Fanfic su attori > Johnny Depp
Ricorda la storia  |      
Autore: Unusualize    25/06/2009    4 recensioni
Sento che non riuscirò mai a sentirla completamente mia finchè non riuscirò a strapparle di dosso quel dannato filo di perle nere...
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Dedicata ad Anna e Paola,
grandi amiche, con una tale grinta e sicurezza da poter governare il mondo se solo lo volessero.
Sono contenta di aver incontrato delle persone come loro.
Grazie.




Los Angeles.
Venerdi 18 Novembre. Ore 22:34.

Si muove davanti a me con una grazia e una lentezza studiata apposta per torturarmi.
Lei…
Non è in questa stanza nemmeno da dieci minuti, e già sento l’atmosfera riempirsi di quel tipico calore che solo un’amante come lei può portare. Sono seduto sulla poltrona lisa del mio primo appartamento, che mi sono trascinato dietro in questo stanzino di pochi insulsi metri quadrati che sta sopra casa mia, quello riservato ad incontri privati come questo. Le braccia le ho sui braccioli, pieni di buchi e rattoppati in più punti, la testa è abbandonata all’indietro, i capelli semi lunghi spettinati, le gambe accavallate in una posa decisamente poco galante. Sono distrutto: la giornata di lavoro è stata intensa. Ma non m’importa, perché lei ci fa caso. Non nota nemmeno che la guardo.
E’ girata verso la specchiera e mi mostra la schiena dove ricade una cascata di capelli ricci, neri come il petrolio e come l’abito che indossa: lungo e attillato. Lascia ben poco all’imaginazione! Il corsetto stringe attorno ai fianchi, avvolgendole il torso in un abbraccio nero, dove si riconoscono solo i ghirigori decorativi color argento a forma di spirale nel buio della stanza.
Inclinando la testa di lato la riesco a vedere riflessa nello specchio: impossibile non notare il contrasto tra la sua pelle color del latte e le labbra, talmente scure, piene, invitanti in questo momento come quando sono aperte in un sorriso. Gli occhi sono quasi totalmente coperti dalla palpebre mentre si osserva le lunghe dita affusolate della mano sinistra e si leva la fede nuziale. Le palpebre rimangono a mezz’asta anche quando si porta la mano destra al cuore e sfiora gentilmente un filo di perle nere che le accarezza l’ampia scollatura.
The string of pearls
Non faccio in tempo a pensare a quanto odio quel gioiello e chi glielo ha regalato che si volta e mi sorride. A mia volta alzo gli angoli della bocca scoprendo per un secondo gli incisivi.
Cammina verso di me con una una leggiadria mozzafiato: da quei pochi passi che ha fatto per raggiungermi emerge tutta la sua classe. Mi è sembrata una modella tanta era la sua sicurezza e la sua compostezza. Mi fissa attentamente negli occhi mentre fa scorrere le sue piccole mani delicate sulle mie braccia, ancora distese, quasi volesse leggere nella mente i pensieri più impuri che riesco a concepire nel sentirla così vicina, questa dea della notte.
Le mie di mani si muovono lentamente, mentre le sue si sono fermante sulle mie spalle, sui suoi fianchi, sulle sue anche; faccio scorrere le dita sulle sue gambe, sopra il tessuto leggero della gonna ampia, e piegandole le ginocchia la costringo a sedersi su di me.
Sorride divertita mentre affonda le affusolate dita tra i miei capelli e appoggia la fronte contro la mia. Gioca con le mie labbra stuzzicandole con la lingua, sfiorandole con le sue, mordendole quando sente le mie dita indaffarate a levarle in vestito. Le sue mani scendono piano sul mio petto aprendo i bottoni della camicia uno ad uno: in conteporanea, vestito e camicia finiscono sul pavimento.
Non parla, non dice una parola… dopotutto non ne abbiamo bisogno. Abbiamo solo bisogno di essere noi stessi, una volta a settimana, di levarci quelle maschere da semplici amici che indossiamo costantemente e scoprirci uno all’altra. A proposito di maschere: com’è che non s’è ancora tolta la parrucca? Attiro la sua attenzione completa quando affondo una mano in quel mare nero; lei inarca le sopracciglia confusa e si tocca la testa.
Poi ride:- Finisco per dimenticare che ce l’ho sulla testa… -
Armeggia con le mollete che ha nei capelli e se la toglie lanciandola di lato. Una cascata di riccetti di un rosso ramato tipico inglese ne prende il posto. Ora sì che la riconosco col suo niveo incarnato, le labbra piene, i capelli rossi e quei suoi occhioni scuri tanto simili ai miei.
Si, avete capito bene…
La rossa si alza dalla poltrona e cammina fino al letto stendendosi sopra: nella penombra scorgo appena le sue lunghe gambe, teneramente illuminate dalla luce lunare che entra timida dall’unica minuscola finestrella della stanza. Il lungo indice sinistro, elegante, mi fa cenno di avvicinarmi e non posso fare altro che obbedire, stregato e ammaliato, costretto ma consenziente. Faccio per sedermi sul materasso e mi tende le braccia in un suadente invito. Accenno un sorriso e mi avvicino sempre di più: mi ritrovo col volto immerso nell’incavo della sua spalla e sento le sue braccia avvolgersi attorno al mio torso.
Tranquilli, quando forse non dovremmo esserlo, ci abbandoniamo a sensazioni troppo travolgenti per essere fermate.

&&&

Los Angeles.
Sabato 19 Novembre. Ore 01:27.


E’ proprio vero che se guardandoti mi gira la testa, avendoti, mi vengono le vertigini.
Tasto alla cieca sul comodino accanto al letto finchè non trovo sigaretta e accendino. Un semplice gesto e mi ritrovo a intossicarmi i polmoni, mentre l’aria si riempe di questo strano odore pungente quanto basta per essere sopportabile. La stessa aria che prima era solo piena dei suoi piccoli gemiti e delicati lamenti. Mi sento impazzire quando la vedo schiudere le rosse labbra piene per farne uscire un gemito, quando inarca la schiena e sento il suo petto strusciare contro il mio, quando stringe le lenzuola tra le unghie quasi perforandole.
Ora si è tranquillamente addormentata al mio fianco, dopo alcune ore consumate insieme, la testa appoggiata al mio petto ampio, come le mani. Eppure, per quanto mi senta calmo e sollevato nel guardarla, non posso non provare un senso di ribrezzo nei confronti di quel filo di perle. Non mi ha permesso di levarglielo… di nuovo! Non mi permette nemmeno di toccarlo. Ricordo una delle nostre prime notti insieme: l’avevo abbracciata da dietro e le stavo baciando il collo quando feci scorrere una mano sul suo petto. Fui intralciato da quella collana e la strinsi rabbiosamente tra le dita, volendo strapparglielo di dosso. Fu allora che lei si allontanò sussurrando:- Non devi osare, Johnny. Mai!-
Poi aveva liquidato tutto e aveva ripreso a baciarmi, e io dovetti ancora accontentarmi di averla quasi tutta per me. Già, perché (e succede sempre) quando cerco di stringerla di più, quella collana impedisce il contatto totale tra di noi: rabbrividisco quando mi sfiora il petto. E’ come se fosse suo marito, che mi ricorda che non sarà mai totalmente mia finchè non riuscirò a strapparla da lui e da quel dannato filo di perle.
E pensare che ha gioielli migliori: al suo ultimo compleanno ha ricevuto in regalo un collier di diamanti diciotto carati, eppure mai una volta glielo visto addosso. Forse perché due mesi dopo arrivò una catenella d’oro nel suo portagioie. E poi ancora un ciondolo d’argento a forma di cuore con la sua iniziale incisa sopra. Mai messi: tutti ancora sigillati nei loro astuccetti e nascosti nella cassaforte, lontano dagli occhi e dal cuore di una moglie zittita dal marito, che si diverte ad avere diverse scappatelle mentre viaggia per il mondo, con regali costosi. Compra il silenzio della consorte con oro e argento, non rendendosi conto di quanto lei soffra nell’aprire quegli astucci e a sorridere grata, ad indossare, anche solo per poche ore, quei gioielli non comprati per amore ma solo per sicurezza.
Quel filo di perle nere è l’unico gioiello che rifiuta di rinchiudere con gli altri: questo è stato il primo regalo che ha ricevuto dal marito, per il loro primo anniversario. Lo ricordo bene, c’ero anch’io: lei era bellissima fasciata in un vestito bordeaux, colore ripreso dal rossetto con cui aveva pitturato le labbra aperte in un sorriso radioso per tutta la serata, mentre stava abbracciata all’uomo che, appena un anno prima, aveva giurato di amare per la vita. Poi, quando lui le aveva messo quel filo di perle al collo, gli occhi le erano diventati lucidi e qualche lacrima le corse lungo le guance. La timida rossa disse che se lo aspettava, ma si era ripromessa di non piangere.
E pensare che ora non fa altro. Cosa può fare una donna quando, aprendo il portagioielli, riesce a contare il numero dei tradimenti del marito misurandoli in carati, o, letteralmente, a peso d’oro?
Sento qualcosa di caldo scorrere sul mio petto. La guardo: sta piangendo.
Anche nel sonno…
Cosa stai sognando, angelo mio?

Quasi volendola consolare stringo un po’ più forte il braccio attorno alle sue spalle nude. Poi assieme alle lacrime che mi bagnano mi rendo conto che qualcosa mi sta solleticando: le sue ciglia. Si è svegliata.
Sbatte velocemente le palpebre per cacciare le gocce di pianto e si passa il dorso della mano destra sulle guance umide.
-Scusami… -sussurra lei passando l’altra mano sul mio petto.
-Scusami tu- rispondo facendo un altro tiro e lasciando che la cenere della sigaretta cada sul pavimento- Ti ho svegliata?-
-Meglio così- bofonchia nell’incavo della mia spalla.
-Brutto sogno?-
In risposta alza le spalle e mi ruba la sigaretta dalle dita inspirando profondamente. Chiude gli occhi e rilascia il fumo che si condensi in una nuvoletta bianca davanti alla bocca scarlatta. E’ incredibile quanto sia sexy anche quando si avvelena i polmoni. Allunga una mano oltre il mio torso e spegne il mozzicone nel portacenere sul comodino.
Le cingo piano la schiena con le braccia e la sento strisciare su di me, ricambiando quel gesto di affetto poggiando le labbra umide sul mio collo, carezzandolo. Le scosto i capelli rossi dietro le spalle e la imito ricalcando gli stessi baci che già le ho lasciato su tutto il corpo, così che stiano ancora per qualche ora sulla sua pelle. Un secondo e le posizioni si ribaltano: mi ritrovo a sostenermi sulle braccia, le mie labbra quasi fuse col suo corpo steso sul materasso, e la sento agitarsi quel poco che basta per mandarmi su di giri.
Respira pesantemente comprimendo i seni contro il mio petto, quando riempe d’aria i polmoni, e diminuendo le distanze, quando mi stringe a sé passando entrambe le braccia attorno al mio torso. Le sue delicate mani percorrono la mia schiena delineando ogni singolo muscolo contratto che incontrano sulla loro strada. Leggere e suadenti, sento i polpastrelli carezzarmi procurandomi dei brividi lungo la spina dorsale. Se ne accorge e sorride aumentando, quasi impercettibilmente, l’intensità nelle mani. A rabbrividire così mi sento terribilmente inerme, quasi fossi tornato ragazzino, alla mia prima scopata. Mi prende il volto tra le mani e incatena i nostri occhi per alcuni intensi secondi, per poi stringermi al suo petto e inebriarmi del profumo della sua pelle.
Siamo la bella e la bestia…
La mano destra si ferma sulla mia spalla sinistra tracciando i contorni del deltoide, soffermandosi su un punto in particolare dove la pelle è più scura e ruvida. Sfiora le tre cicatrici che lei stessa mi ha lasciato.
… ma spesso e volentieri dimentichiamo chi è chi.
Solitamente la bestia è lei. Lei è quella che da inizio a tutto baciandomi fino a lasciarmi senza fiato, lei quella che mi trascina sul letto, lei quella che prende posizione per prima…ma c’è stata una notte in cui la bestia sono stato io.

Abbiamo imparato un’importante lezione da quella sera: MAI mischiare alcool e stress!
Un uomo. Una donna. Una giornata di lavoro pesante. Birra a volontà in cantina.
Mischiate tutto insieme ed otterrete due persone ubriache fradice che, sedute sul pavimento scheggiato di un malandato monolocale, conversano con frasi che, ripensandoci, non avevano né senso né un filo logico. Poi accadde, nemmeno ricordo come: ricordo solo i fiumi di lacrime in quell’unione furiosa, senza amore. Capivo che le stavo facendo male, e anche di brutto, ma l’acool che avevo ingerito mi impediva di fermarmi finchè non sentì un dolore acuto alla spalla sinistra. Le ci volle un secondo (quello in cui mi portai la mano destra alla fonte del dolore) per separarsi violentemente da me. Ritrassi la mano macchiata di sangue: mi aveva piantato le unghie nella schiena fino a strapparmi la pelle. Intanto lei si era alzata e riparata nel letto, sotto le coperte, soffocando i singhiozzi con una mano davanti alla bocca. Le scivolai accanto nell’ombra, senza farmi sentire, e le posai una mano aperta sul ventre. La sentì trattenere il respiro e contrarre i muscoli per alcuni secondi. Poi si rilassò, ma le lacrime continuavano a correrle sul viso. Mi sono addormentato sentendola piangere, per la prima votla, sapendo che era colpa mia.
In ricordo di quella folle notte, la mattina dopo, ho trovato le lenzuola e il pavimento macchiati di sangue e tre cicatrici sulla mia spalla sinistra. E in fretta come ho tolto il liquido rosso dalla stanza, abbiamo rimosso il ricordo dalle nostre menti. E’ subito tornata da me, la settimana dopo.
Non le feci domande. Ci sdraiammo a letto, sopra le lenzuola, abbracciati, godendoci quel momento di dolce riconciliazione bruscamente interrotto da un cellulare che cominciò a squillare.
Si alzò di fretta e rovistò nella borsa finchè non trovò il telefono. Ancora non feci domande: sapevo chi era.
-Ciao amore… -
Amore…
Sei è lui il tuo amore, io chi sono?
E’ una domanda che mi brucia dentro da quando ho sentito questa frase uscire dalle sue labbra, schiuse in un finto sorriso.
Sei è lui il tuo amore, io chi sono?
Io credo che bisogni chiamare “amore” una persona che ricambia fiduciosamente l’affetto che nutri per lui…
Lui non lo fa…
Una persona che ti sa ascoltare quando ne hai bisogno e che viene subito da te se ha un dubbio, o se vuole un consiglio…
Lui non lo fa…
Una persona che ti ricorda ogni giorno quanto ti ama: non necessariamente con le parole, ma lo fa con gesti, sguardi, anche solo con una carezza…
Lui non lo fa…
Eppure: lo chiama amore!
Non credo che riesca a capire che quella collana che le ha regalato per il loro primo anniversario non ha più valore: quel filo ha risentito dei pianti della padrona e del suo dolore tanto da abbandonarla lungo la strada, come l’amore del marito.
Lei ne è tanto attaccata perché glielo ha regalato il suo VERO amore, quello che consideravo anche il mio migliore amico…
Ma lui è cambiato, tanto che io perfino non lo riconosco più… eppure quella cocciuta di una donna crede ancora ingenuamente che sia l’uomo che ha sposato sette anni fa.
Quindi se lui è il suo amore...
se lui è capace di darle tutto quello che una vera persona che la ama farebbe,
perché torna da me ogni settimana?

Mi sta ancora accarezzando mentre ripesco questa domanda nella mia mente, completamente abbandonata alla fantasia e al ricordo in questo romantico momento. Ho gli occhi chiusi cercando di immaginare le sue piccole mani sfiorarmi come sfioravano i tasti del pianoforte quando aveva appena sei anni. Un sbuffo e apro gli occhi: ha portato gli occhi alla sveglia sul comodino.
Le 4:30. Per questa settimana abbiamo concluso.
Mi sposto sull’altra piazza del letto e la guardo mentre si china per raccogliere gli abiti da terra. Ancora completamente nuda, senza un’esitazione di pudore, si alza per trovare l’abito scuro e la parrucca. Sento un calore ben noto impossessarsi di nuovo del mio intero oraganismo e un rivolo di una sostanza trasparente mi esce da un angolo della bocca: oh, cazzo, ora mi sono messo adirittura a sbavare! Con un angolo del lenzuolo tampono le labbra pochi secondi prima che si riavvicini al letto regalandomi l’ultimo bacio della notte, il primo della mattina. Poi sorride e fa per andarsene; allora faccio una cosa che non ho mai fatto: la prendo per un braccio e la blocco. I capelli rossi sibilano mentre di scatto volta la testa e mi lancia un'occhiata confusa.
Non so cosa le giri nella testa in questo momento: non ho mai osato fermarla quando decideva di andare via perché sapevo che ogni minuto per lei era fondamentale. Un minuto e poteva saltare tutto il piano che avevamo escogitato per non farci mai scoprire insieme.
Ma io voglio, io devo, sapere!
-Perché… ?- sussurro debolmente.
Lei, ancora più confusa e spaventata, siede sul bordo del materasso accanto a me e mi scosta una ciocca di capelli dal viso. Non ho ancora mollato la presa sul suo braccio.
-Perché torni da me ogni settimana?-
La vedo sospirare quasi sollevata e sorridere maliziosa. Passa le dita dietro la mia nuca, obbligandomi ad alzare la testa e, chinandosi appena, mi bacia ancora. Ora sono io quello confuso.
-Routine, Johnny…- mormora con voce carezzevole e roca -Sono schiava della routine, che mi impegna da te ogni settimana-
Non riesco a trattenere la delusione che mi dipinge il volto in una strana smorfia. La lascio andare: va bene così. Non riuscirò a strapparle più di quello che mi ha detto, questa notte.
Arriva alla porta e la apre. Si volta, mi sorride. Vedo le perle che porta al collo luccicare.
-E’ troppo complicato da spiegare ora, John… e non abbiamo più tempo- mi dice.
Annuisco: cosa altro posso fare?
Si chiude la porta alla spalle.
Il silenzio piomba nella stanza interrotto solo per pochi secondi dal cigolare della rete del letto mentre mi metto a sedere con la schiena appoggiata alla testata.
Helena Bonham Carter
Ripeto il suo nome come se lo trovassi dolce.
-Helena Bonham Carter, riuscirò a strapparti dall’incanto fasullo di quel filo di perle nere… è una promessa del tuo vero amore… me-

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Johnny Depp / Vai alla pagina dell'autore: Unusualize