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Autore: nuvolenere_dna    16/12/2017    5 recensioni
Prima classificata al contest "Au is the only way" indetto da meryl watase sul forum di Efp
Forse è per questo che ha scelto Freezer, perché le sembrava un alieno esattamente quanto lei.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Freezer, Nuovo personaggio, Vegeta, Zarbon | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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4: Love The Abuse

 
Hey, we love the abuse/Hey, noi amiamo l’abuso
Because it makes us feel/Perché ci fa sentire
Like we are needed now/Come se fossimo desiderati
But I know/Ma lo so
I wanna disappear/Io voglio scomparire
 
[Marilyn Manson - I Want to Disappear]8


 
6 Maggio, giovedì, ore 20:10
[Molti anni prima]
 
Il timer del forno suona in un trillo elegante, distogliendo la donna dai suoi pensieri, ipnotizzata nell’osservare la neve scendere lenta, come polvere illuminata da un fascio di luce intensa. Non c’è nulla che lei apprezzi di più della neve primaverile, inaspettata ed elegante sui fiori che sbocciano, come esili dita della terra. Le montagne si estendono lontane, come muti guardiani, rivestite da un manto silenzioso che strangola l’erba e le radici. Le guarda per un ultimo attimo, finendo per osservare il proprio riflesso nel vetro della finestra, su cui è dipinta una smorfia corrucciata. Si affretta a cancellarla e a sorridersi, facendosi forza, ripetendosi che sta facendo del suo meglio e che il resto è nelle mani di Dio.
Cerca di nasconderlo a tutti, anche e soprattutto a se stessa, ma Njna è molto preoccupata. Nel corso della sua vita ha accolto diversi bambini provenienti da famiglie problematiche, ma nessun caso si è rivelato complesso come questo. La avevano avvertita, la neuropsichiatra e l’assistente sociale sono state molto schiette nel colloquio preliminare all’affidamento, scrutandola con sguardo allarmato di fronte alla sua apparente tranquillità.
«Signora, noi apprezziamo la sua buona volontà e siamo certe che farà del suo meglio come per gli altri bambini, quello che cerchiamo di dirle è di non farsi troppe illusioni. Freezer è un bambino gravemente traumatizzato e potrebbe non collaborare affatto, neppure di fronte ai suoi migliori sforzi.»
Se lo era ripetuto, razionalmente, come una cantilena, quando sono arrivate le forze dell’ordine a consegnarle quel bambino muto e ostile, fasciato da un elegantissimo completo bianco, profumato e perfettamente stirato. Le sue scarpe di cuoio lucido avevano attraversato il suo campo di fiori come se camminassero sui carboni ardenti, tradendo il tremore assente nel suo volto gelido, perfettamente abituato a rimanere inespressivo.
Freezer vive in casa sua da cinque mesi e dice a malapena qualche parola, circondato da voragini e baratri invalicabili, le pupille ricolme di un vuoto tetro e indecifrabile, sfiorato soltanto della foresta piena di alberi che si estende incommensurabile di fronte alla sua abitazione sperduta in mezzo alle montagne. Non mangia molto e non piange mai, pallido come un fantasma, le ossa degli zigomi pronunciate sul volto delicato e spigoloso, sempre imbronciato in un’espressione cupa. Fissa l’orizzonte di continuo, come se si aspettasse di vedere il bosco bruciare e la calotta del cielo frantumarsi da un momento all’altro, come una fragile campana di vetro.
A volte lo sente urlare, un fulmine che le trapassa il silenzio denso della notte, trovandolo sudato e urlante in un letto completamente zuppo, una macchia gialla e densa che si espande sul materasso candido. Vorrebbe chiedergli cosa vede in quegli incubi, cosa sorge dietro le sue palpebre chiuse, ma le sue pupille sono spilli corvini pieni di vergogna e di odio, talmente penetranti da impiccare le sue parole ancora prima di sgorgare.
Njna sospira, infilandosi il guanto da forno e aprendo lo sportello. Il suo sorriso si espande ancora di più riempiendosi di una luce soddisfatta: i biscotti sono riusciti alla perfezione, secondo la ricetta di sua madre ormai defunta da molti anni. Il suo sguardo indugia un attimo sulla fotografia incorniciata al muro di una donna anziana e sorridente, facendo poi tintinnare con la mano un lungo rosario dai grani variopinti appeso allo stesso chiodo.
Sono dei biscotti semplici a forma di fiocco di neve: farina, burro, zucchero, nocciole tritate, gocce di cioccolato, uova ed estratto di vaniglia. Li copre con una spolverata di zucchero a velo, iniziando a sentire un filo di tensione solleticarle lo stomaco, sospeso nel vuoto.
Ne afferra tre e li appoggia, ancora caldi, su un piatto blu leggermente scheggiato, dirigendosi verso il salotto in penombra, illuminato soltanto dai bagliori ronzanti della televisione accesa.
«Ehi, magari questi ti invogliano a mangiare qualcosa!» dice energica, ma ancora una volta la voce le muore in gola.
Freezer dorme, rannicchiato su un fianco, le piccole mani chiuse a pugno vicino al volto. Njna appoggia il piatto sul tavolino del salotto, facendo attenzione a non fare alcun rumore. Non ha mai visto Freezer dormire, nei cinque mesi in cui ha tentato di prendersi cura di lui con tutte le sue forze. Si scopre a osservare le sue ciglia lunghe, morbidamente incurvate sulle guance, il volto altero rilassato, le labbra leggermente socchiuse a causa del naso chiuso.
Non riesce proprio a trattenersi, è più forte di lei. Le sue dita si allungano piano, come armi spuntate, accarezzando il suo viso sulla pelle diafana, fra i capelli fini. È rovente, consumato dalla febbre.
Tutti i bambini dovrebbero soltanto essere accarezzati.
Ricorda con angoscia i lividi della sua schiena nuda, i segni delle cinghiate, dei tacchi a spillo e delle sigarette, sepolti sotto i suoi vestiti eleganti, perfettamente stirati e profumati, inusuali per un bambino di quell’età.
«Vattene, so fare da solo» le aveva ringhiato, combattuto fra la vergogna e l’odio, mentre la spingeva fuori e le chiudeva la porta in faccia, lasciandola sbalordita di fronte alla porta del bagno. Ne era uscito un quarto d’ora dopo, perfettamente pulito, i capelli lisci ancora imperlati da qualche rara goccia d’acqua, con uno sguardo sprezzante sul volto, degnandola di un unico, pungente, sguardo.
Non sono un bambino” le avevano minacciata i suoi occhi cupi, atroci, colmi di una disperazione che la aveva risucchiata, pestata, lasciando di lei soltanto le ossa infreddolite. Tutto di lui suggeriva l’abnorme sforzo che faceva per rimanere gelido, indifferente, intoccabile da chiunque e da qualunque cosa.
Eppure, ai suoi occhi di madre, la postura rigida e le mani sempre ghiacciate, la cute pallida ed emaciata, le labbra morse a sangue dai denti, non facevano che gridarla quella debolezza, vomitare i singhiozzi che non piangeva.
Lo accarezza ancora, più delicatamente, avvolgendolo meglio con la coperta. Njna si trattiene dal chinarsi e stringerlo completamente fra le braccia, quando nota le sue palpebre aprirsi di scatto, lucide per la febbre e inquiete.
«Mamma?» biascica, confuso, un’espressione di terrore che attraversa come un fulmine tutti i suoi lineamenti, contorcendoli. Ha paura, il suo sguardo analizza in fretta l’ambiente ma non trova nulla di pericoloso, soltanto una televisione muta che mostra immagini di un talk show pomeridiano, alcuni libri impolverati e un vaso di vetro, da cui scaturiscono una moltitudine di rami di cotone.
Lei dov’è?
Si volta di scatto, il cuore impazzito nel petto e il corpo debole, sfibrato dall’influenza, gli occhi torbidi, come se fosse ancora addormentato.
«Dormi... sei al sicuro...» gli dice, cercando di sorridere in modo rassicurante. Stringe i suoi piccoli pugni fra le mani segnate dall’età e dai lavori domestici e glieli accarezza con lentezza.
All’improvviso ricorda, è lontano, disperso in mezzo a un caleidoscopio di montagne e di cieli austeri che non sembrano avere mai fine. La città e la sua frenesia, i semafori e i tram, la fretta e la pioggia che scava pozzanghere nell’asfalto, il vento freddo negli androni dei palazzi dove dormono i barboni, tutto è irraggiungibile e opaco, come sbiadito.
Freezer vorrebbe confidarle che nessuno è al sicuro, che lui da sua madre non lo sarà mai, ma tace, il cuore silenzioso e stanco, incantato dalle sirene del sonno. Le sue pupille brune sono abissi liquidi che la scrutano a lungo, come macchine della verità, esaminandole l’anima fino all’ultima goccia, fino a richiudersi repentinamente e ripiombare nel sonno.
 
Quando gli occhi di Freezer si riaprono, si trova in stanza da letto, accarezzato dai primi, timidi raggi di sole. Ha dormito tutta la notte e la neve è cessata, richiamata dal cielo e dalle nuvole frettolose, scomparse all’orizzonte nell’oscurità della notte, lasciando il posto a un cielo terso, quasi fosforescente contro le montagne impassibili.
«Ti senti meglio?» sorride Njna, incoraggiante, stringendo fra le mani un vassoio da letto e avvicinandosi, appoggiandolo a cavallo del suo petto.
Freezer sbatte ripetutamente le palpebre, ancora umide per il sonno, annuendo in silenzio. La febbre è scesa e la nebbia nel suo cervello inizia a diradarsi, disorientato da una sensazione di calore e di sicurezza che ustiona ancora la sua pelle come una sostanza tossica, letale. Sente di nuovo, come un’eco, il percorso delle dita di Njna sulla sua pelle, delle sue carezze, il colore del suo sorriso, la sua voce calda cullarlo nel sonno, trapassato da un intenso senso di angoscia.
Come ha potuto permettere a quella sconosciuta di toccarlo?
«Ieri sera ho fatto i biscotti di mia madre, magari questa volta puoi provare ad assaggiarli...» dice, esitante, porgendogli uno dei biscotti a forma di fiocco di neve, mentre gli versa il the Earl Grey nella tazza, il vapore che risale in parabole morbide verso il soffitto.
Eppure, quel piacere velenoso continua a bruciargli i circuiti, come un’ossessione che attraversa il suo cervello in loop, il cuore che trasale e inizia a spingere assillante nelle sue vene.
Freezer lo afferra, le piccole dita che affondano timorose nello zucchero a velo, leggermente tremanti. Lo osserva per alcuni secondi, è disturbante, imperfetto, ma lo morde, frantumandolo fra i denti con rabbia. Il biscotto è delizioso, talmente semplice e caldo, gustoso e nostalgico come il tocco di quella mano nodosa e ruvida, da aprirgli lo sterno e accoltellarlo, tagliente come una lama che lo squarta scavando voragini, pozzi umidi e bui nelle viscere della terra. Sente la gola sigillarsi in una morsa fastidiosa, mentre continua a ghermire altri biscotti e a divorarli, quasi interi, nel tentativo di spegnere quel dolore, di riempire quel buco nero che lo divora dall’interno.
«Ti piacciono?» mormora Njna, preoccupata dall’espressione allucinata degli occhi di Freezer, spalancati in modo innaturale. Tenta ancora una volta di sorridergli, ma le sue labbra si arrendono sul suo viso come funi spezzate, quando Freezer si alza di scatto e rovescia il vassoio a terra, uno specchio di latte caldo e di the che si espande in un fragore di cocci sul parquet.
Njna rimane paralizzata, le pantofole schizzate dal liquido bollente, iniziando solo dopo una decina di secondi a raccogliere i cocci di dimensione più grande per impedirsi di pensare, il volto sconvolto dall’emozione.
Un ingranaggio ha preso fuoco nel cervello di Freezer. Non può accettare quei biscotti, non può accettare quella sensazione, quelle mani, non può accettare niente, non vuole niente, vorrebbe solo andarsene. Inginocchiato di fronte alla tazza del water, si infila bruscamente tre dita in gola e vomita tutto, liberandosi del veleno che lo sta intossicando. Quando Njna si affaccia dallo stipite della porta e lo vede, scosso dai conati, i capelli fini sudati per lo sforzo, sentono un soffio di oscurità circondarla gelido come uno spiffero.
 
*
 
«Ti trovo bene oggi, Freezer. È proprio carina la tua felpa.» si complimenta la donna in camice bianco, sistemandosi gli occhiali sul naso. Si appoggia al tavolo con le braccia incrociate, sporgendosi verso di lui, ammiccante verso l’indumento nero che gli fascia il petto, dominato da un’ancora di velluto grigio stampata sul lato anteriore.
«Per chi mi hai preso? Ormai l’ho capito che dopo la sviolinata arriva sempre la richiesta noiosa.» ghigna lui, togliendosi gli occhiali da sole e piegandoli sul tavolo.
È il suo regalo di compleanno, ricevuto quella mattina stessa. Non lo avrebbe mai detto a voce alta, ma quel genere di abbigliamento non è poi così male. Comodo e caldo, ben diverso dagli asettici completi raffinati in cotone o in raso che sua madre lo costringeva a indossare in tutte le stagioni dell’anno.
Ha iniziato da poco tempo a rivolgere la parola a quella strana dottoressa che invece di visitarlo con lo stetoscopio e ascoltare il suo respiro vuole soltanto parlare, fissandolo negli occhi con sguardo attento.
«Oh, oh, mi hai beccata questa volta...» ride lei, non facendosi scalfire dal suo sguardo austero. La psicologa è molto soddisfatta per i suoi progressi. Da tre mesi ha iniziato la terapia farmacologica, accettando finalmente di deglutire le “vitamine” prescritte dalla neuropsichiatra, e da due mesi ha iniziato a comunicare anche con lei. Appare più rilassato e socievole, il volto leggermente meno rigido e gli occhi più malinconici, l’oscurità mordace appena lambita dal riflesso del sole che si riflette al loro interno.
«Come stai, piccolo?» domanda, questa volta seria, sistemandosi meglio sulla sedia e porgendogli la scatola di un puzzle da duecento pezzi. Ha capito ormai che per sciogliere il ghiaccio con lui bisogna coinvolgerlo in qualche attività, per evitare di metterlo troppo in imbarazzo con il contatto diretto. Ha scoperto a sue spese quanto Freezer odi disegnare o colorare: trova estremamente stupidi quei disegni stereotipati e allegri, dominati dalle solite figure sorridenti e felici, preferendo raffigurare tragedie nere e piene di sangue, di denti aguzzi e di occhi.
«Mai stato meglio!» ribatte, arrogante, distratto dal suono di un trapano lontano, iniziando a rimescolare i pezzi di cartoncino fra le dita.
«Sai, a volte, queste date, questi anniversari... creano un po’ di tristezza. Uno si sente in obbligo di essere felice, perché gli altri ti fanno gli auguri, magari ti fanno dei regali, ma le ricorrenze attraggono i ricordi e non tutti i ricordi sono felici.»
«Vuoi sapere se mi manca la mia famiglia?»
Le iridi carminie di Freezer la trapassano, strali spietati che sfavillano come il metallo lucido di una pistola, ricordandole ancora una volta che quello non è un bambino normale, ma il figlio di una criminale ricercata a livello internazionale.
Le sue dita si contraggono intorno a un tassello, sottolineando le nocche ossute e pallide, costellate di lesioni e di calli.
«Spero che siano tutti morti.»
Sussurra piano, come se le stesse svelando un segreto, un ghigno feroce dipinto sugli occhi, il buio delle pupille così profondo da assomigliare a un buco nero, folle e pieno di rabbia, divoratore della materia, in cui il tempo si distorce in una linea aggrovigliata.
 
Una graziosa torta, decorata con ciuffi di panna e torrone sbriciolato, riempie il campo visivo di Freezer, imbarazzato nel notare la perfezione dei piccoli fiori blu di ostia, la scritta “Auguri Freezer!” disegnata col cioccolato fuso, e le otto piccole candele blu che emergono, infilate come spade nel dolce soffice e profumato.
Non osa neppure alzare lo sguardo per incontrare quello di Njna, trionfante per l’orgoglio di aver realizzato la torta perfetta e divertita di fronte alla sua reazione schiva.
«Esprimi un desiderio, eh!» ride la donna, mentre lo osserva gonfiare le guance e soffiare fino a spegnere tutte le candeline con veemenza. Njna gliene porge una fetta con un sorriso premuroso, quando un suono di vetri rotti rompe il silenzio in un fragore assordante. Solo lo stereo continua a cantare, a basso volume, una melodia conosciuta. I cani non abbaiano, il vento non muove le foglie dei pini e degli abeti. La radura è come immersa in una palude densa, in cui la gravità sembra raddoppiata. Ancora prima di avere il tempo di alzarsi e andare a vedere, Freezer avverte un suono di passi, felpati e leggeri, avvicinarsi sempre di più.
La porta della cucina si spalanca in un cigolio e c’è lei.
Fasciata da un corpetto viola e una pelliccia bianca di ermellino, i lunghi capelli raccolti in uno chignon austero sulla nuca, sua madre stringe Raggio della Morte fra le dita, puntandogliela addosso.
«Buon compleanno, amore
Lo insulta, con un sorriso feroce che si dilata come un’ombra sul suo volto finemente truccato, privo di imperfezioni. I suoi occhi di porpora si specchiano in quelli del figlio, paralizzato dal terrore, la schiena in un brivido gelido e umido, le gambe sempre più disconnesse, i nervi come fili recisi di netto.
Incatenato dalla rabbia e dalla follia negli occhi di sua madre, Freezer sente il pranzo risalirgli lungo la gola, misto all’acido del suo stomaco, e deglutisce ripetutamente per non vomitare, tutto il corpo dominato da un tremore inarrestabile.
«Mamma...» biascica, la voce scomparsa nei recessi delle viscere triturate, contratte in spasmi dolorosi. Un senso di sollievo, di colpa, di terrore e di morte, tutti simultaneamente infestanti il suo cuore, pulsante così forte da incrinargli la cassa toracica, un rombo martellante che scuote tutto il suo piccolo corpo, il fiato sempre più corto e ansimante.
Gli occhi allucinati di Njna si spostano dal bambino alla madre, riconoscendo in lei gli stessi lineamenti delicati e aggraziati di Freezer, snaturati, lacerati da fili di ferro che sostengono il suo ghigno, da una luce maligna che riempie le sue pupille fino a farle scoppiare.
«Signora... lei non può stare qui! Deve andarsene!» inizia a dire, la voce e le gambe tremanti, paralizzata per l’arma che la donna tiene stretta fra le dita.
«Stai zitta, puttana!» ringhia, furente, distendendo il braccio di fronte a sé e puntando alla testa di Freezer. Lo odia, lo ha sempre odiato, quel bambino silenzioso e superbo al punto da guardarla dall’alto in basso fin dal giorno della sua nascita. L’ha capito subito, nell’attimo in cui glielo hanno messo fra le braccia, ancora viscido e sporco di sangue. Quel bambino era un mostro, una perversione del demonio, indesiderato e orrendo. Avrebbe voluto soffocarlo nella culla non appena si è specchiata nei suoi occhi muti e vi ha riconosciuto i propri, ma non ci è riuscita.
«E tu, piccola merda, lo sai quanto tempo ci ho messo a trovarti? Un anno, un anno del cazzo! Un anno in cui te ne stavi qui, a giocare all’allegra famigliola!» grida, mentre avvampa di collera sul petto e sulle guance «Ti odio! Ti odio!»
Il volto di Freezer non tradisce alcuna emozione, scolpito nel marmo, nel tentativo disperato di rinchiudersi, una porta dentro l’altra, in una matrioska di serrature, nell’angoscia divorante che qualcosa di orribile stia per verificarsi. Tenta di riprodurre la vista del cielo stellato a Luglio, il triangolo estivo di astri luminosi che costituisce il suo riferimento per orientarsi quando, sdraiato nell’erba con le onde della terra che lo attraversano come vibrazioni, si lascia annientare dalla potenza dello spazio.
«Whenever I'm alone with you, you make me feel like I am home again. Whenever I'm alone with you, you make me feel like I am whole again9»
Sussurra, roca e malinconica, la voce del cantante dei The Cure proveniente dal salotto. A Njna piace cucinare e pranzare con il sottofondo di uno dei suoi cd, dei quali ha una collezione sterminata.
«Ti ammazzo, Freezer, giuro che questa volta ti ammazzo!» sbraita, afferrandolo per i capelli e scaraventandolo a terra, con la canna della pistola che affonda nella sua nuca scoperta. Lo odia talmente tanto che ha passato gli ultimi mesi a immaginare di calpestare la sua faccia imperturbabile. Lo odia e di lui ha odiato ancora di più il fatto che si ostinasse a non morire, a non ribellarsi abbastanza da darle una scusa per ucciderlo. Sorride, sollevata al pensiero che finalmente potrà avere un bambino normale, carino, con uno sguardo malizioso e un sorriso identico al suo.
«Lascialo stare! Chiamo la polizia!» si intromette Njna, cercando di racimolare le ultime briciole di coraggio rimasto, facendosi forza per lui, guardando Freezer negli occhi con tutto l’amore di cui è capace.
Sente una forbice incespicare sul fragile filo della sua vita. Ha la sensazione che non le rimanga molto tempo, un presentimento di ineluttabile fine è calato in quella cucina come una coltre nera, un vapore tossico che inizia a espandersi in ogni anfratto in attesa di avvelenarle i polmoni.
«Lascia stare il bambino! Lo stai spaventando!» grida, più decisa, avanzando un altro passo. Sa che probabilmente nessuno approverebbe, ma lei ha sempre agito secondo le sue regole, rispondendo ai dettami della propria coscienza. E non ha alcuna importanza che Freezer non sia suo figlio, che sia uno sconosciuto ostile e ritroso come un animale selvatico.
Lo difenderà, a qualsiasi costo, perché tutti nella vita hanno bisogno di sapere che qualcuno li ama veramente, non perché è comodo, non perché è facile, non per obbligo o per convenzione sociale, ma per pura e semplice debolezza del cuore. Perché è un bambino così buffo quando guarda le stelle con un cipiglio serio e concentrato, talmente intenso da far immaginare che sia tramando loschi traffici galattici. È così carino quando beve imbronciato il the caldo alla mattina con il pigiama stropicciato e gli occhi sospettosi, ancora impastati di sogni. Così dolce quando si sente solo ma si amputerebbe un arto pur di non ammetterlo, restando in salotto a guardare la tv fino all’alba con gli occhi gonfi e rossi.
Non merita di morire affatto, ma soprattutto non merita di morire da solo, sbranato dall’oscurità, senza nessuno a porgergli uno scudo, anche se di carta velina.
«Come fa a non vedere la merda che sei? La pagano, forse?» ride la donna, stringendo i suoi capelli corti e sottili fino a farlo voltare verso di lei, ancora più furiosa, e li strattona così forte da strapparglieli.
«Mamma...» biascica Freezer, il mento tremante e gli occhi traboccanti di una vergogna bruciante. Gli argini della sua mente stanno iniziando a cedere e non ce la fa più, annientato da un terrore talmente violento da paralizzarlo, il cavallo dei pantaloni divenuto fradicio e tiepido.
«Lascialo stare! Prenditela con me!»
L’urlo di Njna è come uno scoppio di dinamite, bagnato di una paura vivida e coraggiosa che scaturisce dal suo spirito antico e potente.
Fasci di nervi tesi sono attraversati da un unico, inesorabile, impulso elettrico, accompagnati dal bagliore famelico di due occhi rossi, impregnati dalla furia cannibale.
Un bossolo dorato rimbalza sul pavimento lucido della cucina, un sasso scagliato in uno stagno, epicentro di onde concentriche che si espandono nel piccolo viso di Freezer, incredulo e increspato dall’orrore.
«Guarda cosa hai fatto... guarda!» sibila suadente, soffiando delicatamente sui timpani di Freezer, le labbra sadiche che si sfiorano appena, labbra dello stesso colore del sangue scuro e denso che cola dalla voragine nel petto di Njna, stillando sul pavimento. La donna sorride, ammirando estasiata la precisione millimetrica della propria mira, appurando come sia stato sufficiente un unico colpo per cancellare dall’universo una puttana decisamente inutile e fastidiosa.
«È solo colpa tua!» incalza, sempre più divertita. Finalmente ha trovato un modo per distorcere i lineamenti di suo figlio, i cui contorni del volto sono divenuti incerti, gli occhi lucidi e gonfi di lacrime che iniziano a scorrere impetuose lungo le sue guance. Freezer piange silenziosamente, fissando gli occhi di Njna divenire opachi, la luce che muore in un boato privo di suono, sepolta da una nebbia inorganica.
Sente qualcosa nella gabbia toracica contorcersi e spezzarsi, frantumarsi in un milione di piccoli pezzi che si conficcano nei suoi polmoni come radici tossiche. Non si accorge neppure di quando le sue ginocchia cedono, concentrato a guardare le mani di Njna, gentili e premurose, la fede e gli anelli di un passato perduto che scintillano, ruvide e nodose, consumate dalla vecchiaia. Le mani che l’hanno accudito e accarezzato, anche se lui era solito respingerle.
Ora singhiozza, senza ritegno, tossendo, le dita affondate nei fianchi in un tentativo di stringersi, di non disperdersi sul pavimento come un liquido, disgregato dalla gravità schiacciante del dolore.
Sua madre, il volto increspato in un’espressione perplessa, si domanda perché abbia sparato a lei e non a lui, forse per punirlo con una vita peggiore della morte, forse perché ha osato sostituirla, forse per invidia, forse per gelosia, forse perché quella creatura seppur odiata è comunque carne del suo utero e non permetterebbe a nessuno di portargliela via.
Afferra bruscamente Freezer per un braccio e lo trascina via, impaziente di fuggire da quella cucina dozzinale, il tribunale perfetto di quanto lei sia e sarà sempre una pessima madre. Lui si lascia portare via, il polso rinchiuso nella morsa violenta della sua mano, un guscio svuotato e privo di speranza, annientato sotto uno stivale che ha sbriciolato tutte le sue ossa. Non sente niente, non pensa niente, le iridi e i timpani affollati da quel pianto atroce, inconsolabile, l’ultima roccaforte che decade corrosa dalla tempesta.
L’unica immagine che scorge, prima che quella stanza diventi troppo lontana e il loro ricordo un rovo maledetto, è quella della torta sciolta, i refoli di panna che scivolano lentamente sul tavolo, scorci di nuvole umide, accanto alle candeline spente, martiri utopisti di un desiderio divenuto irrealizzabile solo per aver osato esprimerlo.
Quel pensiero rimbomba ancora nella sua mente, un sussurro di ectoplasma che continua a inquinare le sue sinapsi all’infinito, prolificando in ogni anfratto del suo essere, in un ululato disperato e lontano, infranto nelle voragini screziate delle sue iridi che hanno perduto ogni innocenza.
«Vorrei restare qui»
Aveva scandito nettamente, per paura che Dio non lo comprendesse.


Continua...


8 Marilyn Manson - I Want To Disappear
https://www.youtube.com/watch?v=r3tm4hxu7bQ
 
9 The Cure – Lovesong
https://www.youtube.com/watch?v=ks_qOI0lzho



 
  
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