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Autore: Adeia Di Elferas    02/01/2018    3 recensioni
Il 20 maggio 1468 vennero celebrate le nozze per procura tra Galeazzo Maria Sforza e Bona di Savoia. Questa unione stravolse più di una realtà e mise il Duca di Milano davanti a una delle rinunce più pesanti della sua vita...
(Questa storia può essere letta come uno spin off della mia storia principale: Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo)
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
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Bianca Maria Visconti attese con pazienza che la sua dama di compagnia le sistemasse i capelli per la notte e poi le chiese di lasciarla sola.

Quello, per lei, era stato un giorno di grande tribolazione. Nemmeno la pace che le dava la vista di Cremona oltre la finestra la faceva star meglio e a nulla era servito provare ad assaggiare un po' di vino o distrarsi con la lettura.

Aragona, Gonzaga, Venezia... Aveva scomodato tutti, aveva scritto parole molto chiare a ciascun potente della penisola e adesso poteva solo aspettare le loro risposte, sperando che non fossero vaghe o ipocrite.

In realtà non voleva tradire il lavoro di una vita. Quando suo marito Francesco era al suo fianco, le aveva insegnato a tenere a bada il suo carattere troppo impulsivo e l'aveva istruita a dovere su cosa fossero le norme diplomatiche e su come utilizzare le sue doti per piegare gli altri al suo volere.

Dunque, non aveva intenzione di far credere che Milano fosse in crisi. Nemmeno se costretta avrebbe mai lasciato il Ducato, benché avesse messo in giro la voce opposta, a Venezia o a Napoli.

Però le premeva che tutti sapessero della profonda e insanabile spaccatura tra lei e suo figlio Galeazzo Maria.

Sebbene avesse cercato fino alla fine di riallacciare con lui, di appianare le loro divergenze, si era dovuta arrendere alla realtà. Adesso doveva solo capire da che parte si sarebbero schierati i potenti d'Italia.

Da un lato c'era lei, quarantatrè anni e un passato a reggere la corte di uno Stato grande e complesso come Milano. Dalla sua aveva una capacità rara di tenere in pugno le sorti del Ducato e di supplire alle mancanze di suo marito. E aveva anche dimostrato di essere una madre e una donna ammirata e amata dal suo popolo.

Dall'altro c'era il suo figlio primogenito, Galeazzo Maria, un uomo di appena ventiquattro anni, arrogante, violento e presuntuoso, capace di cambiare fronti e alleanze con la stessa velocità con cui poteva cambiare abito. Interessato solo alla caccia e alle donne, difficilmente era stato capace di farsi notare e apprezzare dai milanesi e, se solo suo padre non fosse morto tanto all'improvviso, probabilmente per lui si sarebbe pensato a una sorte diversa, piuttosto che renderlo il nuovo Duca di Milano.

Con un sospiro denso di preoccupazione, Bianca Maria andò un momento allo specchio e si guardò, riflessa alla luce delle candele.

Dimostrava ormai più della sua età e ogni ora di angustia le aggiungeva almeno un anno. La sua espressione, un tempo decisa, ma piacevole, stava diventando sempre più marmorea e impenetrabile.

Se Francesco l'avesse vista in quel momento, probabilmente non l'avrebbe riconosciuta.

Andando a coricarsi, quella che per tutti era stata per anni la Signora di Milano, la Duchessa si trovò a pensare al matrimonio che stava per tenersi ad Amboise. Ancora qualche giorno e Galeazzo Maria avrebbe preso una sposa scelta dal re di Francia e quella Bona di Savoia sarebbe stata la nuova Signora di Milano.

Con un altro sospiro, più mesto del primo, Bianca Maria ripensò a suo marito. Le mancava come l'aria. Da quando era morto, non era mai riuscita a darsi pace. E la cosa che la feriva più di ogni altra, era vedere il loro primo figlio, Galeazzo Maria, diventare ogni giorno più diverso da Francesco.

Come aveva avuto modo più di una volta di notare, quando le avevano detto che comunque 'egli è figlio di suo padre', Bianca Maria aveva sempre dovuto rispondere: “Il signor Duca Galeazzo è di altra natura...”

 

Bona di Savoia osservava un po' impacciata Tristano Sforza, fascinoso trentanovenne, fratellastro del Duca di Milano, Galeazzo Maria.

Era stato mandato lui ad Amboise, per celebrare le nozze per procura.

Quel giorno, appena prima della cerimonia, l'uomo si era intrattenuto un po' con lei, usandole molti riguardi, tra cui il parlarle in francese, benché la stessa Bona, poi, l'avesse pregato di usare la lingua di Milano, in modo da cominciare ad abituarsi.

“Siete una donna di rara grazia – aveva detto allora Tristano, osservano i colori chiari e gli occhi ingenui della sua futura cognata – e il vestito che indossate è incredibilmente fine ed elegante. Non è che sareste tanto gentile da dirmi chi ve l'ha confezionato?”

E con quel pretesto, lo Sforza aveva messo a suo agio Bona, iniziando a parlare di tessuti e abiti, finendo poi con chiacchiere prettamente femminili, che, lì per lì, avevano un po' spiazzato la ragazza.

Solo dopo qualche minuto, però, la giovane comprese che a Tristano quegli argomenti interessavano davvero e, dopo che il milanese si lasciò sfuggire un mezzo apprezzamento per uno dei servi che aveva portato loro da bere, la futura Duchessa non ebbe più dubbi circa il suo quasi cognato.

Così, quando il prete officiò il matrimonio per procura e si arrivò alla seconda parte del contratto, Bona si lasciò portare con gran docilità fino alla camera da letto che era stata scelta per l'occasione.

Alla luce tremola delle candele e del camino – acceso per combattere il freddo che non voleva lasciare la Loira benché fosse già il 20 maggio – Tristano era già steso sul materasso, in attesa.

La quasi diciannovenne francese venne fatta coricare accanto a lui e poi, come deciso in precedenza, sotto gli occhi di una discreta schiera di testimoni Tristano si scoprì una gamba e altrettanto fece Bona.

Quando si toccarono l'un l'altro con le gambe nude, il milanese le dedicò un piccolo sorriso quasi divertito e così anche la giovane si permise di tranquillizzarsi, benché il calore della pelle dell'uomo contro la sua le facesse uno strano effetto.

Quando anche quella parentesi venne ritenuta chiusa, Tristano si rialzò in fretta, fece il baciamano alla cognata e poi le sussurrò: “Mio fratello impazzirà per voi, ne sono sicuro.”

 

Lucrezia si voltò, tra le lenzuola, risvegliandosi con lentezza. Era pieno giorno, ma aveva dormito come un sasso. Le capitava ogni volta in cui Galeazzo Maria decideva di farle visita al mattino.

Quando aprì gli occhi, lo vide seduto contro la testiera del letto, lo sguardo corrucciato e le labbra increspate da una mezza smorfia.

“Cosa c'è?” gli chiese, stringendo un po' le palpebre contro la luce prepotente del sole che entrava dalla finestra.

Milano, in maggio, era già un calderone ribollente di afa e calura, scaldato dall'alba al tramonto da un sole enorme e troppo luminoso.

“Niente.” rispose lui, laconico come sempre, quando era pensieroso.

Lucrezia gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia ruvida di barba scura. Quasi infastidito, il ventiquattrenne si scostò un po', ma poi, quando la donna, di quattro anni più vecchia di lui, gli accarezzò il petto e gli sfiorò il collo con le labbra, smise di opporsi.

“Dimmi a che stai pensando...” insistette lei, allontanandosi proprio quando l'uomo stava per rispondere al suo silenzioso invito.

Per un momento i due amanti si guardarono l'un l'latra con attenzione, come a studiarsi, prima di procedere nel discorso.

Lucrezia ammirò come sempre la figura prestante e snella del suo Galeazzo Maria. I suoi capelli erano lunghi fino al collo, di un castano che lei aveva sempre trovato meraviglioso, ed erano anche un po' mossi, dandogli un'aria ancor più interessante. Le sue labbra, abbastanza piene e ben disegnate, le richiamavano solo l'eco dei baci che si scambiavano e così i suoi occhi, in quel momento distanti e freddi, a lei parevano sempre quelli ardenti e fieri che la fissavano quando in lui si risvegliava il desiderio. Aveva il naso grosso, adunco, che per molti era un segno distintivo degli Sforza, per altri solo un segno distintivo di bruttezza, mentre per Lucrezia era solo il naso dell'uomo che amava.

Galeazzo Maria, invece, stava rimirando le forme perfette della prima donna che avesse mai amato davvero. Quel corpo, così ben delineato, così terribilmente reale e terreno, tutt'altro che etereo, era stato per anni al centro dei suoi pensieri. Con nessun'altra l'amore era durato così a lungo. Per lui, quei capelli d'oro, quegli occhi color ghiaccio e quei lineamenti dolci e duri allo stesso tempo, erano stati la vita stessa per tanto di quel tempo...

“Ieri mio fratello Tristano mi ha rappresentato alle nozze con Bona, ad Amboise.” disse il Duca, piatto.

Lucrezia lo sapeva benissimo, ma si era imposta di non pensarci. Anche quando quella mattina Galeazzo Maria si era presentato alla sua porta, si era rifiutata di ricordarsi che il giorno prima, per la legge, era diventato un uomo sposato.

“E tu non temi che Tristano possa rubarti la moglie, con il suo fascino?” chiese la donna, con un piccolo sorriso, disperatamente alla ricerca di un modo per sdrammatizzare quella che per lei era un'autentica tragedia.

Il Duca le passò quasi con distrazione una mano sulla spalla e fece un profondo respiro. Lucrezia osservò il suo petto salire e scendere e desiderò poter fermare il tempo in quell'istante. Avrebbe voluto poter restare così, abbracciata al suo uomo, per sempre. Senza convenzioni sociali, né etichette di palazzo, tanto meno manovre politiche che prevedevano matrimoni con delle francesi...

“Ne avrei, di paura, e molta, se la mia sposa fosse dotata di barba, baffi e voce profonda.” ribatté Galeazzo Maria, deciso a ironizzare, come la sua amante sembrava in vena di fare.

Lucrezia rise un po', anche lei ben a conoscenza delle preferenze molto spiccate di Tristano per gli uomini, specialmente se molto belli, ma poi tornò seria e sussurrò: “Adesso sei un uomo sposato.”

“Noi potremo continuare a vederci.” fece notare il Duca, guardingo, mentre con il braccio teneva la donna ancor più stretta a sé.

Ella chiuse gli occhi per un momento, incredibilmente tentata di accettare, ma ormai aveva giurato a se stessa troppe cose, per tradire la propria parola solo per debolezza.

Anche se avvertiva vivido come non mai l'odore della pelle di Galeazzo Maria, e il rumore del suo respiro, e il calore delle sue dita su di sé, scosse piano il capo, affondando il volto contro il collo di lui e rifiutò: “No, adesso che sei sposato, io non ti voglio più. Non appena tua moglie arriverà a Milano, dovrai dimenticarmi.”

“Ma io ti amo ancora.” ribatté il giovane, staccando di forza Lucrezia da sé, per guardarla in viso.

“Dovevi pensarci prima.” disse lei, voltandosi dall'altra parte, per impedirgli di scorgere i suoi occhi azzurri che si stavano velando di lacrime.

“E far cosa?” chiese Galeazzo Maria, con rabbia, alzandosi di scatto dal letto e cominciando a vagare per la stanza con ampi passi: “Sposare te? Lo sai che non avrei potuto.”

“E perché? Tu sei il Duca di Milano!” lo rimbrottò Lucrezia, seguendolo con lo sguardo, mentre, nudo e furibondo, continuava ad andare avanti e indietro a passo di marcia.

“Lo sai che non avrei potuto. E poi sei una donna sposata anche tu, ormai.” concluse il Duca, fermandosi di colpo e guardandola in modo quasi minaccioso.

Il pensiero del Landriani, un uomo che le era sempre sembrato socievole, ma estremamente noioso, riempì la mente di Lucrezia che, facendo fatalmente subito il confronto con il ventiquattrenne che le stava davanti, si sentì morire, all'idea che per il resto della vita avrebbe dovuto sopportare un cortigiano goffo e paffuto, rinunciando a un uomo come il suo Galeazzo.

“Hai ragione.” concluse infine la donna, coprendosi fino al mento e puntando gli occhi al soffitto, costringendosi a non perdersi più nell'immagine dell'uomo che le aveva stravolto la vita: “E poi sono stanca di incontrati sempre qui, a casa di mia madre, come fossimo due fuggiaschi.”

Il Duca strinse le labbra. Fosse stato per lui, Lucrezia avrebbe sempre vissuto al palazzo, assieme ai loro figli. Era stata sua madre Bianca Maria a opporsi sempre. E lui non aveva mai trovato il modo di opporlesi con la dovuta forza.

Adesso, però, la vendetta per tutto, davvero per tutto quanto, si stava finalmente avvicinando...

Con fare sbrigativo, Galeazzo Maria prese i suoi abiti, lasciati sulla cassapanca e cominciò a vestirsi in fretta.

Lucrezia, allora, lasciò il letto e fece altrettanto. Il Duca l'aiutò perfino ad allacciarsi la veste, in uno slancio – a lui non troppo comune – di gentilezza.

“Ci vediamo domani?” chiese la donna, quando l'uomo stava per andarsene.

“Credevo non mi volessi vedere più.” ribatté lui, alzando il mento e facendo un'espressione glaciale.

“Solo dopo che tua moglie sarà qui a Milano.” precisò Lucrezia, mentre un rossore violento le coloriva le guance altrimenti pallidissime.

“Ci vediamo stasera, se preferisci.” fece il Duca, dopo un momento di esitazione: “Tanto non ho altro da fare...”

La donna annuì appena e lo seguì fuori. Appena furono nel salotto, si sentì qualcuno correre e la voce della domestica lanciare ammonimenti severissimi e irrevocabili.

Galeazzo Maria aveva capito subito chi fosse la causa di tanto scompiglio. Così, con già il sorriso sulle labbra, attese con pazienza, finché non vide arrivare sua figlia Caterina, di cinque anni appena, rincorsa dalla serva.

Da qualche giorno, su consiglio di Cicco Simonetta, i suoi quattro figli erano stati portati nella casa della nonna materna, per sottrarli alla vista dei dignitari stranieri che avrebbero accompagnato Bona di Savoia al palazzo.

“Cosa combini?” chiese il Duca, inginocchiandosi in terra e allargando le braccia.

La figlia, la seconda nata dalla relazione con Lucrezia, gli corse incontro e gli si strinse al collo con foga, dicendo con parole spizzicate qualcosa che aveva a che fare con suo fratello Carlo.

“Questa discola – disse la domestica, grande e grossa e con un fiatone incredibile – ha fatto piangere il fratello maggiore, perché l'ha battuto con le spade di legno e...”

Sia Lucrezia, sia Galeazzo Maria liquidarono la spiegazione con uno sbrigativo gesto della mano e si concentrarono sulla bambina.

Dopo qualche minuto di coccole e parole dolci, il Duca lasciò Caterina e le disse: “Vedi di fare la brava. Presto tornerai al mio palazzo e allora potrai esercitarti con tutte le spade che vuoi. Ma adesso lascia stare tuo fratello.”

La bambina fece segno di sì e poi, dopo aver salutato il padre, corse di nuovo via, in una nuvola di capelli biondi e risate.

“Vuoi vedere Chiara?” chiese Lucrezia, in un sussurro.

Chiara era la loro figlia più piccola. Non aveva nemmeno un anno. Il Duca, però, disse di no, facendo notare che l'aveva lasciata lì da poco e a breve l'avrebbe ripresa con sé.

Tuttavia, quando fu sulla porta, pronto a tornare al palazzo in cui abitava, prese una mano di Lucrezia e, benché avesse già deciso che anche quella sera sarebbe stato da lei, le sussurrò: “Già mi manchi.”

“Pensa anche ai nostri figli.” lo redarguì lei.

Il Duca strinse le labbra, sentendosi di nuovo in un vicolo cieco. Sapeva che Lucrezia era una madre attenta e affettuosa e non voleva privare i loro figli del suo affetto, tenendola lontana.

“Dicono che Bona di Savoia sia di buon carattere...” valutò a voce alta: “Magari riuscirò a trovare con lei un buon accordo.”

“Ci vediamo stasera.” lo salutò Lucrezia, facendo scivolare via la mano da quella di Galeazzo Maria.

L'uomo annuì e poi, infilandosi la berretta rossa di raso, uscì.

Rimasta vicino alla porta, Lucrezia sospirò. Non credeva che la moglie del suo amato sarebbe stata comprensiva. Magari avrebbe accettato i bambini, ma come avrebbe potuto accettare lei?

Stringendosi un po' nelle spalle, andò a una delle finestre che davano sulla strada e attese di veder arrivare Galeazzo Maria.

Lo seguì con lo sguardo, aspettando che alzasse gli occhi verso di lei. Lo faceva sempre.

Quella volta, invece, sembrava troppo preso dai suoi pensieri per ricordarsi che la sua donna aveva l'abitudine di guardarlo dalla finestra mentre si allontanava.

Lucrezia aveva ormai perso del tutto la speranza e stava per chiudere il vetro e tornare alle sue occupazioni, quando finalmente il ventiquattrenne Duca di Milano, a detta di tutti un uomo fatto di una pasta molto diversa rispetto al suo defunto padre, voltò la testa verso il palazzo e quando intercettò lo sguardo della sua amante, sollevò un mano in segno di saluto e le mandò un bacio.

 

 
   
 
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