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Autore: sparewheel    17/12/2017    1 recensioni
Mamma e papà dicevano sempre che in auto lei doveva stare nel suo posto speciale, protetta dalle cinture di sicurezza e ferma in modo da non combinare guai.
Non li vedeva ormai da tanto tempo mamma e papà, sin da quando l’avevano portata in quella casa grande con tanti altri bambini.
Anche li le dicevano di stare ferma e non combinare guai, glielo ripetevano sempre.
Ed Emma si chiedeva cosa fossero questi guai da non combinare.
Solo nella sua terza casa famiglia aveva capito.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il posto

 

Era strano quel pulmino. Le parti morbide dei sedili erano quasi tutte mancanti e ad ogni curva a destra il bambino seduto accanto a lei le arrivava addosso, schiacciandola contro lo sportello. 

Aveva paura di volare fuori Emma. Per questo serrava le sue manine attorno al ferro sotto di lei e chiudeva stretti gli occhi ogni volta che il bus cambiava bruscamente direzione. 

Quando le avrebbero dato un seggiolino?

Mamma e papà dicevano sempre che in auto lei doveva stare nel suo posto speciale, protetta dalle cinture di sicurezza e ferma in modo da non combinare guai.

Non li vedeva ormai da tanto tempo mamma e papà, sin da quando l’avevano portata in quella casa grande con tanti altri bambini.

Anche li le dicevano di stare ferma e non combinare guai, glielo ripetevano sempre. 

Ed Emma si chiedeva cosa fossero questi guai da non combinare. 

Solo nella sua terza casa famiglia aveva capito. 

Non fare domande, non parlare troppo con gli altri bambini, completare in tempo le faccende quotidiane, far finta di non vedere certe cose...

Solo così qualche guaio poteva essere evitato.

Ma non tutti, non tutti.

Ed Emma veniva mandata via di nuovo, in una nuova casa, con nuovi bambini e nuovi adulti. 

E quando aveva provato a sedersi su una panca attorno al tavolo per poter mangiare, un ragazzino più grosso di lei l’aveva spinta a terra e si era preso anche il suo piatto. 

“Stai al tuo posto, sgorbio” le aveva detto.

Ma Emma non aveva capito, quale posto? 

Tutte le altre sedie erano occupate e non c’erano altri piatti. 

Non c’era una sua stanza, non un suo lettino.

Ma c’era un angolo ombroso in fondo al corridoio, un angolo in cui non andava nessuno.

Nella casa dopo era in giardino, in quella dopo ancora era sul tetto.

Emma vi scappava appena possibile, portando con se quello che riusciva ad afferrare prima che i ragazzi più grandi le rubassero il cibo.

Era diventata veloce e silenziosa, aveva imparato a non farsi notare. 

E lo stare nell’ombra, l’essere invisibile, aveva avuto i suoi vantaggi. 

Era via da quattro giorni ormai e probabilmente nessuno lo aveva notato. 

Ma se anche lo avessero notato, Emma era certa che a nessuno sarebbe importato. 

Era quella la sua condanna e la sua salvezza.

Ai genitori di Lily invece importava, loro l’avevano cercata, avevano fatto di tutto per trovarla e riportarla a casa. 

Sicuramente lei ce li aveva una sua stanza e un suo letto.

Ed Emma la odiava, la odiava per averle fatto credere di essere come lei, di essere sempre fuori posto.

La odiava perché a causa sua l’avevano rispedita in una casa famiglia, e in un’altra ancora, e in un’altra ancora. 

E proprio quando le era sembrato di avere finalmente trovato un rifugio, una pazza aveva tentato di ucciderla spingendola sotto una macchina in corsa. 

Quella per Emma era stata un’ulteriore conferma.

Non c’era un posto sicuro, non c’era nulla di bello e duraturo per lei. 

Poteva solo correre, sperando di essere più veloce dei guai, delle persone, dei pazzi.

E con un’auto si corre più veloce. Con un’auto puoi scegliere tu quanto restare e quando andare via.

Ma quel ridicolo maggiolino giallo era già occupato e Neal aveva iniziato a metterle in testa strane idee, a farle credere che qualunque luogo poteva essere il suo posto.

Tallahassee.

L’ennesima illusione.

La fiducia in qualcuno la sua ennesima prigione.

E da quella prigione non poteva nemmeno fuggire, non prima che il tempo fosse scaduto.

Ma il suo bambino si, lui poteva essere libero.

Libero da quella realtà, da quella vita.

Avrebbe avuto un’occasione migliore. Qualsiasi occasione sarebbe stata migliore di una vita con lei.

E negli anni in cui si era costruita una vita anonima, senza legami, al limite tra le ombre e l’inesistenza, Emma aveva pensato a lui ogni singolo istante. 

Ma nemmeno per un singolo istante aveva pensato che un giorno lui sarebbe tornato a darle un’occasione migliore.

L’occasione migliore.

Perché la vita a Storybrooke era quello. 

Era migliore.

Così come lo era stata la vita nella Foresta Incantata o sull’Isola che non c’è o in quell’anno a New York o a Camelot.

O anche all’inferno e in tutti gli altri reami in cui nemici e maledizioni l’avevano portata.

Perché il suo posto non era un luogo.

Il suo posto erano braccia strette e sorrisi colmi d’amore e teneri pensieri.

Spontanei, sinceri, veri.

Tutti per lei.

Solo per Emma.

 

 

“Ehy ma! 

Quanto ci vuole a montare un seggiolino?! Sei lì fuori da una vita, la mamma comincerà ad urlare se non ti sbrighi!”

La voce di Henry la riscosse dai suoi pensieri ed Emma finì di collegare la cintura di sicurezza attorno al seggiolino per auto.

Era tutto pronto.

“La mamma non comincerà ad urlare, ma solo perché non vuole rischiare di svegliare la sua principessa” le disse Regina a bassa voce, raggiungendola accanto alla macchina.

Le mise Alex tra le braccia ed Emma si prese un momento per stringerla a se, prima di adagiarla nel seggiolino.

Collegò le cinture e le accarezzò dolcemente il viso paffutello, scostandole i capelli dagli occhi.

Alex si mosse nel sonno giusto quel tanto che le servì per trovare una posizione più comoda. 

Poi sorrise ed Emma sentì esplodere il proprio cuore.

“Va tutto bene?” le chiese Regina, cingendole la vita con le braccia e posandole un bacio sulla guancia, prima di poggiare la testa sulla sua spalla.

Lo sguardo di entrambe era rivolto alla loro bambina.

“Si” le rispose Emma. 

“Si, è tutto a posto”.

  
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