ranma, l’aveva salvata, di questo era certa - era perfettamente riuscito nel suo intento. Forse quel qualcuno era morto in quell’ultimo atto di altruismo.
Serrò gli occhi. Sperò che si trovasse lì anche lui, sperò di poter ringraziare quell’uomo che probabilmente di simile a Ranma doveva avere solo il codino.
E non lo avrebbe odiato per questo.
Riaprì gli occhi, e lo cercò disperatamente, setacciando fin dove riuscisse ad arrivare il suo sguardo, in basso, davanti a sé, sulla destra.
Poi si contorse tutta verso il lato che le faceva più male.
 
E lo vide.
 
Lo vide subito, non appena i suoi occhi si posarono su di lui, pur nella semi oscurità, in mezzo alla massa indistinta di prigionieri.
 
Lo vide subito, ma la sua mente ci mise un po’ a realizzare che no, quello non era un sogno, né un’allucinazione.
 
Che lui era Ranma.
 
Ranma. Era. Vivo.
 
Lì, a una distanza irrisoria.
 
Ranma.
 
Steso sulla schiena. Incosciente. Ma vivo.
Avrebbe potuto allungarsi appena e toccarlo, se solo non fosse stata legata.
Sentì la gola chiudersi, l’aria fermarsi.
Vivo?
Prima di potersi domandare altro, i suoi occhi si mossero impazziti lungo quel corpo, più veloci della sua mente a capire che il petto di lui si sollevava piano e si abbassava, che aveva gli abiti in brandelli, ma che non c’erano bende né sangue.
 
Eppure lui era “morto”… ne era certa…l’aveva visto!...
 
Sentì le tempie esploderle.
Sì… Aveva pianto sul suo cadavere senza… senza testa!... Si era bagnata del suo sangue.
 
Dunque si era ingannata? L’uomo su cui si era disperata non era Ranma? Quale miracolo era mai quello…?
 
Vivo?! Lui era vivo!
 
La realtà dei fatti la esaltò e la sopraffece.
 
Vivo!
 
Dunque era davvero sua quella voce, sua la mano forte sulla nuca, suo il corpo caldo che l’aveva protetta come sempre aveva fatto. Ranma era vivo!  L’aveva salvata, aveva gridato il suo nome!
 
Lacrime copiose le scivolarono improvvisamente lungo le guance.
Si sentì bruciare, travolta da un groviglio di emozioni.
La stanchezza, il dolore, la rabbia, la paura, e tutta la disperazione che l’avevano accompagnata fino a quel momento… ogni cosa si sciolse di fronte alla vista di Ranma.
Ranma che era lì, a pochi metri da lei, e che doveva sapere che lei era così vicina! Ranma.
Ranma.
Perché non apriva gli occhi?
Ranma.
Non aveva ferite e respirava. E allora, perché?
 
La voce le uscì dalla gola come se non fosse sua: “Ranmaaaaaa!!!”
 
 
 
***
 
 
 
“Pioveva che il cielo la mandava… Noi non vedevamo a un palmo di naso. E doveva essere così anche per loro, maledetti cani”
 
“Ah, poveri diavoli…! Potevamo essere noi… Ti ritrovi nella gola di una montagna che ti frana sotto i piedi, mentre fuggi in avanti e vieni braccato da ogni lato… Che avresti fatto al loro posto, eh?”
 
“Quello che hanno fatto loro davanti a noi che li aspettavamo dall’altra parte con le frecce pronte… cercare di non opporre troppa resistenza ed evitare un massacro…”
 
Le ultime parole che Ukyo riuscì ad afferrare nello scambio tra i due soldati, risuonarono roche e colpevoli.
La ragazza tenne gli occhi fissi davanti a sé. Immobili.
Nell’aria del mattino, un tiepido sole si sporse da dietro le nuvole grigie, ma non bastò a scioglierle il gelo che le era entrato nelle ossa. Dopo aver passato sotto la pioggia un numero di ore che aveva smesso di contare, rimase ancora nell’attesa di un segno, di un ritorno.
E ancora niente.
Intorno a lei continuavano ad arrivare uomini sfiniti, feriti, felici di aver visto la fine di quella battaglia.
Di lui non si sapeva nulla.
Ukyo si morse un labbro. Si trattava di aspettare. Ancora.
 
Poco lontano, al centro della radura presso la quale l’esercito giapponese stava confluendo da più parti, Soun Tendo si sfilò l’elmo fatto di cuoio e di metallo e si asciugò la fronte stanca col dorso della mano.
Tutto era finito. L’esercito cinese si era infine arreso.
La pioggia, il fango, la fuga.
La trappola aveva sortito il suo effetto, così pareva, mietendo molte vite, troppe.
 
“…meno di quelle che avrebbe mietuto la guerra se fosse andata avanti in questo modo barbaro e privo di senso”
 
La voce della principessa Nabiki le parve lontana, provata.
Vide Soun-sama accarezzare il viso alla figlia, chiedendole qualcosa.
 
“E’ tornata, sì”, gli rispose Nabiki, “Ora si trova col dottore a curare i feriti. Che siano dei nostri o che siano prigionieri, poco le importa”, concluse non senza un pizzico di orgoglio.
 
Ukyo riuscì a sorridere per un breve istante. Non che il dottor Tofu non avrebbe fatto lo stesso. Lui e la dolce Kasumi, perché di lei si stava parlando, si erano proprio trovati… Tra migliaia di vite, le loro avevano avuto la fortuna di incrociarsi, e di riconoscersi.
Lo sguardo le si rabbuiò di colpo.
Dov’era Ryoga? Perché non tornava?
Con la coda dell’occhio Ukyo vide balenare una figura non troppo lontano da lei e si voltò speranzosa.
Genma Saotome.
Sospirò, Ukyo, e attese ancora. Nell’attesa si distrasse sbirciando la tenerezza degli abbracci con cui l’uomo fu accolto da Kasumi e Nabiki, e dall’amico fraterno.
E distolse lo sguardo quando sulle labbra serrate di Genma Saotome colse gli orrori non detti della guerra, quando nei suoi occhi vide il riflesso di molti altri che erano morti.
Si allontanò, stanca, quando dalla sua voce uscì un incomprensibile: “Mio figlio, Soun, mio figlio…”, a cui Ukyo non volle prestare attenzione.
 
Attese, Ukyo, e vide passare troppi soldati che non erano Ryoga, troppi minuti che resero la paura più vicina e reale.
 
“Soun Tendo”
 
Quella voce gracchiante arrivò anche alle sue orecchie.
 
“O-Obaba…?”
 
“Di cosa ti stupisci, Soun?”
Era intervenuta un’altra voce.
Era quella di Happosai, che era sbucato sornione accanto alla vecchia compagna, entrambi coperti di fango, “Pensavi davvero che non ti avremmo raggiunto?”
 
Ukyo non potè non assistere a quello scambio di sguardi, finchè il suo signore si gettò in ginocchio, il capo chino alla mercè di Obaba. Sospeso tra il castigo e il perdono, disposto ad accettare l’uno o l’altro, Soun rimase senza dire nulla, finchè il rumore sordo del bastone contro la spalla di lui ancora protetta dall’armatura ruppe il silenzio.
 
“Non temere, Soun”, bofonchiò bonaria la vecchia, “Tua figlia Akane è viva e non è distante”
 
Ukyo sentì il fiato raggrumarsi in gola. Akane… Akane era dunque viva?
A dispetto del sollievo con cui la sua mente accolse le parole di Obaba, le palpebre le si gonfiarono a tradimento e le guance avvamparono.
E Ryoga? Dove diavolo era Ryoga in quel momento?
Forse la stava cercando nel luogo in cui si era trovato l’accampamento fino a quel momento, prima che tutti loro, lei compresa, fossero stati fatti spostare lì, in quella dannata radura vicino a quella dannata cascata. Era così, giusto? Per questo lui ancora non era arrivato, doveva senz’altro essere così!
 
“Akane…?”, la voce del padre nel pronunciare il nome della sua bambina arrivò incredula e rotta alle sue orecchie.
Ma forse era solo lei che stava trattenendo i singhiozzi.
 
“Dài credito, per una volta, a questa vecchia fattucchiera”
 
In risposta a quel rimbrotto, Soun Tendo dovette annuire, carico di speranza e gratitudine per la predizione di Obaba.
Doveva senz’altro essere così, ma Ukyo potè solo immaginarselo: un pianto lacerante e silenzioso le annebbiò la vista e ogni altro senso.
 
Fu per questo che quando fu pronunciato, il suo nome le arrivò ovattato.
 
“Ukyo”
 
Come offuscato da altri rumori.
 
“Ukyo”
 
La sua voce. Era la sua.
Quella voce che avrebbe riconosciuto tra milioni di voci la colpì come una percossa ben assestata e gli occhi le si spalancarono intontiti.
 
Fermo in mezzo ai compagni che continuavano a procedere intorno a lui, Ryoga la guardava.
 
Le gambe di lei scattarono da sole, e quelle di lui cedettero per la stanchezza e per la gioia quando lei gli saltò al collo.
 
Prima ancora di chiedersi se fosse ferito, se in battaglia fosse stato sfiorato dalla morte, Ukyo lo strinse tra le braccia e lui vi si gettò come se quelle braccia fossero la vita stessa.
Si ritrovarono a terra, affamati di baci.
 
“Quanto… quanto mi hai fatto aspettare, brutto idiota?”
 
E si sentirono non in terra, ma in cima all’universo.
 
“Sono il più fortunato tra gli uomini!”, tossì Ryoga, senza fiato, tra le lacrime e i baci.
 
A un tratto parve ricordarsi di qualcosa e le prese il volto tra le mani.
 
“Ukyo… vorresti…?”
 
“E me lo chiedi?”, non lo lasciò neanche finire, “Ma certo che sì!”
 
Continuarono a baciarsi e a stringersi l’uno all’altra, dimentichi del mondo circostante, increduli che la battaglia avesse graziato quel loro amore; un amore che di epico non aveva nulla, ma che, al di là di una domanda e della sua risposta, bastò a farli sentire entrambi benedetti dalla sorte.
 
 
 
***
 
 
 
“Si è calmato, finalmente”, borbottò un giapponese tarchiato dalle ampie tempie brizzolate.
 
“Di chi parli?”, gli si avvicinò con passo stanco un tipo dagli occhi segnati e lo sguardo vispo. Anche lui faceva parte dei soldati affidati alla gestione dei prigionieri.
 
“Di quel ragazzino là…”, bofonchiò il primo indicando con una certa soggezione.
 
“Quello addossato alla parete?”, lo pungolò l’altro, desideroso di trovare un modo di passare il tempo, “E’ ancora uno sbarbatello, sembra avere non più di dodici anni. Che ci fa in questo postaccio?”
 
“E’ quello che dico io…”, continuò il primo soldato grattandosi il sedere, “Sono sempre più giovani… Troppo giovani per l’inferno che c’è stato là fuori, ti dico. Fiumi di sangue. Fratelli che ti crepano davanti. Uomini che non hai mai visto e che speri di ammazzare prima che ammazzino te. E ti guardano sempre con quel terrore negli occhi, prima di decidersi a morire”
 
Il suo sguardo si sfocò, la sua voce si fece inudibile.
 
“E quel ragazzo…?”, l’altro non volle arrendersi e gli puntò un gomito contro le costole.
 
“Quel ragazzo?”, si riebbe l’uomo dall’alta fronte, infervorandosi subito dopo, “Quel ragazzo delirava. Sono cose che ti fanno uscire di senno, ti dico. Delirava con la bava alla bocca. E si dimenava urlando con quanto fiato aveva in gola. L’urlo di una tigre di montagna, ti dico. Una tigre di montagna in gabbia, ecco cosa sembrava. L’ho dovuto legare più stretto che potevo e imbavagliare fin quasi in gola”
 
Si voltarono entrambi, l’uno intimorito, l’altro incuriosito, a guardare quel ragazzo sporco di sangue non suo, per cui era ormai impossibile muoversi o emettere anche solo un suono.
 
“Cosa gridava? Sei riuscito a capire qualcosa?”
 
L’uomo si passò una mano sul viso bruciato dal sole e anche dal vento.
“Parlava a qualche fantasma della sua mente, povero ragazzo… ‘Svegliati! Sono io!’, gridava uno strano nome, ti dico. Forse quello del padre o di un fratello. ‘Slegatemi, devo andare da lui!’ Faceva paura. Così giovane e già pazzo…”
 
L’ultima parola decantò nel silenzio.
Non dissero più niente, i due uomini, freddati dal solo pensiero che poco importava avere dodici anni o averne cento, poco importava aver barattato il senno con la salvezza: nessuno di loro sapeva se Soun-sama avrebbe infine ordinato di giustiziare fino all’ultimo dei prigionieri.
 
 
*
 
 
“Devo essere completamente pazzo…”
 
Con queste parole biascicate a fior di labbra Ranma iniziò a svegliarsi.
 
Come spiegare altrimenti quegli occhi grandi che l’avevano guardato, il calore di quel piccolo corpo sotto il suo, persino il profumo, che avrebbe riconosciuto sotto la pioggia, il fango, il sangue?
 
Doveva essere pazzo, perché chi aveva visto e salvato non era Akane, non poteva esserlo.
Ridacchiò tra sé e sé, senza volersi ancora svegliare del tutto, per paura che le allucinazioni lo abbandonassero completamente.
Le cullò ancora per un po’ nella sua mente, quella mente che si era divertita a ingannarlo.
 
Se anche la sua Akane fosse stata ancora viva, dopo le esplosioni, le frecce, le ferite, le grida, se anche lo fosse stata, davvero sarebbe stato così facile incontrarla?
 
“Ak-A… Ak…”
 
Spalancò gli occhi.
Al di sopra dei lamenti che rieccheggiavano intorno a lui in quella che sembrava essere una caverna, sentì chiaramente una voce sottile pronunciare quella sillaba che per lui significava tutto.
Akane?
Si mise a sedere e per un attimo gli girò la testa; era legato e aveva ben poco margine di movimento.
 
“Ak-A… Ak…ira… Akira…?”
 
Si morse un labbro, Ranma, fino a farlo sanguinare.
Akira.
Che stupido a credere che potesse essere… Che stupido.
 
Riconobbe quella voce. A pronunciare quel nome era stato lo stesso generale Shinnosuke che lui aveva visto cadere in battaglia.
Dunque si era salvato?
Da dove si trovava, Ranma riusciva a vederlo: pallido, debole, fasciato strettamente sul busto. Doveva essersi anche lui appena svegliato, perché si guardava intorno smarrito.
 
“…Akira?”
 
Ancora quel nome.
 
Poi Ranma vide il generale Shinnosuke placarsi, sorridere debolmente, rilassare il capo.
 
“Per fortuna”, gli sentì mormorare, “Per fortuna sei ancora vivo”
 
Ranma si contorse per riuscire a guardare nella stessa direzione, e benchè la visuale fosse per metà coperta da alcuni prigionieri che si trovavano su quella traiettoria capì che il ragazzo legato contro la parete di roccia a cui il generale si era rivolto era lo stesso ragazzo che lui aveva salvato.
 
Lo stesso che aveva scambiato per la sua Akane.
 
Un ragazzo.
 
L’errore gli parve lampante, eppure…
 
“Generale Shinnosuke!”, la voce di Ranma risuonò sulle altre, e Shinnosuke sussultò, sentendosi chiamare. Non aveva la forza per tirarsi su, ma deglutì e restò in ascolto.
 
“Quello è il vostro scudiero?”
 
La domanda gli uscì più imperiosa di quanto avrebbe voluto, aggressiva, forse. Disperata.
 
“Sì… Cosa volete da lui?”, rispose il generale, affannandosi a sollevarsi anche solo sui gomiti per guardare negli occhi chi aveva parlato. “E’… è al mio servizio da anni”, continuò con voce roca, “da quando suo padre me lo lasciò, ancora bambino. E non ha mai commesso un errore. Vi ha… vi ha forse recato offesa?”
 
Nessuna offesa. Ranma chiuse gli occhi senza rispondere, e non vide che il ragazzo in questione stava sgranando i suoi di occhi, che erano bagnati di lacrime, e cercava disperatamente di scuotere la testa e attirare attenzione su di sé.
 
“Un buon ragazzo…”, continuò Shinnosuke, riempiendo il silenzio.
 
“Un ragazzo, dunque…”, disse Ranma, più a se stesso che al suo interlocutore.
 
Cosa diavolo gli aveva detto la testa?
Piegò il collo per riuscire a guardare meglio lo scudiero che aveva odiato per non essere Akane. Tremava. Come aveva fatto a odiarlo? Sembrava solo un ragazzo impaurito e fu felice di averlo strappato alla morte.
 
Passarono molti minuti, minuti durante i quali il generale serrò le palpebre, sfinito, per cadere a poco a poco nuovamente nell’incoscienza.
 
Le ginocchia contro il petto, Ranma iniziò a parlare.
 
“Sai, ragazzo?”
La voce era rivolta allo scudiero del generale.
Che cosa aveva da perdere, in fondo? Forse sarebbe morto prima del calar del sole. Sarebbe morto senza rivederla.
“Sono stato uno stupido”
Si sentì gli occhi di lui addosso, ma Ranma tenne lo sguardo basso sui suoi piedi tutto il tempo.
“Così mi avrebbe chiamato lei, in ogni caso. E non avrebbe avuto torto. Non l’aveva mai. Ho creduto di vederla, per un istante, sai?”
Sapeva che l’altro non gli avrebbe potuto rispondere.
“Ero certo…”, si sforzò di non ridere di se stesso, “… che fossi tu. Tu. Akira” Soppesò quel nome e giurò di sentir trasalire il ragazzo.
“Anche il tuo nome somiglia per metà a quello di lei. Akane…”
Poi per un attimo si accartocciò su se stesso.
“Perdonami, Akane”, sibilò tra i denti.
 
Un gelo impalpabile parve cadere tra di loro, finchè Ranma non parlò di nuovo, con voce nuovamente calma, mesta.
 
“Sai, ho rovinato davvero tutto. Potrei raccontarti la storia di un uomo che è stato ingannato da un cinese di nome Mousse, che è stato spinto a credere all’infedeltà della propria donna. Non solo… un uomo che è stato drogato da un maledetto filtro che l’ha fatto uscire di senno e cedere alla gelosia, alla vendetta. Non sarebbero menzogne. Eppure sarebbe solo la storia di uno stupido che ha rovinato tutto con le sue mani. Akane… Perdonami, Akane!”
 
Aveva smesso da un po’ di parlare al ragazzo di nome Akira: il racconto si era fatto rabbia, la rabbia dolore e il dolore si era spezzato in quell’urlo rivolto a lei e a lei sola.
 
 
 
 
Bloccata contro la fredda roccia, Akane aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo. Ma non aveva potuto fare altrimenti, imbavagliata com’era, dannato soldato!
Aveva visto Ranma svegliarsi, parlare col generale, decidere di credere più agli occhi che al cuore.
Avrebbe voluto rispondergli, negare, dirgli che no, non era vero niente, che Shinnosuke aveva detto quelle cose solo per proteggerla! Avrebbe voluto spezzare le catene, correre da lui, lui che ora stava piangendo poco lontano da lei, per la prima volta sconfitto, lei non l’aveva visto mai, come se l’avesse persa per sempre.
E anche lei provò rabbia.
Mousse, un filtro, l’inganno, la gelosia, la vendetta. Dunque così stavano le cose? C’era infine una dannatissima spiegazione dietro a tutto quello che lei aveva passato. E probabilmente anche a quello che aveva passato lui.
Provò rabbia e dolore. E un’immensa frustrazione.
E poi desiderò soltanto stringerlo a sé e sussurrargli in un orecchio tutto il suo amore e sì, regalargli tutto il suo perdono.
Perché Ranma era vivo e la amava, e lei amava lui.
Ma non poteva farci niente. Lei era legata e lui piangeva.
 
Quel maledetto travestimento aveva fatto il suo dovere ingannando tutti, persino Ranma.
 
***
 
 
 
Soun Tendo era immobile. Sembrava quasi non respirasse, anche le pieghe del suo mantello sembravano fisse e immutabili.
Era distante da tutti loro di una buona ventina di metri.
L’amico Genma Saotome, le figlie Kasumi e Nabiki, persino i ritrovati Obaba e Happosai cominciavano a chiedersi a cosa stesse pensando, lì in piedi su quella roccia a guardare davanti a sé.
Un vento leggero gonfiava le lunghe ciocche nere e i chiari riflessi di luce giocavano sul suo volto.
Nessuno di loro sapeva quali fossero le sue intenzioni, nessuno osava avvicinarlo per rompere il silenzio nel quale si era chiuso.
Il peso della guerra sembrava aver lasciato un segno sulle sue spalle, ogni scelta presa una ruga sulla fronte.
Aveva adunato da ogni parte l’esercito in quella radura: era una piana che si apriva in cima a un alto monte, dal cui ciglio si protendeva un enorme sperone di roccia.
 
Lì si ergeva Soun Tendo, gli occhi fissi sulla cascata che sgorgava davanti a lui da un punto più alto della rupe e che veniva poi inghiottita in un profondo burrone. Giù in fondo si scorgeva appena un piccolo specchio d’acqua schiumante; e anche un torrente, quasi invisibile perchè nascosto dal basso fogliame.
L’aria sembrava più calda in quel luogo, il cielo più turchese, la terra sotto i piedi più dolce.
 
A Obaba e Happosai bastò scambiarsi uno sguardo. Quello era un luogo sacro. Non così distante dalla devastazione della battaglia, era rimasto inviolato e calmo.
 
Erano tutti lì da almeno due giorni e le grotte a ridosso della montagna, dall’altro lato della radura rispetto alla cascata, erano state adibite a prigione improvvisata, una prigione in cui erano ammassati i molti reduci dell’esercito cinese, in attesa del loro destino.
 
Soun Tendo restò lì per oltre un’ora. Poi si voltò.
 
“Portatemi il generale Shinnosuke”
 
 
 
***
 
 
Fu tutto troppo veloce.
 
Un attimo prima Akane aveva chiuso gli occhi sperando per un po’ di dimenticare il suo dolore; un attimo dopo la voce del generale Shinnosuke l’aveva svegliata di soprassalto.
 
“Akira…!”
 
L’avevano sollevato da terra e lui aveva trovato la forza di divincolarsi dalla loro presa, arrancare verso di lei e posarle una mano fredda sul viso.
 
“Akira, ragazzo mio… Non aver paura. Farò quanto è in mio potere per…”
 
Due paia di braccia robuste lo allontanarono da lei prima che potesse finire la frase. E lei non potè dirgli nulla, stretta nella morsa di quel bavaglio.
 
“Lasciate stare il nostro generale!”, gridavano inferociti alcuni prigionieri. “Lo ammazzeranno… e poi ci giustizieranno tutti…”, si disperavano altri.
 
Akane fece appena in tempo a sporgersi verso Ranma (lo vide appena, di striscio, silenzioso e ripiegato su se stesso), che il generale Shinnosuke era sparito dalla sua vista, portato fuori chissà dove.
 
Non seppe quanto tempo passò - ma non dovette essere poi molto – che si ritrovò davanti agli occhi lo stesso soldato basso e leggermente stempiato che tempo prima l’aveva legata con tanta cura, ora intento a scioglierla da quelle medesime catene che la bloccavano contro la roccia.
 
Fu tutto troppo veloce.
 
“Dove ci state portando?”
 
Fu un dimenarsi di braccia e gambe nell’oscurità terrigna di quel luogo.
 
“Lasciateci stare!”
 
Fu strattonata, spinta in avanti, costretta a seguire gli uomini di fronte a lei prima ancora che le sue gambe decidessero di farlo.
 
Ma Ranma dov’era?
 
Ancora imbavagliata, i polsi legati tra loro, lo cercò, in mezzo a tutto quel caos, lo cercò tra i volti che la guardavano, tra i corpi che si scontravano, e non lo vide più.
L’aveva perso.
Ranma…
 
Ovunque la stessero conducendo, si ritrovò a sperare in suo padre, che non avesse preparato per lei lo squallore di una morte dove non fosse permesso ritrovarsi, riconoscersi, perdonarsi.
 
E nell’attesa di vivere o morire, nella speranza di rivedere Ranma, Akane varcò la soglia che divideva l’incubo dalla realtà.
E fu abbagliata da una luce così violenta che ci mise un po’ a riconoscere in quella luce il sole.
 
 
***
 
 
Soun Tendo riconobbe subito, nel giovane uomo stremato e  senza colore sulle guance, il generale Shinnosuke.
Riconobbe la fierezza dello sguardo e seppe che non poteva trattarsi di altri che lui.
 
Fece cenno ai due uomini di metterlo a sedere e fu sorpreso dalla determinazione con cui, nonostante le ferite, Shinnosuke si buttasse in ginocchio verso di lui.
 
“Soun Tendo, vi prego. Per l’amicizia che ci legò un tempo, per la stima che diceste di riporre in me, vi chiedo di risparmiare una vita. Non la mia, se così avete deciso, perché ho guidato l’esercito che avete sconfitto; ma quella di un fanciullo, un ragazzo giapponese che ho trovato solo e smarrito nei vostri boschi, un giovane onesto e coraggioso, l’anima più dolce delle vostre terre. Risparmiatelo, vi scongiuro”
 
Soun si avvicinò senza far rumore.
Quando posò una mano tremante sulla sua spalla, Shinnosuke sollevò il capo, tenuto basso fino a quel momento.
 
“Risparmierò lui, e voi, mio buon amico. Mi siete caro più di chiunque e gioisco a sapervi vivo. Ringrazio il dottor Tofu per avervi trovato e curato. Troppo sangue è stato versato”
Si voltò a guardare la cascata.
“Questo è un luogo sacro, un luogo di pace. Ho dato l’ordine di condurre qui tutti i vostri uomini, che vengano slegati per sempre davanti a questo sole. E allora non ci saranno più né vinti né vincitori. Saremo solo degli uomini che si spogliano della guerra e delle offese”
 
Gli occhi di Shinnosuke erano fermi su di lui e Soun lo prese come un invito a proseguire.
 
“E poi… poi sanciremo la fine di questo abominio anche sulla carta, nero su bianco…” Strinse la mano sulla spalla dell’altro. “… e in modo più giusto e oculato di quanto non sia stato fatto prima di tutto questo”, concluse con un soffio, ritrovandosi sulle ginocchia a chiudere in un abbraccio il giovane uomo davanti a lui.
 
“Ho saputo di vostra figlia”, fu la sola cosa che riuscì a dire quest’ultimo, la voce grattata dalla commozione.
 
Soun si staccò da lui quel che bastò per guardarlo e ammettere: “La verità è che non so dove si trovi ora”
 
Shinnosuke sgranò gli occhi bagnati di lacrime, e lui per un attimo non sentì più il cuore battere.
 
“E’ andata via da me all’inizio della guerra e ho lasciato che si diffondesse questa notizia per paura che…”, si schiarì la gola improvvisamente secca, “…che i nemici la trovassero. E non so se sia ancora viva”
 
 
 
“Lasciatemi stareeee!!”
 
Il grido irruppe violento in mezzo alla loro conversazione, un grido maschile che lacerò l’aria.
 
E ogni cosa si fermò di fronte a ciò che i loro occhi videro.
 
 
 
***
 
 
 
“E’… è lei!”, fu più una domanda, quella di Ryoga, la richiesta di una conferma, e quando Ukyo si aggrappò a lui e lo strinse fino a conficcargli le unghie nel braccio, ebbe la sua risposta.
 
Furono i primi a vederla, gli unici a riconoscerla. E neanche la stavano cercando.
 
“Si… si trova tra i prigionieri dell’esercito cinese?!”, sussurrò Ukyo, quando invece avrebbe voluto urlarlo. “Maledetti, ma cosa le hanno fatto? E’ legata e imbavagliata!”
 
Ryoga sentì le sue gambe che si muovevano da sole. E andavano verso di lei.
Le brache strette al polpaccio, la casacca imbottita...
Ukyo gli fu subito dietro.
Il copricapo scuro, la stessa fascia giallognola che era appartenuta a lui...
Riconobbe ogni cosa.
 
Era sbucata fuori da una galleria che portava a quella radura, e ora, in mezzo a tutti quegli uomini, Akane stringeva gli occhi abbagliata dalla luce del sole.
 
I loro passi aumentarono e si ritrovarono accanto a lei, senza fiato.
Non ci fu bisogno di parole perché quando Akane riuscì a metterli a fuoco, lì, davanti a lei, i suoi occhi parlarono da soli.
Ryoga fu svelto a tirare fuori un coltellino con cui tagliarle le corde intorno ai polsi e col batticuore Ukyo riuscì a sfilarle il bavaglio, per poi voltarsi di scatto verso il resto della radura, inebriata dalla concitazione: “Santi kami, ma non capite che lei è…”
 
“Ucchan! Lui…!” La zittì Akane strattonandola verso di sé, lo sguardo elettrizzato piantanto sui volti dell’uno e dell’altra. “Lui è qui!”
 
 
 
“Lasciatemi stareeee!!” Il grido di Ranma arrivò limpido alle loro orecchie.
 
Si voltarono all’unisono e lo videro;  videro Ranma divincolarsi dalle corde e lottare a mani nude contro chiunque gli si parasse davanti.
 
Akane si illuminò in uno di quei sorrisi che Ryoga e Ukyo non vedevano da tempo incalcolabile.
 
“Eccolo!”
 
 
 
***
 
 
 
Giù nella grotta, le mani legate tra loro, Ranma si sentiva ribollire come una pentola di fagioli.
 
Akira, ragazzo mio... Farò quanto è in mio potere per…
 
Una pentola di fagioli pronta a rovesciarsi sul fuoco.
 
A chi voleva darla a bere? Quelle parole erano cadute dentro di lui facendo un gran baccano.
 
Aveva visto i due energumeni portare via lo stesso Shinnosuke che un tempo era stato il generale dell’esercito cinese, e che in quel momento sembrava solo un giovane terrorizzato di morire. Peggio, un giovane terrorizzato che a morire fosse lo stesso ragazzo per cui anche lui, ironia della sorte, aveva rischiato la vita.
 
“Verremo tutti ammazzati!”
 
Le urla intorno a lui risuonavano nelle sue orecchie.
Ranma teneva ostinatamente gli occhi incollati al terreno.
 
Non era servito a niente. Sperare, correre, cercarla. Niente. Schivare, correre, proteggere. Niente. Correre, correre e ancora correre. Per cosa? Per finire tutti in quel modo, come bestie certe di andare al macello?
 
Farò quanto è in mio potere per…
 
Si piegò verso destra: il ragazzo era sparito, forse portato via dalla fiumana di gente che stava defluendo verso l’esterno.
 
Sentì un paio di braccia sollevarlo di peso e spingerlo con gli altri, e sentì le viscere bruciargli, il sangue pompare alle tempie.
Per un po’ credette di non vederci più, e quando riaprì gli occhi si rese conto di essere già fuori, ammassato a molti altri, altri come lui, pronti a morire.
E lui? Lui, dannazione, era davvero pronto a morire?
 
 
La risposta fu facile: “Lasciatemi stareeee!!”
Ranma esplose e non ci fu uomo in grado di contenerlo. Si avventò sul primo soldato che provò a fermarlo. E su tutti gli altri dopo di lui.
 
Posso ancora trovarla…
 
Con una furia inumana si strappò i lacci che lo bloccavano.
 
“Non posso morire!!”
 
Cercò di farsi strada lontano da lì.
 
Non ora, non così.
 
Sentiva le punte delle dita sfrigolare in modo feroce.
 
“Andate viaaaa!”
 
I piedi scalpitavano e in pochi ebbero il coraggio di affrontarlo.
 
Devo andare da lei!
 
Una sola cosa gli restava: lottare. E nonostante tutto il dolore e tutta la frustrazione, avrebbe venduto cara la pelle.
 
“State lontano da me… Ho detto state lontano…”
 
Fu un lampo.
 
“Shishi Hokodaaan!!!”
 
E fu per uno stupido scherzo della sorte che Ranma vide comparire Ryoga nel proprio campo visivo proprio nel momento in cui stava lanciando uno dei suoi stessi colpi energetici.
 
Un lampo, un boato, una voragine nel terreno intorno a lui.
 
E un urlo.
 
Quel dannato ragazzo, Akira, era corso dietro a Ryoga. Perché, poi?
Come se quell’istante si fosse dilatato, Ranma vide Ryoga abbassarsi e schivare appena in tempo lo scarico di energia.
E vide l’altro schizzare via, lanciato in aria.
Vide il suo corpo sottile stagliarsi sulla cascata nel controluce del tardo pomeriggio.
 
Sentì un paio di mani serrarsi improvvisamente intorno alla gola, e la voce di Ryoga, disperata, furente: “Che cosa ti dice la testa?! Quella è Akane! Akane!!!”
 
E a quel punto ogni cosa precipitò.
 
Akane?...
 
Ranma uscì dalla trance in cui era caduto.
 
Akane.
 
Senza neanche pensarci, si gettò nel vortice generato dal suo stesso colpo.
 
Akane.
 
E lo prese in pieno, trovandosi a rovinare nel medesimo burrone in cui stava cadendo… lei: Akane.
 
Vide il copricapo di stoffa volare lontano, la bandana scalzarle via dalla fronte, i capelli sciogliersi al vento, il cerone scuro misto allo sporco colare via nei vapori della cascata. 
 
Intorno a lui si alzarono mille voci. Alcune disperate - “F-figlia mia!” -, altre attonite - “Akira?? Akira è la… la principessa Akane?!” –, altre ancora stupite - “Kasumi, ma quello non è Akira?!”-, persino speranzose -“Akira? Vivo? Ma quell’altro ragazzo con lui… quello è mio figlio…!”
 
Infine Ranma vide il sorriso morirle sulle labbra.
 
E su ogni altra voce fu solo la sua a stagliarsi: “Akaneeeee!”
 
Sospeso nel vuoto, si allungò verso di lei.
Akane era viva, era lì, con lui, era sempre stata lei, in quella prigione, l’aveva trovata!
Si protese con tutto se stesso. Verso di lei. Entrambi in caduta libera lungo la cascata che si rovesciava nel precipizio.
 
Bruciava, Ranma, nell’aria fredda smossa dallo Shishi Hokodan, le dita tese verso di lei, lei che gli schizzi d’acqua bagnavano di riverberi.
Dio, aveva dimenticato quanto fosse candida la sua pelle…
 
Akane, apri gli occhi… Akane, respira… Akane, sto arrivando!
 
Ogni parola gli rimase contratta in gola.
Spinse allo stremo tutte le sue forze.
E la raggiunse.
Un attimo prima che lei impattasse contro l’acqua, lui l’afferrò per un polso e ruotò per farle da scudo col proprio corpo.
 
Per un attimo credette di morire. L’aria gli fu sottratta di colpo dai polmoni e la testa gli scoppiò. Quando si riebbe, ancora era in acqua, sospinto dall’impeto del vortice verso il basso, e lei non era più con lui.
 
Non posso perderti, non ora, non così.
 
La vide alla mercè dei flutti e della schiuma e fu subito da lei, le braccia intorno alla vita sottile, le gambe determinate alla risalita. I pochi vestiti che le erano rimasti si persero nella corrente, lacerati dal peso delle acque. Sembrò così leggera quando Ranma la issò su per la roccia a cui si era aggrappato, dietro la cascata.
 
“Akane… Akane, mi senti?”
 
Non aveva tempo di riprendere fiato. La teneva stretta a sé, gli occhi piantati sulle palpebre chiuse.
 
“Svegliati, Akane… Akane, ti prego… Ti prego, non morire. Sono stato uno stupido, uno stupido… Akane mi senti, non è vero?”
 
La strinse più forte, affondando il viso tra i capelli di lei.
 
“…volevo dirti che ti amo! Akaneee!”
 
Il colpo di tosse fu così feroce contro le proprie costole, che a Ranma parve di esserne stato lui l’artefice.
 
Si staccò appena da lei e il viso gli si disfece dalla gioia alla vista di Akane che tossiva e sputava, fradicia, tremante.
 
Viva.
 
“A… kane”
 
Lui era senza voce. E lei era lì. Lei sola. Non più imbottiture, né cerone o copricapi. Brandelli di vestiti e pelle bagnata, il seno immaturo fasciato da bende che un tempo dovevano essere state strette, i capelli appiccicati al viso.
E quegli occhi grandi che lo guardavano.
 
“Ran…ma”
 
Ci mise un po’ a capire che, camminando sulle ginocchia, Akane gli si era gettata tra le braccia, e piangendo e gridando il suo nome, sembrava indecisa se tirarlo a sé o prenderlo a pugni.
Akane è viva…
“Stupido! Stupido!... Sei uno stupido!”
Non ricordò quando avesse cominciato a piangere anche lui, ma stava piangendo e la abbracciava e rideva.
E’ viva! E mi sta picchiando! Mi sta sorridendo!
 
“Akane… Akane… Perdonami. Io… Sì, sono stato uno stupido. Uno stupido! Oh grazie, grazie! Tu sei… viva!!”
 
 
 
“Stupido… Ma certo, certo che sono viva! Ma tu, piuttosto…! TU sei vivo! Ranma! Sei vivo! Tu… tu eri morto!...”
 
Akane si portò una mano alla bocca, incapace di contenere tutto ciò che la stava travolgendo, e che era più violento dello Shishi Hokodan, e della cascata, e dei flutti vorticosi.
 
“… e io, quando ti ho visto, lì in quella grotta… non ci potevo credere…”
 
“Ero io quello che non poteva credere che fossi davvero tu... Akane… Ti ho cercata così a lungo… non… non potevo credere che tu fossi… quel ragazzo…”
 
“Volevo parlarti… urlarti la verità…!”
 
Eppure in quel momento non trovava le parole, Akane.
Se ne stava gocciolante a guardare Ranma davanti a lei, non più un ragazzo, ma l’uomo che era diventato, e che balbettava tra un bacio e l’altro sulla punta delle sue dita; un uomo che aveva sul viso i segni di quanto avesse sofferto, nella trasparenza degli occhi la forza di quanto avesse amato.
Bastò guardarlo per capire che Ranma aveva attraversato la guerra e la morte in cerca di lei.
 
“Dovevo trovarti…”
 
Aveva toccato il fondo della sua colpa, ed era risalito, perché alla fine Ranma altri non era se non un grandissimo…
 
“Testardo”, rise lei, stringendo gli occhi, “Sei davvero un gran testardo…”, e quando li riaprì vide solo lui. Non l’uomo, non il ragazzo, né ciò che lo aveva segnato.
 
Solo Ranma.
 
“… e quanto sei stato stupido”
 
Ranma la guardava, il volto rigato di lacrime, sulle labbra lo stesso sorriso impunito per cui lei si arrabbiava da sempre, per cui da sempre le batteva il cuore.
 
“Sono stato davvero, davvero il più stupido tra gli stupidi”
 
Gli lasciò annullare la distanza tra loro con un bacio. Le sue labbra tremavano.
 
Non avrebbe voluto che si staccasse così presto da lei.
 
“E non non sei per niente carina a farmelo notare”
 
Risero entrambi, e quella risata si sciolse come un balsamo sulle loro ferite. In quella risata Ranma le stava chiedendo ciò che Akane gli stava dando: un perdono dolce e incommensurabile.
 
“Ma perché? Perché mi volevi morta…?”, la voce sottile le si incrinò appena, negli strascichi della risata.
 
Per un attimo Ranma abbassò lo sguardo.
 
“Quello che ti ho raccontato è tutto vero… Sono stato ingannato e mi è stata data una droga che ha avvelenato la mia mente. Ma la colpa è stata tutta mia”
 
Rialzò lo sguardo.
 
“La verità… è che avevo paura di perderti. Io non… non ti avrei mai…”
 
“…non mi avresti mai voluto morta”
 
“No, Akane. Devi credermi”
 
Un calore profondo le scaldò il petto, un sorriso le si ruppe sulle labbra, a dispetto di tutto.
 
“Ti credo. Così come non ho potuto credere alla tua lettera, allora. E sono andata in cerca di te”
 
Ranma si morse un labbro.
Rimase in silenzio per un po’, a guardarla.
 
“E hai visto il mondo fuori dal palazzo”
 
“Già”, Akane sentì le guance scaldarsi e una risatina uscirle dalla gola, “Ma ancora non ho visto il mare!”
 
“Lo vedremo insieme!”, si lasciò sfuggire Ranma in un impeto di spavalderia, prendendole una mano. “Andremo a trovare Hiroshi e Daisuke e ti farò salire su una barca!”
 
Akane vide una lacrima impigliata nelle ciglia rotolargli giù per la guancia.
 
“E così… te ne sei andata in giro per il mondo tutta sola”, si fece più serio.
 
“Ho incontrato delle brave persone!”
 
“… vestita da uomo”, continuò lui, sollevando un piccolo pezzo di stoffa che ancora le pendeva dal vestito. Un sorriso era tornato a fare capolino sulle sue labbra.
 
“Mi hai sempre detto che sono un maschiaccio”
 
Fu appena un attimo, e Ranma la stava stringendo in un abbraccio.
 
“Ti ho cercata così tanto…”, le sospirò contro l’orecchio.
 
Akane salì con una mano ad accarezzargli il collo bagnato, ad acchiappare il codino tra le dita.
 
“Ryoga. E’ stata un’idea di Ryoga, quella di andare in giro vestita da uomo per non farmi riconoscere”
 
“Quel ragazzo… Gli devo tutto”
 
“Sì” Si staccò da lui quel che bastò per guardarlo negli occhi, grave. “Non mi avrebbe mai fatto del male”
 
La strinse più forte e lei lo strinse a sua volta, ricacciando un singhiozzo.
 
“Sono vivo”
 
“Sì…”
 
“E lo sei anche tu”
 
“Sì…!”
 
“E come? Come sei finita nell'esercito cinese?”
 
Akane si sforzò per non tirare su col naso. “Mi ha trovata il generale Shinnosuke… Ha creduto che fossi il ragazzo che fingevo di essere e mi ha preso con sé e…”
 
 
 
"Stiamo venendo a prendervi!"
 
La voce di Soun Tendo rimbombò giù nella gola, attraverso lo scroscio della cascata, contro le pareti di roccia di quella piccola insenatura.
 
Per un attimo rimasero entrambi col naso rivolto all’insù e l’orecchio teso.
 
Alcuni uomini si stavano adoperando con delle corde per tirarli in salvo.
Sarebbe stata una cosa lunga. E loro avrebbero avuto ancora un po' di tempo.
 
 
 
 
Ranma si voltò a guardare Akane.
Guardò la donna a cui, ancora bambina, aveva insegnato a piangere, mentre si asciugava le lacrime col dorso della mano, coraggiosa, fiera, forte.
 
Anche lei si voltò a guardarlo.
 
Di colpo non gli importò più sapere come lei fosse arrivata fin lì.
 
Le prese il viso tra le mani e la baciò.
 
E Akane baciò lui.
 
Sentì il respiro di lei morirgli sulle labbra e la poca ragione rimasta evaporò all’istante.
Non sentì più il frastuono della cascata, nè il freddo della pietra sotto di lui.
Si abbandonò al tocco delle sue dita tra i capelli. Socchiuse gli occhi e sentì solo il corpo di lei, caldo, dannatamente caldo contro il proprio.
Cercò la sua pelle sotto i vestiti, nella linea del collo, lungo la curva della schiena.
Respiravano a fatica.
Akane lo strattonò per ciò che gli era rimasto della camicia.
Desiderò perdere il proprio confine in lei, per ritrovarsi e perdersi ancora.
Non riusciva a smettere di delineare il contorno della sua figura, di sentire Akane tra le sue mani, accarezzandone le braccia, indugiando sulle scapole, afferrandone i fianchi, per assicurarsi che fosse vera, perché l’aveva sognata così tante volte in quei mesi che aveva il timore che si trattasse di nient’altro che uno di quei sogni, dolci di notte, amari al risveglio.
Le mani di Ranma si fermarono sul viso di lei e da lì furono i suoi baci a tracciarne ogni centimetro, dolci sul mento, avidi sul petto, pigri sulle palpebre.
Akane si aggrappò a lui, una mano sulla schiena, l’altra sulla nuca.
Si sentì tirare verso di lei.
I vestiti gli furono tolti senza grazia. Il suo maschiaccio…
E lui riconobbe in quell’urgenza la sua stessa paura: la paura che lei si dissolvesse tra le sue dita.
Quanto gli erano mancate le labbra di lei tra le sue…
Quanto gli era mancato accarezzarne i seni, il ventre, sentirla contro di lui, viva, vibrante.
I polpastrelli di lei gli sfiorarono le tempie, per poi scivolare come olio giù per il collo, lungo la schiena, e giù, sempre più giù.
Sentì che era sull’orlo della pazzia.
 
Quante volte pronunciò il nome di lei e lei il suo...
Quante volte lui le chiese perdono e lei lo perdonò, in quell'abbraccio senza fine…
 
Si fermò un istante e gettò un’occhiata verso l’alto.
 
A lui sarebbero bastati pochi balzi con lei in braccio per risalire la montagna; i soccorsi non sarebbero arrivati prima di un paio d’ore.
 
Le prese il viso e lo avvicinò al suo, le labbra alla distanza di un respiro da quelle di lei.
Si guardarono per un attimo, senza fiato. Felici.
 
E in quell’intervallo di tempo che stava loro concedendo la sorte, si abbandonarono all’amore che li aveva divisi, e poi uccisi, addirittura resuscitati, e salvati.
E infine… riuniti.
E si amarono ancora e ancora, infinite volte.
 
 
*
 
 
Su, in cima alla rupe, oltre le promesse e i sospiri, oltre la cascata e le rocce, un uomo tornava a piangere dopo quindici anni.
 
“La mia bambina!… La mia bambina! Viva!!”
 
Soun Tendo stava inondando di lacrime la spalla di Genma Saotome, e ora che aveva cominciato non sembrava deciso a fermarsi.
 
“Liberati, amico mio, liberati”
 
“Dopo tanti anni di occhi asciutti, è più che comprensibile”, commentava una Obaba rugosa e soddisfatta rilasciando una boccata di fumo e guadagnandosi un cenno di assenso altrettanto compiaciuto da Happosai.
 
“E la cosa più strana, amico mio”, stava continuando Genma a suon di pacche sulle spalle, “E’ che quel ragazzo, credo proprio che sia il mio Ranma…”
Fu un attimo che gli si ruppe la voce e la commozione già contagiava anche lui, prorompente di fronte a quella presa di coscienza: “Quello… quello è mio figlio!”
 
Intorno a loro non persero tempo a stringersi, ancora incredule, Nabiki: “Akira è vivo…!” E Kasumi: “E ‘lui’ è… è nostra sorella!”
 
“E così stanno le cose”, mormorava il giovane Shinnosuke tra sé, in disparte, “Akira è vivo… La principessa Akane è viva”
E sorrise, intimamente grato agli dei per questo.
 
Ryoga e Ukyo, poco distanti, erano aggrappati l’uno all’altra e semplicemente piangevano entrambi, incapaci di biascicare altre parole se non: “Akaaaneee!! Ranmaaaaa!!”
 
 
Sarebbe arrivato il momento per entrambi di scoprire come diavolo aveva fatto Akane a finire lì; sarebbe arrivato il momento per Soun Tendo di prendere tra le braccia la figlia e, carezzandole il capo con una mano e posandone un’altra sulla spalla di Ranma, chiedere loro perdono; sarebbe arrivato il momento per Genma Saotome di realizzare che il suo ragazzo era stato cresciuto come un figlio nientemeno che dall’uomo a cui lui aveva prima strappato e poi restituito le due bambine; sarebbe arrivato il momento per Kasumi e Nabiki di sapere perché la sorella si era travestita da ragazzo e come era sfuggita alla morte.
 
Sarebbe arrivato il momento dei ricongiungimenti, delle spiegazioni, delle lacrime e degli abbracci.
 
Ma tutte le trame degne di quel finale da fiaba avrebbero dovuto aspettare, perché quegli attimi strappati al tempo, giù in quella grotta dietro una coltre di acqua scrosciante, quelli erano il loro momento, il momento di Ranma e Akane.
 
Per il resto ci sarebbero stati quelli che in altri ‘quando’ e in altri ‘dove’ vengono chiamati tempi supplementari.
 
 
 
E se la guerra a uccidere è capace
è meno forte di chi fa la pace.
 
Cymbeline – William Shakespeare


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L’ANGOLO DELLE CURIOSITA’
Da cosa è tratta questa storia - Similitudini e differenze con l’originale
(se vi annoia, saltate direttamente ai ringraziamenti! XD)
 
Ed eccoci arrivati alla fine di quest’avventura! Innanzitutto grazie di cuore per aver letto fino a qui (per i ringraziamenti ci si vede in fondo!).
Come sapete, l’intera storia non solo è ispirata ma ricalca piuttosto fedelmente la trama di un’opera di William Shakespeare. Durante tutto questo tempo alcuni di voi mi hanno chiesto in privato di quale opera si trattasse, altri hanno preferito non saperlo fino alla fine. Soltanto due persone hanno indovinato, le splendide Gretel85 e Aron_oele, e la mia stima va tutta a loro che, me compresa, credo siano tra le uniche dieci al mondo che l’hanno letta! ^_^’
E va bene, ora sgancio il titolo! Rullo di tamburi……..
“CIMBELINO” !!!
(Immagino che vi dica poco, eh?) Lo so, lo so, si tratta infatti di uno dei testi meno conosciuti di Shakespeare, e a torto, secondo me! Si tratta di una storia intrigantissima (e intricatissima, come avrete capito), piena di colpi di scena, che vi consiglio vivamente di leggere. Per voi forse non sarà più così, per colpa mia, ma io, non conoscendola, ho goduto dell’effetto sorpresa la prima volta che ho letto la scena del baule e quella della decapitazione!
Chi vuole può trovare la trama qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Cimbelino
 
 
Ma ecco un po’ di differenze tra l’originale e la mia storia, interesseranno sì e no a due persone, ma mi faceva piacere comunque condividerle con voi. Se saltate ai ringraziamenti non mi offendo! :-*
Cominciamo con l’ambientazione. “Cimbelino” è la storia di un re che governava in Britannia (cioè in Inghilterra) all’anno 0, ovvero quando a Roma c’era Augusto. Perciò la mia Britannia è diventata il Giappone e Roma la Cina. ;-)
Ed eccoci finalmente all’elenco dei personaggi, quelli originali e quelli scelti da me per la mia storia:
 
CIMBELINO, re di Britannia  - SOUN TENDO,  principe delle terre dell’Ovest
 
IMOGENE, figlia di Cimbelino – AKANE TENDO , figlia di Soun
 
POSTUMO LEONATO, gentiluomo di umili origini, sposo di Imogene  - RANMA SAOTOME, ragazzo di umili origini al servizio di Soun, sposo di Akane, figlio perduto di Genma
 
PISANIO, suo servo – RYOGA servo/amico/confidente (come abbiamo visto, eheh!)
 
ELENA, dama di Imogene – UKYO, ancella/amica/confidente di Akane
 
LA REGINA, moglie in seconde nozze di Cimbelino – KODACHI KUNO
 
CLOTENO, figlio della regina da precedente marito – TATEWAKI KUNO (in questo caso ho immaginato che i due fossero fratelli) fratello di Kodachi
 
BELLARIO, signore esiliato – GENMA SAOTOME, amico perduto di Soun
 
GUIDERIO e ARVIRAGO, figli di Cimbelino, celati rispettivamente sotto i nomi di POLIDORO e CADVALO e creduti figli di Bellario – KASUMI  e NABIKI figlie di Soun, celate rispettivamente sotto i nomi di HITOMI e MISAKI e credute nipoti di Genma
 
FILARIO, nobile Romano, amico di Postumo – NODOKA, signora giapponese che gestisce una locanda in Cina,
 
IACHIMO, nobile Italiano – MOUSSE, soldato cinese
 
UN NOBILE FRANCESE, amico di Filario – SHAN PU, amazzone che lavora come cameriera presso la locanda della signora Nodoka
 
CORNELIO, speziale di corte – DOTTOR ONO TOFU – dottore del villaggio
 
CAIO LUCIO, generale dell’esercito romano – SHINNOSUKE, generale dell’esercito cinese, di origine giapponese
 
DUE GENTILUOMINI alla corte di Cimbelino – OBABA e HAPPOSAI, consiglieri di Soun Tendo
        
Come potete vedere già dalla lista dei personaggi, ci sono alcune differenze, scelte che spesso mi hanno complicato non poco la vita ma che ho preso perché mi piaceva dare una storia anche ai personaggi minori e giocare, per quanto possibile, con certe dinamiche e topoi del manga. Il personaggio di Ukyo, per esempio, nell’orginale è un’ancella che pronuncia sì e no una battuta in tutta l’opera, niente più che una comparsa. Qui ha molto più spessore e in qualche modo lei e Ryoga insieme vanno a doppiare il personaggio di Pisanio. Mi piaceva creare una doppia storia di amicizia Ukyo/Akane e Ryoga/Ranma e regalare un amore a Ryoga e Ukyo, coppia bellissima e purtroppo a mio parere sottovalutata dalla Takahashi nelle sue potenzialità. Beh, sappiatelo, non c’è niente di questo in “Cimbelino”! Pisanio è e resta solo, poverino!
 
Altro personaggio praticamente aggiunto di sana pianta è Shan Pu. Nell’originale durante la scena delle scommessa è presente un tizio francese che però assolve a un ruolo comico in quell’unica scena e dice pochissime battute. Mi sono immaginata anche in questo caso una sorta di sdoppiamento del ruolo dello scaltro Iachimo in Mousse e Shan Pu; e soprattutto mi sono inventata una sottotrama di amore rifiutato e passione tra questi due, sperando in qualche modo non solo di creare i presupposti di un rapporto tormentato e oscuro ma anche di spiegare in minima parte l’invidia e la gelosia di Mousse nei confronti di Ranma.
Devo dire che in “Cimbelino” Iachimo alla fine non muore. Mi spiace molto aver deciso qui invece per la morte dei due amanti cinesi, ma la storia alla fine è lì che mi ha portato…
 
Il personaggio di Cornelio, qui  interpretato dal Dr. Tofu, è unicamente in funzione del veleno fornito alla regina. Mi è piaciuto creare invece una sottostoria in cui Kasumi e Tofu si innamorano (che originalità XD). Come potete immaginare non c’è nulla di simile in “Cimbelino” (dove tra l’altro  si parla di due fratelli e non di due sorelle!).
 
Il personaggio di Postumo nell’originale scrive a Pisanio di uccidere la propria sposa, ma lo fa senza aver bevuto nessun filtro. Non un gran personaggio, a mio parere, la gelosia in quel caso lo divora come fosse Otello. Ho preferito aggiungere un po’ di magia nella “pazzia” estemporanea di Ranma, e anche se la sua decisione è stata comunque forte e discutibile, penso di avergli dato una maggior giustificazione.
 
Ho ragionato a lungo se far morire o no Kuno… E’ buffo perché nell’originale Cloteno è molto più simile al Kuno della Takahashi che al mio. E’ una sorta di buffone pomposo che fa anche un sacco di cose comiche senza saperlo e gli altri ridono di lui. E’ per questo che quando ho letto della sua morte sono rimasta basita. Era un personaggio negativo, sì, ma al punto da farlo fuori? Forse è per questo che anche Shakespeare ha infilato all’ultimo il monologo in cui Cloteno programma il vero e proprio stupro della principessa. Terribile. Ed è per questo che ho deciso di rendere il mio Kuno un po’ più cattivo dall’inizio. Spero di non aver offeso nessuno.
 
La regina, qui interpretata da Kodachi, muore in un modo assurdo in “Cimbelino”. Oddio, a dire il vero manco si capisce esattamente come muoia. ^_^’ Viene fatto riportare dal medico che, in termini effettivamente molto disneyani, “la regina è morta di cattiveria”. Letterali parole. Ti sei sprecato, Mr. Shakespeare! Ahaha! Beh, ho provato a farla morire di cattiveria anch’io, ma con qualche spiegazione in più.
 
Inoltre nell’originale non esiste un padre che ritroverà il figlio perduto: Postumo ha perso il padre che gli comparirà in sogno in una scena onirica molto bella che però ho tralasciato, preferendo regalare a Ranma e Genma la loro storia di perdita e ritrovamento. In questo modo ho cercato di dare a Genma un motivo in più per rapire le due ragazze (nell’originale il movente non è chiarissimo, connesso a un qualche intrigo di corte).
 
Ah, tra le altre differenze sostanziali mi viene in mente che alla fine la principessa Imogene non viene colpita da un colpo energetico, ovviamente, ma da un pugno dell’amato! XD
 
Inoltre il finale è fiabesco  e volutamente la parodia del “gran finale”, in cui l’autore sbrodola in una carrambata dietro l’altra. Io non credo di essere riuscita a fare molto di meglio, ma ho cercato di spostare temporalmente un po’ di riconoscimenti (Soun con le figlie, la morte della regina, il riconoscimento di Ranma da parte di Akane ecc.).
 
Comunque se andrete a leggere la storia di “Cimbelino” troverete tante immagini meravigliose a cui io ho tentato malamente di fare eco.
Pare che in quest’opera siano contenuti quelli che la critica ha definito come “i versi più belli e più moderni della produzione Shakespeareana”.
Si tratta infatti di uno degli ultimi lavori di William Shakespeare e nel tempo non sono riusciti bene a dare a quest’opera un’etichetta. Si presenta come un dramma storico, ma poi si cade presto nel tono fiabesco. Muoiono delle persone, ma finisce bene come una commedia. Sembra quasi che l’autore avesse voluto non solo citare e prendere in giro tutto il teatro ma il SUO teatro!
Nel rapporto tra Imogene e Cimbelino c’è un po’ di Re Lear, la gelosia irrompe forte come in Otello (Iachimo e Iago sono praticamente lo stesso personaggio), la morte presunta dei due amanti richiama l’equivoco di Romeo e Giulietta, la ragazza travestita da uomo viene da Come vi piace e La dodicesima notte! E il servo che porta nel bosco la ragazza ignara con l’ordine di ucciderla chi vi ricorda se non Biancaneve? A Shakespeare piaceva copiare e non ne faceva un mistero. Tutta la storia della scommessa viene nientedimeno che da una novella del Decamerone! Insomma un gran poutpourri corale e confusionario in pieno stile ‘600!
 
E in ultimo una curiosità autobiografica, per la quale capirete finalmente come mai tutto quest’entusiasmo: io stessa mi sono ritrovata a recitare nel ruolo di Imogene (Akane), ma anche di uno dei carcerieri e nel tizio francese della scommessa (divertentissimo). Ed è stata una delle esperienze più forti della mia vita.
 
 
 
RINGRAZIAMENTI
Ci siamo. Devo trovare il modo di dire addio a questa storia, e nel farlo non posso non ringraziare infinitamente ognuno di voi.
Avete dato un senso a questa storia e tanta gioia a me che la scrivevo.
Mi scuso infinitamente per i tempi biblici con cui ogni capitolo è stato pubblicato, incluso l’ultimo che speravo di pubblicare a settembre.
 
La vita è andata avanti e molte cose sono successe, in mezzo.
 
Scrivere, continuare a farlo, nonostante tutto, è stato per me importantissimo. Ricevere i vostri commenti, i consigli e la vostra partecipazione è stato un regalo enorme.
 
Ringrazio innanzitutto V., che ha scoperto da poco questo mio mondo e non solo l’ha accolto, ma l’ha sostenuto con forza e mi ha fatto addirittura da “editor” qua e là, leggendo i miei capitoli e dicendomi cosa andava e cosa no con la determinazione, la franchezza e la passione con cui fa ogni cosa.
 
Ringrazio il meraviglioso gruppo delle Ladies, amiche sincere nei momenti belli e in quelli brutti: Spirit 99, persona stupenda e autrice delle due fanart che con la loro bellezza hanno immortalato questa storia, e insieme a lei, Gretel85, speciale sotto più di un aspetto, e Aron_oele, la vitalità fatta persona; tutte e tre si sono subite i miei dubbi e hanno riflettuto insieme a me con pazienza su alcuni punti cruciali di “Cimbelino”; Faith84, che mi è stata vicino nei momenti bui,Lallywhite_LadyNorris, per la grinta con cui mi ha sempre sostenuta, Violet 2013 per la stima che mi ha regalato, Xingxchan per la dedizione con cui mi ha fatto sentire sempre supportata in ogni mia scelta, Antonella84, per la gioia con cui mi trasmette tutto il suo mondo, Matrona per il calore maturo dei suoi consigli.
 
Ringrazio tutti coloro che mi hanno lasciato almeno una recensione: LadyChiara93, grazie per il tuo entusiasmo, Miss Hinako, illuminanti i nostri discorsi su Ranma, e TigerEyes, con cui parlerei all’infinito e che mi è stata di grandissimo aiuto con le sue critiche e i suoi consigli, sempre puntuali; e ancora le splendide Alile, Stardust87, Pchan05, Maymell, Drem_of_love, Zonami84, Biba89, Ran_ko,White Dahlia, Cerbyatta Cullen, Ialeya, Usagi_84 e RyogaHibiki, che se non sbaglio è l’unico ragazzo della compagnia.
 
Ringrazio chi ha seguito, ricordato e preferito questa storia e i moltissimi lettori silenziosi: se mi lascerete anche solo due righe come segno del vostro passaggio per quest’ultimo capitolo, mi ripagherete di tutta la fatica e le ore spese a scrivere questa storia!
 
Spero di aver fatto tirare un sospiro di sollievo a quante tra voi erano pronte a un finale tragico. Sono una romanticona e un finale tragico non faceva per me.
 
Purtroppo ho dovuto sacrificare Mousse e Shan Pu. All’inizio non avrei voluto, ma la loro storia sì che era tragica ed è andata in quella direzione.
Shinnosuke… non me la sono sentita di perderlo. La sua morte avrebbe significato il trionfo della guerra su tutto e, ripeto, non me la sono sentita. Caio Lucio, suo corrispettivo, non muore nell’originale. E anche se in molte odiate lo scopettone, non è di suo un cattivo personaggio neanche nel manga. ;-)
 
Non so se e quando scriverò ancora, ma prometto che nel caso saranno storie molto più brevi! Ho in effetti già qualche piccola idea intanto per degli spin off e magari qualche missing moment di questa storia, perché il respiro è stato troppo ampio per dedicarmi a tante piccole cose, ma forse lo farei solo perché ormai mi sono affezionata troppo a questi personaggi e non ce n’è davvero la necessità. ^_^’ Vedremo!
 
Ho anche un’idea assurda e non so se riuscirò mai a realizzarla. Mi piacerebbe fare una sorta di audio-fanfiction di questa storia, magari caricandola su youtube. Che ne pensate?
 
Va bene ora la smetto e vi saluto una volta per tutte!
 
Un abbraccio a voi!
 
InuAra
 
 
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Se noi ombre vi siamo dispiaciuti,
immaginate come se veduti ci aveste in sogno,
e come una visione di fantasia
la nostra apparizione.
Se vana e insulsa è stata la vicenda,
gentile pubblico, faremo ammenda; c
on la vostra benevola clemenza,
rimedieremo alla nostra insipienza.
(…) A tutti buonanotte dico intanto,
finito è lo spettacolo e l’incanto.
Signori, addio, batteteci le mani,
e Robin v’assicura che domani
migliorerà della sua parte il canto
 
If we shadows have offended,
Think but this, and all is mended,
That you have but slumber'd here
While these visions did appear.
And this weak and idle theme,
No more yielding but a dream,
Gentles, do not reprehend:
if you pardon, we will mend.
(…) So, good night unto you all.
Give me your hands, if we be friends,
And Robin shall restore amends.
 
A midsummer night’s dream – William Shakespeare
 
  
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