-Ludovica procrastina la scrittura di ‘Hold every memory as you go and every road you take will always lead you home’ (anche se il secondo capitolo è quasi pronto) e delle millemila altre fanfiction sugli altri fandom per mancanza di ispirazione e si da alle one-shot (perché mi devo tenere in costante esercizio XD).
-Sherlolly, as always.
-No beta.
-Se vi piace l’idea, pensavo di far partire una raccolta di missing moments Sherlolly. Fatemi sapere cosa ne pensate!
-Spero di non aver reso Sherlock –e la mia topina Molly- OOC. In caso ditelo, che ad aggiungere il tag si fa sempre in tempo.
The last goodbye
Erano seduti nella macchina che aveva mandato per lui Mycroft.
Sherlock aveva insistito affinché ci fosse anche lei.
Ed era stato un viaggio silenzioso, troppo.
Per quanto lui preferisse la quiete al caos delle mille voci che gli si sovrapponevano, spesso, nel cervello, niente era peggio di quel silenzio teso.
Gli stava dando troppo tempo per pensare ai sentimenti, alle emozioni e...
Che sia così come si capisce se ti puoi fidare di qualcuno? Non aver bisogno in ogni momento di chiacchierare per accertarti che tu piaccia loro oppure per provare che tu abbia sempre cose interessanti da dire?
Si era schiarito la voce, prima di parlare.
-Ti ringrazio nuovamente…- la donna si era girata, sorpresa, forse, dal suono della sua voce. -sai, per avermi salvato.-
(E per aver visto, in me, migliaia di musei, mentre l’unica cosa che riuscivo a vedere io erano corridoi vuoti, no, questo non gliel’avrebbe detto, decise.
Era troppo personale e, soprattutto, Mycroft Holmes aveva sempre avuto ragione.
Tutte le vite finiscono, tutti i cuori vengono infranti.
Essere sentimentalmente coinvolti non è un vantaggio, Sherlock.)
Molly l’aveva guardato negli occhi, e gli stava per rispondere di non preoccuparsi, che non era davvero nulla, che non…
-Un giorno, ricambierò il favore.- si era affrettato a dire, così piano che dubitò lei lo avesse sentito, e arrossendo lievemente.
Per fortuna, il buio della notte nascose le sue guance.
Sorprendentemente, la patologa gli rispose:
-Sono la tua persona, Sherlock. La tua persona.- ripeté, tirando leggermente su con il naso. –Non importa il come, il perché o il dove. Sarò sempre la tua persona.-
Stranamente, il modo in cui lo diceva suonava non come un ti amo, ma come un sarai sempre il benvenuto, e questa è casa tua.
Il pensiero era, in qualche modo, confortante, pensò l’uomo, scendendo dalla macchina e dirigendosi verso l’aeroplano.