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Autore: Yoko_kun    25/06/2009    1 recensioni
Sasori è un artista, e come ogni artista possiede un'anima, anche se il suo corpo è semplicemente una marionetta. Allora cosa ci sarà dietro il lago rosso dei suoi occhi? Qual'è la sua anima?
Settima classificata a pari merito con Kagchan al contest "How can you see into my eyes like a open doors"
Genere: Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akasuna no Sasori
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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OCCHI COLOR PORPORA.


“Clang”
Il rumore metallico del suo braccio rompe il silenzio e la quiete quasi mortuaria della stanza. Ha appena finito si sistemare il proprio corpo. Un'altra piccola modifica alla sua migliore marionetta. Lui stesso.
Cammina senza più fare rumore, rispettando il silenzio che si era ristabilito.
A lui piace il silenzio, e anche molto, per questo alla compagnia delle persone preferisce quella delle marionette.
Poi un forte rumore squarcia il silenzio con violenza, il marionettista si gira di scatto e si mette in posizione per attaccare. È impossibile che qualcuno sia riuscito a penetrare nel suo laboratorio, ma la prudenza non è mai troppa.
Cauto si dirige verso il punto in cui ha sentito arrivare il rumore, cioè il magazzino delle marionette. Cammina piano, sempre facendo la massima attenzione, poi arrivato alla stanza scosta la tenda e osserva con attenzione l'interno.
I suoi occhi, rossi come rubini, rossi come il sangue, scorrono abili lungo il profilo di tutte le sue splendide creazioni, tutte in ordine tranne una.
Ecco il colpevole del rumore. Il terzo Kazekage, o meglio la marionetta ricavata da lui.
L'uomo sorride divertito vedendo che era solo quello, e sopratutto lo diverte il fatto che sia stato attirato proprio da una delle sue prede più difficili nonché una delle sue opere preferite.
Si avvicina a passi lenti e rialza la marionetta, notando che a farla cadere era stato un piccolo scorpione, nero come la pece.
Ecco il colpevole della caduta. Lo osserva assorto mentre alza la coda con fare minaccioso contro di lui.
I suoi occhi purpurei osservano il profilo lucente e splendido dell'animale.
E intanto la memoria corre, corre lontano a diverso tempo fa. Attraverso i suoi occhi si può vedere i ricordi del suo passato che scorrono lenti come diapositive di un film.

“How can you see into my eyes
like open doors”


La sabbia. La sabbia è sempre stata nella sua vita, da bambino non aveva mai visto altro, e non aveva mai avuto a che fare con altro che il deserto, che ben presto gli era divenuto amico. L'unico amico.
Poi...poi un giorno lo vide, era un piccolo animale, era nero, brillava sotto la forte luce del sole, aveva nelle chele un piccolo animaletto, probabilmente un preda appena catturata.
Appena si era avvicinato per guardarlo meglio aveva alzato subito la coda con fare minaccioso.
“Scorpione...”
Ne aveva viste centinaia di immagini nei libri dei veleni di sua nonna, ma mai ne aveva visto uno dal vivo e mai lo aveva visto da così vicino.
Era bello, no a dire il vero era la cosa più bella che avesse mai visto, lo desiderava, ma non come si desidera un oggetto, ma come si desidera un Dio.
Era come se quel piccolo essere, ai suoi occhi perfetto, fosse un piccolo messaggero di una divinità che lo stava richiamando a sé, che lo stava invitando a lasciare perdere tutto e tutti per seguirlo.
E così fece quel giorno, si distanziò dal piccolo animale e per tutto il tempo lo osservò e lo seguì con i suoi magnifici occhi rossi.
Dopo quell'incontro lo scorpione divenne il suo simbolo.
Era ancora piccolo ed era frastornato da quell'immensa ondata di emozioni mai provate prima, ma non ci volle molto prima che la divinità che si era mostrata ai suoi occhi divenisse più concreta e finalmente prendesse un nome: Arte.
L'arte lo aveva richiamato a sé, nelle sue schiere e lo aveva fatto tramite un messaggero che sarebbe divenuto il suo simbolo e la sua essenza.

“leading you down into my core”


Lo scorpione abbassa la coda, quasi leggendo negli occhi del marionettista il suo passato, quasi comprendendo che alla fine era come lui.
Sasori continua a guardare l'animale attento e completamente assorto.
Passano gli anni, ma l'arte che vede rispecchiata negli scorpioni lo affascina sempre come fosse la prima volta, come fosse sempre quel lontano giorno di tanti anni fa.
Il piccolo esserino sgambetta tranquillo, seguendo la sagoma della marionetta, fino a giungerne il volto.
Pacifico arriva agli occhi scuri e vitrei della creazione su cui sta camminando, il terzo Kazekage. Ancora la mente del marionettista sfugge e riflesso nel rosso dei suoi occhi il passato si delinea a tratti confusi.

“where I've become so numb...”


La sua fuga dal suo villaggio, i suoi lunghi cammini lungo il deserto, tra la sabbia, l'incontro con l'Akatsuki, la sua entrata a farne parte, i suoi primi esperimenti, le sue prime marionette umane, la sua trasformazione in arte pura.
E poi lui.
Ricorda quel giorno con incredibile precisione e minuzia.
La sabbia impregnata dal sangue, le sue mani sporche, la sensazione di stanchezza sopraffatta dall'inebriante sensazione di vittoria.
“Io lo so qual'è il dolore che percorre il tuo corpo, riesco a leggertelo negli occhi, tu...”
Così gli aveva detto il Kazekage, a suo avviso con molta arroganza.
D'altronde come poteva un uomo così, sì forte, ma pur sempre profano alla sua arte capire ciò che si celava nel suo corpo, ormai completamente meccanico?
Come poteva capire il suo complicato animo, servo devoto dell'immortale arte?
Comunque non aveva mai finito la frase, non ne aveva mai avuto modo, per cui il marionettista non aveva mai udito quale fosse il dolore di cui lo credeva schiavo.
E ad essere sinceri non gli era nemmeno mai interessato.
Lui preferiva quell'uomo ora che era una delle sue creazioni.
Quando lo aveva catturato si era sentito come quello scorpione che aveva visto con la preda tra le chele, da piccolo. E gli piaceva quella sensazione. Lo faceva sentire bene, oltre che vicino e simile alla natura di quegli animali neri e perfetti. Ed era proprio ciò che lo rendeva felice.
Sospira scollandosi via i ricordi, ricordare è cosa per vecchi, non per immortali; poi si alza sistemando meglio la marionetta e facendo attenzione a non far cadere lo scorpione.
A passi lenti si dirige verso l'uscita, e con fare svogliato scosta la tenda ed esce.
Mentre cammina solitario per il buio corridoio, accompagnato solo dal rumore dei suoi passi pensa che è meglio che si sbrighi, aveva detto a Deidara che avrebbe finito presto e non era nella sua natura farsi aspettare.
Così paziente chiude con cura il laboratorio segreto ed esce al sole, coprendosi la testa col suo cappello.
Alla fine Deidara non era ancora arrivato.
“Il solito idiota, sa che odio aspettare e arriva sempre in ritardo”
Si calca più giù il berretto sul viso, al fine di coprire il sorriso divertito che si era aperto sul suo volto, a dispetto dell'irritazione per il ritardo del biondo. Gli aveva fatto piacere vedere quello scorpione, e anche ricordare il pensiero ridicolo del Kazekage.
Così in silenzio attende il compagno di squadra, pronto per un altro viaggio, pronto per un altro dei suoi spettacoli immortali.

“without a soul...”


Senza un'anima? Lui?
No, non è così, basta guardare con un po' più di attenzione, magari facendosi aiutare dai suoi splendi occhi rossi. Rossi come le ciliegie, rossi come i rubini, rossi come il sangue.
Bisogna saper andare oltre il lago dei suoi splendidi occhi purpurei, e allora lì vi si troverà la sua anima, in mezzo ad un deserto di sabbia rossa, rossa porpora.
  
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