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Autore: TenouHaruka    25/12/2017    4 recensioni
A un passo dalla fine, l'inimmaginabile: Sailor Saturn scatena il proprio immenso potere distruttivo sul Faraone 90 e lo distrugge, a costo della vita. Ma alla Distruzione segue la Rinascita, e dal nucleo della battaglia Sailor Moon riesce a recuperare la piccola Hotaru rinata. È tempo di chiudere i sospesi... e riprendere le fila delle proprie vite. Espansione dell'episodio 126, "Una nuova vita! Il tempo degli addii per le stelle del destino" (nella serie italiana, "Una nuova vita").
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Hotaru/Ottavia, Michiru/Milena | Coppie: Haruka/Michiru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza serie
- Questa storia fa parte della serie 'Stelle del Destino'
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Haruka depositò il borsone sportivo sul sedile del passeggero, salì a bordo e chiuse la portiera. Si prese un attimo per guardare il cielo, era magnificamente terso, e l’aria piuttosto calda; sembrava incredibile, quando solo poche ore prima le nubi erano così dense da aver oscurato completamente l’alba.

In effetti quella non era certo l’unica cosa che le paresse incredibile; anche essere lì lo era, dopo tutto quello che era successo.

Sospirò. Si sentiva stanca, fisicamente e mentalmente, e non vedeva l’ora di rientrare. Lasciò sfilare due mezzi dei vigili del fuoco, diretti probabilmente al distretto Mugen, accese il motore e si mise in marcia senza indugiare oltre. Fortunatamente non aveva molta strada da fare, e nel giro di un quarto d’ora la Toyota 2000 GT aveva trovato di nuovo riposo nel suo posto riservato.

Controllò l’ora mentre l’ascensore saliva gli ultimi piani, mezzogiorno era già passato. Aprì la porta dell’appartamento, tolse le scarpe e lasciò il borsone sul divano di sala. “Sono tornata!” disse forte, spostandosi in cucina per prendere un po’ d’acqua.

“Meno male. Hai trovato tutto?” chiese Michiru entrando nella stanza.

“Spero di sì. Mi sono fatta consigliare.” rispose con un sorrisetto imbarazzato, allargando le braccia. “Com’è andata finora?” chiese osservando la compagna e il fagotto che teneva in braccio, con aria apprensiva. Sembrava anche più stanca di lei. Non attese la risposta, ma tornò rapida in salotto, facendosi seguire.

“Ha dormito tranquilla fino a ora, ma presto avrà fame, e poi andrà cambiata, non possiamo tenerla infagottata così.”

Haruka posò il borsone sul tavolino, lo aprì e cominciò a tirar fuori tutto quello che poteva servire: pannolini, tutine, latte in polvere, biberon, ciucciotti, bavaglini. Estraeva ogni cosa come se passasse in rassegna una lista inesistente, incerta di aver dimenticato qualcosa. Certo, fare la spesa era stato facile, tutto sommato… era utilizzare, che adesso le dava pensiero.

Aprì il pacco dei pannolini e ne posò uno sul tavolino, con sguardo dubbioso, come se si trattasse di un manufatto alieno.

Michiru la guardò divertita, poi mise giù il fagotto e svolse la coperta. “Mi servirebbero anche le salviette, il talco e una tutina” chiese sorridendo, cercando di non metterla troppo in difficoltà. La giovane pilota si affaccendò ad avvicinarle quanto richiesto e poi rimase ad osservare l’operazione in atto.

Era stupefacente ammirare Michiru… nonostante fosse la prima volta che lo faceva, si muoveva con la sua solita grazia e dava la sensazione di essere perfettamente a suo agio. Era forse questo il famoso istinto materno? Se così era, Haruka fu certa di esserne completamente sprovvista. Non che avesse mai avuto dubbi in proposito.

La piccola Hotaru si era svegliata nelle manovre, e si era lasciata rivestire docilmente. Dopo qualche istante però cominciò a piangere con insistenza, e Michiru fu costretta a riprenderla in braccio. “Su su piccola, va già meglio, non è vero? Ora arriva anche la pappa. Haruka, ti dispiace?” chiese con tono supplichevole.

“Certo, provvedo subito.” rispose rapida la bionda, dirigendosi in cucina.

Speravo di fargliela tenere per un po’, pensò Michiru con un sospiro esausto. Ma probabilmente è un po’ presto per questo, concluse cullando la bambina.

Haruka volle leggere le istruzioni più volte, per essere certa di non sbagliare. Non era poi così difficile, ma riuscì comunque a scottarsi riempiendo il biberon, e solo la vergogna le impedì di imprecare rumorosamente.

Quando le sembrò pronto – al quinto tentativo il suo polso aveva decretato che era tiepido, e non più caldo – tornò trionfante in sala e passò l’arma alla compagna.

Forse è andata, pensò con sollievo, vedendo che la bambina si era immediatamente calmata, poppando avidamente; e quando ebbe terminato, si addormentò di nuovo.

“Adesso sarà il caso che riposi anche tu, ti pare?” disse a bassa voce chinandosi sulla compagna, con un tono che non ammetteva repliche. “Vado a preparare di là, tra poco vieni, su.”

Michiru attese qualche minuto, osservando la piccola pacificamente addormentata, poi si lasciò convincere e raggiunse la camera. Haruka aveva disteso un asciugamano sul letto e arrotolato alcune coperte in modo da creare una sorta di culla chiusa, dalla quale la bimba non potesse cadere.

“Sistemiamola e torniamo di là, lasciamo la porta aperta così se dovesse svegliarsi non rischiamo di non sentirla, ti pare? Non puoi tenerla in braccio tutto il tempo...” disse con un’espressione rassicurante. “Te lo prometto, verrò io a controllarla spessissimo, va bene?”

Devo aver proprio una brutta cera, pensò Michiru depositando la neonata nel lettino improvvisato, delicatamente. Buttò uno sguardo allo specchio, e dovette darle le sue ragioni.

Haruka le passò una mano dietro la schiena e l’accompagnò a sedersi sul divano, poi accese la televisione sul notiziario, regolò il volume e si sedette a sua volta ad ascoltare.

Le riprese aeree dell’area dove solo poche ore prima c’era l’Istituto Mugen erano davvero impressionanti… il grattacielo completamente raso al suolo, macerie e distruzione ovunque.

A seguito della prima esplosione del giorno precedente tutte le lezioni erano state sospese e la zona dichiarata off-limits, ma se tale primo evento era stato giustificato ufficialmente con un inconveniente verificatosi durante un esperimento all’interno del prestigioso istituto di studi sulla materia, cosa avrebbero detto di fronte alla seconda, ancor più drammatica deflagrazione?

Forse la cosa era ancora troppo recente per sbilanciarsi in un senso o nell’altro, o forse era più semplice e rassicurante archiviare il tutto come l’esito infausto di qualche progetto scientifico, che fortunatamente non aveva provocato vittime. Il giornalista sembrava girarci attorno apposta, come a nascondere un quesito scomodo. Magari l’istituto in passato aveva fatto qualche cospicua elargizione per far sì che le proprie faccende non fossero sbandierate più di tanto, e comunque solo in termini positivi. D’altronde era definito la scuola per geni. O magari dipendeva invece dall’atavica abitudine del popolo giapponese ad affrontare calamità di ogni genere senza piangersi addosso, ma concentrandosi subito a ripartire, tirarsi su, ricostruire nel minor tempo possibile. Fatto sta che un evento di quella portata era stato oltremodo ridimensionato.

Mentre Haruka si perdeva in quelle riflessioni il servizio si era concluso con l’annuncio che il professor Tomoe Souichi, il direttore dell’istituto, era stato recuperato tra le macerie, incosciente ma vivo, ed immediatamente ricoverato. Ipotizzavano che avesse voluto tornare a verificare le condizioni dei laboratori, nonostante le proibizioni, e miracolosamente fosse scampato al secondo schianto. Non c’erano tracce di altre persone coinvolte.

Michiru recuperò il telecomando e spense tutto, aveva visto e sentito abbastanza. Sicuramente, tempo due o tre giorni, nessuno avrebbe più parlato del Mugen. E magari nel giro di un mese sarebbe partita la ricostruzione. Ma loro non avrebbero dimenticato così rapidamente.

Cercò di sgranchirsi un po’, il collo e le spalle erano piuttosto contratti. Si rese conto in un attimo che aver tenuto con sé la piccola Hotaru fino ad allora l’aveva impegnata impedendole di pensare, ma adesso non aveva più niente a ripararla dal flusso dei ricordi. Primo fra tutti il volo in elicottero col quale avevano cercato di penetrare il Mugen dall’alto.

Guardò Haruka, che seduta sull’altro divano sembrava immersa in pensieri simili ai suoi, occhi chiusi, le braccia distese lungo la spalliera.

Sailor Pluto era stata un grande supporto per loro, fin dal suo arrivo. Le aveva aiutate a comprendere i loro incubi, a recuperare la loro coscienza di guerriere, i loro ricordi, i loro poteri. Era stata una guida, ma anche un’amica e una sorella maggiore, per entrambe. Anche Haruka la pensava così, era evidente. Era l’unica persona a cui riconoscesse autorità, ben più che al futuro Re Endymion: e si era sacrificata per consentire loro di andare avanti, compiendo volontariamente un atto che la condannava senza scampo.

“Sai cosa mi disse Setsuna-san parlando della ricerca dei cuori puri? Che per noi due l’idea di sacrificare la vita per un bene superiore era stata una cosa normale.” disse Haruka, immobile, gli occhi sempre chiusi.

“Aveva ragione.” continuò alzandosi. “Ma vedere qualcun altro che si sacrifica per te non è la stessa cosa. Non è facile accettarlo.”

Michiru sorrise appena, tra sé e sé. Le faceva sempre effetto apprezzare il livello di sintonia che avevano raggiunto. Era come se avessero seguito binari paralleli, giungendo contemporaneamente alla stessa destinazione. Poi però tornò al punto.

“Mi stai forse dicendo che hai rivalutato le idee di Sailor Moon?” azzardò senza giri di parole. Lei lo aveva fatto.

Haruka no, non era ancora arrivata così avanti. Ma quella domanda la fece sentire scoperta… e ammettere gli errori, con il suo orgoglio, non era mai stato semplice per lei.

Già una volta il dubbio aveva attraversato la sua mente. Ed era stata sempre Sailor Moon a farla dubitare, anche se allora non sapeva che fosse lei.

In macchina, correndo verso la Torre di Tokyo, dove il nemico attendeva Usagi nella sua rete, certo di strapparle il primo talismano, avevano parlato.

Tutti viviamo sacrificando altri, dite. Può darsi che vada bene per quelli che sacrificano, ma non pensate a quelli che vengono sacrificati? Non posso accettare che altri soffrano solo perché io possa averne beneficio!

Quelle parole tornavano a gravarla, come un macigno. Magari io da sola non potrò fare niente, ma unendo le nostre forze, troveremo senz’altro il modo di non sacrificare nessuno…

Si voltò verso la compagna, già sulla difensiva, ma l’espressione che vide in lei la fece fermare subito. Non la stava biasimando né prendendo in giro, anzi; era estremamente complice, nel condividere quella mancanza. Sollevò le spalle sorridendo amaramente, e si rimise a sedere.

“Mi vorresti dire che tu avevi fiducia nei suoi metodi?” chiese, sarcastica.

“Certo che no, lo sai bene.” rispose la violinista, con lo stesso tono. “Non le abbiamo creduto fino all’ultimo. E l’abbiamo trattata anche molto male.”

“Per forza! Ti sei forse dimenticata tutto quello che ha fatto?” replicò la pilota con uno scatto rabbioso, mentre le immagini dello scontro con Mistress 9 le scorrevano davanti agli occhi, e con esse ricordava le emozioni che le avevano pervase in quei momenti cruciali.

Prima la rabbia, tanta rabbia, per dover assistere impotenti alla battaglia finale, dover vedere Sailor Moon con il suo sciocco buonismo cedere le armi – letteralmente – rinunciando a qualsiasi possibilità di vittoria… e poi la disperazione, lo sconforto di vedere tutti i propri sforzi andare in fumo, e il mondo precipitare verso la rovina. In quegli attimi l’avevano davvero detestata.

“E invece… ha avuto ragione lei. E ci ha dato proprio una bella lezione.” riprese Michiru alzandosi per andare a controllare la bambina. Haruka la seguì.

“Direi che la tua soluzione ha funzionato, riposa tranquilla e al sicuro” sussurrò Michiru alla compagna dietro di lei, sorridendole.

L’altra la fissò un attimo, poi si fece seria. “Sai, vero, che quando questa piccina crescerà, se avrà coscienza del suo passato, sicuramente ci porterà rancore? E con valide ragioni...” spiegò con un velo di tristezza nella voce.

“Lo so. È proprio per questo che ho voluto portarla via con noi...” rispose dopo un attimo di silenzio.

“Ho sperato di poterla ripagare almeno in minima parte delle sofferenze che le abbiamo causato, dandole il calore e l’affetto di una casa, piuttosto che lasciarla in mano a degli estranei fino al completo recupero del padre. Era il minimo che potessimo fare. Anche se lei non lo saprà mai...”

Haruka sentì un nodo allo stomaco, fissando il suo volto triste. Sul momento non aveva capito perché Neptune avesse voluto con forza portar via Hotaru dalle braccia di Sailor Moon, ma aveva immaginato che non fosse stato solo per togliere dagli impicci le altre guerriere Sailor, e così l’aveva assecondata senza fiatare, e ora avrebbe continuato a farlo. D’altra parte anche lei era molto dispiaciuta per tutto quello che era successo.

Baciò delicatamente la guancia della sua bellissima violinista, poi la portò a sedere sul divano, e tenendola stretta si mise ad accarezzarle i capelli finché non si addormentarono entrambe.


 

Riaprì gli occhi per prima, e si rese conto che dovevano aver dormito per tutto il pomeriggio. E alla fine non avevano mangiato niente dalla sera prima, cosa di cui il suo stomaco cominciava a lamentarsi rumorosamente.

Riuscì con un po’ di impegno ad alzarsi senza svegliare Michiru, un’occhiata in camera – ma era normale che quella bimba fosse così tranquilla? - e poi si spostò in cucina per preparare qualcosa.

Cucinare non era mai stata la sua passione, ma da quando aveva cominciato a ospitare Michiru aveva dovuto venirci a patti, superando il livello di mera sussistenza cui si limitava prima: stando da sola quasi sempre mangiava fuori, passando tutto il tempo possibile al circuito o in officina. Per fortuna, perché nonostante il grande talento che gli addetti ai lavori le riconoscevano, senza tutto il credito di fiducia e affidabilità che si era guadagnata in quel periodo, le sarebbe stato impossibile sparire di quando in quando per tenere d’occhio i nemici e mantenere comunque il posto alla TOM’S.

Probabilmente se non ci fosse stata la missione avrebbe potuto esordire in campionato già quell’anno; a inizio stagione gliel’avevano quasi promesso. Ma poteva dirsi pentita? Adesso aveva Michiru accanto a sé, e ora che tutto si era risolto entrambe avrebbero potuto riprendere in mano le fila delle loro vite.

Avviò il cuociriso e accese la piastra, e mentre ci adagiava la carne e le verdure le tornò in mente una scena di diversi mesi prima.

Aveva proposto alla compagna di cenare insieme, visto che aveva lezione di pittura fino a tardi, ma quando lei le aveva chiesto di stare a casa, era scoppiata la crisi: dopo tre cene, seppur sapientemente diluite tra diverse fatte fuori, Haruka aveva esaurito il suo repertorio e già tremava all’idea di doverlo ammettere.

Michiru si era presentata alla sua porta con una busta di spesa in una mano ed un pacco nell’altra, e con molta nonchalance si era offerta di preparare tutto lei, per ringraziare dell’ospitalità. La piastra che stava usando l’aveva portata lei quella sera… ragionandoci sopra, probabilmente le aveva letto in faccia il terrore e l’aveva voluta togliere elegantemente d’imbarazzo; ma sul momento si era solo stupita che una ‘signorina’ come lei sapesse cucinare, e tuttora non sapeva quando e come avesse imparato.

Preparò la tavola e si affacciò in sala per chiamare la violinista, che però si stava già dirigendo in camera, attirata da un pianto leggero. “Arrivo, sicuramente andrà cambiata...”

“S-sì, io le preparo il latte.” rispose affrettandosi a rientrare in cucina.


 

Michiru terminò la cena e rimase un po’ silenziosa a guardare verso la finestra.

“C’è una cosa che proprio non capisco… Sailor Pluto veniva dal futuro, doveva conoscere quello che sarebbe successo, no? Perché ci ha lasciato pensare che Sailor Saturn avrebbe distrutto il mondo come lo conosciamo? Non è andata affatto così, anzi...” concluse stringendo il bicchiere tra le mani.

“Probabilmente non poteva rivelare niente sul futuro, per impedire possibili interferenze.” cominciò Haruka picchiettando con le dita sul tavolo. “E noi potevamo basarci solo su quell’incubo ricorrente, che seppure in continua evoluzione, era tutto fuorché chiaro. D’altronde, come potevamo immaginare che nel corpo della figlia di Tomoe albergassero due anime così diverse ma comunque così affini? La Guerriera della Distruzione e il Messia del Silenzio...” sospirò.

“Sicuramente quello che vedevamo era influenzato dalla presenza di entrambe quelle essenze, che comunque erano destinate a scontrarsi. Fatto sta che siamo state noi a dare un’interpretazione errata, e se ci pensi bene, Sailor Pluto non ha mai confermato né smentito nulla delle nostre opinioni.” concluse appoggiandosi con i gomiti sul tavolo.

“Ma ha lasciato che la attaccassimo, potevamo ucciderla…!” replicò con fervore. Haruka le fece cenno di tenere bassa la voce.

“Forse perché sapeva che non ci saremmo riuscite? Però in effetti ricordo di averla sentita più volte convenire con noi che non c’era altro modo… no, lo ammetto, anch’io non capisco, c’è qualcosa che mi sfugge.” concluse andando indietro con la schiena contro la spalliera della sedia, incrociando le braccia.

Per lunghi minuti nessuna parlò più, entrambe alla ricerca di quel tassello mancante. L’appartamento era completamente silenzioso, la stanza illuminata lo stretto indispensabile, e dopo un po’ quella quiete sembrò loro quasi confortante, un momento di meritato riposo dopo tutto quello che avevano affrontato.

Non che le questioni fossero terminate, anzi… c’erano diverse cose pratiche e materiali da risolvere. Prima tra tutte, la sparizione di Hotaru adolescente e il suo ritorno come infante, che non sarebbe stato certo banale da gestire. Ma per un po’ tutto sembrò annebbiarsi, come un brutto sogno che al risveglio ritorna solo a sprazzi, e non spaventa.

Dopo qualche altro minuto la pilota si alzò in piedi.

“Per quanto mi riguarda ci penserò domani, adesso vado a fare una doccia,” disse raggiungendo l’altro lato del tavolo. “Ti suggerisco di fare altrettanto… ah, e per stasera direi che è meglio se mi sposto nell’altra camera, così state più comode.”

“Ma… sei sicura?” ribatté Michiru dispiaciuta.

“Certamente… ma che non ci prenda l’abitudine, diglielo. Ci tengo ai miei privilegi padronali.” concluse scherzosamente, per poi chinarsi in avanti e baciarla con trasporto.


 

Fu un leggero fruscio a farla uscire pienamente dal dormiveglia. Amava dormire lasciando le finestre in modo tale che al mattino la luce filtrasse nella stanza e, a seconda di quanta luce c’era, capire se la giornata era bella o meno.

Si voltò su se stessa con gli occhi ancora chiusi, e si sentì sommergere da una nuvola di capelli profumati.

“Buongiorno...” sussurrò appena le labbra furono libere per parlare. “Com’è andata la notte?” aggiunse con leggera apprensione.

“Bene, direi… ti sei persa giusto tre levatacce per pappa e cambio, per quanto ne so poteva andare molto peggio.” rispose Michiru tenendosi i capelli con la mano, ancora chinata in avanti. “Tu hai dormito bene?”

Haruka non poté fingere di non aver percepito la frecciatina nella battuta, soprattutto perché nonostante i proclami era ben consapevole di essere elegantemente scappata lasciando tutte le beghe alla compagna. Anche se non era stato per fatica…

Mugugnò una risposta incomprensibile sollevandosi a sedere sul letto e scostando la coperta, e un attimo dopo la violinista era sdraiata alla sua mercé, catturata da un movimento fulmineo quanto inaspettato.

“Ti avevo pur detto che non volevo rinunciare alle mie prerogative padronali, no?” sussurrò tenendo la vittima ferma sotto di sé, e baciandole ripetutamente il collo.

“Una manovra diversiva… molto scorretta...” replicò Michiru ridacchiando. Infilò le mani sotto il pigiama della compagna.

“Oh, scusa… forse erano un po’ freddine...” aggiunse ironicamente.

Haruka tirò su la coperta fin oltre la testa, con un brivido, poi ripartì all’attacco, intenzionata a non fermarsi fino a completa resa dell’avversaria. “Mi sei mancata,” mugolò lamentosa. L’altra non rispose, occupata a godersi le attenzioni dell’amata, assecondandola, dapprima, e poi ricambiandola caldamente.

Quando si fermarono, nessuna delle due avrebbe saputo dire quanto tempo avevano passato insieme, immerse nel tepore delle coltri. Di solito dovevano alzarsi piuttosto presto per essere puntuali a scuola, ma adesso il problema non si sarebbe posto per un po’; se c’era un lato positivo nella situazione, era che essendo studenti del Mugen qualunque scuola le avrebbe accolte a braccia aperte. Quindi si sarebbero iscritte a un altro istituto, ma senza fretta: nel frattempo si sarebbero concesse la vacanza che si erano promesse da tempo.

Fu Haruka a interrompere il silenzio. “Che ne diresti di andare a farti una nuotata in piscina? Dovrebbe essere a posto, l’ho sistemata ieri sera...” disse piano all’orecchio della compagna.

L’altra si voltò di scatto per guardarla, gli occhi illuminati. “Davvero…?”

“Ho pensato che ti facesse piacere, ti mancava da un po’...” sorrise di rimando, soddisfatta della reazione ottenuta.

Un attimo dopo Michiru le teneva il viso tra le mani, baciandola appassionatamente. “Sei un tesoro!” esclamò. “Però chiamami subito per qualsiasi cosa, d’accordo?”

“Stai tranquilla...” rispose alzando il pollice e strizzando l’occhio, mentre la guerriera di Nettuno si alzava e lasciava la stanza, per raggiungere il suo ambiente vitale.

“...tranquilla che non lo farò.” sussurrò Haruka portando le mani dietro alla nuca.


 

Figuriamoci se sarebbe andata a disturbarla mentre era in piscina: nemmeno per idea. Se ci fosse stato qualche problema, l’avrebbe gestito lei. Anche se la cosa non l’attirava per niente.

Non aveva mai avuto particolare simpatia per i bambini piccoli, così delicati, incomprensibili, lamentosi. Sempre con la paura di ‘romperli’, o di non sapere cosa fare.

Se ne era sempre tenuta alla larga, e quanto a istinto materno, era ben chiaro da sempre che il suo fosse rimasto molto al di sotto dello stadio embrionale.

Ma quella non era una bambina qualunque, e la cosa la metteva ancora più a disagio.

Non riusciva a guardarla senza pensare a quello che era successo, e se a Michiru questo aveva fatto scattare un istinto compensativo, lei provava solo un enorme imbarazzo, e se avesse potuto, avrebbe preferito non vederla mai più.

Anche con le altre guerriere Sailor avevano avuto da ridire, e con toni piuttosto accesi.

Avevano discusso, si erano scontrate più volte, mosse dagli stessi ideali, ma declinati in maniere molto diverse. Forse non si sarebbero capite mai. Ma qui si andava ben oltre.

Avevano tentato di uccidere Hotaru, l’avrebbero sacrificata senza tanti complimenti, lei più delle altre, la più decisa, la più convinta. La più spietata.

E adesso che i fatti le avevano dato torto, che la sua sopravvivenza e quella del mondo intero erano dipese da Sailor Moon che tanto aveva biasimato, e da Sailor Saturn, la guerriera della distruzione, che poteva dire?

Si alzò dal letto e andò a darsi una rinfrescata in bagno, si vestì rapidamente, come suo solito, e si diresse verso la camera da letto, dove la piccola dormiva tranquilla, ancora protetta da quella culla fatta di coperte che le aveva assemblato il giorno prima.

Si avvicinò piano, e per la milionesima volta rivide davanti a sé quell’immagine che le si era impressa a fuoco quasi al termine della battaglia finale: quando Sailor Saturn, dopo aver dichiarato la sua intenzione di affrontare da sola il Faraone 90, e aver impedito con la sua falce a Sailor Moon di avvicinarsi, prima di lanciarsi indietro aveva rivolto per un attimo lo sguardo verso di loro, rimaste ad alcuni metri di distanza.

Per un tempo minimo i loro occhi si erano incrociati, ne era certa: ma non era riuscita a leggere se in quel volto indecifrabile ci fosse disprezzo, compassione o indifferenza.

Quel dubbio l’avrebbe tormentata sicuramente a lungo.

Sentì la piccola sussultare appena, e si avvicinò di più per guardarla meglio: si stavano formando dei lacrimoni su quel visino sempre più crucciato, e con essi i primi singhiozzi.

Un attimo dopo era partito il pianto.

Haruka rimase paralizzata, indecisa sul da farsi; ma non voleva chiamare Michiru a meno che non fosse proprio inevitabile. Era un pianto sommesso, non sembrava che avesse fame, e sicuramente non era da cambiare… che si trattasse di un brutto sogno?

Fece un lungo sospiro, e finalmente la tirò su in braccio, le mani su quei piccoli fianchi, sospesa in aria. “Su, su, Hotaru, va tutto bene, calmati.”

La piccola aprì gli occhi, continuando a piangere senza cambiare espressione, forse ancora immersa nell’incubo che l’aveva fatta agitare. Ma cosa fare?

Tentò di distrarla facendola ondeggiare su e giù, girando un po’ per la stanza, ma non sembrava riscuotere alcun effetto, anzi; il pianto si faceva più insistente, e cominciò a pensare di dover per forza chiamare la compagna. “Piccola, mi dispiace, non ti piaccio proprio...”

Provò tutto quello che le venne in mente, ma non riusciva più a vederla così disperata e si arrese all’idea di chiedere aiuto.

Mise una mano sotto il sedere della bimba e se l’accostò addosso per liberare l’altra mano, e subito il pianto diminuì di intensità.

Si fermò e si sedette sul bordo del letto, cominciò a dondolarla piano contro di sé tenendola dietro la schiena, e dopo pochi secondi si era calmata completamente.

“Era questo che voleva?” chiese piano a se stessa. “Sono proprio negata...” concluse divertita scuotendo la testa.

Rimase così per un po’, apprezzando il peso e il calore di quel fagottino, lì buono tra le sue braccia, e valutando il pensiero, totalmente nuovo, che non si trattasse di una creatura aliena, né così spiacevole da gestire.

Recuperate le energie spese nel pianto la piccola tornò ad agitarsi. “Ehi, ehi, già passato tutto, eh? Che vuoi fare ora?” chiese Haruka scostandola da sé per osservarla meglio.

Hotaru sembrava allegra, adesso. Allungava le manine qua e là e cercava di sporgersi in avanti, ma non essendo ancora in grado di gestire il proprio peso oscillava ripetutamente da una parte all’altra, sostenuta da Haruka che la teneva sotto le ascelle.

“Accidenti che cambiamento! Il brutto sogno è stato già dimenticato, a quanto pare...” commentò piano la pilota, tuttora abbastanza a disagio.

Fece per alzarsi in modo da accomodare di nuovo la piccola nella sua culla improvvisata, ma la bambina parve rendersene conto, perché non passò un attimo e già si dimenava scomposta, sbilanciandosi di qua e di là, mentre con gesti e vocette tentava di manifestare la sua disapprovazione.

Haruka si fermò per placare la sua smania, tornando a sedere, e già pronta a rimangiarsi i buoni pensieri di poco prima: no, non ci capiva nulla. Cosa voleva adesso?

Si stava allungando di nuovo in avanti, con le manine verso l’alto, chiedendo qualcosa in quella sua lingua incomprensibile fatta di mugolii e versetti. Certo ci sapeva fare, perché nonostante la situazione per lei anomala, la giovane non aveva ancora perso la pazienza e anzi, in una certa misura era anche divertita. “Senti ragazzina, vediamo di capirci...” cominciò tirandola su, col viso all’altezza del suo.

Come reazione immediata Hotaru si mise a picchiettarle le guance, insistentemente, come se non avesse desiderato altro fino ad allora. I suoi grandi occhi viola brillavano gioiosi, e la bionda pilota se ne sentì sopraffare, avvicinandola ancora a sé e lasciandosi pazientemente toccare il viso, gli occhi, il naso…

Il gioco andava avanti ormai da un po’ quando, dopo l’ennesima tiratina di capelli, la mano della bambina le si appoggiò sulla fronte.

Inaspettatamente, con la consueta, inebriante ondata di calore e di energia, Haruka sentì l’emblema di Urano risvegliarsi, irradiando la sua luce dorata.

Era una sensazione magnifica, sentir fluire forte dentro di sé tutto il potere del suo pianeta Guardiano; lo stesso che la pervadeva quando diventava Sailor Uranus, ma che solo in poche occasioni si era manifestato con l’intensità che sentiva adesso.

E un attimo dopo, l’emblema di Saturno si accendeva specularmente sulla fronte di Hotaru, come rispondendo a un richiamo, e i rispettivi poteri le avvolsero, confrontandosi l’uno con l’altro.

Erano energie affini, senza alcun dubbio: energie che si incontravano dopo tanto tempo, si riconoscevano, si accettavano, si accrescevano l’un l’altra, in perfetta sintonia.

Per qualche istante la stanza splendette della luce degli astri, uno spettacolo che lasciò Haruka sbalordita; mentre la piccola guerriera in fasce invece non sembrava affatto turbata, batteva le manine ridendo di gusto. Se non fosse stato assurdo pensarlo, osservandola avrebbe detto che sembrava perfettamente cosciente di quello che era appena successo.

Quel pensiero le bloccò il fiato in gola. Possibile che…?

Un’emozione intensa le riscaldò il petto, si sentì leggera, euforica quasi, forse contagiata da quella risata così genuina; e rise sollevando la bimba in alto sopra la testa, più e più volte, fino a quando, vinta dalla stanchezza, non le si addormentò serenamente in braccio.


 

Michiru aveva nuotato per diverse vasche a buon ritmo, e poi si era fermata al centro della piscina, distesa sul pelo dell’acqua, come amava fare per rilassarsi e recuperare le energie.

Era vero che negli ultimi giorni, complici i pensieri e il precipitare degli avvenimenti, non le era neanche passato per la testa di ritagliarsi un po’ di tempo per sé; ma se ne era resa davvero conto solo adesso che Haruka gliel’aveva suggerito, e non era riuscita a trattenersi.

Aveva trovato tutto pronto, la temperatura e la limpidezza dell’acqua, e persino l’accappatoio già a portata di mano per quando avesse finito. Si era tuffata, e subito il semplice contatto con l’acqua le aveva trasmesso un senso di enorme benessere.

Era sempre stato così, fin da bambina: avrebbe passato ore e ore nella vasca, in spiaggia cercava sempre l’acqua, e quando a casa si era posto il problema di quale sport farle praticare, la risposta per lei era stata automatica. Anche se aveva dovuto lottare.

Certo, allora non aveva idea di avere in sé la protezione di Nettuno, pianeta dei mari profondi; solo ripensandoci adesso riusciva a notare quanti segnali il suo Guardiano le avesse mandato nel corso degli anni.

Ringraziò mentalmente Haruka per il regalo che le aveva fatto… immersa si sentiva davvero rinascere. Poi aprì gli occhi, e in un attimo realizzò che il sole era salito molto, doveva esser passato un bel po’ di tempo!

Raggiunse il bordo vasca, indossò l’accappatoio profumato, si diresse in camera e appena entrata si sentì abbracciare da dietro.

“A vederti direi che sei stata bene...” le sussurrò Haruka sfiorandole il collo con le labbra. Effettivamente, per lei che la conosceva bene, il cambiamento era evidente: sembrava molto più viva e luminosa, nonostante si fosse sistemata in fretta e furia.

“Moltissimo, sì… grazie, Haruka” rispose inclinando la testa in avanti, e coprendo con le sue mani quelle della compagna, intrecciate sul suo grembo.

“In cucina ti ho lasciato la colazione, poco fa ho cambiato la bambina,” si fermò un attimo, “...spero, più o meno… e ho lasciato anche il latte pronto, immagino che servirà presto...” continuò con leggero imbarazzo.

“Per quanto mi riguarda pensavo di uscire, ma adesso non so più se ne ho molta voglia...” concluse stringendo leggermente la presa, sfiorando ancora il collo della giovane violinista.

Michiru rise piano, solleticata fisicamente e non solo. Si voltò su se stessa per incrociare il viso di Haruka, e si immerse per un attimo nel verde intenso dei suoi occhi. Ebbe l’impressione che fossero diversi rispetto al giorno prima, più sereni, forse? Come sempre però, non mancarono di incantarla.

Il risveglio di Hotaru le riportò al punto. “Vedrai che adesso vorrà mangiare, forse aspettava te” scherzò la pilota facendo l’occhiolino.

Michiru si avvicinò al letto e tirò su la piccola, che a prima vista non sembrava sistemata poi così male.

“Allora dovrò tornare al piano originale...” riprese con un sospiro volutamente esagerato. “Faccio un giro per raccogliere notizie sul dottor Tomoe, e poi passo al circuito per capire com’è la situazione… e stasera andiamo fuori, e Hotaru viene con noi.” concluse col suo sorriso più ammaliante. “Va bene?”


 

“Mi stai dicendo che non c’è più traccia di Hotaru adolescente nei documenti pubblici?” esclamò Michiru incredula, pur cercando di mantenere un tono di voce adeguato al locale lussuoso dove si trovavano.

Haruka aveva scelto un ristorante panoramico a Ginza, frequentato in prevalenza da turisti stranieri, e pertanto piuttosto anonimo per loro due. Inoltre, proprio perché turistico, forniva tutto il necessario per tenere la bambina al tavolo nel migliore dei modi.

“È così.” replicò la pilota. “Sono riuscita a recuperare i registri del Mugen, e non è mai stata iscritta. Poi ho fatto una ricerca all’anagrafe, e l’unica figlia di Tomoe Souichi, Hotaru, risulta nata pochi mesi fa.”

Il cameriere si avvicinò per portar via i piatti vuoti, poi si allontanò di nuovo.

“Ma non è finita qui. A questo punto sono andata a cercare una delle insegnanti della classe di Hotaru, e quando le ho chiesto della figlia del professore, senza nessuna esitazione ha detto che sfortunatamente l’aveva vista solo in fotografia, e che quando ne avevano parlato poco tempo fa, Tomoe le aveva raccontato che la bimba smaniava per i dentini.”

“Quindi è stata alterata anche la memoria collettiva...” commentò Michiru scorrendo con lo sguardo sugli altri tavoli della sala. “Questo facilita molto le cose… anche se non capisco come sia stato possibile.” continuò rivolgendosi di nuovo alla compagna. “Soltanto Sailor Pluto ha il potere di intervenire sul flusso spazio-temporale, ma sappiamo bene che le è proibito farlo.” concluse con un velo di tristezza.

“Magari fa parte del potere di rinascita di Sailor Saturn… oppure le interferenze sono ammesse per aggiustare quegli avvenimenti che altrimenti risulterebbero inspiegabili.” replicò Haruka senza scomporsi. Restò un attimo silenziosa, poi riprese. “Beh, inutile fasciarsi la testa adesso… prima o poi sarà lei a spiegarcelo.”

“Cosa intendi dire?” chiese la violinista, dubbiosa.

Haruka increspò le labbra in un sorriso.

“Dimentichi che Sailor Pluto è arrivata dal futuro, per combattere con noi… il che significa che qualunque cosa le sia successa, è ancora viva e starà bene. Sono certa che la incontreremo di nuovo.”

Michiru rifletté un attimo su quella considerazione, e non potette che condividerla. Sorrise.

“Alla fine tutto si è risolto per il meglio, allora.” Si voltò verso la bimba, che sembrava osservarle dalla sua cullina, e la prese in braccio. “Presto tornerai dal tuo papà, lo sai piccola? Molto presto...” disse piano, con un misto di contentezza e delusione.

“In verità non proprio tutto...” disse Haruka seguendo il filo dei suoi pensieri. “La Sacra Coppa è andata distrutta… e con essa il potere supremo destinato al Messia.”

“Ma Sailor Moon è riuscita a evocare il potere supremo anche dopo che il Graal era andato in frantumi...” rispose la violinista con tono accomodante.

“Certo, è vero. Ma ti ricordi cosa ci disse Sailor Pluto prima di svanire? Se doveste incontrare il vero Messia… come facciamo ad essere sicure che non sia stato un evento eccezionale, che non ci sia riuscita solo perché mossa dalla disperazione? Come facciamo a sapere se ha fatto proprio quel potere, se riuscirebbe ad utilizzarlo ancora?” replicò Haruka, infervorata.

Michiru le fece cenno di moderare il tono, lei incrociò le braccia e si mise in silenzio a guardare la città illuminata attraverso le vetrate.

La guerriera di Nettuno sospirò, rimettendo la piccola nella cullina. Haruka alle volte vedeva problemi anche dove non c’erano, e non era mai semplice dissuaderla. Si preparò a un dibattito acceso.

“È la principessa del Silver Millenium, Haruka. Anche se abbiamo un ruolo diverso dalle altre guerriere, e non combattiamo insieme a loro, siamo comunque destinate a servirla e proteggerla, tu, io e Sailor Pluto.” cominciò pacatamente, sperando di farla ragionare. “Dubiti ancora di lei dopo tutto quello che ha fatto sotto i nostri occhi?”

“È stata sconsiderata, e non ha avuto fiducia in noi.” replicò senza distogliere lo sguardo.

“Le abbiamo proposto di uccidere Hotaru, secondo te poteva fidarsi e darci retta su una cosa simile?”

“Ha consegnato il Graal al nemico con le sue mani. Gli ha messo a disposizione coscientemente l’enorme potere della Coppa, nonostante l’avessimo scongiurata di non farlo. Neanche su questo poteva fidarsi?” ribatté con la voce scalfita dalla rabbia.

“Su questo hai ragione. Ma neanche noi ci siamo fidate di lei. Era difficile per tutti, avevamo visioni così opposte… ma pensi davvero che l’esito della battaglia sia stato frutto del caso? Non è così, Haruka… persino Sailor Saturn, la Guerriera della Distruzione, non ha esitato a schierarsi con lei, solo noi non le abbiamo creduto!” concluse Michiru esasperata.

La bionda pilota non rispose, le mani a stringere le braccia, lo sguardo sempre fuori. Sembrava combattuta, anche se non lasciava trapelare emozioni dal volto tirato.

Rimase così per qualche minuto, poi finalmente si voltò.

“Non la riconoscerò prima di essermi accertata che sia lei, il vero Messia. Lo devo, anzi, lo dobbiamo a Sailor Pluto!” esclamò categorica, posando le mani sul tavolo, certa che l’argomento finale fosse incontrovertibile.

Michiru chiuse gli occhi. Cos’è che ti spinge, Haruka? Davvero dubiti ancora? Oppure cerchi una scusa per riallacciare i rapporti… ma per orgoglio vuoi farlo a modo tuo?

Riaprì gli occhi e mise la mano su quella della compagna, con espressione decisa. “E sia.”


 

Haruka sistemò nel bagagliaio il borsone con le cose di Hotaru, attese che Michiru si accomodasse a sedere con la piccola in braccio, le chiuse la portiera, girò intorno alla macchina e raggiunse il posto di guida.

Il sole splendeva alto nel cielo mattutino, era un’altra magnifica giornata. Erano state tutte così, dopo la distruzione dell’Istituto Mugen, come se una pesante cappa fosse stata spazzata via definitivamente dalla città; o almeno, così le piaceva pensare.

Anche lei si sentiva più leggera. Erano passati due giorni dal misterioso episodio avvenuto con Hotaru, e da allora il suo approccio nei confronti della guerriera rinata non era stato più lo stesso. Non aveva detto niente alla compagna, anche perché alla fine si trattava soltanto di sue interpretazioni, e lei stessa a momenti si sentiva sciocca, ripensandoci. Così come in apparenza non aveva cambiato i suoi comportamenti, si sentiva comunque molto più a suo agio lasciando che fosse Michiru ad occuparsi di lei. Però… quel calore, quella serenità che aveva provato, quel senso di comunanza… in cuor suo aveva sentito che Hotaru non portava loro rancore, ma anzi, le cercava, le voleva vicine. Era incredibile, sì. Ma ne era certa.

E da allora si era sentita pervadere da un misto di gratitudine e di affetto, caldo, avvolgente affetto per quella creatura indifesa che in un attimo le era diventata cara, e che aveva desiderato ardentemente proteggere. Adesso l’avrebbero restituita a suo padre che, libero da influenze aliene, aveva dato prova di tenere molto a lei, e che meritava un’altra occasione. Entrambi la meritavano.

Sorrise, quasi a se stessa, e mise in moto. Quello era il giorno in cui avrebbero chiuso tutti i sospesi, e poi si sarebbero finalmente concesse quel tempo, lontane da tutto e da tutti, a cui da tanto ambivano. Niente problemi, niente battaglie: soltanto loro due, spensierate come ragazze normali, con un roseo futuro davanti da scrivere insieme, fino alla fine del mondo.

Gettò uno sguardo sulla compagna, che stringeva amorevolmente la bambina addormentata, e i momenti più importanti del recente passato le tornarono alla memoria: l’attrazione e il timore del primo incontro, lo stupore nella scoperta del proprio destino, il rifiuto rabbioso, di quel destino, ma anche e soprattutto la paura di scoprirsi, lasciarsi andare, togliere la maschera; e da ultimo, l’angoscia devastante della perdita, quella perdita che aveva privato ogni cosa di significato, mettendo a nudo spietatamente tutto quello che con tanto sacrificio aveva tenuto sopito fino ad allora.

Avevano lottato, entrambe, avevano speso tanto per la missione, in energie, paure, sofferenza; ma adesso contava soltanto il fatto che erano insieme, e questo per lei compensava tutto abbondantemente.

Tornò a concentrarsi sulla guida, l’ospedale era ormai vicino.


 

“Che ti prende?” chiese Haruka passando la mano sulla spalla della compagna, ferma all’ombra di un albero ed evidentemente triste. “È strano… sento già la sua mancanza.” commentò Michiru, osservando non vista la piccola Hotaru, seduta sulle gambe del padre, mentre si godevano la bella giornata nel parco antistante l’ospedale. Il professor Tomoe sarebbe rimasto per qualche settimana sulla sedia a rotelle, avevano detto i medici, ma soprattutto aveva perso ogni ricordo degli anni più recenti. Che dipendesse dai traumi subiti, o fosse parte di quella misteriosa alterazione della memoria collettiva che si era verificata, poco contava: quello che era certo era che adorava la piccola, e in questa nuova condizione avrebbero potuto recuperare tutto quello che si erano persi nella loro vita insieme fino ad allora.

Non è affatto strano, pensò la pilota mentre invitava dolcemente la violinista a voltarsi verso di lei, lontano da quella vista dolorosa.

Si lasciò sfuggire un sorriso di tenera complicità, poi si impose di cambiare argomento, per rendere la separazione più lieve.

“Su, adesso andiamo.” disse con voce ferma. “Prima di lasciare la città, abbiamo l’ultima cosa da fare.”

“Sì.” rispose Michiru con decisione, annuendo.

  
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