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Autore: ChiiCat92    07/01/2018    0 recensioni
"La Sete è qualcosa che non si può controllare. Striscia con meticolosa attenzione in ogni anfratto del corpo, avvolgendo di bruciante desiderio le membra, e di ossessivi pensieri la mente.
Niente occupa il pensiero come la Sete, non esiste nulla in grado di chiarificare il pensiero. È torbida come fango, un profondo e nero oblio.
Se ne possono scorgere le avvisaglie, come un cielo nero per la tempesta, per evitare che prenda il controllo sulla ragione, ma quando colpisce, colpisce con forza."
[Xemsai]
Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Saix, Xemnas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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06/01/2018

 

Bloodlust

 

 

La Sete è qualcosa che non si può controllare. Striscia con meticolosa attenzione in ogni anfratto del corpo, avvolgendo di bruciante desiderio le membra, e di ossessivi pensieri la mente.

Niente occupa il pensiero come la Sete, non esiste nulla in grado di chiarificare il pensiero. È torbida come fango, un profondo e nero oblio.

Se ne possono scorgere le avvisaglie, come un cielo nero per la tempesta, per evitare che prenda il controllo sulla ragione, ma quando colpisce, colpisce con forza.

 

*

 

Nel buio scivolo lentamente, intangibile e silenzioso quanto e più di un'ombra. L'odore del sangue aleggia tutto intorno, avverto il suono di mille cuori che battono in lontananza.

Ma solo uno mi attira a sé. Vicino, tanto vicino, e calmo, totalmente inconsapevole della morte in agguato alle sue spalle.

La Sete cresce ad ogni passo, la avverto seccarmi la gola, rendermi impossibile pensare ad altro che non sia il dolce sapore del sangue. La lingua batte sui canini appuntiti.

Nel momento in cui la mia vittima volta l'angolo entrando in un vicolo scatto in avanti.

Le mie mani lo afferrano da dietro. Sento il suo calore, il suo terrore che all'improvviso mi sommerge, mi riempie la bocca di frizzante aspettativa. Non ha il tempo di urlare o difendersi perché affondo i denti nella carne del collo, raggiungendo la giugulare. Un fiotto di sangue mi assale la gola, scende lungo l'esofago, riempie lo stomaco e non solo: come radici profonde di un albero, il nutrimento si diffonde in ogni fibra del mio essere facendomi tirare un respiro di sollievo.

Il corpo dell'uomo morto si accascia sul terreno con un leggero tonfo. Nessuna goccia di sangue è andata sprecata, e mi lecco le labbra per assicurarmene.

La notte è giovane, l'aria fresca mi riporta tutti gli odori, alcuni sono ammalianti, altri trascurabili. È una roulette, un fortuito caso, quello che farà morire un umano piuttosto di un altro.

Il passare dei secoli ha reso tutto meno stimolante, solo un bisogno fisico più che un piacere. Un animale deve nutrirsi per poter vivere, e così anch'io.

Per di più, la vita umana è così fragile, così inutile. Non possono combattere, non possono ribellarsi, qualsiasi gioco finisce con la mia vittoria, qualsiasi sfida con la loro morte.

Tra tutte le creature che abitano questo mondo sono le più vulnerabili, persino il leone deve correre se vuole uccidere una gazzella. Il mio incedere, invece, basta.

Passo oltre il cadavere e assaporo ogni istante di quel momento, mentre il corpo intorpidito dalla Sete ricomincia a muoversi. La mia immortalità è un dono e una condanna, se non mi nutro il mio organismo smette di funzionare, bloccandomi nel rigidità marmorea di una morte che avrei dovuto incontrare molti secoli fa. Quanti, non ricordo.

Tra le mille tracce olfattive ne scelgo una, quella che mi sembra più appetibile, e corro. Il freddo della notte non può prendermi il viso, sento il vento ma non il suo furore. Niente può toccarmi davvero. Il mondo si inchina al mio passaggio, le acque si placano, la terra mi si spiana davanti.

È così che deve essere in segno di rispetto per il Padrone.

Il secondo umano a morire stanotte è una donna, una giovane donna dal sapore pungente che si accascia tra le mie braccia come fossi il suo salvatore. Dopo essermi nutrito le lascio qualche secondo di vita, il tempo necessario perché possa vedere la morte spegnere i suoi occhi.

Questa volta, forse, sarà diverso, trarrò da questo più che piacere, riaccenderà i miei sensi.

La donna mi guarda implorante, pallida, e sempre più fredda. Basta così poco per uccidere questi esseri che ogni volta me ne stupisco.

Cerca di allungare una mano verso di me, il mio volto sarà l'ultima cosa che vedrà visto.

Gli umani fanno tenerezza, sono come i bambini. Tutta la vita nel tentativo di allontanare il pensiero della fine, per poi morire all'improvviso, senza emettere un suono.

I suoi occhi si velano, lentamente, attendo con il fiato sospeso.

Tum tum.

Gli ultimi due battiti. Lascio cadere e il corpo e mi rialzo.

Patetico, come tutti gli altri.

Non c'è stata alcuna soddisfazione, storco le labbra in una smorfia.

Per questa notte sono saturo, il mio appetito è sazio, ma non la Sete.

Cammino lungo le strade illuminate dai lampioni. Gli esseri umani hanno reso la Terra il loro enorme formicaio. Ma delle formiche non hanno la collaborazione, l'organizzazione, tendono a farsi la guerra a vicenda. Sguazzano nel loro stesso guano.

L'aria è satura del profumo dell'odio, del dolore, della sofferenza. Il male si annida in ogni petto.

Ho attraversato la storia, ma questo non è cambiato. Palazzi e città sono stati costruiti, irti contro il cielo come zanne che tentano di mordere, sempre più complessi, sempre più audaci, ma è la stessa putrida razza ad abitarli.

Ho già visto tutto questo, la loro fine è inevitabile, vicina.

Nel momento del massimo splendore distruggeranno tutto, e i corpi dei morti saranno l'humus per la prossima generazione.

Ed io sarò lì, a pasteggiare con gli avvoltoi.

Com'è noioso.

Il suono più spiacevole di tutti è quello delle risa dei bambini, e il loro sapore è anche peggio. Preferisco nutrirmi degli adulti, succulenti e pregni dei peggiori sentimenti di cui è capace questa specie.

È esilarante, la metà di loro non sa neanche quanto orrore nasconde dentro.

Il loro istinto è così poco sviluppato, i loro sensi così deboli che gli passo accanto senza che si accorgano di niente. Un Demone cammina tra i vivi, e il loro Dio non li avverte neanche.

Riesco a vedere la fine di ognuna di queste persone, riesco ad immaginarli morti, uno dopo l'altro, una visione tanto chiara che mi fa venire da sorridere.

Posso sentire le loro emozioni, i loro sentimenti, intuire i loro pensieri, sono sospesi nell'aria come invisibili fili di seta.

Le loro preoccupazioni sono inutili, monotone, non hanno niente di più accattivante di una bambola meccanica che cammina per un po', finché la carica glielo consente.

Sono stanco di sentire le stesse cose, ogni notte, anno dopo anno, secolo dopo secolo.

Il brivido di cacciarli è ormai sparito, ma curiosamente la sete di sangue è rimasta. No, non il desiderio di nutrirmi per rimanere vivo, giovane, forte, ma il puro piacere di vederli spegnersi.

Lascio gli occhi percorrere la strada alla ricerca del soggetto perfetto, senza però trovare nulla di più di ciò che ho già trovato, già provato.

Potrei prendere quell'uomo tarchiato fermo al semaforo e strappargli gli arti? O sarebbe meglio la donna con il bambino, ucciderla dopo averla fatta urlare e piangere per la disperazione di vedere il tremendo fato del figlio?

Quando si ha tanta scelta, è superfluo persino scegliere.

Prenderò la prima persona che mi capita, quella che si avvicinerà abbastanza da andare incontro alla propria morte.

Poi lo sento. Qualcosa nell'aria, qualcosa di orribile, qualcosa di così intenso da farmi girare la testa per un attimo, inebriante come una droga: un profumo tanto meraviglioso non l'avevo mai sentito.

Cammino brevemente con il naso all'insù per evitare di perderlo, è improvvisamente esaltante avere una pista da seguire.

Svolto a destra, mi riempio i polmoni dell'aria carica di quel profumo, scendo le scale della metropolitana e lo vedo.

Da quella distanza ravvicinata il suo odore è ancor più inebriante.

Chi è, da dove viene, da quale buco infernale è uscito?

Alla debole luce appare scialbo, ma so che i capelli brillano come zaffiri, così come gli occhi sono pietre d'ambra intensa.

Sta lì, immobile, circondato dai mostri che abitano i suoi pensieri, i piedi troppo vicini al limitare della banchina.

Oh, vuole uccidersi, vuole gettarsi sotto il treno in corsa.

Quell'odore mi fa formicolare il corpo, non riesco a smettere di assaporarlo sulla lingua. Il suo sangue deve essere altrettanto delizioso.

Lo voglio.

È un pensiero che mi stupisce, per secoli non ho provato una tale emozione.

Aspiro a fondo, mi nascondo appena fuori dal suo campo visivo.

L'elettricità nell'aria annuncia l'arrivo del treno, tra poco la sua vita finirà, in frantumi come uno specchio fatto di carne.

Lo farà davvero? Sono così curioso.

Le ombre intorno a me sembrano guizzare, esaltate e felici di poter assistere a quel momento.

Non c'è niente di meglio in questo mondo che essere l'unico ad assistere ad uno spettacolo come quello.

Sguazzare nella sua sofferenza è meraviglioso.

Sta per fare il passo, avverto la sua sicurezza. È forse la prima cosa che ha scelto di fare da solo, l'unica cosa che il mondo non gli ha imposto di fare.

Libero solo nella morte.

Mi avvicino facendo in modo che lui senta i miei passi alle sue spalle. Lo farà lo stesso, certo, avere uno spettatore non manderà all'aria i suoi piani.

Il suo odore è ancora migliore standogli così vicino.

Che piacevole passatempo.

Gli sorrido, vedo i suoi occhi sgranarsi, la sicurezza diventare follia. È appena un ragazzo, ma tutta quell'oscurità dentro il suo cuore lo rende nero come il buio stesso.

So già cosa dirà, lo sento nell'aria. “Sta' indietro o mi butto!”, non sarebbe la prima volta.

Ma lui, invece, tace. Mi fissa come se fossi un'apparizione, forse pensa che io sia un Angelo della Morte.

I suoi occhi sono calamitati ai miei, così intensamente disperati che vedono solo quello che vogliono vedere.

Nessuno gli ha teso una mano, altrimenti non sarebbe lì, su quella banchina, con un piede nel vuoto.

Per questo gliela tendo io.

L'elettricità comincia a farsi più forte, frizza lungo i binari, e l'aria sibila per annunciare l'arrivo del treno.

Il ragazzo non ha molto tempo per decidere, la mia mano è ancora tesa.

Non ha paura, né della morte né di me, e credo che non ne avrebbe neanche se sapesse cosa sono, e cosa intendo fargli.

Ha alternative? Credo che senta di non averne. È già pronto a terminare la propria vita, cos'altro ha da perdere?

Nel momento in cui il treno entra in stazione, lui afferra la mia mano.

Alla spicciolata alcune persone escono fuori dalle porte e non sembrano accorgersi di noi, sono tutti troppo impegnati nelle loro vite perché gli importi di quello che succede in quelle degli altri.

Un paio di secondi ancora, e la stazione è di nuovo vuota, il treno è ripartito, e il display in alto annuncia che il prossimo treno arriverà tra cinque minuti.

Il ragazzo mi guarda e realizza adesso quello che ha fatto. Si volta a guardare i binari dove dovrebbe esserci il suo corpo, o quel che ne rimane, e prende a respirare velocemente.

Tenta di ritrarre la mano ma stringo la presa sorridendogli.

Neanche adesso ha paura, è solo deluso, mortalmente deluso da se stesso.

Deve aver organizzato questo giorno da molto tempo, averci pensato su ancora e ancora, e trovare la forza di arrivare fin qui deve essere stato difficile.

Come può continuare a vivere sapendo di essere stato a pochi centimetri dalla morte?

Rabbia, è rabbia quella che lo riempie adesso, tracotante come solo quella di un essere umano può essere.

Lo rende immediatamente più appetibile, il suo profumo si fa più forte, avverto la sensazione della sua carne tra le mie dita.

Posso vedermi mentre gli spezzo il braccio ruotando appena il polso, l'osso trancerebbe tendini, muscoli, alla fine bucherebbe la pelle, il sangue comincerebbe a stillare dalla ferita. Lui griderebbe? Oh, vorrei tanto sentirlo gridare.

« Lasciami. » ha una bella voce, profonda per essere un ragazzo tanto giovane, e mi prende alla sprovvista.

Sente che le mie membra sono gelide, sente la forza che nascondo sottopelle, sente quanto è stato vicino da una seconda e ben più lenta e complessa morte?

Allento la presa e lui porta la mano al petto come a volerla nascondere. So perché. Ho sentito i bozzi rialzati di cicatrici sul suo polso. Un tentativo andato male o solo l'apice di una sofferenza prolungata nel tempo?

Continuo a sorridere. È adorabile un adorabile cucciolo, figlio di un buco nero.

« Chi sei? » chiede, come se potesse avere una risposta razionale a quella domanda.

« La Fine. » gli sussurro.

Eccolo, il momento in cui capisce che sarebbe stato meglio gettarsi sotto quel treno.

Quattro minuti al prossimo.

Si passa una mano tra i capelli, per nulla turbato. Qualcuno che ha visto la morte con i propri occhi e l'ha sfiorata con la punta delle dita lo sa, lo sente. Non gli sto mentendo, può leggerlo sul mio viso.

« Perché... »

Comincia, ma lo interrompo subito. « Qual è il tuo nome? »

Per un attimo è lui a sorridere. Trovo bello quel sorriso, perché la disperazione è la miglior decorazione.

« Tu sei la “fine”, con la “f” maiuscola, e non sai come mi chiamo? »

Inarco un sopracciglio, stupito dalla – più che legittima in fondo – domanda.

« Dovrei? »

Immagino che anche la mia sia una domanda legittima, eppure il ragazzo scoppia a ridere. È una risata stanca, raschiata, senza allegria, ma illumina il suo volto per un attimo.

Mi lascia stupito. Non è così che dovrebbe rispondere, non è così che mi aspettavo che andasse. Tutto questo pizzica corde dentro di me che credevo ormai mute.

« Credevo che la Morte sapesse tutto di tutti. » si massaggia il polso, sembra essere un gesto automatico, e si tira le maniche finché le cicatrici non sono coperte. Ammesso che qualcosa del genere possa mai essere coperto davvero.

Mi ritrovo a pensare a quanto vorrei poterle riaprire e suggere da lì il suo sangue. Lentamente, inesorabilmente.

« Mi dispiace. » gli rispondo, come fosse una giustificazione, ma so che da sotto le labbra si intravedono i lunghi canini, e che non deve essere confortante per lui.

« Saïx. » esala, voltando lo sguardo altrove.

Due minuti al prossimo treno.

« È un bel nome. »

Lo vedo storcere le labbra in una smorfia. « Ha importanza? »

« No, in effetti non ne ha. »

Mi faccio più vicino, il suo odore mi fa impazzire. Il desiderio di ucciderlo sta diventando insostenibile.

La sua morte sarà il mio capolavoro. Mi nutrirò della sua oscurità ancora prima che del suo sangue. Avrò la sua anima, il suo cuore, sarà mio.

Non si ritrae quando gli sfioro il viso con una mano. Non sobbalza, né emette un suono. Si lascia fare, docile come un animale, rassegnato all'inevitabile.

I segni sui polsi non sono gli unici, ha cicatrici e lividi in ogni parte del corpo, e rabbia e dolore saturano il suo spirito.

È troppo giovane per quel corpo, ha visto troppi orrori con quegli occhi d'ambra.

Così bello.

Il treno sta per arrivare, l'elettricità riempie nuovamente l'aria, i binari frizzano. Per un attimo lui guarda verso la banchina.

Povero ragazzo, pensa ancora di poter avere libertà di scegliere. Ma la sua scelta l'ha fatta quando ha preso la mia mano.

Di nuovo, le porte del treno si aprono e gli umani sciamano fuori impazziti come api senza Regina. Nessuno si sofferma, neanche voltano lo sguardo.

Passano oltre come se fossimo invisibili, le porte si richiudono, il treno riparte, il display si illumina nuovamente con la scritta “Arrivo previsto: 5 min”.

Per un attimo Saïx struscia la guancia contro la mia mano, come se si fosse dimenticato chi io sia e cosa sia venuto a fargli, e il suo sguardo, dopo aver consultato il display, torna completamente attento a me.

« Fallo in fretta. » dice, come se avesse paura di perdere anche il prossimo treno.

Scosto dal suo collo i capelli di zaffiro, soffici al tatto. Il cuore pulsa tranquillo sotto la pelle diafana, già pronto al dolore della morte.

Appoggio le labbra contro quella pelle, lo sento fremere appena. Non vede l'ora, è tutto quello che ha desiderato, che venga da me non fa differenza.

È quasi un peccato vederlo morire così.

Il suo cuore è talmente nero che mi fa venire l'acquolina in bocca.

Vorrei poterlo sbucciare come un frutto maturo, mentre il sangue inzuppa i miei vestiti, spaccargli lo sterno e accogliere tra le labbra l'ultimo battito di quel buio cuore.

È davvero un peccato che non ci sia tempo.

Eppure mi chiedo se io debba sacrificarlo così in nome della mia ingordigia e della mia avidità.

Esito, solo un istante, soffermandomi a pensare a quello che potrei farne di lui, a ciò che potrebbe essere tra qualche giorno, tra qualche settimana, o tra qualche anno. Davvero voglio sprecare così questo nettare prezioso?

Non ho mai avuto un giocattolo così bello.

Affondo i denti nella giugulare e lo stringo a me, così anche quando perderà i sensi il suo corpo toccherà sempre il mio. Il suo sapore è esattamente come lo immaginavo.

Una delicata sfumatura d'ombra, immersa nel velluto della rabbia, del dolore, dell'insoddisfazione. E l'odio, oh, l'odio, verso tutte le cose che lo rende pungente, saturo. Che abbia deciso di uccidere se stesso per non uccidere gli altri?

Emette un rapido respiro prima di capire che la sua fine è vicina. Apprezzo che non cerchi di divincolarsi, di allontanarmi, di tentare qualsiasi cosa.

Quel sapore mi fa tremare. Erano anni che non bevevo qualcosa di così meravigliosamente rinfrescante. Per la prima volta sento la Sete placarsi, soddisfatta.

Il corpo di Saïx si abbandona, le gambe non reggono più il suo peso.

Sta già morendo?

No, non posso permetterlo, non posso permettere che qualcosa di così buono, di così soddisfacente, si spenga tanto in fretta.

Mio malgrado, smetto di bere. La ferita dei morsi è talmente sottile, nonostante sia profonda, che smette immediatamente di sanguinare.

Gli occhi annebbiati del ragazzo cercano i miei. So che vorrebbe chiedermi perché, perché lo sto lasciando vivo, perché non gli sto dando quello che vuole.

Gli carezzo il volto mentre lo lascio adagiarsi a terra.

« Tornerò. » gli sussurro all'orecchio. « Da questo momento in poi mi appartieni. Non ti è permesso morire. »

Una sottile protesta fa schiudere appena le sue labbra, poi le forze lo abbandonano del tutto.

Un minuto al prossimo treno.

Quando le rotaie frizzano, l'aria si fa fredda e le porte dei vagoni si aprono, qualcuno si accorge del ragazzo privo di sensi, ma lo ignorano, non esiste per loro.

Stavolta non è perché non vogliono vederlo, perché sono troppo impegnati ad essere egoisti, perché hanno di meglio da fare che preoccuparsi degli altri.

No, stavolta è perché ha addosso il mio marchio: il marchio della Morte.

 

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The Corner 

Ta-dà, eccoci qui, buon anno e buon Xemsai day a tutti!
Ormai è una tradizione, non potevo mancare, anche se questa shottina è breve e probabilmente insoddisfacente. 
Ho voluto, come sempre, sperimentare con qualcosa di nuovo, per questo motivo ho scelto questo narratore inusuale per me.
Spero che alla mia dolce Musa sia piaciuto. 
Come sempre, anche questa è per te.

Chi

   
 
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