Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
Segui la storia  |      
Autore: Sery_Vargas    05/01/2018    1 recensioni
L'atmosfera a Ba Sing Se è sempre più tesa. Un clima di forte ostilità sembra essere ormai palpabile in ogni via della città e non si circoscrive più solo alla cerchia di mura più esterne, come le autorità avevano voluto credere.
Yoongi dice sempre a Namjoon di fare attenzione quando esce di casa, perché non vuole avere grane, e non vuole che le abbiano i suoi amici. Perché Ba Sing Se doveva essere la sua nuova possibilità, ma Yoongi, forse, dovrebbe smetterla di sperare che la sua vita possa essere normale.
In fondo, se si nasce col suo potere, normali non lo si è neanche in partenza.

YoongixJiminxHoseok; slow burn
Namjin; love at first sight
Taekook; childhood friends.
[Cameos: Jiwoo, Somin, Matthew, Taehyung (chiamato nella storia Joseph) (KARD), Jackson, Mark, Yugyeom, Youngjae e Kunpimook (GOT7), Dahyun (Twice)]
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Sorpresa, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Storia pubblicata con scadenza settimanale su Wattpad.


Inspira. Espira.

Al momento era forse l'unica cosa che riusciva a fare, l'unico insegnamento che riusciva a riportare alla mente.

Inspira. Espira. L'aria che ti riempie i polmoni, la concentrazione che sovrasta l'adrenalina del tuo corpo, sono le basi del tuo dominio: se così non fosse la tua fiamma sarebbe incontrollabile e, prima che tu te ne accorga, si spegnerebbe.

Ricordare le parole del suo istruttore lo rincuorava, gli sembrava quasi di poter controllare il nervosismo che, inaspettatamente, lo stava per assalire.

- Principe, è quasi l'ora - sussurrò uno dei due funzionari accanto a lui. Jungkook lo zittì con un cenno delle dita. Lo sapeva.

Si lisciò con un solo gesto della mano la tunica che lo avvolgeva perfettamente, rossa e decorata d'oro, con ricami che ricordavano delle lingue di fuoco. Lo stesso motivo era riportato sul pavimento lastricato sotto i suoi piedi che guardò a lungo, prima di muoverli e dirigersi dinanzi all'entrata del Palazzo reale.

La facciata frontale dell'edificio era riccamente decorata, e la sua porta era posizionata molto in alto, raggiungibile salendo delle lunghe e ripide scalinate che si interrompevano solo una volta, su un piano intermedio.

Con passo svelto ma allo stesso tempo solenne percorse la lenta salita verso il piano intermedio, tenendo il mento alto e lo sguardo puntato sul Palazzo che, ad occhio esterno, sarebbe potuto apparire intimidatorio, oltre che maestoso. Ma avendoci vissuto per venti lunghi anni, Jungkook non si lasciò sopraffare e raggiunse a testa alta il punto prefissato per l'inizio della cerimonia, da cui poteva chiaramente vedere il trono, di fronte alla porta, sul quale era seduto l'attuale Signore del Fuoco.

Da lui aveva ereditato gli occhi grandi e fiammeggianti, il profilo regale, il portamento fiero. O forse aveva semplicemente assimilato tali caratteristiche, investito sin da piccolo dalla responsabilità di regnare, un giorno, sulla Nazione del fuoco così come aveva fatto suo padre e il padre di suo padre prima di lui.

Ricevette un sorriso sfuggente da parte del Signore del Fuoco, prima che questi tuonasse con la sua potente voce: - Principe della Nazione del Fuoco Jeon Jungkook, hai finalmente raggiunto la maggiore età -

Una cinquantina di capi presenti sulle gradinate si chinarono in avanti, in segno di rispetto, seguite a ruota dalle centinaia di persone, improvvisamente silenziose, raccolte nella piazza davanti all'edificio. Iniziava così la sua cerimonia. Ora che era considerato un adulto a tutti gli effetti poteva, terminato l'addestramento necessario, iniziare ad adempiere ai doveri che gli si richiedevano e ad imparare come si governava. E per dimostrare responsabilità, con la cerimonia di quell'oggi, gli veniva anche consegnata una guardia reale personale ed altamente specializzata, di fronte a tutta la Nazione, testimone della sua entrata nell'età adulta.

Usando termini pomposi ed ampi gesti delle mani, suo padre invitò i 5 soldati scelti ad inginocchiarsi dinanzi al ragazzo e a prestar giuramento. Entrarono nel raggio visivo (o semplicemente, attirarono finalmente la sua attenzione) cinque ragazzi forse poco più grandi di lui ma apparentemente molto maturi, forgiati dall'addestramento che avevano dovuto sopportare sin da piccoli. Quasi sincronizzati si posizionarono davanti a lui e si concessero solo qualche frazione di secondo per guardarlo negli occhi, prima di inginocchiarsi all'unisono. Uno per uno dissero a gran voce i propri nomi, seguiti dalla promessa di donare la propria vita per proteggerlo ed aiutarlo in ogni prova che la Nazione richiederà al Principe di affrontare.

Jungkook provò davvero ad ascoltare, ma era tanto concentrato sulla cerimonia in sé che gli sembrò di non riuscire a collegare neanche un nome ad un volto. Fortunatamente non gli si richiedeva alcuna risposta, così si dedicò allo studio delle cinque guardie. Dei tre ragazzi, uno sembrava esageratamente alto e muscoloso, utile per i combattimenti corpo a corpo, mentre le ragazze, nel loro essere minute, sembravano nascondere una grande energia. Non gli sembrava di averli mai visti nel palazzo, ma forse questo era dovuto al fatto che avevano ricevuto sia un addestramento che un'educazione diversi: nonostante non li conoscesse, provava un senso di orgoglio mentre li osservava, tutti e cinque pronti a seguirlo anche in capo alle più lontane terre conosciute.

Quando anche l'ultimo ebbe pronunciato il suo voto di fedeltà, si alzò e gli puntò addosso i suoi occhi quasi neri, con uno sguardo che sembrava leggergli l'anima, che sembrava conoscerlo. È normale che ti conosca, si ammonì, sei il suo principe. Non era altrettanto normale, però, che anche lui trovasse un senso di familiarità in quegli occhi.

Prima che potesse indagare oltre nella sua memoria, fu risvegliato da un colpo di tosse proveniente da sopra la sua testa. Svelto, Jungkook risalì i gradini che lo separavano dal padre e, dinanzi a lui, si inginocchiò.

Poté sentire il chiaro sospiro che sfuggi dalle labbra di suo padre quando questi portò una mano sul capo del figlio e sentì tra le dita i corti capelli che Jungkook si era rifiutato di lasciar crescere come tradizione voleva.

- Jeon Jungkook. Da oltre quindici anni ti sei allenato per questo giorno. Hai sempre conseguito risultati eccezionali, lodati dagli addestratori più rinomati della Nazione del Fuoco ed allo stesso tempo dentro hai sempre tenuto in mente l'unico obiettivo del tuo lavoro: la tua Nazione e i tuoi cittadini. Sei cresciuto molto personalmente, ma ancora di più lo farai da oggi in poi. -

- Io prometto - rispose il ragazzo, a capo chino, con chiarezza e decisione nella sua voce, come gli era stato insegnato - Io prometto di proteggere ogni abitante della Nazione del Fuoco e di fare in modo, con tutti i mezzi che mi sono a disposizione, di far splendere ancora di più la fiamma del nostro popolo. Con le mie capacità di cui non sono giudice io, ma voi, padre, tutti voi funzionari e ministri presenti, la Nazione intera, io prometto di guidarvi, quando sarà il mio momento, verso un futuro di onore e gloria -

Subito dopo aver proferito queste parole, Jungkook sentì contro la tempia del metallo freddo, ma non pesante.

- Jeon Jungkook, io, Jeon Soo-Young1, attuale Signore del Fuoco, di fronte alla nostra Nazione, ti nomino ufficialmente Principe Ereditario-
La folla che aveva fermato qualunque mormorio o addirittura sussurro fino a quel momento, esplose in scroscianti applausi ed urla, che Jungkook quasi non percepì, mentre si portava una mano sulla fronte.

Tutta la famiglia reale, da generazioni, aveva sempre portato un prezioso fermacapelli a forma di fiamma che la contraddistingueva, ma a causa dei suoi corti capelli neri non poteva indossarla. Ma a quanto pareva, suo padre aveva fatto forgiare una corona appositamente per lui, sottile, elegante, con pochi fronzoli e dettagli, ma pur sempre un simbolo di potere e un monito della responsabilità che ora gli gravava sulle spalle. Jungkook non lasciò che nessuno vedesse il sollievo che provava dentro di sé, al constatare che i tempi erano davvero cambiati, che la Nazione del Fuoco era davvero sulla via dello splendore.

E quando si alzò, accolse con fierezza tutti gli occhi che aveva puntati addosso, anche quelli intensi del soldato, familiare ed estraneo allo stesso tempo.

1. Disclaimer: Soo-Young non è il nome del reale padre di Jungkook.


 

Inspira, espira.

Hoseok amava sentire l'aria sotto i piedi, tra i capelli, sul viso. Era quando sentiva la folla applaudire che amava fino in fondo il suo dominio. Lo spettacolo che lui e la sua compagnia avevano organizzato presso Omashu stava avendo grande successo e, per il dispiacere di Hoseok, stava giungendo alla fine. Faceva parte di un gruppo formato da quattro persone, molto talentuose e con certamente tanta voglia di sperimentarsi, ma, tra tutti, era colui che si occupava delle acrobazie forse più spericolate. Jackson aveva sì a che fare col fuoco, e ciò richiedeva un altissimo livello di autocontrollo per non ustionare sé stesso e chi lo circondava, Mark riusciva a passare da uno stato dell'acqua all'altro con apparente facilità che, però, nascondeva un grande sforzo mentale che il ragazzo non lasciava intravedere. O ancora, Yugyeom si allenava ogni giorno molto duramente per mantenere quel fisico che gli permetteva di spostare grossi blocchi di roccia o estese zone di terra senza compromettere il terreno circostante.

Ma Hoseok doveva combattere con la gravità. Le sue acrobazie a mezz'aria erano graziose quanto potenti, studiate fin nell'ultimo dettaglio, e fatte talmente in alto che riusciva a catturare l'attenzione di tutti i presenti, che lo osservavano a bocca aperta. Ma tra tutti i dettagli che Hoseok curava, quali la velocità, le rotazioni da eseguire e le espressioni facciali, uno era assolutamente il più importante: come tornare coi piedi per terra. Per quanto in alto potesse andare grazie al suo dominio dell'aria, la terra lo richiamava sempre a sé, e durante lo spettacolo, a differenza degli allenamenti, gli altri tre erano troppo occupati per prenderlo al volo se non si fosse concentrato abbastanza nell'atterraggio.

Non era troppo difficile: grazie alle innumerevoli prove, Hoseok era particolarmente bravo a calcolare i tempi seguendo l'istinto, e, soprattutto, il ritmo della musica.

Certo era che se i musicisti fossero stato tutti più coordinati tra loro, lui avrebbe avuto ben pochi problemi. Era capitato, durante lo spettacolo, che uno dei violinisti, magari troppo veloce, allungasse di più una nota per aspettare che il resto dei musicisti lo raggiungesse: non che il pubblico se ne accorgesse, ma la sua compagnia, esibendosi con l'ausilio di quattro elementi diversi, aveva bisogno di un punto d'incontro per la coordinazione e l'armonia delle loro azioni.

Non poteva pensarci ora però, le ultime note stavano per essere suonate, e lui doveva fare l'ultimo salto. Prese la rincorsa, e si staccò dal suolo nel momento preciso in cui la musica finì di riecheggiare nella piazza: era uno stratagemma concordato con i musicisti, affinché l'attenzione del pubblico fosse rivolta a lui e il fiato fosse sospeso in attesa della sua ultima acrobazia.

Fece delle rotazioni in aria, contando tra sé e sé i secondi.

Uno, due...

Il terreno, a causa della velocità presa in aria, si faceva molto vicino in pochissimi istanti, ma Hoseok sapeva che appena avesse sentito una nota di violino, Mark avrebbe steso davanti a lui una piccola pozza d'acqua e lui avrebbe messo i piedi a terra, creando, in combutta col dominio dell'acqua del compagno, degli schizzi che forse avrebbero bagnato le prime file, ma avrebbero anche lasciato a bocca aperta i presenti.

Tre, quattro...

Ecco, avrebbe dovuto suonare ora. Mark era già pronto.

Cinque...

La nota non arrivò, l'acqua non era lì, e se Hoseok avesse messo subito i piedi a terra l'effetto non sarebbe riuscito: ma allo stesso tempo, se non lo avesse fatto, sarebbe atterrato rovinosamente sulla sua spalla.

Quell'attimo di indecisione che Hoseok si prese, permise Mark di intervenire nonostante la mancanza del segnale deciso, creando un mezzo scivolo di ghiaccio che attutì l'urto sulla spalla di Hoseok e permettendo a quest'ultimo di trasformare un atterraggio di fortuna in una capriola apparentemente studiata.

A quel punto anche Jackson capì che il finale concordato non poteva essere messo in scena, così, appena Hoseok riuscì finalmente a rimettersi in piedi, creò una fiammata che illuminò gli occhi delle persone e diede il via ad un applauso scrosciante.

Yugyeom tirò un sospiro di sollievo, mentre si inchinava per ricevere i meritati applausi e ringraziare il pubblico.

Hoseok sorrise, cercando di non pensare alla spalla sinistra, o comunque non dando a vedere il dolore che provava: con lo sguardo cercò quello di Mark per ringraziarlo dell'aiuto, ma lo vide troppo intento a squadrare contrariato il violinista principale. Non che potesse biasimarlo.

Qualche ora dopo infatti, nella tenda che avevano montato, Mark sembrava avere ancora qualche diavolo per capello. Seduto dietro ad Hoseok, quest'ultimo senza maglietta, stava cercando di alleviare un po' del bruciore che provava utilizzando il dominio dell'acqua curativo. Una soffusa luce verdognola si era diffusa nell'area in cui tutti e quattro avrebbero dormito quella sera, avvolti in qualche coperta per contrastare il freddo serale di fine Agosto. Yugyeom riposava su dei cuscini davanti a loro, canticchiando qualche canzone popolare, mentre li osservava parlare.

- È inammissibile che gente del genere venga chiamata 'musicista' - borbottava ormai da un po' Mark - se fossero al nostro servizio mi sarei già battuto per licenziarli -.

- Stai esagerando - lo riprese Hoseok, voltandosi per puntargli un dito contro. Mark lo afferrò per le spalle per fargli riprendere la posizione iniziale - Sta' fermo -. Hoseok rabbrividì al tocco delle dita fredde dell'altro.

- Fa un respiro profondo - gli ordinò Mark, cercando di fargli raddrizzare la schiena - ed ora espira piano piano -. Hoseok fece come gli veniva detto, e Mark osservò che le sue cure stavano facendo effetto: il grande livido sulla pelle del dominatore dell'aria stava lentamente sparendo, se avessero continuato così per qualche altro minuto probabilmente non si sarebbe più visto.

- Non penso di star esagerando. Il fondamento della musica è il tempo, se non hai quello sei solo un bambino un po' cresciuto che strimpella uno strumento. Anche Yugyeom riuscirebbe a farlo -

- Che vuoi dire con anche Yugyeom? - sbottò il più piccolo, smettendo improvvisamente di cantare. Hoseok rise, raggiungendo la testa del ragazzo con la mano, per scompigliargli i capelli.

- Fermo. - Mark lo richiamò subito, per farlo sedere composto: missione ardua se si aveva a che fare con Hoseok.

Yugyeom approfittò del silenzio dei maggiori per aggiungere - Certo che se ci fosse ancora Youngjae-hyung non sarebbe successa una cosa del genere -

Hoseok sospirò con tristezza, mentre Mark si limitò solo a corrugare la fronte - Non potevamo ancora tarpargli le ali. Quel ragazzo aveva bisogno di farsi conoscere di più. Ne abbiamo già parlato, è stata la cosa giusta - disse.

- Ma lui non voleva neanche partire - si lamentò Yugyeom - E se non fosse partito ora Hoseok-hyung non sarebbe caduto e non avremmo rischiato di mandare a monte tutta la conclusione -. Sembrava che a Yugyeom mancassero più le sue doti musicali che il pianista stesso, ma per chi lo conosceva bene come Hoseok e Mark sapeva perfettamente che era la nostalgia a parlare per lui. Mark si lasciò sfuggire un mezzo sorriso a quel pensiero.

- Era solo un po' indeciso e spaventato - intervenne Hoseok - Aveva bisogno di una piccola spinta, abbiamo fatto bene a dargliela -

Yugyeom non sembrava poi così convinto - Sarà... -

- Prova a sollevare il braccio - suggerì Mark, ma quando Hoseok eseguì la richiesta una smorfia di dolore gli attraversò il viso.

- È come se un bisonte volante mi stesse strattonando - tentò di spiegare, ottenendo soltanto più confusione negli occhi di Yugyeom, seduto di fronte a lui.

- Mi sembra inutile ricordarti che non essendo un monaco né tantomeno capace di volare, non ho mai raggiunto un Tempio dei Nomadi dell'aria né, quindi, ho mai visto questo fantomatico bisonte volante. Ma te lo ricorderò comunque -

- Dovresti provare a vederli invece, hanno un muso grande così - Hoseok allargò, per quanto il dolore alla spalla gli permettesse, le braccia - E quando ti spintonano per richiamare la tua attenzione, altro che livido sulla spalla! -

Mark gli afferrò lo mani, abbassandogliele nuovamente - Ti ho detto fermo - sibilò - O i lividi te li faccio venire io, a cominciare da un amico per quello sulla spalla - lo minacciò, sollevando il pugno, ed iniziando a colpirlo piano.

- Se lo fai poi devi perdere più tempo a curarmi - gli fece la linguaccia Hoseok, nascondendosi dietro Yugyeom - Gli spettacoli non si danno da soli -.

Mark si stava per mettere in piedi per dimostrarli che sicuramente lui ed i suoi pugni avrebbero potuto dare uno spettacolo meraviglioso, quando qualcuno di fin troppo agitato entrò nella tenda urlando i nomi degli altri tre, a ripetizione.

Jackson si fermò ad osservarli: Hoseok accovacciato dietro la schiena di Yugyeom che intanto si trovava in ginocchio di fronte a Mark, il pugno di quest'ultimo sollevato a mezz'aria pronto per essere scagliato.

Scrollò le spalle e mostrò loro una pergamena - Asper l'ha appena recapitata! È la risposta, LA risposta! -

Gli altri tre ragazzi si raccolsero attorno a lui, dimenticandosi in fretta della disputa di poco prima. Yugyeom inclinò la testa, confuso - Mi stai dicendo davvero che quel falco striminzito è riuscito ad arrivare a Ba Sing Se, a ritornare ed essere ancora vivo? -

Jackson spalancò la bocca, indignato - Attento a come parli, Asper è un signor falco! -

- Cosa dice? - domandò Hoseok, cercando di vedere oltre la spalla di Yugyeom.

Jackson fu ben felice di srotolare la pergamena e leggerne il contenuto, senza, ovviamente, dimenticare di utilizzare un tono solenne ed una postura regale: Mark roteò gli occhi, ma ascoltò senza dire nulla.

- Introduzione, roba noiosa, roba noiosa... - Jackson saltò qualche riga, prima di giungere al terzo capoverso della pergamena - La famiglia Kim di Ba Sing Se è lieta di ospitare la compagnia Johwa nella sua dimora presso le mura interne della città per beneficiare dello spettacolare intrattenimento di cui tanto il Regno della Terra parla.
Lo spettacolo è previsto per il tredici Settembre, occasione impossibile da posticipare, in quanto verrà tenuta un'importante cerimonia. 
Siamo stati anche informati della necessità di trovare dei musicisti che possano essere a vostra disposizione, e siamo lieti di offrirvi i migliori compositori della città. Siamo sicuri che l'unione dei vostri talenti non deluderà le nostre già alte aspettative -.

- Il tredici Settembre? - esclamò Mark - è tra poco più di tre settimane e noi dobbiamo ancora raggiungere Ba Sing Se. E poi volevo trovare dei musicisti decenti prima di esibirci e... dove troveremo il tempo? -

- Non possiamo rifiutare ormai, no? L'accordo è stato fatto - sorrise contento Jackson, dando poi una pacca sulla spalla di Hoseok, che si piegò dal dolore - E poi Hobi ha suggerito a ragione di partire già da stasera, quindi ci troviamo in vantaggio. Ci hanno anche assicurato che si tratta di compositori e suonatori rinomati in città, a Ba Sing Se! Siamo in una botte di ferro. Non preoccuparti, arriveremo in un lampo e lasceremo, come sempre, tutti quanti a bocca aperta -.

L'eterno ottimismo di Jackson era, fortunatamente per tutti, contagioso, e, seppur consapevole dei tempi molto stretti, Mark si sentì rassicurato. E quando Mark era sereno, allora tutta la compagnia poteva star tranquilla. Si rimise, quindi, a lavoro e cercò di spingere Hoseok a sedersi nuovamente sul tappeto.

Ma Hoseok non sentiva quasi più alcun bruciore sulla spalla, per quanto era entusiasta: finalmente l'occasione che aspettava da quattro anni si trovava davanti a lui e per nulla al mondo se la sarebbe lasciata sfuggire.

Anche se questo significava adattarsi di nuovo a qualche musicista incompetente.

 

Inspira, espira.

Con un fluido movimento delle braccia, Jimin riuscì a sollevare una discreta quantità d'acqua, separandola dal resto del freddo Mare del Nord.

L'acqua percepisce la tua instabilità e si agita, diventa indomabile. Quindi tranquillo.

Ogni mattina, all'alba, il ragazzo si allontanava dalla sua città per affacciarsi sull'Oceano ed iniziare il suo allenamento, per poi rientrare in fretta e di soppiatto a casa. Quell'oggi non faceva eccezione.

Con grazia, ruotò su sé stesso, per compattare la massa d'acqua in una grande bolla sopra di lui; portò le mani congiunte in alto e poi le divise, facendole scendere dolcemente ai lati della sua testa. L'acqua seguì questa danza, dividendosi in due getti che si posizionarono all'altezza dei suoi fianchi. Ma non passò molto prima che le due masse informi si riunissero in un anello che, docile e sotto controllo, circondava il ragazzo.
Jimin sorrise: dopo settimane d'allenamento individuale finalmente quel trucco gli riusciva alla perfezione, nonostante avesse richiesto svariate docce ghiacciate e salate. Il difficile, però, arrivava solo ora.
Velocemente, spostò la gamba sinistra in avanti e, con uno scatto, la seguì anche il braccio destro, il palmo della mano rivolto verso l'alto, le dita unite. Dall'anello d'acqua si separò un getto potente e talmente veloce che percorse svariati metri con un, seppur sottile, evidente sibilo.

Nonostante questo, però, Jimin non era soddisfatto. Strinse i denti e riprovò, stavolta col braccio sinistro.

E di nuovo, obbediente, l'acqua seguì la traiettoria che la mano indicava.

- Perché non vuoi diventar ghiaccio? - borbottò, calciando l'aria dinanzi a se e provocando l'ennesimo spruzzo - Ti ho fatto qualcosa? È perché ti ho separata dal resto del mare? -

Il ritmo dei colpi aumentò velocemente, senza che lo stato dell'acqua mutasse minimamente: Jimin iniziava a perdere la pazienza, dopo giorni di fallimenti il suo eterno ottimismo stava terminando. E questo non gli piaceva affatto.

Mentre l'anello che lo circondava si assottigliava sempre di più, l'andamento che aveva preso non voleva assolutamente diminuire, anzi, lo portò vicinissimo alla riva, fin quando - Jimin! - non si sentì chiamare.

Si voltò, spaventato, e con grande terrore si accorse che l'ultimo getto era sì, finalmente diventato una stalattite ghiacciata, ma che si stava dirigendo pericolosamente verso il viso di suo fratello, troppo veloce per essere evitato. Fortunatamente, sottovalutava il ragazzo: non perse tempo, e si mise in posizione, schivando la stalattite e trasformandola, prima che questa si conficcasse nella neve dietro di lui, in un'innocua pozza d'acqua.

- Ti ho già detto di non arrivare di soppiatto - lo rimproverò Jimin, non prima di lasciarsi sfuggire un sospiro di sollievo.

Suo fratello lo squadrò da capo a piedi - Ti ho già detto di non arrivare di soppiatto, hyung - sottolineò, ponendo attenzione sull'ultima parola. Poi mise quasi il broncio, accentuato dalle sue labbra carnose, e protestò - E poi cosa dovrei fare, annunciarmi? Dovrei fare una giravolta su me stesso ed esclamare - e qui si portò indietro i chiarissimi capelli biondi, fingendo un'aria vanitosa - "Arriva Park Seokjin, fategli largo plebaglia"? -

Jimin alzò gli occhi al cielo: meritava davvero un fratello maggiore così?

- Forse dovrei iniziare davvero a farlo, non suona così male - lo stuzzicò Seokjin.

Il più piccolo raccolse il cappotto blu rivestito di pelliccia, spazzò via qualche fiocco di neve da esso e lo indossò: raggiunse il fratello e lo superò, ignorando ogni lamentela di quest'ultimo.

- Vieni ogni mattina qua ad allenarti nonostante ti sia stato proibito - Seokjin gli si affiancò - E non ascolti nemmeno i miei consigli. Mostrassi almeno un po' di vergogna. -

Jimin accelerò il passo - Hyung, per favore, l'ultima cosa di cui ho bisogno ora è una predica -

Seokjin non si lasciò scoraggiare, e scrollò le spalle - Non sto parlando del tuo sgattaiolare dal letto appena il sole entra dalla finestra, ma della tua postura -

- Della mia postura? - Jimin si fermò nel bel mezzo del sentiero, incrociando le braccia al petto - Ora hai da ridire anche sulla mia postura? -

Il più grande scosse la testa, prendendolo per un braccio e costringendolo a camminare con lui - Non capirò mai perché ti ostini a voler imparare a combattere se è l'ultima cosa, da nobile che sei, di cui dovresti preoccuparti, ma se hai davvero intenzione di infilzare qualcuno con quelle stalattiti, certamente non lo farai tenendo le gambe tanto larghe e in tensione. Te l'ho già detto, è come se l'acqua percepisse che tu stesso sei instabile -

Jimin ascoltò avidamente ogni parola che il fratello proferiva. Seokjin era sempre stato l'unico, sin da quando erano piccoli, a rispondere a qualsiasi domanda che gli poneva per quanto stupida potesse sembrare alle orecchie degli adulti. Lo aiutava e lo copriva quando i loro genitori chiedevano dove fosse finito. Solo il cielo sapeva quante volte aveva rischiato o ricevuto una punizione a causa del più piccolo, ma mai una volta si era lamentato, mai una volta aveva rimproverato Jimin del suo comportamento. Piuttosto, per lui prendeva in prestito manuali sul dominio dell'acqua, organizzava incontri con dei suoi "amici" maestri nell'uso del dominio come difesa personale (diceva sempre che fossero suoi amici, ma in realtà erano sempre istruttori che pagava di tasca propria), assimilava lui stesso informazioni per poi insegnargliele. E Jimin gliene era grato: avrebbe voluto essere un buon fratello come lui e smetterla di mettersi nei guai e trascinare Seokjin in essi, ma il mare lo chiamava a sé ed ogni nuova mossa lo affascinava, come se desiderasse ardentemente di essere imparata dal ragazzo. Forse erano gli occhi felici di Jimin che si illuminavano quando riusciva ad eseguire un movimento che lo aveva tenuto impegnato per giorni, che spingevano Seokjin a stargli vicino e a fare tutto il possibile per rivedere quel barlume di contentezza attraversargli il volto.

Arrivarono nella villa in cui vivevano dopo non molto tempo e attraversarono il portone principale cercando di non far caso alle occhiatacce dei domestici. Una di essi, in particolare, portò le mani ai fianchi - Signorino Jimin, anche stamattina? -

Jimin cercò di pensare velocemente ad una scusa, sperando che le sue terribili capacità recitative non risultassero anche quella volta troppo evidenti, ma il fratello lo batté sul tempo - È uscito con me - mentì Seokjin, con una naturalezza strabiliante - Dovevo far compere ma ho fatto un po' tardi -

- Ne parlerete con vostro padre, ora dovete prepararvi - lo liquidò la domestica, guidandoli nelle loro stanze dove una decina di altre domestiche erano intente a impacchettare vestiti e oggetti di valore - Andate a lavarvi -

- Prepararci? Per cosa?? - chiese confuso Jimin, mentre finiva tra le mani esperte di tre donne, che gli appoggiarono addosso delle vesti eleganti per assicurarsi che la misura andasse ancora bene - E perché state prendendo le mie cose?! - seguì la protesta di Seokjin, che strappò dalle mani di una ragazza un cofanetto blu.

Quest'ultima non sembrò affatto turbata, e si volse a prendere altri oggetti sul comò del ragazzo. Ma questo glieli rubò nuovamente, impilandoseli sulle braccia, finché, dopo un paio di tentativi, la ragazza spazientita sbuffò e uscì dalla stanza.

Seokjin la seguì con lo sguardo e quando questa superò la soglia, alzò gli occhi sulla domestica con cui stava parlando prima, non ripetendo la domanda ma lasciando che la sua espressione lasciasse intendere.

- ...anche di questo ne parlerete con vostro padre. - rispose semplicemente lei, chiamando poi a sé tutte le altre ragazze cariche di pacchi e dirigendosi all'ingresso dell'edificio, lasciandoli soli.

Jimin riusciva a percepire l'irritazione crescente del fratello: alzò, infatti, il braccio come a voler dare un pugno sulla scrivania ma si fermò a mezz'aria, lasciandolo ricadere lungo il fianco. - Le hanno ordinato di non dirci niente, come se fossimo ancora ragazzini, come se io non avessi passato ventiquattro anni della mia vita a preoccuparmi del futuro di questa famiglia, così come hanno fatto loro -

- Hyung... - cercò di dire qualcosa Jimin, ma Seokjin lo interruppe - Fa' quello che ci dicono. Prima finiamo di prepararci, prima capiremo cosa sta succedendo -

Ma non fu così. Fino all'ora di pranzo i due giovani attesero di poter parlare con loro padre, ma sembrava che si fosse sprangato dentro il suo studio e che non avesse neanche cinque minuti da dedicar ai loro dubbi. Jimin aveva provato a sgattaiolare dentro quando uno dei servitori aveva lasciato la porta aperta, ma gli era stata chiusa in faccia nel giro di pochi secondi.

Ed ora, un Jimin deluso ed un Seokjin molto suscettibile, si trovavano a tavola coi loro genitori, l'aria piena di tensione e il cibo completamente dimenticato.

Quando anche l'ultima domestica venne congedata, Seokjin lasciò cadere le posate nel piatto, provocando un tintinnio talmente fastidioso che ebbe il potere di far storcere il naso alla madre.

- Allora? - chiese.

- Allora cosa? - rispose calmo suo padre, non dopo aver deglutito il boccone che stava ancora masticando.

Tutta questa lentezza e finta serenità non facevano altro che irritare di più Seokjin, e per questo Jimin si ritrovò a guardare prima uno e poi l'altro con un'espressione sempre più preoccupata.

- Perché tutto questo trambusto? Cosa stanno facendo alle nostre cose? Perché non ci avete spiegato nulla? -

- Il tono, Seokjinie - lo ammonì sua madre, in un sussurro che venne prontamente ignorato.

- Perché non abbiamo alcuna voce in capitolo? - rincarò la dose il figlio.

- Perché qui, le cose, fino a prova contraria le decido io. - il capo famiglia non alzò minimamente la voce, ma le sue parole ebbero il potere di zittire subito il ragazzo - Se io decido che è il momento di farvi partire, vuol dire che voi dovete partire -

- Dove volete mandarci, padre? - si intromise Jimin, per calmare un po' la situazione.

Tre parole, che ebbero il potere di far spalancare loro gli occhi dalla sorpresa - Ba Sing Se - rispose l'uomo.

Jimin impiegò qualche secondo per assimilare la notizia - Ma Ba Sing Se si trova nel bel mezzo del Regno della Terra -

- Sto intrattenendo dei commerci lì, a proposito delle pellicce che produciamo, ed ho bisogno che Seokjin chiuda il contratto al posto mio -

La madre dei due ragazzi sospirò, poggiando sul piatto la forchetta, con ancora sopra il cibo.

- So benissimo che sia lontana - proseguì l'uomo - ma considero questo viaggio necessario. Mi è giunta voce che uno dei miei figli è sgattaiolato via anche stamattina, e, sinceramente, ho perso la pazienza -

Jimin affondò piano piano sulla sua sedia, cercando di farsi talmente piccolo da essere invisibile non solo agli occhi del padre, ma anche a quelli della vergogna che minacciava di inglobarlo.

- È giunto il momento di smettere di giocare e imparare cosa comporti mandare avanti un progetto che richiede responsabilità e acutezza -

- Fino ad ora abbiamo giocato per te? - controbatté Seokjin - Ciò che ci hai imposto di dire o fare in quali occasioni e con quali persone è stato solo un gioco? -

Suo padre puntò il suo sguardo su Jimin - Lo è stato dato che qualcuno non le ha prese così seriamente - Il ragazzo abbassò gli occhi umiliato.

- Porterete anche dei doni che vi aiuteranno a contrattare meglio. Mi aspetto molto da voi. Seokjin, mi sto rivolgendo soprattutto a te. Durante il viaggio verrai informato delle difficoltà che abbiamo incontrato fino ad ora con questa famiglia, sta a te decidere come comportarti. -

- Bene - rispose seccamente lui, riprendendo a mangiare. Sembrava pensieroso, ma per il resto del pranzo non proferì più parola.

La sera arrivò in fretta, grazie al gran numero dei preparativi da portare a termine, e con essa giunse anche il momento della partenza dei ragazzi. Affiancati da diversi accompagnatori che avevano il compito di trasportare i loro bagagli e assicurarsi che arrivassero sani e salvi, i due fratelli salutarono i propri genitori, prima di incamminarsi verso il porto, dove il Polo Nord era più vicino al continente del Regno della Terra.

- Arrivederci - riuscì solamente a dire Jimin, mentre li abbracciava - Scriverò ogni due giorni il vostro rapporto, state tranquilli -.

- Questa è una prova a cui devo sopporti, Jimin. Non deludermi. - lo ammonì il padre, con una pacca sulla spalla. Il ragazzo lo guardò confuso, ma non si fece troppe domande, preferendo piuttosto dare un bacio sulla guancia della madre e aiutare gli accompagnatori a trasportare gli ultimi bagagli.

Seokjin guardò a lungo suo padre negli occhi: voleva davvero che lo riconoscesse come degno successore, ma perché questo accadesse doveva arrendersi all'idea di partire. E così fece, stringendo la mano del padre e annuendo con fare deciso. L'uomo decise di non commentare.

- Seokjin... - lo chiamò sua madre. Fu normale per il ragazzo, guardarla con dolcezza e, finalmente, sorridere al vedere i suoi occhi preoccupati - Madre, suvvia, non resteremo via a lungo. Penserò io a Jimin. -

- Sì, ma... - cercò di rispondergli, di controbattere dicendo qualcosa, ma le lacrime le offuscarono la vista e il pianto le impedì di dire altro - Mi raccomando. Ti voglio bene. - gli sussurrò abbracciandolo stretto.

Fu colto di sorpresa, e non ricambiò subito l'abbraccio: era passato molto tempo dall'ultima volta in cui ne aveva ricevuto uno da loro, e provava quasi una sensazione innaturale in lui. Ma si lasciò andare, e cinse le spalle della madre con le sue braccia - Anch'io te ne voglio. -


 

Inspira, espira.

Yoongi cercò di concentrarsi solo su quello, piuttosto che sulla confusione che regnava sovrana nella sua testa. Se non fosse riuscito a smettere di vedere le stesse immagini, non sarebbe più riuscito a riprendere il sonno perduto, e dormire era ciò di cui aveva più bisogno dopo una notte in bianco.

Si stropicciò gli occhi con una mano, e cercò in ogni modo di sotterrarsi sotto le candide lenzuola, ma neanche il calore emanato da esse né il silenzio della sua casa solitaria riuscirono a conciliargli il sonno. Infastidito, calciò via le coperte. Non era neanche arrivata l'alba e lui era costretto a rimanere sveglio a causa di uno stupido incubo, come se fosse ancora un dannato bambino.

Fortunatamente non disturbava nessuno, abitando a Ba Sing Se da solo: la sua casa poteva riassumersi in tre stanze che comprendevano un bagno, un'angusta stanza da letto ed una ancora più piccola cucina. Non impiegò molto quindi a raggiungere i fornelli e mettere dell'acqua a bollire. Mentre aspettava che essa si riscaldasse, si sciacquò il viso e studiò attentamente la stanza da letto, cercando di capire se gli oggetti abbandonati sul pavimento potessero essere ancora agilmente schivati o iniziassero già ad ostacolargli il passaggio.

Raccolse da terra la tunica che si era tolto la sera prima e la poggiò sul letto, ripromettendosi di lavarla il pomeriggio stesso. Sarebbero sicuramente passati giorni prima di ricordarsene, ma provò comunque ad illudersi di avere tutto sotto controllo.

Bevve il suo the con molta calma, controllando gli spartiti che aveva scritto solo poche ore prima, in fogli sparsi disordinatamente sullo stretto tavolo di legno della cucina. Era un perfezionista e avrebbe controllato quelle piccole note fino allo sfinimento, prima di considerarsi soddisfatto.

Stava quasi per alzarsi e prendere il suo flauto, quando sentì bussare insistentemente alla porta d'ingresso che altre non era se non l'unica porta della cucina stessa. I colpi erano molto forti e per nulla intenzionati a smettere, a giudicare dalla loro intensità che sembrava stesse addirittura aumentando. Sbuffò, e andò ad aprire, ritrovandosi quasi all'altezza degli occhi, a pochi centimetri da sé, un pugno chiuso.

- Non pensavo ti saresti alzato tanto velocemente, hyung– disse, scusandosi, la figura sul suo uscio.
Yoongi non batté ciglio, ma fece entrare il ragazzo che gli si trovava di fronte facendo un passo di lato.

- Ero già sveglio –

L'altro si fermò, rivolgendogli un'occhiata preoccupata: Yoongi alzò gli occhi al cielo quando incrociò lo sguardo dell'amico, decidendo di ignorarlo e andarsi a pettinare i neri capelli in bagno.

- Questi incubi ti stanno uccidendo. Hai delle occhiaie che arrivano fino a terra. Davvero, conosco un medico che potrebbe aiutarti in fondo alla strada, dobbiamo solo parlargli, fissare un appuntamento e –

- Fammi un piacere Namjoon. Smettila di parlare come se fossi mia madre – lo interruppe Yoongi, il pettine a cui mancava qualche dente a mezz'aria – Anzi, neanche mia madre farebbe tutto trambusto per qualche brutto sogno -.

- Sono settimane ormai – controbatté Namjoon. Incrociò le braccia e lo guardò severamente, dall'alto in basso, sfruttando i pochi centimetri che aveva più di lui. Era una discussione che avevano già avuto in precedenza, più volte; però Namjoon non aveva mai vinto. Non per questo si era arreso.

- Ed io sono a questo mondo da 24 anni ormai – scrollò le spalle Yoongi, afferrando la giacca appoggiata sulla sedia ed indossandola – Ho capito come funziona e come cavarmela. Ora, sei qui per farmi la predica o possiamo andare al panificio prima che tuo padre ci uccida? -.

Namjoon incassò l'ennesima sconfitta e lo seguì fuori dall'appartamento, aspettando che chiudesse a chiave la porta d'ingresso. Non che ci fosse poi molto da rubare, anzi, se qualcuno avesse voluto un servizio di due piatti, altrettante ciotole e qualche bacchetta spaiata, avrebbe solo dovuto chiedere, a Yoongi non importava. Ma possedeva qualche strumento musicale, un pianoforte marrone sistemato al lato del letto, un violino nell'armadio, accanto ad un flauto ed uno zufolo, e qualche altro. E lui li considerava anche più importanti della sua stessa vita.

Raggiunsero, quasi senza parlare ("Dico sul serio hyung, quel dottore è un amico di famiglia" "Dio, Namjoon.") il panificio della famiglia Kim, dove entrambi lavoravano. Il padre di Namjoon, nelle mani qualche soldo, stava pagando un uomo poco più alto di lui, davanti ad un grande carico di sacchi di farina poggiati a terra. Li squadrò con un'occhiataccia, molto simile alla faccia severa che ogni tanto assumeva il figlio: Yoongi non riusciva ancora a capacitarsi della straordinaria somiglianza dei due, nonostante li conoscesse da anni. Con un cenno, l'uomo chiamò a sé il ragazzo più basso e, mentre Namjoon si dirigeva verso il retro del negozio, Yoongi salutò con un mezzo inchino il proprietario.

– Sai cosa fare – si sentì dire.

E Yoongi annuì. Prese un profondo respiro, portò un piede in avanti e lo piantò al suolo. Gli tremarono un po' le mani, mentre si concentrava sul terreno sotto i sacchi.

- Ragazzo, l'hai fatto decine di volte. Sta' calmo. – Yoongi annuì nuovamente. Le parole dell'uomo non lo calmavano per nulla, soprattutto dopo l'ennesimo incubo di quella notte, ma ci avrebbe messo tutta la sua forza mentale e fisica. Inspira.

Strinse la mano sinistra in un pugno, all'altezza del fianco, e la terra si smosse come se l'avesse afferrata. Mosse la mano destra a mezz'aria, compiendo un gesto che tracciava una linea dal luogo in cui i sacchi erano poggiati, al retro del negozio, che si apriva in un vicolo in cui il carro non era potuto entrare. E, obbediente, la terra seguì la sua mano, trascinando con sé la farina e, docile, si fermò esattamente davanti alla porta.

Espira.

Il padre di Namjoon sorrise, e lo lasciò per andare a portare i sacchi all'interno del panificio, la schiena che ringraziava Yoongi per non essere costretta allo sforzo di subire tutto il vicolo coi sacchi in spalla.

Gracilino com'era, usare il suo dominio era l'unica cosa che Yoongi potesse fare per aiutare l'uomo, che da parte sua, non aveva il controllo su nessun elemento, così come il resto della sua famiglia. E, anche se di controvoglia, quasi ogni mattina alle sei Yoongi aiutava il signor Kim a ricostituire le sue scorte di farina senza sforzare la sua schiena. Yoongi era fortunato, però. Namjoon iniziava a lavorare molto prima, verso l'una del mattino, ad impastare ed impastare, così da permettere il pane di lievitare il tempo necessario.

Yoongi entrò appena ebbe finito con i sacchi (ben sei sacchi da 25kg l'uno) e trovò Namjoon che impacchettava vari ordini di pane. Con gentilezza ed attenzione, controllava ogni prenotazione, agendo di conseguenza: afferrava il pane ancora fragrante e caldo e lo metteva in sacchettini di carta, che riportavano sopra il loro semplice logo. Parte di essi finivano poi nel suo zaino, il resto in un pacco che avrebbe posizionato sulla sua bicicletta. O quella che avrebbe dovuto essere una bicicletta.

Più si avvicinava l'orario di apertura, più Yoongi si sentiva stanco: non gli era mai piaciuto interagire con le persone, ma star dietro la cassa era ciò che gli riusciva meglio, grazie alla sua intelligenza. Non era forse il più veloce a fare i calcoli, Namjoon era sicuramente meglio in quelli, ma non si lasciava facilmente abbindolare: l'occhio attento, i sensi sempre all'erta, rendevano il panificio quasi impossibile da truffare o rapinare. E poi la sua pelle candida attirava molte clienti, che compravano qualche biscotto solo per guardarlo per qualche momento e potergli parlare ("Ecco a lei il suo pane. Buona giornata." "Grazie mille! Bello il tempo oggi, vero?" "Non sono ancora uscito e non progetto di uscire a controllare, ma le credo sulla parola. Ecco a lei il suo resto ed arrivederci.") e qualche incasso in più era sempre il benvenuto.

Alle sette il signor Kim appendeva fuori dalla porta il cartello "Aperto", alle sette Yoongi si posizionava svogliatamente dietro il bancone e alle sette Namjoon iniziava il suo giro di consegne. Si mise lo zaino in spalla, ed assicurò il pacco del pane dietro la sua bicicletta con un doppio giro di corda, non si sapeva mai. Si mise il casco in testa e si posizionò sul mezzo.

Che aveva opportunamente modificato. Fece partire il motore a vapore che aveva costruito e, improvvisamente, sentì la bicicletta iniziare a muoversi da sola: c'erano ancora dei dettagli da mettere a punto, ma per ora facilitava di gran lunga il suo lavoro. Almeno poteva porre rimedio velocemente quando combinava qualche disastro, andando a sbattere contro qualcuno o qualcosa e finendo per sparpagliare i pacchetti per tutta la via. Quella bicicletta lo salvava. Specialmente quando non era veloce come un dominatore dell'aria o aggraziato come un dominatore dell'acqua. Era nato senza alcun dominio, ma non aveva mai lasciato che questo lo limitasse, anzi: lo aveva trasformato nella sua forza, nella sua armatura, nel suo tratto distintivo. Aveva usato il suo cervello piuttosto che la forza di un dominio e grazie a quello non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno.

La prima tappa era la casa di un'anziana dominatrice dell'acqua che lo conosceva fin da quando era poco più che un neonato. Sobbalzando, il suo mezzo si fermò a fatica davanti alla porta di casa e, prima che potesse bussare, una testa dai capelli grigi fece capolino dalla finestra.

- Namjoonie caro, sei sempre così puntuale! – cinguettò la signora al suo interno, prima di sparire dietro le tende ed affrettarsi ad andargli ad aprire. Namjoon sorrise, sistemandosi i capelli scompigliati dal casco che si era sfilato prima di avvicinarsi all'abitazione.

- Eccoti qua, eccoti qua, dai entra un attimo che ti preparo un po' di the – lo invitò la donna, sull'uscio di casa – Hai già tutti i capelli arruffati – gli fece notare, alzandosi sulle punte dei piedi e sistemandogli i ciuffi che gli cadevano sugli occhi. Per quanto Namjoon provasse a rendersi presentabile, la vecchia signora trovava sempre i suoi capelli fuori posto e, affettuosamente, glieli pettinava con le dita delicate.

Namjoon rise – Ho appena iniziato il giro di consegne e, per quanto mi faccia piacere il suo invito, non posso accettare – declinò, porgendole il sacchetto del pane.

La signora assunse un'espressione contrariata, afferrando il pane che il ragazzo le stava porgendo – Almeno mangia qualcosina mentre vai, sei così magrolino... -

Namjoon lavorava letteralmente circondato da cibo, non c'era assolutamente modo per cui potesse essere mal nutrito, ma ovvio che per la donna lo era. Lo era sempre stato. Rise, delle fossette su entrambe le guance che gli abbellivano ulteriormente il viso, e declinò anche quell'offerta, facendole un mezzo inchino e raggiungendo la sua bicicletta, non dopo averle ricordato di star attenta alla sua salute e a quella di tutta la sua famiglia.

Tre ore dopo, Namjoon aveva finalmente terminato le consegne. Aveva avuto qualche problema col motore mentre andava, e per un bel tratto aveva dovuto accontentarsi di una tradizionale bicicletta. Niente di catastrofico, però, al confronto delle varie volte in cui, appena studiato e costruito, il motore era letteralmente esploso nel bel mezzo del quartiere. Dopo tanta pazienza e molto duro lavoro, però, non dava più di questi problemi e, seppur avesse dei giorni buoni e cattivi, poteva ritenersi quasi soddisfatto della sua invenzione. Prese la via del ritorno con molta più calma rispetto alla mattina, fermandosi di tanto in tanto a salutare qualche passante che ormai conosceva da anni: aveva sempre vissuto nella cerchia intermedia della città, quindi era come se fosse figlio di quel quartiere. Era certo che Yoongi si stesse annoiando, solo al bancone, così accelerò, pedalando, per non sforzare ulteriormente il motore.

A cinque minuti dal panificio, però, notò un capannello di persone su un lato della via, raccolte attorno ad un bancone della frutta. Frenò, ed allungò il collo per cercare di capire cosa stesse succedendo, ma neanche la sua altezza lo aiutò a vedere qualcosa. Sapeva che non avrebbe dovuto perdere tempo, doveva ancora finire di preparare delle focacce per quel pomeriggio prima di considerare il suo lavoro finito, ma la sua infinita curiosità ebbe la meglio. Smontò dalla bicicletta, trascinandola con sé mentre si avvicinava, e più si faceva vicino, più distintamente capiva le parole di qualcuno evidentemente infuriato.

- Non ha senso, non c'è alcun motivo per cui non dovrebbe! –

- Sono io il proprietario, ed indovina un po'? È il proprietario che decide a chi vendere e a chi no i propri prodotti! Quindi vai da un'altra parte –

Namjoon era capitato nel bel mezzo di un'animata discussione tra un signore sulla cinquantina bassino ed un po' grassottello, ed un uomo, molto più giovane, che a giudicare dal colore rossastro e bruno dei vestiti, era, con ogni probabilità, un dominatore del fuoco. Quest'ultimo aveva nella mano destra delle monete che sembrava voler ostinatamente porgere al commerciante. Il ragazzo osservò attentamente la scena.

- Almeno mi dica perché io non posso avere delle ciliegie mentre il cliente esattamente prima di me sì – insistette il dominatore del fuoco, cercando di non alzare la voce.

- Sono finite –

- Ma se sono davanti a me! –

- Senti, vai via, o sarò costretto a chiamare la Guardia – alzò la voce l'uomo più vecchio – E poi vedremo chi avrà ragione tra un dominatore della terra, un lavoratore da decenni, un onesto cittadino di Ba Sing Se e un clandestino –

Il viso del dominatore del fuoco, a quell'insinuazione, si colorò di rosso, probabilmente per la rabbia, per l'imbarazzo o per entrambe le cose. E a quel punto, Namjoon aveva già capito tutto. Si fece avanti, scavando nella tasca esterna del suo zaino alla ricerca di qualche spicciolo, e si rivolse al dominatore del fuoco – Di quante ciliegie ha bisogno? -.

L'altro sbatté confuso le palpebre, sorpreso. Probabilmente il ragazzo era il primo che si era fatto avanti per fermare quella palese ingiustizia, e Namjoon non riuscì a non provare una nota di disgusto per l'atteggiamento di tutti i presenti. Codardi.

- Solo una manciata – rispose l'altro. Namjoon annuì, e con il sorriso più grande e falso che avesse mai fatto, porse le sue monete all'uomo dietro il bancone – Buongiorno. Un sacchetto di ciliegie, per piacere -.

Il vecchio dominatore della terra brontolò qualcosa fra sé e sé, ma preparò comunque il suo ordine, pesando poi la frutta su una bilancia. Namjoon gli porse due monete di rame, e ricevette in cambio il sacchetto di ciliegie, spinto nelle sue mani con non molta grazia. Ringraziò, e si allontanò, facendo cenno al dominatore del fuoco di seguirlo. Non furono abbastanza lontani, però, per non sentire l'uomo che continuava a borbottare, credendo di non essere sentito – Dannati piromani. Vedrete cosa vi aspetta tra poco. Tra poco sparirete tutti dalla faccia del Regno della Terra, state a vedere -.

Pregiudizi, ecco cosa alimentava l'odio di quell'uomo. E Namjoon, quell'atteggiamento, non riusciva a capirlo, tantomeno sopportarlo. Quando furono in fondo alla via, l'uomo sobbalzò, ricordando che le ciliegie gli erano state regalate dal ragazzo: portò una mano al borsellino dei soldi sul suo fianco e fece per prendere delle monete, ma Namjoon lo fermò – So cosa si prova ad esser giudicati, quindi lo consideri un dono da un amico, va bene? –

Il dominatore del fuoco scosse la testa e gli porse comunque qualche moneta di rame – Ragazzo, il fatto che tu sia stato l'unico ad aiutarmi è già un regalo da parte tua. Se non fossi riuscito a trovare queste – disse, sollevando le ciliegie – mia moglie mi avrebbe ucciso. Sono le ultime rimaste. E una donna incinta non può avere voglie normali, giusto? – rise.

- Non ne so molto, ma... giusto...? – concordò Namjoon. Montò in sella alla sua bicicletta, ma si ricordò improvvisamente di una cosa – Nel caso sua moglie avesse bisogno di qualcosa di dolce, io lavoro in un panificio – disse all'uomo, porgendogli un bigliettino che riportava sopra il logo del Panificio Kim – Ah, e mi scusi se non mi sono presentato prima. Kim Namjoon –

Il dominatore del fuoco annuì – Ancora grazie Namjoon-.    


 

Jungkook si guardò allo specchio. Riconosceva molto di più la figura dinanzi a sé, ora che si era cambiato e non indossava più il lungo vestito da cerimonia. Certo, era abituato a partecipare ad incontri importanti con il Signore del Fuoco, anche se non si diventava Principi Ereditari tutti i giorni!, ma preferiva di gran lunga la comodità dei pantaloni e di maniche che non ostacolassero i suoi gesti. Aveva poggiato la sua corona simbolica in un piccolo cofanetto e, mentre la sfiorava con la punta delle dita, si ritrovò a pensare al suo peso. Sia fisico che psicologico, tenendo conto del fatto che era stata costruita appunto per ricordargli il suo nuovo ruolo.

Fu scosso dai suoi pensieri quando sentì bussare leggermente alla porta ed istintivamente richiuse il cofanetto, prima di rispondere con – Avanti! -.

Oltre la soglia, si affacciò uno dei soldati semplici che di norma stazionavano davanti alla sua stanza per evitare attacchi improvvisi durante la notte – Principe Jungkook, la Guardia Reale l'aspetta in giardino. Sono impazienti di conoscerla personalmente, se non è un disturbo –

- Affatto – lo tranquillizzò il ragazzo. Lo seguì fuori dalla camera fino all'esterno del palazzo. Comprendeva il desiderio dei cinque giovani di conoscerlo: in fondo, era curioso anche lui. Curioso sia di scoprire le loro abilità sia di che tipo di persone si trattassero. E certamente, una parte fondamentale la giocava anche il misterioso soldato dagli occhi espressivi di quella mattina.

Li trovò seduti a chiacchierare animatamente all'ombra di una magnolia del giardino. Sembravano conoscersi da anni, si poteva quasi percepire nell'aria una forte sintonia, e questo fece sentire per un attimo Jungkook fuori posto. In fondo, lui era semplicemente l'ultimo arrivato, e per quanto importante fosse, la sua classe sociale non poteva colmare il vuoto di fiducia che anni d'assenza avevano creato.

Scacciò quel sentimento fastidioso in fretta però, come faceva un principe a sentirsi indesiderato?, e si avvicinò. Erano rumorosi, indubbiamente molto rumorosi, constatò, specialmente due ragazzi che, in piedi, sembravano personificare delle grottesche caricature di sé stessi per far ridere altri tre giovani seduti davanti a loro. Il più alto, tra i due, era anche molto più muscoloso ma aveva una risata squillante, se paragonata a quella dell'altro ragazzo, che scherzava, con una voce sorprendentemente bassa per un ragazzo all'apparenza delicato come lui e rideva, con un sorriso quasi rettangolare. Quando Jungkook gli posò gli occhi addosso, il ragazzo fece lo stesso.

E Jungkook percepì di nuovo quel senso di familiarità a cui non aveva saputo dare una spiegazione quella mattina.

I cinque ragazzi scattarono sull'attenti in contemporanea, come se avessero ricevuto un segnale, fecero un mezzo inchino e le piacevoli risate morirono. Jungkook se ne dispiacque un po'.

- Buongiorno, sono Matthew, al vostro servizio. Siamo contenti che abbiate accettato di vederci, principe - parlò il più alto, con la testa ancora china.

Il ragazzo annuì – Volevo vedervi anch'io. E, per piacere, non datemi del voi, sarete indubbiamente tutti di gran lunga più grandi di me –

- Non possiamo, sire, davvero –

- Dovete –

I cinque ragazzi si guardarono a vicenda un po' confusi, prima che il soldato-occhi-misteriosi scoppiasse in una risata mal trattenuta. Jungkook lo squadrò, forse leggermente irritato, forse sorpreso da un cambio così veloce di atmosfera. Ma l'altro ragazzo alzò lo sguardo e il suo viso era illuminato del sorriso più sincero e privo di qualsivoglia malizia che Jungkook avesse mai visto. O forse era solo di parte, catturato com'era ormai dalla voglia di decifrare l'aria impenetrabile dell'altro.

- È esattamente come ve lo avevo descritto, vero? Non si preoccupa di usare il suo status per ottenere ciò che vuole – disse questo guardando gli altri compagni.

Jungkook sbatté velocemente le palpebre – Come, scusa? -.

- Perdona Taehyung – si intromise una delle ragazze, scuotendo la testa e quindi i lunghi capelli castani, raccolti da un fermaglio rosso ed oro – È ancora giovane. È un soldato eccellente ma ha molto da imparare.

- Imparare cosa, Somin? So perfettamente che tipo di persona sia il Principe Ereditario e lui conosce perfettamente me – ribatté Taehyung. Matthew si portò una mano al viso, e l'altro ragazzo presente fece lo stesso.

- Non ti seguo – aggrottò le sopracciglia Jungkook. Per tutta la mattina si era riferito a lui come 'soldato-occhi-misteriosi', non c'era verso per cui potesse conoscerlo.

Taehyung finse di essere offeso, si portò una mano al petto e mise il broncio – Il fatto che non ti ricordi del tuo TaeTae mi spezza il cuore –

- TaeTae...? -. Jungkook assottigliò gli occhi cercando di ricordare. Non era la prima volta che sentiva un nome del genere, ma non aveva assolutamente la minima idea di dove avesse potuto incontrare il ragazzo prima di quel momento.

- Aspetta che ti aiuti – si schiarì la voce Taehyung, per poi iniziare a cantare una lenta melodia - A te mia cara, devo dire una cosa -Jungkook spalancò gli occhi. Ricordò delle risate di bambini, delle corse per gli infiniti corridoi del palazzo.

- Inaspettatamente stasera ti sto dicendo questo. –

Era una canzone che aveva sentito più volte da piccolo, ma era sempre stata cantata da una sola persona, che per certo, non era parte del suo nucleo familiare. Nonostante avesse vissuto da sempre a palazzo, esso non era abitato solo dalla famiglia reale - Questa è la canzone che tuo padre... -

Taehyung annuì, finendo di cantare con una leggera drammaticità nella voce e nell'espressione, come se fosse commosso - A te mia cara darò tutto ciò che ho -.

- TaeTae! – esclamò Jungkook, gli occhi luminosi.

- Ce ne hai messo di tempo – lo prese in giro l'altro. Non era colpa di Jungkook, però. Erano cresciuti insieme da bambini ma non lo vedeva da almeno dieci anni, ovvero da quando gli era stata imposto il duro allenamento per diventare ciò che era ora. Sapeva che, durante gli anni passati separati, il suo amico Taehyung si era sottoposto all'addestramento necessario per essere un soldato, ma Jungkook lo ricordava un bambino esile e deboluccio, entusiasta per ogni novità e quasi non interessato al suo dominio sul fuoco: aveva dato per scontato che sarebbe divenuto, nella migliore delle ipotesi, un soldato semplice. Chi avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato un giovane così alto e talmente bravo da essere scelto come guardia personale del principe?

- Sei cambiato parecchio... - osservò Jungkook. Nonostante Taehyung fosse più grande di lui di quasi due anni, Jungkook lo superava di giusto un paio di centimetri. Nulla di troppo evidente grazie alla figura slanciata di Taehyung. Il suo viso era armonioso, meno tondo di quanto si ricordava, le mani erano grandi, le dita sottili e lunghe, le labbra carnose e i capelli lisci, leggermente più lunghi di quelli di Jungkook, e castani (li ricordava neri, che li avesse tinti? Gli era permesso?) - ....Gli occhi no, però - si lasciò sfuggire, e se ne pentì subito dopo, quando Taehyung gli si fece vicino ed alzò le sopracciglia.

- Inconfondibili, vero? – ghignò il soldato, sbattendo le lunghe ciglia - Non tanto da farti ricordare di me, però. Che delusione! –

Jungkook roteò gli occhi: anche il carattere giocoso era rimasto quello di sempre.

Probabilmente avrebbe ribattuto in qualche modo se non fossero stati raggiunti da un soldato semplice, trafelato, ad informarli che il Signore del Fuoco li voleva ricevere urgentemente. Jungkook aggrottò le sopracciglia: dopo la mattina appena passata non si aspettava che suo padre lo mandasse a chiamare talmente presto. I sei giovani, scortati dal soldato semplice, si recarono in una delle sale usate da suo padre per riunire i generali e i funzionari, per discutere insieme a loro di quali modifiche apportare alla Nazione e delle azioni militari da eseguire.

Tuttavia, davanti alla porta il soldato si fermò, e squadrò tutta la Guardia Reale – Lo spazio dentro non è abbastanza da far entrare tutti –

Jungkook alzò il mento e guardò Taehyung; con un tono fermo e serio ordinò semplicemente – Taehyung-ssi, con me -. Nonostante fossero vecchi amici, Jungkook sapeva di dover testare l'affidabilità di ogni suo soldato, e affidare fin da subito a Taehyung il compito di assistere ad una riunione personale con il Signore del Fuoco gli avrebbe probabilmente fatto capire quale fosse ora il suo lavoro e cosa Jungkook pretendeva da lui e dal resto della Guardia.

Taehyung spalancò gli occhi, colpito dall'aria intimidatoria e dal tono formale che aveva assunto l'altro, ma non ribatté, raddrizzò la schiena e seguì il principe all'interno della stanza: quest'ultima era, come aveva anticipato il soldato semplice che li aveva scortati, incredibilmente stretta. Non tanto per la grandezza in sé della stanza, quanto per la presenza di molte persone raccolte attorno ad un enorme tavolo, sul quale era poggiata una cartina del mondo. Evidenziate di vari colori, erano disegnate le terre appartenenti ai diversi tipi di dominatori: in azzurro le Tribù dell'Acqua del Sud e del Nord, oltre che quella della Palude Nebbiosa, in bianco i promotori sui quali si ergevano i Tempi dei Nomadi dell'Aria, in rosso la Nazione del fuoco, particolarmente concentrata ad Ovest, a ridosso di un vulcano, e in verde il vasto Regno della Terra ad Est.

In esso era presente qualche zona rossa, ovvero le vecchie colonie appartenenti alla Nazione del fuoco da ormai decenni. Ed era quelle che il Signore del Fuoco stava guardando attentamente quando Jungkook entrò nella stanza.

- Padre – si annunciò, seguito da un incredibilmente silenzioso Taehyung che si posizionò esattamente un passo dietro a Jungkook, le mani congiunte dietro la schiena, gli occhi vigili che correvano ora sul Principe ora sulla cartina al centro della stanza, particolarmente attenti a non incrociare per sbaglio lo sguardo del Signore del Fuoco.

Fu questo a parlare, prima che potesse farlo qualcun altro, e spiegare la situazione – Si tratta di un'emergenza –

Jungkook si fece, se possibile, ancora più serio. Suo padre continuò – Sai bene anche tu che da qualche tempo a questa parte nelle colonie presenti nel territorio del Regno della Terra si sono scatenate delle strane rivolte. E sai anche che sono state tutte sedate, dal momento che erano organizzate ed attuate da pochi gruppi di persone. Ma la situazione si sta aggravando. –

L'uomo indicò con l'indice l'area verde che circondava Ba Sing Se – Come se l'aria di ribellione si fosse diffusa, sono giunte voci di movimenti sospetti nei paesi attorno alle mura di Ba Sing Se, casi di repulsione alla presenza di dominatori del fuoco, che siano soldati o semplici cittadini ed un sospetto aumento di piccola criminalità –

Jungkook annuì semplicemente alle nuove informazioni, mentre Taehyung cercava di affacciarsi oltre alla sua spalla per vedere meglio e poter seguire più attentamente il discorso.

- Ovviamente questi territori non sono sotto il nostro controllo e non possiamo condurre delle vere e proprie indagini, o muovere truppe che portino la situazione alla normalità. Ciò che si vuole evitare è, ovviamente, lo scoppio di un qualche movimento, che sembra prendere di mira principalmente i dominatori del fuoco, all'interno di Ba Sing Se. La città è fittamente popolata, se si scatenasse una rivolta là sarebbe particolarmente difficile fermarla. Dubito che succeda – l'uomo incrociò le braccia, guardando il figlio – ma vista la rapida diffusione di questi disordini ho bisogno che tu conduca un'indagine in incognito all'interno della città per raccogliere indizi su un principio di ribellione, e, nel caso, troncarla sul nascere -.

- Avete detto che non possiamo muovere truppe – sottolineò Jungkook.

- Infatti è qui che entra in gioco la tua Guardia Reale -.

Al sentire il suo gruppo venir nominato, Taehyung si raddrizzò di scatto, cercando di apparire il più affidabile e composto possibile agli occhi sia del Signore del Fuoco che di tutti i presenti.

- L'indagine potrai svolgerla con loro. Nel caso la situazione fosse più grave di quanto pensassi, tutto ciò di cui ti devi occupare è raccogliere più informazioni possibili ed inviarmele in modo che io possa prendere provvedimenti. Capito? –

Jungkook annuì con vigore – Tutto chiaro -.

- Incomincia in fretta con i preparativi, dovete partire stanotte -.

- Certamente, informo il resto della Guardia – il ragazzo fece un mezzo inchino, seguito a ruota da Taehyung, e uscì dalla stanza, per ritrovare gli altri quattro ragazzi che lo aspettavano, silenziosi, nel corridoio.

Jungkook non parlava, probabilmente sovrappensiero, così fu Taehyung a rompere il silenzio – Beh, quindi si parte – sorrise al principe che stava ancora osservando il vuoto davanti a sé e al resto dei suoi compagni di squadra – Non è emozionante venire incaricati di una missione il primo giorno di servizio? -.

Emozionante sì, ma anche terribilmente influente sull'opinione che si sarebbero fatti di Jungkook gli uomini di corte e l'intera Nazione, nonostante non sarebbe stata informata subito dell'operazione organizzata.

Jungkook sentì un'ondata d'ansia travolgerlo, ma allo stesso tempo anche una forte scarica di energia farsi strada in lui: neanche nelle migliori delle ipotesi avrebbe immaginato un'occasione per dimostrare il suo valore talmente presto. Avrebbe sicuramente avuto successo, l'importante era solo ricordare di respirare.

Inspira,espira.    

Angolo autrice Una nuova Fanfiction per un nuovo fandom! Pubblicherò un capitolo di circa 10k parole al mese, sono aggiornamenti lenti ma non sono molto veloce a scrivere, quindi... Questo è un crossover con, come si è già forse capito, Avatar l'ultimo dominatore dell'aria, ma non è necessario conoscere la storia della serie per capire la Fanfiction. Basti sapere che in questo Universo le persone possono nascere con il potere di controllare l'acqua (+ghiaccio, vapore, poteri curativi, sangue), la terra (+magma, metallo, sabbia), il fuoco (+fulmini) oppure aria. Oppure nulla come qui Namjoon. In ogni generazione nasce un "Avatar", ovvero qualcuno che riesce a controllare tutti e quattro gli elementi, ma in questa Fanfiction non verrà menzionato, quindi non preoccupatevi. Grazie per aver letto! Se su Wattpad trovate una Fanfiction uguale che aggiorna settimanalmente con capitoli di 2k parole, sono sempre io.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS) / Vai alla pagina dell'autore: Sery_Vargas