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Autore: merty_chan11    02/01/2018    1 recensioni
-Royalty!AU
A Magnus non sono mai piaciute le cicatrici: le aveva sempre trovate macabre e raccapriccianti. Quelle sul suo corpo, poi, gli facevano quasi ribrezzo.
Ad Alex però piacevano. Era diventato quanto di più simile ci fosse ad un gioco quello di contarle e di tracciarne i contorni con le proprie dita. Serviva a ricordarle tutto ciò che la battaglia non le aveva ancora portato via.
Dal testo:
[...]
La seconda che notò era sul suo fianco destro.
Era un taglio, chiaramente un affondo di spada che avrebbe potuto rivelarsi mortale, divenuto ora una scia di un rosso scolorito che svettava sulla candida pelle dello scudiero.
Avevano diciassette anni. Magnus era stato in battaglia diverse volte prima di allora, ma da quest’ultima era tornato con un nuovo segno.
Ad Alex piaceva.
Le ricordava che Magnus era tornato da lei, che non era perito sul campo della guerra insieme ad altri centomila, e che non avrebbe dovuto fingere indifferenza per la sua scomparsa.
Dopotutto, Magnus era solo un semplice scudiero e lei una principessa. Non dovevano stare insieme. Non era il loro destino.
[...]
Buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Magnus Chase
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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N.d.A.
Ho provato ad utilizzare un generatore casuale di prompt trovato su Tumblr per scrivere questa storia. La traccia citava: "
Ogni volta che Magnus si sveste, Alex nota qualcosa di nuovo e bello sul suo corpo," e il Royalty!AU era il bonus datomi dal sito.
Spero che questo piccolo esperimento possa piacervi! La fanfiction non contiene alcuno spoiler.
Buona lettura,
Merty
 

Scars 


La prima fu una cicatrice a forma di stella.
Alex ricordava bene il giorno in cui aveva visto per la prima volta il corpo di Magnus, corpo segnato da tanti piccoli graffi più simili a fili d’erba di un rosa spento che a delle vere e proprie ferite. Il ragazzo era ancora uno scudiero, all’epoca.
Mandato dal padre lontano dal suo feudo per liberarsi di un secondogenito piuttosto scomodo, allontanato dalla sua stessa famiglia a soli undici anni per cercare lustro e prestigio altrove, Magnus era giunto alla sua corte pochi anni prima con soltanto una spada consunta e uno scudo in mano. E con tanta, tanta tristezza nello sguardo.
Alex non biasimava i genitori. Forse però un pochino li odiava per aver fatto questo a Magnus, al suo Magnus. Ma comprendeva il motivo di quella scelta, perché lei stessa era stata costretta ad essere educata al trono per un motivo più grande, per un disegno più completo che si rifiutava di vedere. E questo comportava che, prima o poi, avrebbe dovuto smettere di frequentare lo scudiero aspirante a diventare un guaritore.
La prima volta che si erano visti di nascosto, al riparo dagli sguardi velenosi della corte, ne avevano parlato. Magnus non voleva andare sul campo di battaglia; non voleva essere costretto a vedere la gente morire, e a uccidere a sua volta. Sentiva di essere portato per svolgere altre mansioni piuttosto che nell’arte di brandire una spada.
Alex l’aveva osservato con sincera curiosità. Era stata cresciuta con l’idea che tutti i ragazzi nascessero con una lama in mano. Non ci aveva però mai creduto troppo, perché lei stessa era stata più volte definita un’eccezione alla regola, e mai in toni colmi di ammirazione. Poi era arrivato Magnus, e tutto il suo mondo fatto di castelli di sabbia era stato inghiottito dalle onde. Le si era presentato davanti questo ragazzo scartato dalla sua famiglia perché figlio di troppo, dagli occhi grigi e gentili, che diceva di voler conoscere le arti mediche, e lei non aveva potuto fare altro se non rimanere affascinata dalla sua figura.
Era rimasta incantata dal modo in cui Magnus sembrava illuminarsi ad ogni suo sorriso o ad ogni qualvolta parlasse della sua vera vocazione. Detestava, e allo stesso tempo amava restare ore a guardarlo, a seguire con i suoi occhi le curve del suo viso, delle sue spalle, di tutto il suo corpo. Magnus era una meraviglia, un sole portato a corte per far splendere la sua buia vita da principessa di un regno che non l’accettava per ciò che era veramente.
Aveva tracciato i contorni di quella bizzarra cicatrice con le dita, troppo curiosa per poter stare immobile al suo posto in attesa che il ragazzo finisse di cambiarsi. 
Magnus aveva mugugnato, rabbrividendo. Il suo corpo era teso, una catapulta in procinto di scagliare il masso che avrebbe distrutto il portone del castello. E così accadde.
Alex ribolliva di rabbia una volta che Magnus ebbe terminato il suo racconto.
La principessa apprese che era stato il padre stesso a procurargli quella cicatrice, ad inciderla nella pelle di suo figlio con un coltello da cucina. Non si era nemmeno preoccupato di usare un’arma degna di tale nome da quanto lo detestasse.
“Ti ho inciso questa” aveva detto Magnus, lo sguardo vuoto e fisso sul pavimento, le mani abbandonate nella salda stretta di Alex “perché potessi ricordarti ogni giorno della tua infinita piccolezza. Tu non sei nessuno. Sei solo un punto nel cielo che presto sarà destinato a spegnersi e a essere oscurato da stelle più grandi e luminose. Sei una delusione come figlio. Avrei dovuto ucciderti al momento opportuno.”
Alex aveva poi fatto in modo che Magnus amasse quella parte di sé. Aveva fatto in modo che il ragazzo non si vergognasse di quel marchio, che lo accettasse e lo facesse il suo punto di forza. Nelle notti seguenti, Alex aveva percorso il contorno di quella cicatrice infinite volte, con le dita e con i suoi baci. Inventavano storie su quella piccola stella, storie per ridere e per avere il cuore più leggero.
In poco tempo, l’ombra che gravava su quell’astro si dissolse per sempre.
 
 
La seconda che notò era sul suo fianco destro.
Era un taglio, chiaramente un affondo di spada che avrebbe potuto rivelarsi mortale, divenuto ora una scia di un rosso scolorito che svettava sulla candida pelle dello scudiero.
Avevano diciassette anni. Magnus era stato in battaglia diverse volte prima di allora, ma da quest’ultima era tornato con un nuovo segno. 
Ad Alex piaceva. 
Le ricordava che Magnus era tornato da lei, che non era perito sul campo della guerra insieme ad altri centomila, e che non avrebbe dovuto fingere indifferenza per la sua scomparsa.
Dopotutto, Magnus era solo un semplice scudiero e lei una principessa. Non dovevano stare insieme. Non era il loro destino. 
Ma mentre le loro bocche si intrecciavano e le sue dita scivolavano sul nuovo marchio dell’altro,  sfiorandolo leggermente, non le importava. Erano troppe le parole che avrebbe voluto sussurrare quella notte all’orecchio dello scudiero; nessuna di queste assomigliava all’ordine di concludere il loro stupido gioco da innamorati. Mentre accarezzava con dolcezza i suoi capelli biondi, Alex non riuscì a trovare però la frase perfetta. Nessuna lo sarebbe mai stata, e non voleva dichiarare un qualcosa che non lo fosse. Non era da lei sminuire. E Magnus, Magnus meritava tutta la perfezione del mondo, ed era anche per questo che decise di non parlare affatto.
Lasciò che fosse il silenzio a scandire i rintocchi della loro notte insieme, dei loro respiri che pian piano si tranquillizzavano, e dei loro corpi, bianco porcellana contro sabbia scura, intrecciati sotto le coperte.
 
 
Alex perse ormai il conto di quante cicatrici Magnus avesse. 
Le battaglie aumentavano a dismisura, ed erano sempre più letali. In qualità di scudiero, il ragazzo non poteva nemmeno tirarsi indietro dal proteggere il suo cavaliere.
Spuntarono sempre più cicatrici, almeno una per ogni nuova battaglia. Mano, braccio, ginocchio, caviglia.
Il corpo di Magnus divenne una mappa piena di segni, alcuni grandi e altri piccoli, alcuni dalle forme particolari e altri che si rivelavano essere delle semplice linee che puntellavano tutto il suo candore.
Ogni qualvolta Magnus tornasse da una battaglia, compivano sempre lo stesso rito. Alex baciava qualsiasi nuova cicatrice e la sfiorava con le sue dita mentre con le altre stringeva quelle di Magnus.
Impiegavano ormai la maggior parte del loro tempo a guardarsi. Era come se si fossero resi conto di aver perso troppo tempo, durante tutti quegli anni, tempo sprecato a non essere l’uno accanto all’altra. Perché troppo affamato era il loro amore, come la guerra, e perché troppo letali erano gli artigli dello stesso, come le lame che affondavano nella pelle dello scudiero lasciando un segno del loro passaggio.
 
 
Avevano vent’anni quando Alex non vide Magnus la sera del ritorno dei guerrieri dall’ennesima battaglia. Non arrivò nella sua camera come da consueto, non fece capolino dalla porta con il suo sorriso imbarazzato, così lucente da rivaleggiare con il chiarore delle mille candele. 
Alex superò a perdifiato tutti i corridoi del castello, tutte le sale e le scalinate. Corse perché il suo cuore le diceva di farlo, corse perché un brutto presentimento si era instillato nella sua mente.
Magnus era lì, nelle tende poste nei giardini dell’enorme costruzione, il corpo che si piegava sotto il flagello della febbre.
Non le importava di essere vista, non le importava di cosa avrebbero pensato gli altri. Non le era mai importato e ciò non sarebbe certamente cambiato in quell’istante. Avrebbe lasciati volentieri marcire tutti all’Inferno se questo poteva permetterle di restare al fianco di Magnus.
Il ragazzo soffriva, Alex non poteva ignorarlo. La fronte era imperlata di sudore, piccole gocce che scorrevano lungo le guance terribilmente arrossate.
Sopra le vecchie, in un macabro dipinto scarlatto, Alex vide la nuova cicatrice. Il suo viso si tramutò in un’espressione di orrore mista a stupore mentre osservava l’ennesima ferita da battaglia di Magnus.
Era un taglio grande e sinistro, come se la morte stessa si fosse presentata sul campo di guerra ma avesse deciso all’ultimo momento di lasciare in vita il giovane uomo.
Magnus stava soffrendo tanto.
Sentiva i suoi lamenti, le sue urla che le graffiavano i timpani come se stessero per sanguinare. Faceva male vederlo ridotto in quelle condizioni. Gli occhi grigi erano quasi bianchi, del colore dei fieri stendardi del re suo padre, della sfumatura più candida e pura che potesse esistere. Ma erano spenti e vuoti e privi di quella calorosa allegria che era solita caratteristica dello scudiero.
Non l’aveva mai riconosciuta in mezzo a tutto quel dolore. Non c’era stata occasione in cui il ragazzo si svegliasse e associasse le forme del viso di colei che aveva di fronte a quelle di Alex, la stretta della mano alla sua, così inconfondibile quanto uguale tra quelle di centomila innamorati.
No, Magnus sembrava perfino non vederla. Ma la chiamava, ogni notte e ogni giorno, quando la febbre era troppo alta e nemmeno le pozioni potevano qualcosa contro i deliri di quel morbo.
E Alex non poteva fare nulla se non stargli accanto giorno e notte, ignorando le sue cortigiane e sua madre e suo padre. Rimaneva semplicemente nella tenda a cambiare le bende di Magnus, a scostargli i capelli dal viso con dolcezza quando i ciuffi biondi ricadevano sugli occhi, ad aiutarlo a bere le pozioni e a stringergli la mano per aiutarlo a reggere tutta la sua sofferenza. Rimaneva per fargli capire che non era solo, e che lei lo stava nuovamente aspettando. 
Anche se non poteva vederla.
Anche se non poteva sentirla.
 
 
“Non mi piace” aveva dichiarato Magnus con una smorfia dopo essere finalmente uscito dal suo periodo di convalescenza. Era stato dimesso, con suo grande sollievo, dal ruolo di scudiero. Erano conclusi per lui i giorni sul campo di battaglia, passati a menar fendenti e a tirare di spada contro tutti coloro che possedevano una casacca differente dalla sua. Era giunta la fine per gli stemmi, per gli scudi e per le lame.
Magnus non era più un guerriero e mai sarebbe tornato ad esserlo.
Alex era sull’orlo del suo letto, immobile, un sorriso sghembo disegnato sul suo volto. Era quasi prevedibile sentirgli pronunciare quelle parole. A Magnus non piaceva nessuna delle cicatrici che aveva sul proprio corpo. Ma ad Alex, ad Alex piacevano. E le piaceva sopratutto la sua ultima cicatrice, più grande e più brutale delle precedenti, soltanto perché pensava fosse un altro nuovo trofeo di cui Magnus sarebbe dovuto andare fiero. Era scampato dalla morte perché era troppo attaccato alla vita, perché il suo ruolo sulla Terra non era concluso e Dio solo sapeva quante grandi imprese avrebbe potuto ancora compiere.
Magnus non aveva mai dimostrato di esser stato un grande guerriero sul vero campo di battaglia, ma per Alex lo era.
E contava solo questo.
 
 
Avevano iniziato a viaggiare per il mondo.
Spagna, Inghilterra, Fiandre, Venezia, Firenze.
Ovunque andassero, Magnus aveva sempre qualcosa da imparare. Era diventato un guaritore dalla fama leggendaria, colui che riusciva a salvare perfino quelli in punto di morte, colui che portava speranza anche a chi oramai l’aveva persa tempo addietro.
Alex non poteva che essere fiera di lui. 
Magnus aveva preso ad istruirsi poco dopo la fine della sua carriera da scudiero, e subito aveva trovato la strada spianata di fronte a sé. Era vero, quello che si raccontavano tanti anni prima, nel timore dell’essere scoperti e nel candore dell’innocenza: Magnus aveva sempre avuto la vocazione delle arti mediche e ora quella era diventata un qualcosa di reale e non più una sciocca fantasia dell’adolescenza.
Metteva passione nella sua nuova arte; ogni fibra del suo essere era concentrata nell’atto di curare le persone.
Trascorsero gli anni così, girovagando per l’Europa aiutando le persone più bisognose. Non si fermavano mai troppo a lungo in uno stesso posto. Vi era stata però una volta, in un’isola del Mediterraneo, in cui avevano transitato più a lungo rispetto agli altri posti. Era piacevole stare lì, vicino al mare, con la brezza estiva che scompigliava i capelli.
Erano cambiati. Non sapevano se in meglio o in peggio. Non aveva importanza.
Alex aveva rinunciato al suo titolo di principessa cedendolo all’amata sorellastra. Era conscia di non essere adatta al suo ruolo di regnante. La corte rassomigliava troppo ad una gabbia, e lei non era fatta per stare dietro a delle fredde sbarre di ferro. Era fatta per viaggiare, per conoscere nuove culture e per coltivare le sue vere passioni. E per stare al fianco di Magnus, ovviamente.
Si erano sposati da pochi mesi. Era stata una cerimonia piccola, con pochi amici stretti. Magnus non aveva voluto invitare la sua famiglia. Lei non aveva voluto avvertire la sua. Era andato tutto bene, tra balli, risa e qualche bicchiere di troppo.
Il tempo trascorreva indolente, e le cicatrici sbiadivano con altrettanta lentezza.
Le battaglie scivolavano via dal corpo di Magnus diventando soltanto dei piccoli segni bianchi su una pelle già pregiata.
Rimasero solo alcune cicatrici: quella a forma di stella, quella che aveva segnato l’inizio delle sue battaglie e quella che le aveva fatte invece tramontare. 
Alex continuava ancora a tracciare i contorni di quelle sbiadite, solchi d’argento contro la pelle di perla, perché si ricordava della loro posizione, perché rimembrava la sensazione nel toccarle, nell’essere a contatto con quella superficie che nonostante fosse differente dal resto, in realtà era sempre  parte di Magnus.
Non poteva dimenticarle. 
E nemmeno Magnus poteva. Non ci sarebbe mai riuscito. Non si poteva guarire da certe ferite, anche se queste finivano poi per sparire. E Alex, Alex avrebbe continuato ad amarle comunque. Anche se non c’erano, anche se non erano più visibili. Avrebbe continuato ad amarle come faceva ogni notte, ogni giorno, come amava sempre Magnus.
Non vi erano altre spiegazioni.
Avrebbe continuato a farlo fino alla fine dei suoi giorni.
  
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