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Autore: valeria78    23/12/2017    3 recensioni
Manca poco al Natale e lo sceriffo Emma Swan deve districarsi tra pile di documenti, ma ha anche un importante compito: trovare un albero per Henry, le cose però non vanno proprio come si aspetta e quindi coinvolgerà il sindaco Regina Mills in un'avventura piena di magia e di sorprese, per un Natale davvero unico. (La storia è ambientata in un momento non ben definito della terza stagione). §Ringrazio France per i suggerimenti e il prezioso supporto :*§
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTA: Questa storia fa parte delle fan fiction scritte per l'iniziativa natalizia del gruppo Facebook ''Maybe I need you''. Si tratta di una storia a metà strada tra una long e una OS. Buona lettura

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Emma uscì dalla stazione della polizia con una pila di cartelle che stava tentato disperatamente di mantenere in equilibrio.

“Dannazione!” urlò mentre la condensa bianca usciva dalla sua bocca. Fece qualche passo e sentì che la prima cartella posta sulla cima si stava spostando verso l’estremità, poggiò il ginocchio sotto la pila di carte, restando in equilibrio con una sola gamba e con una mano spostò la cartella al centro. Sospirò.

Alzò per un istante gli occhi al cielo: era bianco e minacciava neve, ne era già caduta una bella quantità dall’inizio di dicembre, “sarebbe stato un Natale bianchissimo” avevano detto al telegiornale quella mattina. Con fatica riprese a camminare, il cappello di lana cominciò a scendere verso i suoi occhi, dovette rifermarsi, posizionare di nuovo il ginocchio sotto la pila di scartoffie, e con velocità repentina tirarsi su il cappello. “Per fortuna che la macchina è parcheggiata qui dietro”, pensò.

Respirò l’aria e il freddo le fece frizzare le narici. L’intera strada era addobbata con luminarie di tanti colori diversi. Passò davanti a Granny’s e nel giardino del diner vide Ruby su una piccola scala che stava appendendo le prime palline all’albero di Natale. “Ciao Emma!” urlò la ragazza.

La bionda fece per alzare la mano ma si ricordò delle cartelle e si limitò a un gesto del mento accompagnato da un sorriso. Proseguì lungo la sua strada. Svoltò l’angolo, ormai era quasi fatta, la macchina di servizio dello sceriffo era a pochi passi. In quel momento il telefono cellulare che aveva attaccato alla cintura squillò.

Emma si fermò: “Maledizione” disse a denti stretti. Riposizionò il ginocchio sotto le cartelle e in equilibrio precario cercò il cellulare con la mano libera. Ce l’aveva quasi fatta quando sentì qualcuno urlare. Si girò verso quel chiasso e vide Archie che aveva l’ombrello alzato e stava correndo. Corrugò la fronte senza capire cosa stesse succedendo, poi abbassò un po’ lo sguardo e riconobbe Pongo che stava correndo trascinandosi dietro il guinzaglio, lo vide avventarsi su di lei con fare festoso. Emma perse l’equilibrio e naturalmente lasciò la pila di documenti che si sparsero lungo tutto il marciapiede, cadde a sedere mentre il cane le leccava il volto.

“Pongoooooo” urlò la bionda.

Poco dopo arrivò Archie che, ansimando, afferrò il guinzaglio e riportò il cane alla calma.
“Oddio che disastro - disse lo psichiatra - Sono mortificato”.

Emma si alzò da terra scuotendosi con la mano la neve di dosso: “Non ti preoccupare sapevo che sarebbe accaduto” disse sorridendo.

“Lascia che ti aiuti” e si curvò.

“No! – urlò Emma fermando il braccio di Archie e incontrando lo sguardo offeso dell’uomo – Volevo dire, grazie Archie, ma faccio da sola” e sorrise.

Lo psichiatra si allontanò continuando per la sua strada.

“Stramaledizione!” imprecò Emma, che cominciò a raccogliere i fogli, ma il cellulare tornò a squillare, afferrò l’apparecchio, lesse il nome di Regina, alzò gli occhi al cielo e rispose.

“Pronto?”.

“Emma ma dove eri finita?” chiese con tono di voce scocciato la bruna.

“Se te lo dico non ci crederesti” disse mentre raccoglieva i fogli.

“Che stai facendo? Fai dei versi strani”.

“Oh, niente di particolare, dimmi Maestà”.

“Ti devo ricordare cosa devi fare oggi?”.

“Regina da quando mi sono alzata – e guardò l’orologio al polso – esattamente tre ore fa mi hai chiamato già 4 volte…”.

“Con te bisogna usare le maniere forti” disse la bruna giocherellando con la penna, seduta dietro alla scrivania del suo ufficio.

“Mi ricordo perfettamente cosa devo fare” disse lo sceriffo sistemando alcuni fogli sul cofano di una macchina.

Regina aprì una cartella per controllare alcuni documenti al suo interno: “Bene, anche perché mio figlio ci tiene moltissimo”.

“È anche mio figlio” disse con tono irritato l’altra.

“Su questo faccio leva” rispose il sindaco.

Emma sorrise scuotendo la testa, ci fu una folata di vento e i fogli che lei aveva posto sul cofano volarono via.

“Oh, no, no, no ma accidenti!” urlò.

Regina dall’altro capo del telefono corrugò la fronte: “Miss Swan mi sembri in difficoltà, tutto bene?”.

“Benissimo, non è mai andata meglio, adesso ti devo salutare. Non dimenticherò l’albero”, quindi riattaccò per poi correre dietro ai fogli che si erano posati sulla strada.

 

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Emma pose le gambe sopra il piano della scrivania e allungò le braccia lasciandosi andare a una serie di sbadigli, controllò l’orologio mancava poco alle 18. Era stata davvero una giornata faticosa quella, tutte le scartoffie che aveva dovuto portare in giro per la città e tutta una serie di questioni di tipo amministrativo che non amava fare. Ascoltò il ticchettio dell’orologio e si guardò attorno, la stanza era talmente silenziosa. Storse la bocca perché aveva la sensazione che ci fosse qualcosa che non andasse. Rovistò nella sua mente. Sentiva un senso di disagio farle strada, ma non riusciva a capire cos…. Sbarrò gli occhi. Sentì un tuffo al cuore. Controllò l’orologio alla parete, poi guardò quello che aveva al polso.

“No, no!” urlò. “Regina mi ucciderà… mi sono dimenticata dell’albero”, fece un movimento brusco per alzarsi e quasi cadde a terra con la sedia. Afferrò il giacchetto, inforcò il cappello in testa e uscì dalla centrale, chiudendosi la porta a chiave, in quell’istante squillò il telefono, si sentì gelare.

“Fa che non sia lei… fa che non sia lei”. Emma lesse il nome di Regina sul display. Rispose.

“Pronto… Regina, ciao!”.

“Emma?... – Regina aggrottò la fronte – Che succede?”.

La bionda si avviò verso la macchina: “Niente perché?”.

“Hai un tono di voce strano”.

“No, tutto bene… - tagliò corto – non mi stai chiamando un po’ troppo spesso? Per caso senti la mia mancanza?” disse lo sceriffo cercando nelle tasche dei jeans le chiavi della macchina.

Una folata di vento gelida la colpì in pieno volto.

“Emma, fai poco la spiritosa, sai benissimo perché ti tartasso di chiamate… hai preso l’albero?”.

La bionda non rispose. Doveva dire la verità, sapendo benissimo che il sindaco l’avrebbe incenerita seduta stante, o dire una piccola, insignificante bugia per mantenere il quieto vivere?

“Certo che l’ho preso, ed è bellissimo!” disse con un tale entusiasmo che non si aspettava.

Regina dall’altro capo del telefono alzò il sopracciglio: “Lo hai preso veramente?”.

“Naturalmente…”.

La Evil Queen strizzò gli occhi guardando un punto imprecisato dell’ufficio in cui si trovava.

“Perché ho la sensazione che tu mi stia mentendo?”.

Emma trovò finalmente le chiavi, aveva la mano che teneva il cellulare congelata, entrò all’interno dell’abitacolo e rabbrividì.

“Regina è tutto okay, avrai l’albero a casa tua per stasera, tu però fai in modo che Henry non rientri, altrimenti addio sorpresa”.

“Henry è da un suo amico a dormire, non ci sono problemi, e sarà il caso che non ne abbia tu… di problemi o ti incenerisco” riattaccò.

“Anche per me è stato un piacere sentirti… Regina” pronunciò il nome della donna con stizza e rimase a contemplare il cellulare per qualche secondo. “Sono nei guai” disse a bassa voce e sospirò. Lanciò un’occhiata all’orologio segnava le sei e un quarto, quella conversazione le aveva fatto perdere minuti preziosi. Accese la macchina, inserii la marcia e si diresse presso il vivaio gestito dal padre di Belle.

Le strade di Storybrooke erano state liberate dalla neve caduta. Ai lati dei marciapiedi c’erano piccoli cumuli di poltiglia bianca mista a marrone. I negozi erano addobbati e le vetrine rimandavano sgargianti colori rosso, azzurro e arancio. Babbi Natale meccanici sorridevano da dietro le vetrate di alcuni appartamenti, mentre c’era chi faceva gli ultimi acquisti per l’imminente festività. Ed Emma doveva ancora fare tutto. Si portò una mano alla fronte: doveva ancora prendere il regalo a sua madre e a suo padre, per quello di Henry fortunatamente ci avrebbe pensato Regina e poi, sì, c’era Regina. Sospirò pensando a lei. Non poteva farle un dono qualsiasi, voleva qualcosa di speciale, perché per lei era speciale anche se il sindaco lo ignorava. Parcheggiò in seconda fila e scese a capofitto dalla macchina, un signore le suonò: “Massima urgenza!” urlò la donna, quindi entrò nel negozio. Individuò Maurice che si trovava dietro il bancone e gli corse in contro.

“Emma ciao, tutto bene?” disse l’uomo vedendo la donna tutta trafelata.

“Questo dipende da te” rispose.

Maurice corrugò la fronte.

“Mi serve un albero di Natale” disse tradendo un tono di voce decisamente disperato.

L’uomo scosse il capo: “Mi dispiace, Emma, li abbiamo finiti”.

“Finiti? – la bionda si sentì gelare -  Quella mi uccide - sentenziò – A Storybrooke siamo quattro gatti, tutti questo Natale hanno deciso di prendere un abete vero?”.

“Però ne ho alcuni finti” disse l’uomo.

Emma drizzò le antenne: “Finti?...”.

L’uomo gliene mostrò alcuni che aveva in esposizione. Il vivaio era addobbato di fiori rossi ovunque, si respirava un buonissimo profumo ed era una gioia per gli occhi. “È davvero bello qui – disse Emma guardandosi attorno – potrebbe essere l’ultima volta che lo vedo. Maurice, lo sai?” disse preoccupata stringendo il braccio all’uomo. “Se non trovo un albero il sindaco mi getterà nel Troll Bridge e non credo che accetterà un albero finto” sospirò.

“Prova all’altro vivaio in fondo alla strada, forse hanno qualcosa…”.

Gli occhi di Emma si illuminarono, alzò i pollici: “Certo, grazie Maurice – girò sui tacchi e corse verso la porta, poi si fermò, voltandosi – Buon Natale!” e corse via.

Emma tornò a sedersi in macchina e ripartì. Quella sera girò tutti i fiorai, non che a Storybrooke ce ne fossero chissà quanti, ma niente, non trovò un solo albero. Poi passò davanti a una villetta e ne scorse uno: era tutto illuminato, faceva bella mostra di sé all’interno di un bel giardino, fu assalita dall’irrefrenabile desiderio di rubarlo, ma non poteva assolutamente fare una cosa del genere, scosse la testa e decise di andare incontro al suo destino…

“Se solo non ci fosse questa stupida maledizione – tuonò mentre fermava la macchina davanti a casa di Regina – potrei creare un bellissimo albero con la mia magia”. Scese dalla vettura e rimase estasiata nel vedere le luci di Natale che addobbavano le finestre, il portone e i cespugli della casa. Il suo cuore che andava a mille. Immaginò tutte le possibili reazioni del sindaco, immaginò tutte le possibili morti che avrebbe potuto scegliere per lei. La distanza che divideva Emma dalla sua macchina al portone della bruna sembrò epocale. Suonò il campanello e un istante dopo il sindaco comparve davanti a lei.

“Ciao” disse la bionda sorridendo.

“Entra” rispose la bruna.

Lo sceriffo, storse la bocca, quel tono secco non preannunciava niente di buono. Sospirò nel sentire il calore in cui era avvolta l’abitazione della bruna e soprattutto nel vedere che avevano fatto davvero un ottimo lavoro con gli addobbi di Natale, lei, il sindaco ed Henry.

“Vuoi qualcosa da bere? Togli pure il giaccone. Ti va una cioccolata calda?”.

Emma rimase spiazzata: primo, cioccolata calda? Da quando in qua Regina faceva la cioccolata calda? Secondo, dov’era finita la palla di fuoco che stava tenendo in serbo per lei?

“Sì, grazie…” rispose titubante la bionda, seguendo il sindaco nella sfarzosa cucina.

Emma si sedette al tavolo e osservò la bruna che versava la cioccolata fumante nella tazza, si soffermò sull’abbigliamento: indossava un paio di pantaloni di flanella e un maglione a collo alto piuttosto pesante, aveva sempre un gusto impeccabile. Il sindaco porse la tazza alla bionda, lei la circondò con le mani per riscaldarle.

“Che buon profumo cos’è?” chiese lo sceriffo.

“Pollo con le patate”.

Emma sorseggiò la cioccolata con sguardo circospetto, in attesa della sfuriata che sicuramente l’attendeva.

Regina si sedette davanti alla bionda e incrociò le mani sul tavolo: “Allora, Emma, dov’è l’albero?”.

La bionda ingurgitò la cioccolata che le andò di traverso, tossì, sotto lo sguardo interrogativo del sindaco che lentamente si accese come le palle di fuoco della Evil Queen.

“Beh… insomma…”.

Regina mise le mani avanti e si alzò dalla sedia.

“Non ce l’ho” sussurrò.

“Non ce l’hai?” replicò la bruna.

Emma si alzò dalla sua postazione e si avvicinò a Regina: “Mi dispiace, ho fatto di tutto, ho cercato ovunque”.

Regina sospirò.

“È stata una giornata piena di impegni, me ne sono scordata, sì okay?” la voce della bionda si alzò. “Ho avuto una giornata pensate, me ne sono dimenticata, mi è venuto in mente alle sei, Regina…” si avvicinò ancora di più alla donna costringendola ad arretrare fino a trovare il lavello dietro di sé che la bloccò. “Ti giuro che ho fatto di tutto, se solo ci fosse la magia, ti avrei portato il più bell’albero di tutta Storybrooke, ma che dico, di tutto il mondo!”, si era fatta rossa in volto per la foga.

Regina aveva incrociato le braccia e osservava la donna con cipiglio indagatore.

 “Okay” si limitò a dire la bruna.

Emma corrugò la fronte: “Okay – allargò le braccia – Tutto qui? Niente dita puntate e niente frasi del tipo: Emma Swan sei inaffidabile!”.

Regina scosse il capo: “Te lo sei appena detto da sola”, ma nessuna delle due si mosse da quella posizione, si studiarono a vicenda.

“Te lo sei dimenticato, punto, d’altra parte hai detto bene, non c’è magia e non mi va di salire in camera di Henry per prendere la sua mazza da baseball e rifilartela tra capo e collo” disse, quindi si spostò liberandosi così dalla vicinanza di Emma.

La bionda prese il suo posto poggiandosi al lavello e sospirando: “Mi dispiace”.

“Lo hai già detto” disse Regina aprendo il forno e controllando il punto di cottura del pollo.

“Sai questa tua indifferenza è altrettanto irritante di quando ti arrabbi, anzi forse preferisco quando ti arrabbi”.

Il sindaco chiuse il forno e si tolse il guanto anti-scottature, ripoggiandolo sul mobiletto, quindi si girò verso la bionda.

“Ascolta Emma, vorrei non dovermi arrabbiare almeno in questi giorni di Natale… ormai ti conosco, so come sei, in fondo può capitare di scordarsi di una cosa così importante come l’albero che tuo figlio attende da un anno”.

“Noto una punta leggera di rimprovero…”.

“Vuoi fermarti a cena?” chiese, fu una cosa talmente repentina, Regina neppure si rese conto di averlo detto.

Emma ne rimase meravigliata e sfoderò un leggero sorriso.

“Ti ringrazio – disse ma era come se le fosse venuto un barlume improvviso – ma devo fare una cosa, ci sentiamo dopo okay?”, quindi si avviò verso la porta seguita dalla bruna.

“Non crederai di cavartela così facilmente vero?” chiese il sindaco.

“Sì, lo so che sotto sotto sei arrabbiata con me… ma giuro che mi farò perdonare” inforcò il cappello. “Domani sera verrai?”.

Regina si morse il labbro: “Non lo so” e incrociò le braccia al petto.

“Oh, dai, andiamo, non vorrai passare la Vigilia di Natale da sola in questa solitaria abitazione?” disse Emma tirandosi la zip del giaccone fino al mento.

“Non credo che Mary Margaret, David, e tutti gli altri siano ancora pronti per accettarmi” proseguì abbassando lo sguardo e parlando con un tono di voce che tradì una certa malinconia.

“Ma io sì” disse decisa Emma. Regina sollevò lo sguardo verso di lei. “E lo è anche Henry, quindi domani sera sarai con me, da Granny dovessi vedere il broncio di mia madre, mio padre e dei sette nani stampato su di loro per tutta la serata”.

Regina sorrise, i suoi occhi si illuminarono.

Emma spalancò la porta.

“Non credere che questo tuo discorsetto, mi abbia fatto passare la rabbia, signorina Emma Swan”.

“Oh, lo so lo so - alzò la mano e la scosse nell’aria - devi mantenere la tua aria da sindaco irremovibile e accigliato… - quindi si girò un’ultima volta verso la bruna – il che ti dona a dir la verità. Ciao!” e quasi correndo raggiunse il cancello, mentre Regina cercava di replicare. La bruna vide Emma scomparire dalla sua visuale e rimasta sola sorrise, scuotendo la testa per poi rientrare in casa e chiudersi la porta alle spalle.

   
 
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