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Autore: Margaret24    06/01/2018    5 recensioni
Arriva un momento nella vita di ognuno in cui è doveroso trovare il coraggio di guardarsi allo specchio, nudi, e ammettere a se stessi la verità. A volte, la vita ci costringe a farlo di fronte a chi si ama. Mostrarsi veri e fragili, con tutte le ferite e le cicatrici. Questa che vi narro, sulle note di Take me home di Jess Glynne, è una di quelle volte.
Genere: Angst, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Wrapped up, so consumed by all this hurt
Avvolto e consumato da tutto questo dolore,
If you ask me, don't know where to start
Se me lo chiedi, non so da dove cominciare,
Anger, love, confusion, roads that go nowhere
Rabbia, amore, confusione, strade che non portano a nulla
I know that somewhere better, 'cause you always take me there
Conosco un posto migliore, tu mi ci porti sempre
 
 
Una parte di lei se lo aspettava. Lo aveva messo a nudo davanti a tutti, in fondo, aveva permesso che qualcuno definisse le sue paure “ridicole”. Nel momento meno opportuno, forse, o forse no, aveva agito d’istinto e basta, ed era semplicemente esplosa dopo che il mondo le era crollato addosso, a lei e a tutti loro. Ma qualcosa in lei continuava a pulsare di dolore mentre la sua mano bussava per la seconda volta alla porta di Remus e lui non rispondeva. Era uscito? Dormiva? Stava male? Appoggiò la testa e l’orecchio contro il legno e udì il rimbombo dei rumori di sottofondo che indicavano dei movimenti nell’appartamento. Chiuse gli occhi e deglutì, ignorando una fitta in fondo allo stomaco di fronte ad un altro rifiuto. L’unica consolazione era che per lei gli incantesimi di protezione della casa erano indeboliti, chiaro segno di fiducia. Si appoggiò con la schiena alla porta e cominciò a parlare, nella speranza che Remus la ascoltasse.
“Fai bene a non aprirmi” disse tristemente. “Io non mi aprirei. Arrivo al sodo, allora, ero venuta a chiederti scusa”. Trasse un respiro profondo e nell’imporsi di pronunciare le parole che seguirono, provò una curiosa sensazione di distacco, come se fosse un ventriloquo a muovere le sue labbra. “Mi dispiace, Remus. Mi dispiace per essere così testarda, per non averti dato retta. Non posso costringerti a venirmi incontro, e dopo tutto il casino che è successo in questi mesi, e dopo quello che hai passato tu e quello che ho passato io e quello che è successo l’altra notte...” – la morte di Silente era ancora qualcosa di inconcepibile – “... non avrei dovuto urlarti addosso in quel modo. Ho perso il controllo. Perciò ti chiedo scusa”. Dicendolo, alzò poco le braccia e le lasciò cadere pesantemente.
Si udì un secco rumore metallico, e Tonks fece appena in tempo a scostarsi quando Remus aprì lentamente la porta. La prima cosa che lei notò fu il suo sguardo depresso e cupo, i capelli accorciati e spettinati, la barba castana che cominciava a ricrescere. Aveva gli occhi arrossati di chi ha passato una lunga notte insonne, la pelle cerea come i malati, le labbra screpolate come sempre. Senza dire una parola, le fece cenno di entrare e si allontanò verso l’interno del suo appartamento. Abitava in una mansarda modesta e umida, con la moquette bluastra sul pavimento, qualche mobile e scaffale qua e là, un cucinotto arrugginito in un angolo e una brandina disfatta in un altro. Era anche piena zeppa di libri infilati in ogni dove e cianfrusaglie che spuntavano come i funghi: come uno Spioscopio tra i tanti oggetti che pendevano dal soffitto, una teca piena di Bundimun(*) e Tadfoal (**) e una piantina della stanza stessa con due puntini che si muovevano seguendo i loro spostamenti. Non era la prima volta che vi entrava, ma Tonks osservò di nuovo ammirata le iniziali del proprio nome sulla pergamena animata, ricordando l’abilità di Remus nella creazione di una certa mappa ormai diventata leggenda... Poi guardò il mago trafficare con alcuni pezzi di carta sul tavolo. Era vestito da babbano quel giorno, con dei vecchi pantaloni da trekking scuri e una semplice felpa grigia aperta su una canotta color panna, i piedi coperti solo da calzini neri.
Tonks non si disturbò a chiudere la porta dietro di sé.
“Me ne vado” sentenziò. “Ero venuta a dirti anche questo”.
Remus, che aveva preso svogliatamente a riordinare la stanza senza bacchetta, si bloccò di colpo, con espressione leggermente interrogativa.
“In Scozia ci sarà più bisogno di protezione. Ho deciso di stabilirmi lì definitivamente. E di non tornare se non è strettamente necessario”.
Remus gettò un bicchiere di plastica sul tavolino che stava sgomberando, si morse le labbra e respirò profondamente. Alzò gli occhi su di lei e quando parlò, Tonks si accorse che gli tremava la voce.
“Non posso...” si schiarì la gola, “Non posso che augurarti buona fortuna, Tonks”.
Ed eccola, un’altra fitta al petto, con dovuta autocommiserazione. Non impari mai, Ninfadora. Le sembrava di sentire sua madre che la sgridava. Sempre le aspettative un po’ più in alto della norma e bum! Ti schianti a terra come un’idiota!
“Allora... Allora addio, Remus”
“Addio Tonks”
Tonks fece un buffo inchino col capo, si voltò e superò la porta, richiudendosela alle spalle. Si appoggiò di nuovo all’ingresso, sentendo le labbra incurvarsi prepotentemente verso il basso. Poi udì un suono di vetro infranto che la fece sobbalzare. Non fece in tempo ad analizzare il rumore che sentì un tonfo dopo l’altro, come se Remus stesse scagliando oggetti contro le pareti.
“Remus?” lo chiamò.
Nessuna risposta, soltanto il rumore delle sue cose che si schiantavano contro ogni superficie. Cominciò a prendere a pugni la porta e a gridargli di riaprirla. Allora estrasse la bacchetta e scaldò la serratura fino a farla fondere, riuscendo a rientrare.
“Remus...”
“Vattene, Tonks” ringhiò la voce di lui.
“Remus!”
Non aveva lo aveva mai visto così furioso. Con il viso rosso e i ciuffi dei capelli sudati, stava letteralmente buttando giù a mani nude ogni pezzo della sua casa, compresi i mobili.
“Remus...”
“VATTENE!” le urlò contro, e la afferrò per un braccio trascinandola verso l’uscita.
“Remus, ascoltami...”
“VATTENE!” continuò ad urlare istericamente tornando a sconquassare la propria abitazione e mettendosi le mani in testa a occhi chiusi. “Lasciami in pace! Ho ascoltato abbastanza! Ne ho abbastanza! Andate via tutti! VIA!!!”
Un boato sferzò l’aria e la stanza fu attraversata da un’improvvisa ondata di aria calda che fece vibrare le pareti e il pavimento. Nello stesso istante l’acquario e le stoviglie esplosero, la finestra si incrinò in una miriade di crepe, mentre pezzetti di intonaco si staccavano dal soffitto insieme agli oggetti appesi. In un attimo i mobili si erano anneriti come riesumati da un incendio, le pagine dei libri caduti erano accartocciate e bruciacchiate. Il silenzio che seguì fu inquietante e innaturale, rotto solo dal respiro affannoso di un Remus sotto shock che fissava un punto indefinito davanti a sé, le mani ancora sopra la testa.
Tonks lo vide barcollare e gli si avvicinò ansiosa.
“Va bene, Remus, ascolta, me ne vado, me ne vado...” gli disse tutto d’un fiato con voce tremula. “Tu però calmati, ok? Vieni qui, siediti... Me ne vado se stai tranquillo, veramente...”
Le tremavano le mani mentre con una gli tirava con delicatezza un braccio, l’altra appoggiata alla sua schiena. Sentiva che qualcosa si era “rotto” in Remus, e aveva il terrore che a tutto ciò che gli era capitato lei avesse aggiunto benzina al fuoco, con le sue insistenze e con ciò che era andata a dirgli quella sera.
Remus si inginocchiò e abbassò il capo, mentre singhiozzi silenziosi cominciarono a scuoterlo, le lacrime che scivolavano copiosamente dagli occhi di nuovo chiusi. E Tonks lo vide. Lo vide in tutta la sua fragilità e la sua umanità, per la prima volta lo vide disfarsi di fronte a lei col cuore spezzato, e sentì il proprio sciogliersi. Lo guardò impotente mentre si reggeva la fronte con la mano destra, il viso ora arrossato dal pianto.
 
Would you take the wheel if I lose control?
Se perdessi il controllo, prenderesti tu il timone?
If I’m lying here, will you take me home?
Se mi trovassi qui disteso, mi riporteresti a casa?
Could you take care of a broken soul?
Sapresti prenderti cura di un’anima a pezzi?
Will you hold me now? Will you take me home? Will you take me home?
Puoi tenermi stretto? Mi riporti a casa? Mi riporti a casa?
 
 
“Resta” lo sentì sussurrare. “Per favore, resta ancora un po’...”
Tonks gli si inginocchiò accanto, mentre lui continuava a mormorare tra i singhiozzi: “Scusami, s-scusami, ti prego, perdonami, i-io...”
“Vieni qui” disse lei piano, lo tirò a sé e lo abbracciò, lasciando che si sfogasse.
“Non ce la faccio più, Tonks...”
“Lo so...”
“Non... ce la faccio... più...” scandì lui dondolandosi un poco mentre lo diceva. “Ci ha lasciati anche lui... Se n’è andato anche lui... Prima Sirius e adesso Albus... Oddio mio, non ce la faccio più...”
Sembrava che gli stessero squarciando il ventre ad ogni parola. Per Tonks erano pugnalate nei reni. Non aveva idea di come aiutarlo, perché la verità era che non ce la faceva più neanche lei. Perciò dopo un po’ si alzò dandogli una carezza sulla testa e andò a cercare qualcosa da bere tra ciò che restava dei mobili, trovando qualche bustina di tè, dell’orzo in polvere e dei succhi di frutta. Optò per la terza scelta, scoprendo che erano al gusto di albicocca, e tornò da Remus con due scatolette e cannucce.
Lui si era accoccolato contro il muro e si asciugava il viso e il naso con un fazzoletto comparso dal nulla. Sembrava imbarazzato ed evitava il contatto visivo, ma a Tonks la sua reazione non era sembrata affatto eccessiva. Al contrario, ciò che trovava eccessivo era quanto Remus si era ostinato a sopportare fino a quel momento. L’uomo accettò il succo di frutta e ficcò la cannuccia nella scatola, ma non lo bevve.
 
Came to you with a broken faith
Sono venuto da te con la fiducia spezzata,
Gave me more than a hand to hold
E tu mi hai dato molto di più che una mano
Caught before I hit the ground
Mi hai afferrato prima che piombassi a terra
Tell me I’m safe, you’ve got me now
Dimmi che sono al sicuro, che mi hai preso...
 
 
 
Tonks osservò di sottecchi il pallore malsano di Remus che taceva, ascoltò il suo respiro leggermente più rapido del normale. Si ricordò della luna che aveva ormai quasi colmo il suo bicchiere di latte, e senza riuscire a fermarsi gli chiese titubante:
“Cosa si prova, Remus? C-cosa si prova nel trasformarsi, nel perdere il controllo in quel modo?”
Remus le lanciò un’occhiata fugace, sbattendo leggermente le palpebre, sistemandosi inquieto sulla moquette. Nessuno gli aveva posto quella domanda per anni. Si mordicchiò un labbro, e rispose lapidario:
“Fa male. Tanto”. Tonks credette che non avrebbe approfondito la sua risposta, e si morse la lingua, sicura di aver osato troppo. Invece lui sospirò di nuovo e riprese, cercando le parole: “Non è come diventare Animagi o cambiare aspetto a proprio piacimento. E’ qualcosa contro la tua volontà, una battaglia persa che il tuo corpo si ostina a combattere. Le ossa, i muscoli, gli organi, tutto si disfa, si scioglie, si spezza, brucia... La testa, oh, il dolore alla testa è insopportabile, e anche qui è...” e si accarezzò il petto addolorato, lasciando cadere la frase. “E la tua mente... La tua mente si sporca... Si divide e poi si semplifica, riducendosi a un mero istinto demoniaco. Vuoi solo vendicarti di quella tortura, vuoi solo urlare di smetterla... e senza accorgertene hai già varcato un limite e vuoi uccidere nel modo più cruento possibile... Le sensazioni sono amplificate al massimo e sono dolorose, senti tutto, perfino gli odori fanno male, i colori sono accecanti, rossi, e tu... tu vuoi solo uscire da quella gabbia e sfogarti e sentire il sapore del sangue umano, e quando non riesci a raggiungerlo te la prendi con te stesso -”
Si bloccò di colpo portandosi una mano tremante al viso e strofinandosi forte gli occhi, la bocca e di nuovo gli occhi. Tonks non poté evitare di stringergli e accarezzargli il braccio.
 “E non muori” continuò lui con voce spezzata, scuotendo leggermente il capo, le labbra strette. “Al risveglio non muori. Pensi di lasciarti morire dissanguato, e invece non è mai morto nessun Licantropo così, dopo la prima trasformazione. Credo sia parte della maledizione in sé. Ho perso il conto delle volte in cui mi sono svegliato a mattinata inoltrata e ho dovuto semplicemente alzarmi e tornare a casa a farmi una doccia” ridacchiò senza allegria.
 
Hold the gun to my head, count 1, 2, 3
Con la pistola alla testa, conto fino a tre
If it helps me walk away then it's what I need
Se ciò mi aiuta ad andarmene, non mi serve altro
Every minute gets easier, the more you talk to me
Eppure più tu mi parli, più i minuti si alleggeriscono
You rationalize my darkest thoughts, yeah, you set them free
Tu razionalizzi i miei pensieri più cupi, sì, li fai vagare liberi
 
 
“Mi ricorda quando fui colpita dalla Maledizione Cruciatus” disse Tonks con un brivido. “Bellatrix” rispose allo sguardo interrogativo e oltraggiato di Remus. “E’ come se... Come se...” lottò per trovare le parole, “come se stessi prendendo fuoco. Dolore, senti solo un dolore allucinante...”. Fu il turno di Remus di metterle una mano incoraggiante sulla gamba. Lei sorrise stancamente.
“Per questo è riuscita a disarmarti” disse Remus perspicace.
“Per questo Sirius è morto” disse Tonks freddamente, mentre il sorriso le si scioglieva sul viso. Lui le sollevò delicatamente il mento e la costrinse a guardarlo. Il cuore di Tonks accelerò di colpo i battiti.
“Sirius è morto” scandì lui lentamente, “perché Bellatrix Lestrange ha usato la Magia Nera contro i suoi avversari per arrivare a lui. Ed è bastato un errore di Sirius a farlo morire. L’errore è stato di Sirius. Non tuo. Non c’è controincantesimo per le Maledizioni Senza Perdono. Anche Kingsley ha perso in quel duello, Tonks. Conosci i tuoi limiti. Non essere testarda” aggiunse severo. “Non diventare come me” disse infine con voce più dolce.
Lei sorrise di nuovo mestamente e gli abbassò con delicatezza la mano.
“Invece di credere che tu possa avere una cattiva influenza sugli altri” disse, “non potresti pensare che siano gli altri a contagiarti in modo positivo?”
Remus restò in silenzio, continuando a guardarla con dolcezza.
“Vivere con un Licantropo” riprese poi a voce bassa, come se avesse ascoltato i suoi pensieri, “non è affatto semplice, Tonks”
Non sapeva neanche lui perché le stesse dicendo questo. Si disse mentalmente che era l’ennesimo tentativo di scoraggiarla, di allontanarla. Eppure c’era qualcosa di fastidiosamente paziente nel tono della propria voce. Come se stesse cercando di insegnare ad eseguire un incantesimo, piuttosto che ad evitare una maledizione. Si sentì invadere lo stomaco da un piacevole quanto inaspettato calore nel pronunciare sapientemente le parole che seguirono.
“Bisogna stare attenti, tenere il calendario costantemente sotto controllo” continuò. Di lei si poteva fidare. Lei avrebbe capito. Era intelligente, astuta. Era giovane, dopotutto, con i riflessi pronti.  “Bisogna tenere a bada il panico e non lasciarsi spaventare dai suoni e dai rumori. Dalle grida...”, strinse le mani attorno alle proprie caviglie, guardando tristemente verso il basso. “E non bisogna mai, mai, incrociare un Lupo Mannaro durante la luna piena. Dev’essere tenuto a bada con incantesimi molto potenti. Mai provare a parlargli o a farlo ragionare o a renderlo più docile. Mai abbassare la guardia, mai
Tacque, mantenendo la presa salda sulle gambe.
“Remus...  Credi che sarai mai felice un giorno?” chiese Tonks rilassandosi sulla parete.
“Di nuovo la Sindrome da Guaritrice?” la canzonò lui.
“Può darsi”
Remus ci pensò un po’ su.
“Sono stato felice” disse infine. “Non so se lo sarò di nuovo, Tonks”
Aveva la gola secca, ma non toccò il suo succo di frutta. Quella notte le stava donando una parte di sé, una parte di cui poche persone avevano avuto il coraggio di chiedergli e che non c’erano più.
“Sai io non... Non ho memoria di una vita normale... Per quanto si possa definire la normalità... Ecco, diciamo di una vita sana”. Pensò che forse non avrebbe dovuto definirsi “malato”, ma non trovava altri termini per spiegarsi. Così tacque per qualche secondo, poi riprese: “Ho vaghi ricordi di quella notte, sai... Quasi dei flash... Sono solo sensazioni, emozioni, incubi. Mi sono anche chiesto se fossero veri. Sono passati più di trent’anni, ed ero davvero piccolo...”
Fu il turno di Tonks a scrutare gli occhi di Remus.
“Non ti sei infiltrato per caso tra la gente di Greyback, vero?”
Remus scosse il capo.
“Volevo vedere, Tonks. Non so spiegartelo... Dovevo vedere con i miei occhi cosa mi ha fatto diventare così. Cosa ha spinto Greyback a farmi del male, come diavolo ha ragionato, come pensa... Come considera la vita di un bambino... Se ci fosse qualcos’altro di perverso che non riusciva a controllare, qualcosa al di là della Licantropia, qualcosa di malato, qualcosa che...”
Stava cominciando a stringere convulsamente i lembi dei propri abiti. Deglutì.
“... Che lo rendesse più accettabile” concluse con voce tremante.
“Ti ha riconosciuto?” chiese Tonks dopo un po’. Remus scosse di nuovo la testa, massaggiandosi finalmente gli occhi.
“Io non mi sono nemmeno avvicinato a lui. Ci ho provato, ma ero... paralizzato. Avrei potuto fare qualcosa, avrei potuto fermarlo. E invece ho avuto paura”
“Non erano questi gli ordini di Silente, e tu lo sai” lo interruppe Tonks con severità. “Dovevi spiarlo, scoprire e riferire. Cercare di fermarlo avrebbe solo fatto saltare in aria tutto quanto, la tua copertura e tu... Saresti m-morto”. Fu il turno di Tonks di strofinarsi le palpebre e abbassare il capo cercando di mantenere la calma.
Remus le appoggiò la fronte sulla tempia in un folle gesto spontaneo di gratitudine. I due si stavano stringendo pian piano senza rendersene nemmeno conto.
“Io voglio solo che tu sia felice, Remus. Solo questo, voglio che tu stia bene. E’ l’unica cosa per cui prego tutti i giorni”
Remus non rispose subito. Si sentiva stranamente più leggero e più intrepido di quanto si fosse sentito ultimamente.
 
You say space will make it better and time will make it heal
Dici che per stare meglio ho bisogno di spazio e che il tempo mi farà guarire
I won't be lost forever and soon I wouldn't feel
Che non sarò perso per sempre, che presto non mi sentirò più
Like I'm haunted,
perseguitato
oh, falling
O in caduta libera
 
 
La verità era che lei lo faceva stare sempre meglio anche quando le sembrava il contrario. La verità era che questo lo spaventava a morte: lei era davvero capace di leggergli dentro senza magia. Lei non lo giudicava, ma lo accettava. Lei non minimizzava i suoi problemi, ma ne prendeva coraggiosamente atto. Lei sapeva andare oltre le apparenze, era capace di provare un’empatia talmente profonda da immedesimarsi in lui pur non avendo nemmeno sfiorato i suoi demoni. E lui ne era terrorizzato, perché lo rendeva vulnerabile, dipendente da una persona libera. Lui che era cresciuto con pane e menzogne per soffrire di meno, per essere abbandonato un po’ meno, ecco che con lei rischiava di ferirsi irrimediabilmente, come nemmeno gli artigli di un licantropo possono ferire. Lei lo capiva, e lui si sentiva scoperto, nudo.
Continuarono a parlare fino a notte inoltrata, e il mattino li trovò accoccolati dov’erano rimasti, ignaro dei baci di cui era stata testimone l’oscurità.
 
 
 
 
 
* Creatura magica che si nutre di sudiciume. Somiglia ad una macchia di funghi verdi con gli occhi e molte zampette lunghe
** Cucciolo di Ippocampo ancora nell’uovo


Credits: Testo tratto dalla canzone Take me home di Jess Glynne
  
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