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Autore: Annapis    03/01/2018    1 recensioni
~Mericcup~
"Hiccup sbatté le palpebre un paio di volte, elaborando per bene, masticó tra le labbra il suo nome; Merida.
Sapeva dell'acqua fresca e pura delle cascate, delle gocce che zampillano in una fontana nei mesi più caldi dell'anno, e che biricchime ti saltavano addosso.
-Ed io Hiccup- disse al vuoto del veicolo, ora intrappolato nel traffico".
"Anche chi crede di essere solo a questo mondo ha, in realtà, un anima gemella dispersa da qualche parte.
Un amico, il quale è anche un compagno ed un complice, che lo compreterà perfettamente. "
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hiccup Horrendous Haddock III
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Ti ameró io per tutti quelli che non l'hanno mai fatto. 

Quando le porte del bus si chiusero alle sue spalle, Hiccup tiró un sospiro di sollievo.
Le voci di Moccicoso e Tuffnut, comunque, non volevano abbandonare le sue orecchie e la sua testa.
I loro insulti continuavano a ferirgli i timpani e quella sottile platina di pungente e per nulla ironico sarcasmo con cui si proteggeva sembrava sempre più inutile.
Perché un "Sei divertente Moccio, mi chiedo perché non ti abbiano promosso" non funzionava più contro i loro continui "inutile lisca di pesce!" o "fallito cronico".
Si abbandonó contro lo schienale di uno degli ultimi sedili, mentre il bus faceva stazionamento aspettando l'arrivo di altri studenti.
Non erano in molti, nel liceo tecnico "Berkiano", a prendere il bus: la maggior parte degli studenti andava a piedi o comunque in auto con i genitori.
Solo Hiccup, un mingherlino studente del secondo anno, e qualcun' altro.
Povere anime in pena, che, comunque, ridevano sempre quando Moccicoso lo tirava indietro per la cartella mentre stava salendo sul mezzo, giusto per prenderlo un altro po' in giro.
Appoggió la testa al finestrino, osservando annoiato la folla di studenti disperdersi per le strade, giú nei vicoli o nascondersi all'interno di belle macchine con l'aria condizionata.
Nel momento in cui le porte dell'autobus presero a chiudersi, Hiccup frugó nella tasca anteriore della sua cartella nera e rossa firmata comix, cercando il telefono.
Ne tiró fuori un Huawei P8 Lite dalla cover personalizzata.
Il lato positivo di non avere molti amici - o di non averne per nulla - era l'incremento del tempo libero e l'opportunità di spenderlo come più ci aggrada.
Hiccup, per fare un esempio, aveva sfruttato la sua abilità nella manodopera e nel disegno per crearsi una cover personalizzata a forma di drago nero, messo in verticale - come se si regesse sulle zampe posteriori - e con la coda che si attorcigliava per poi piazzarsi sulla " pancia " di quello che non era altro che la sua personale rivisitazione - in forma di drago - del suo gatto Toothless.
Il risultato, modestia a parte, non era niente male.
Perso nei suoi pensieri non si accorse della ragazza che, nonostante mezzo bus vuoto, si sedette proprio accanto a lui.
Se ne accorse, peró, quando la ragazza in questione trilló un felice "che bella cover!" che fece quasi saltare dal posto il povero Hiccup.
Cadendo dalle nuvole - come si suol dire - il castano giró la testa ovale e gli occhi verdi muschio verso il posto prima vuoto.
E lo trovó occupato da una spumeggiante ragazza di all'incarica sedici anni, dai ribelli ricci rossi a incorniciare due occhi azzurri pieni di vitalitá.
Gli sorrise, posando una cartella marroncina dai rifinimenti gialli e la stampa floreale ai lati dei propri piedi.
-G-grazie- ingoió a vuoto, Hiccup, stranito.
Ma la ragazza non si preoccupó più di tanto dello stordimento del compagno di posto, allungando una mano verso la cover e alludendo a quanto bella fosse e a dove l'avesse comprata.
-L'ho fatta io- disse, senza pensarci.
Se l'avesse sentito qualcun'altro - tipo Astrid o Moccicoso - non gli avrebbero creduto, probabilmente lo avrebbero anche preso in giro.
La rossa, peró, spalancó le labbra in segno di sorpresa, mostrando una fila di denti perfettamente bianchi da far vergognare Hiccup e i suoi malaugurati incisivi storti e sporgenti come quelli di un coniglietto.
-Sei bravo- lo elogió, -è un drago?- chiese poi, apparentemente internazionata a continuare il dialogo.
-Grazie- rispose Hiccup, non certo che gli fosse permesso chiacchierare con una spumeggiante riccia vista oggi per la prima volta.
-È la rivisitazione in drago del mio gatto- spiegó il castano, continuando a studiarla.
Erano anni che prendeva quel bus e si sedeva nella seconda fila in uno dei penultimi posti sempre vicino al finestrino,
  eppure non ricordava di averla mai vista prima.
Che fosse nuova?
-Figo!-esclamó lei.
Dal finestrino poteva ammirare il cemento delle strade scivolargli davanti, quasi non fossero loro ad andare avanti ma tutto il resto ad andare indietro.
-Secondo anno?- si decise a chiedere la ragazza, andando un po' ad occhio.
Negli anni, Hiccup aveva costruito uno spesso muro contro la restante parte del genere umano.
O meglio, erano stati loro a costruire questa fortezza: i suoi amici, suo padre, i suoi parenti e tutto il resto dell'umanità.
Lui aveva faticato tanto per insinuarsi dall'altra parte, per abbatterlo, ma non era mai riuscito neanche a scalfirlo, a fare una crepa piccola piccola, figurarsi distruggerlo.
Cercava sempre d'instaurare un dialogo, di parlare con loro, di trovare un qualche interesse in comune.
Ma non c'era mai riuscito, sembrava che fosse trasparente, che non lasciasse traccia.
O, più semplicemente, per loro era trasparente.
Inutile.
Supleffuo.
La sua presenza - o la sua assenza - si notava a malapena.
Era quindi diventato normale, per lui, autoisolarsi: sedersi all'ultimo posto, fare le scale di corsa e chiudersi in camera.
Allora, si abbandonava sul letto, Sdentato sulle gambe, le cuffie nelle orecchie e un libro di geometria abbandonato accanto che non si sarebbe mai sognato di aprire. 
Eppure non c'era niente di sbagliato in lui, non c'era mai stato.
Hiccup non era brutto, neanche con i capelli così lisci e sottili da essere "schifosamente fragili", nemmeno con la sua corporatura tanto esile e magrolina da farlo sembrare una lisca di pesce.
Aveva il viso un po' troppo ovale e un po' troppo ossuto, forse.
La mascella troppo poco squadrata e le guance ricoperte da lentiggini.
Gli occhi grandi e d'un verde quasi sporco, ma molto espressivi.
No, Hiccup non era brutto.
E non era neanche "sfigato", come lo apostrofavano da una vita i suoi compagni.
Hiccup amava lo studio, i libri, l'odore di carta e inchiostro.
Amava immaginare, scrivere, disegnare e construire.
Non gli piaceva, invece, uscire, conversare, combattere.
La terra bagnata sotto i piedi, il vento freddo sulla pelle...
Eppure, tante volte aveva tentato di introdursi nelle loro comitive, ma era sempre stato cacciato via.
Troppo studioso, Hiccup, troppo asociale, troppo stupido, troppo... se stesso.
Perché, alla fine, era quello che era.
Un intruso.
Lo scarabocchio nell'insieme dei perfetti disegni di Giotto e Michelangelo.
Notando che lui non si decideva a rispondere, fu la ragazza, più sbrigativa, a riprendere la parola.
-Io terzo anno, mi sono appena trasferita qui, sono stata espulsa dall'altra scuola- lo disse come se fosse una cosa normale e di cui andare fieri.
A quel punto, mosso dalla sua innata curiosità, che lo aveva reso fin da piccolo molto vivace, Hiccup giró il capo verso di lei, scrutandola con le iridi verde bosco e le guance pallide spruzzate di lentiggini.
La ragazza capí la muta domanda e si decise a chiarire il mistero.
-Facevo parte di una scuola privata esclusivamente femminile, c'erano tante regole-
Sembrava una cosa bella grossa.
-Non ti piacciono le regole?- le chiese, inarcando un sopracciglio.
-Odio le regole- rispose lei, le iridi azzurre puntate su di lui.
Di solito, quando qualcuno lo guardava fisso, Hiccup si sentiva oppresso, spogliato, e scappava via da quello sguardo.
Perché sapeva benissimo che gli occhi possono mettere a nudo una persona, renderla fragile, e lui davvero non poteva permettersi nemmeno una debolezza, neanche un momento di distrazione.
Eppure, sotto lo sguardo di lei, non si sentiva osservato.
Quella ragazza aveva il potere di guardarlo senza davvero pressarlo, come se con gli occhi lo stesse accarezzando.
Rabbrividí - e non di freddo - all'idea.
-Odio chi vuole dettarmi la strada- riprese il suo racconto.
-Anche io- rispose Hiccup automaticamente, assolto, rapito da lei.
Le labbra carnose si muovevano per scandire ogni parola e lui non riusciva a smettere di guardarla.
E a chi importava se lo avesse notato? Beh, a lui no. 
-È frustrante, no? Tutti quei "puoi, no non puoi"...- si spostó un riccio dietro l'orecchio -Vogliono che tu sia come loro, tale e quale, devi pensare e dire le stesse cose, anche nello stesso momento e se loro ti dicono: "Bella giornata, vero?" devi annuire e basta, anche se sta piovendo!- sconfitta, la rossa si abbandonó sullo schienale del sedile, come colpita da un proiettile vagante.
Guardandola, a Hiccup venne da ridere.
Ma si fermó quando lei puntó le iridi azzurre sul suo viso dai tratti ancora fanciulleschi, l'ombra di un sorriso a macchiarle labbra, mandibola e guance, facendogli mancare il respiro.
Da quando qualcuno era capace di mandarlo nel pallone con un solo sguardo?
-Perché me lo stai dicendo?- si decise allora a chiedere il quindicenne, stringendo il telefono e parlando a voce bassa, quasi avesse paura.
Poi se di lei, del fatto che si fermasse o continuasse con quella sua strampalata discussione, non era ben chiaro.
Forse un po' di tutto.
L'autobus sì fermó, e dai finestrini si poteva tranquillamente vedere il canile "Dragoni" da cui aveva preso Toothless.
La ragazza scrolló le spalle e sicuramente non per i sobbalzi del veicolo.
-Così- rispose frettolosamente, -Ci deve essere per forza un perché?- chiese curiosa, sollevando l'angolo destro delle labra in una smorfia tanto sfrontata quanto dolce, facendolo ammutolire. 
-Bella domanda...- sospiró lui, spostandosi indietro una ciocca di capelli castani che gli era finita davanti agli occhi.
-Come ti chiami?- si decise allora a fare il primo passo Hiccup, forse non davvero conscio di ciò che stava facendo e di cosa stava andando in contro.
Anche perché non era propriamente normale parlare per più di dieci minuti con una persona senza saperne il nome.
E pensare che la prima cosa che chiedeva lui, era sempre stato il nome; non che avesse fortuna.
Quante volte aveva provando ad intrattenere un discorso con qualcuno, fallendo miseramente?
Quante volte si era sentito dire: "Ma sta zitto, inutile lisca di pesce"?
Perché non era mai riuscito a parlare con qualcuno così spontaneamente come lei?
Forse, perché ad ascoltarlo non c'era mai stato nessuno come lui?
Insomma, se ci fosse stata lei al suo posto, Astrid, e anche Moccicoso e suo padre, tutti, si sarebbero comportati proprio come si comportavano con lui?
Forse no.
Forse se fosse stato più vivace, più sorridente, meno imbranato, meno inutile...
Meno se stesso e più lei.
O forse sì.
Forse il problema non era lui, ma gli altri.
E, allora, cosa avrebbe mai potuto fare Hiccup?
Cambiare la mentalità di ogni singola persona, cambiare la loro visuale della vita e di se stesso?
Era possibile? 
La ribelle rossa accanto a lui gli sorrise biricchina, gli occhi che si illuminavano come se le avesse chiesto di fare un bel gioco.
O, più semplicemente, era felice di essere finalmente riuscita a schiodarlo da quella posizione fiera che poi, tanto regale non era. 
Quei dieci minuti di conversazione, li aveva fatti da sola, praticamente.   
L'autobus si fermó per la tredicesima volta in quel percorso che mai gli era sembrato così breve, e Hiccup pregò che non fosse la sua fermata.
Voleva ancora parlare con lei, sapere come si chiamasse...
Beh, non fu fortunato come le altre dodici.
La rossa si guardó intorno, prima di prendere lo zaino e avviarsi verso la porta, zigzagando tra i vari sedili occupati da ragazzini troppo intenti a parlottare tra di loro per accorgersi di lei o anziani mezzi addormentati.
E Hiccup non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, aspettando una risposta o qualsiasi altra cosa.
Perché non poteva essere che dopo dieci minuti a sentirla parlare, ora che lui si fosse deciso a prendere pienamente parte al discorso, lei dovesse andarsene, no?
Era troppo brutto perfino per lui.
Poco prima di scendere, con un piede già sul gradino, la ragazza si voltó e gli sorrise ancora, dolce e contenta come se niente fosse, come se si conoscessero da sempre.
-Comunque, mi chiamo Merida- annunció a mento alto, facendogli poi l'occhiolino, complice.
Non aspettó una risposta da parte del ragazzo, e con un balzo saltó giù.
Hiccup sbatté le palpebre un paio di volte, elaborando per bene, masticó tra le labbra il suo nome; Merida.
Sapeva dell'acqua fresca e pura delle cascate, delle gocce che zampillano in una fontana nei mesi più caldi dell'anno, e che biricchime ti saltavano addosso.
-Ed io Hiccup- disse al vuoto del veicolo, ora intrappolato nel traffico.   
 
 
 
 
 
"Anche chi crede di essere solo a questo mondo ha, in realtà, un anima gemella dispersa da qualche parte.
Un amico, il quale è anche un compagno ed un complice, che lo compreterà perfettamente."
 
 
 
 
 
 
 
 
Note Autrice!
Sono davvero affezionata a questa storia, a cui lavoro da mesi, e ringrazio tanto chiunque leggerà e recensirá.
Ma in particolare Devil-chan, che ha sopportato tutti i miei scleri.
Grazie per essere mia amica💙.
   
 
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