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Autore: graceland2    07/01/2018    0 recensioni
Dopo una tempesta esce sempre il sole; quel sole bello, caldo e colorato. Di un colore così acceso che spesso fa tornare il sorriso anche alla persona più triste. Ma non è così per tutti. Molto spesso alcune persone, dopo una catastrofe, si riprendono difficilmente e, purtroppo, molto spesso sfociano in una tristezza irrimediabile. Ma mai disperarsi fino in fondo. Come ho già detto, dopo un temporale esce sempre il sole; anche nelle giornate che sembrano più buie...
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Mamma non capisce che per me relazionarmi con gli altri, è alquanto complicato. Sono sempre stata abbastanza timida e con pochi amici. Di solito preferisco starmene da sola... Mi volto lentamente e mi ritrovo davanti uno spettacolo che non avrei, forse, voluto vedere. Un ragazzo alto circa 1.80, con gli occhi verdi e con i capelli di un castano molto scuro, quasi nero. Porta un paio di jeans blu ed è senza maglietta. Spalle larghe, corpo possente. Crederei che fosse una statua se non lo avessi qui davanti. Non riesco a distogliere lo sguardo, fino a quando un suo sorriso mi manda ancora più in pappa il cervello.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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Capitolo I

 

Problemi adolescenziali. Tutti ce li hanno. Tutti hanno uno di quelli che reputano insormontabile. Amici, ragazzi, scuola, famiglia. Sono le quattro cose che accomunano quasi tutti gli adolescenti; quelle cose a cui molti di loro si aggrappano, per trovare un rifugio, una salvezza. E spesso si sta con gli amici, si va a ballare e si cerca di fuggire da determinate cose che riempiono la propria vita. Diciamo che quelle parole non mi descrivevano a pieno; in quel momento niente riusciva a descrivermi. Aver perso mio padre mi aveva destabilizzato mentalmente. C'erano periodi in cui non mangiavo, non uscivo più di casa, in poche parole la depressione ed il dolore si erano fatti spazio dentro di me. Superarlo era stato difficile; diciamo che ci stavo ancora lavorando ma non lo avrei più fatto nella mia amata città. Il Canada. Quando a mia madre avevano offerto un lavoro lì, non ci aveva pensato due volte a trasferirsi. Era tornata a casa, da un giorno all'altro, dicendo che avremmo cambiato vita. Sapevo perchè aveva così tanta voglia di andare via. Ogni angolo di casa le ricordava papà e per questo di certo non la biasimavo. A tutti faceva questo effetto, tanto che mia sorella arrivò a chiedere o meglio a pregare, per andare in Francia a studiare con uno scambio culturale. Josepin non era forte come me e sapevo che non ce l'avrebbe fatta a vivere ancora lì, con il ricordo vigente di papà. Così l' aiutai a realizzare questa cosa e da circa un mese era partita per Parigi. Avrebbe finito lì le superiori e poi sarebbe tornata in America. Mentre io, in quel preciso istante, mi trovavo incollata ad un sedile contro la mia volontà. Lasciare la Florida era come lasciare un pezzo di me, ma non potevo dire a mia madre che rifiutavo questo trasferimento. Stava già soffrendo troppo e non volevo caricarla di pensieri ancor di più. Ed ora ero su quel volo verso Montreal, in Quebec. Non sapevo come sarebbe stata la mia vita li; speravo solo di ambientarmi il prima possibile.
«Victoria svegliati, siamo arrivati» cercai di aprire gli occhi mentre la hostess cominciava a dire le solite parole di fine volo.
Almeno il tempo oggi non faceva così schifo. C'era il sole e, benchè fosse ancora agosto, qui cominciava già a fare freddo. Avrei dovuto solo abituarmi. Mi allacciai la cintura ancora sbadigliando mentre mia madre, letteralmente euforica, continuava a sorridere.
«Cos'è, non vedi l'ora di scendere?» le dissi prendendo il cellulare che, per ore, avevo dovuto abbandonare nel fondo della borsa.
«Sarà un'esperienza nuova. Non vedere sempre le cose in modo negativo. Vedrai che ti troverai bene» le sue parole avrebbero dovuto rassicurami, ma mi crearono solo più ansia di quella che già mi portavo dietro.

Uscire dall'aeroporto era sempre stata un'impresa soprattutto con una mamma che sembrava una dodicenne euforica. Capivo che fosse contenta, ma doveva smetterla di esaltarsi così. Ma in fin dei conti ero felice del fatto che finalmente, dopo tanto tempo, fosse riuscita a ritrovare quello spirito che l'aveva sempre contraddistinta. Lavorando nel reparto di oncologia come medico aveva sempre cercato di essere solare, specialmente perchè lì ne vedeva di tutti i colori. E dopo la morte di papà non lo era stata più. Ed ora invece stava tornando pian piano e sperai che rimanesse, senza svanire di nuovo.
«Dove sarà casa nostra?» dissi fissando il paesaggio da dietro il finestrino.
«Un po' in periferia» rispose mia madre fissando la strada.
«Fuori dal mondo, perfetto» conclusi sospirando.
«Avrai la metropolitana a due passi. Perciò scordati di rimanere a casa»

Perentoria lei.
«Ma...» e ovviamente mi interruppe
«Ho parlato con la federazione del pattinaggio canadese» niente di buono immaginai «Mi hanno detto che non c'è problema. Potrai allenarti con loro» ecco, appunto.
Sapevo che avrebbe fatto uno dei suoi soliti sotterfugi. Prima della morte di mio padre il pattinaggio era la mia vita. O meglio, era una delle mie più grandi passioni insieme al tiro con l'arco. Lui era un tiratore esperto ed inoltre, da giovane, aveva giocato ad hockey. Con lui passavo i sabati in questo modo. O andavamo a pattinare, o a tirare con l'arco. Dopo la sua morte non toccai più nessuno dei due. L'arco rimase in garage, appeso con tutti quelli che mio padre collezionava e per quanto riguarda i pattini, decisi di darli in pasto alla polvere. Non ricordavo neanche con quale scusa avevo rifiutato il programma olimpico. Ma non riuscivo più a fare nulla. Tutto, ogni cosa, mi ricordava lui ed era difficile andare avanti. Così aprì un blog, buttandomi a capofitto nella lettura. Era l'unica cosa che mi faceva sognare e mi faceva dimenticare tutto.
«Tanto io non ci vado» dissi sbuffando.
«Victoria i tuoi capricci non voglio sentirli. Devi ricominciare a vivere. Non puoi rintanarti per sempre dietro ad una finestra» rispose parcheggiando in un vialetto.
Aveva ragione purtroppo. Per quanto io potessi oppormi e sbuffare, aveva davvero ragione. Dovevo smetterla di piangere su un qualcosa che ormai, purtroppo, era accaduto e non si poteva cancellare. Forse ci avrei provato, ma mi sarebbe servito del tempo per riflettere.
Svuotare i pochi scatoloni che avevano trasportato qui dalla Florida non si rivelò affatto difficile. Alla fine avevo deciso di portare qui solo poche cose. Le altre che mi ricordavano pienamente una parte di vita trascorsa in Florida, le avevo letteralmente bruciate. E non perchè non mi piacessero; ma semplicemente perchè mi ricordavano troppo. In uno dei due scatoloni che mi portai dietro, ritrovai una custodia fin troppo familiare. Non riuscivo a trattenere le lacrime perchè era tutto quello mi ricordava mio padre e i nostri pomeriggi. Il mio arco nero era lucido come sempre e, già solo prendendolo tra le mani, mi tornò in mente mio padre. Lui amava tirare con l'arco e io insieme a lui. Sinceramente non sapevo cosa farmene. Non lo avrei mai riutilizzato. Per cui, perchè l'aveva portato qui? Sapeva che vederlo mi avrebbe fatto soffrire.
«So che non avrei dovuto» ancora con le lacrime agli occhi alzai lo sguardo, e trovai mia mamma appoggiata allo stipite della porta.
«Perché?» dissi in preda ai singhiozzi «Sai quanto ci sto male!» non avrei voluto arrabbiarmi, ma era più forte di me.
«Victoria» fece una pausa «lo so» disse avvicinandosi e abbracciandomi «Ma non puoi per sempre nascondere le tue paure»
«Ma io non ce la faccio» le lacrime continuarono a scendere incessantemente.
«Sai, anche io credevo di non farcela, di crollare. Ma ho stretto i denti e sono andata avanti. Tuo padre non vorrebbe vederti così; e lo sai»
Su questo aveva ragione. Mio padre non ci avrebbe mai voluto vedere in questo modo, non avrebbe mai voluto vedermi abbandonare le mie due passioni. Ma il dolore ogni volta mi lacerava e non avrei mai saputo come rimediare. Ma ci dovevo provare; dovevo essere forte per lui.
«Va bene» dissi annuendo poco convinta «Appendiamolo e andrò al palazzetto un giorno di questi»
Mi voltai e vidi gli occhi di mia madre illuminarsi. Sapevo quanto fosse felice per questo, e avrei fatto uno sforzo per non deludere le sue aspettative. Presi il martello, i chiodi e cominciai ad appendere l'arco in un angolo della stanza. Poi ripresi i mie pattini bianchi, li tolsi dalla custodia che li aveva conservati perfettamente, e decisi di appendere anche quelli. Era quello che mi aveva sempre detto anche la mia psicologa; affrontare il passato, le difficoltà. Forse ciò mi avrebbe aiutato a convivere meglio con la morte di mio padre.
«Victoria, puoi andare a chiedere del sale?» urlò mia madre dalla cucina.
«A chi lo chiedo? Ai fantasmi?» dissi scendendo velocemente i gradini.
«Spiritosa, ai vicini. Sai che tutti ne hanno?»
«Di cosa? Di confezione di sale? Perché a quanto pare noi ne siamo alquanto sprovvisti»
«Dai Victoria, vorrei cucinare. Almeno potremmo finalmente mangiare qualcosa» affermò ridendo.
«Mamma, un passo alla volta però»
«Dai, sono dei vicini non dei mostri. Magari ti farai dei nuovi amici» era così convinta che annuiva senza accorgersene.

«Ho capito, vado. Altrimenti mi lasci anche a digiuno» dissi uscendo.
Mamma non capiva che per me relazionarmi con gli altri era alquanto complicato. Sono sempre stata abbastanza timida e con pochi amici. Di solito preferivo starmene da sola. Diciamo che la mia migliore amica era stata da sempre la mia allenatrice. Oltre a mio padre, era l'unica con cui andavo più d'accordo. Ma dovevo cambiare o, almeno, ci dovevo provare. Città nuova, vita nuova diceva mia madre; ma non ne ero poi tanto convinta. Bussai respirando a fondo l'aria fresca di agosto e sperando che almeno fossero gentili. Aspettai si e no due minuti, quando sentii cigolare la porta. Mi voltai lentamente e mi ritrovai davanti uno spettacolo che non avrei, forse, voluto vedere. Un ragazzo alto circa 1.80, con gli occhi verdi e con i capelli di un castano molto scuro, quasi nero. Portava un paio di jeans blu ed era senza maglietta. Spalle larghe, corpo possente. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, fino a quando un suo sorriso mi mandò ancora più in pappa il cervello.
«Beh?» aveva un ghigno dipinto sul viso e io dovevo cercare una risposta la più presto.
«Sono Victoria, la vostra nuova vicina. Vorrei sapere se avete un po' di sale da prestarci» dissi tutto d'un fiato cercando di prendere più aria possibile per respirare.
«Ti sembro un supermercato io?» rispose quasi sbadigliando.
Detto ciò mi chiuse la porta in faccia ed io rimasi là, impalata come un'ebete.

 

   
 
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