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Autore: Black Drop    15/01/2018    3 recensioni
L'incubo peggiore di ogni studente universitario, contornato da un continuo susseguirsi di sfighe, litigi, disastri culinari e incontri spiacevoli. Tutto questo, proprio nel giorno peggiore possibile.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Black Star, Death the Kid, Maka Albarn, Soul Eater Evans | Coppie: Soul/Maka
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Premessa:
Questa è un'Alternative Universe, in cui si fa riferimento ad alcune questioni universitarie. Mi sono basata sul modello dell'università italiana perchè è quella con cui ho più familiarità, quindi vi prego di passarmela.
Buona lettura :)





Un irritante susseguirsi di tonfi, sbatacchiamenti e un fastidioso vociare squillante furono la sua sveglia, quella mattina.
Maka aprì gli occhi il tanto che bastava per guardare l’orario dalla sveglia sul suo comodino. Le otto e venticinque.
Con un grugnito strizzò gli occhi e si appallotolò sotto le coperte, affondando la testa sul cuscino e tirando il lenzuolo fino a coprirle la testa, in un tentativo di schermare le orecchie. Non fu abbastanza per bloccare i rumori molesti provenienti dalla cucina.
E si dice che i giorni liberi siano fatti per riposare.
In un mondo ideale anche per poter dormire fino a tardi, senza nessuna preoccupazione di lavoro o nessuno che venga a disturbare.
In un mondo ideale però, Maka sarebbe anche già stata ricca, e a vivere in una villa al mare, completamente sola e in assoluto silenzio!
Nel mondo reale invece, era abbastanza lontana dal realizzare una simile fantasia, e si trovava ancora nella fase in cui doveva dividere un appartamento in affitto con altri tre coinquilini.
Il fatto di avere coinquilini, in sé, non era un problema. Era dai tempi dell’università che si era ormai abituata, e per un po’ aveva anche trovato delle persone con cui riusciva a far funzionare la convivenza in maniera sublime. Questo prima di litigarci a morte.
Così si era dovuta cercare un’altra stanza, in un altro appartamento, con altri coinquilini. 
Ed era finita in quella casa.
Non aveva mai vissuto da sola con dei maschi, c’era sempre stata almeno un’altra ragazza oltre a lei, ma questo cambiamento non le era parso un grosso problema. Certo, quei tre le erano sembrati indubbiamente un po’ strani, ma tutto sommato avevano l’aria di essere dei tipi a posto e aveva quindi deciso di trasferirsi con loro.
Quello era stato cinque mesi e mezzo prima.
E dopo cinque mesi e mezzo si era ormai adattata al fatto di dover dividere i suoi spazi vitali con altri tre ragazzi e stavano tutti cercando di far funzionare bene le cose. Quello a cui Maka ancora non riusciva ad abituarsi però, era il fatto che uno dei suoi coinquilini avesse il terribile difetto di essere particolarmente, assurdamente e irrimediabilmente rumoroso.
Ed era proprio a causa sua che Maka si era svegliata nel suo giorno libero con almeno due ore di anticipo rispetto ai suoi piani, ed era proprio questo che aveva scatenato il suo malumore mattutino.
All’ennesimo schiamazzo proveniente dalla cucina, constatò rassegnata che non sarebbe riuscita a riaddormentarsi e si alzò, abbandonando con reclutanza il calore del proprio letto e dando inizio a quella giornata.
“Ehilà, riccioli d’oro!” la salutò Black Star quando la vide entrare, con un tono di voce decisamente troppo alto per l’orario.
Maka rispose con un mugugno indistinto, strizzando gli occhi. Dove la trovava tutta quella energia già da appena sveglio?
Recuperò una bottiglia di succo all’ananas dal frigo, un bicchiere pulito dallo scolapiatti e prese posto a tavola, sedendosi tra lui e Kid.
Quest’ultimo la guardò curiosamente.
“Che fai già in piedi? Oggi non hai il giorno libero?” le chiese mentre sistemava il proprio pranzo nella borsa frigo. Ovviamente era già vestito e pettinato. 
Maka lanciò un’occhiataccia a Black Star. 
“Sai, a qualcuno manca proprio il concetto di silenzio.” 
Lui non rispose nemmeno, masticando rumorosamente i suoi cereali e sporcando tutto il tavolo intorno a sé. Kid osservò la scena vagamente disgustato, prima di concentrarsi nuovamente sull’organizzazione analitica dei suoi contenitori di plastica dentro la borsa frigo.
“Potresti almeno chiedere scusa.” insistette Maka con una certa irritazione. 
Black Star fece semplicemente spallucce, esprimendo il suo completo disinteresse.
L’avrebbe strozzato.
“Mi chiedo davvero come faccia Soul a continuare a dormire.” borbottò con un velo di invidia, soffocando i suoi istinti violenti.
“Ha il sonno pesante.” le rispose Kid. “E poi oggi non c’è. L’ho sentito uscire stamattina presto.”
Maka guardò l’orologio. Che Soul si muovesse prima delle nove era strano. Soprattutto nell’ultimo periodo, in cui passava le notti davanti allo schermo del pc a lavorare sulla tesi e le mattine a recuperare il sonno. In pratica si stava trasformando in una specie di vampiro, con tanto di occhiaie da non-morto. 
La settimana prima c’era stata una notte in cui si era alzata per bere dell’acqua e l’aveva incrociato mentre tornava in camera sua dal bagno. Per due secondi buoni aveva creduto di aver visto un fantasma. Ovviamente lui l’aveva vista sobbalzare e dopo non aveva smesso un secondo di prenderla in giro.
In effetti però, Maka ricordava di averlo sentito dire che doveva sbrigare qualche faccenda in facoltà.
“Dov’è andato a quest’ora?” chiese Black Star con la bocca piena.
Kid gli lanciò un’occhiataccia, prima di sospirare.
“Doveva andare dal relatore di tesi.”
“Ah giusto!” 
Black Star prese altre due cucchiaiate di cereali, corrugando le sopracciglia. 
“Deve fare qualcosa anche in segreteria, no?” continuò spargendo sempre frammenti della sua colazione intorno a sé.
“Puoi evitare di sbriciolare tutto il tavolo?” sbottò finalmente Kid particolarmente stizzito.
Maka sospirò, limitandosi a bere il suo succo in silenzio. E dire che avrebbe potuto avere anche solo un’altra ora di sonno!
Black Star sollevò le mani, alzando gli occhi al cielo, come se non vedesse alcun problema con il suo comportamento. 
Kid però non sembrava gradire affatto. Si sistemò il colletto della camicia. Sembrava nervoso, come se ce la stesse mettendo tutta per ignorare la mancanza di classe del proprio coinquilino.
Maka bevve una sorsata di succo con una smorfia. Era inutile arrabbiarsi con Black Star, ma lei sapeva bene quanto fosse difficile spesso non perdere le staffe con lui.
“Deve andare in segreteria a chiedere per quell’esame che non gli hanno ancora convalidato.” spiegò Kid, finendo di nuovo per addocchiare Black Star con aria nervosa e provando poi a spolverare il tavolo con la mano.
“Stai buono, cacchio! Poi già pulisco!” fece Black Star sputacchiando altri cereali e provocandogli un tic all’occhio.
“Ieri notte l’ho lucidato!” 
“E perchè?” Black Star ridacchiò, quasi soffocandosi con la sua colazione.
Maka roteò gli occhi. 
“Non ha senso con questo maiale.” mormorò stancamente.
Black Star le mostrò il dito medio.
“Molto maturo.” commentò lei ironica.
“Parli tu, con quel pigiama.” ribatté lui, sghignazzando.
Maka serrò i denti. Stava davvero perdendo la pazienza, e non erano neanche le nove. 
“Che problema ha il mio pigiama, scusa?” esclamò all’improvviso nervosa. 
Non gli piacevano i coniglietti?
“Sembra quello di una bambina.” 
Prima che Maka potesse rispondergli con un insulto o un cazzotto, Kid li interruppe.
“Ok, basta!” esclamò a gran voce, alzandosi in piedi. “Abbiamo cose più importanti a cui pensare. Per esempio: cosa dobbiamo fare stasera? Soul non ha detto niente.” continuò chiudendo la zip della borsa e andando a lavarsi le mani al lavandino della cucina. 
Maka lo guardò leggermente confusa, non capendo a cosa si riferisse. Uno sguardo veloce a Black Star le confermò che neanche lui doveva avere idea di che cosa Kid intendesse.
“Perchè? Cosa c’è stasera?” chiese Black Star, finendo finalmente di mangiare.
Kid chiuse il rubinetto e si girò a guardarlo con espressione severa.
“Che giorno è oggi, Black Star?” domandò con serietà. 
Sembrava un padre che sgridava il figlio.
Black Star sembrò rendersi conto di essersi infilato in un qualche pasticcio, suo malgrado. Alzò le spalle con fare innocente. 
“Giovedì.” rispose con semplicità.
“Oggi è il 24.” ribatté seccamente Kid.
Black Star corrugò la fronte, non convinto. “No, è 23.”
“No, è 24.” intervenne Maka, che ancora non aveva capito niente di quella situazione.
Black Star la fissò con la bocca aperta e un’espressione confusa dipinta in faccia. Sembrava davvero stupido.
Tirò fuori il proprio cellulare dalla tasca e guardò il display.
“Cazzo, è il 24!” gridò all’improvviso.
Kid sollevò furiosamente le braccia al cielo.
“Ero convinto che il 24 fosse venerdì!” continuò Black Star alzandosi di scatto. 
Scosse la testa, prese la sua ciotola e la portò al lavandino.
“Che cosa succede?” chiese finalmente Maka, stufa di  essere l’unica a non capire un accidenti.
“È il compleanno di Soul!” esclamò Kid vicino all’esasperazione.
Maka aprì la bocca per ribattere e poi la richiuse per qualche secondo.
“Ma Black Star mi aveva detto che era il 25!” si lamentò.
“Non è vero, non l’ho mai detto!” si difese subito lui, mentre sbatteva le stoviglie nel lavandino nel tentativo di lavarle velocemente. 
Kid lo guardò inorridito, prima di spingerlo via e prendere il suo posto. 
“Le sbeccherai tutte.” brontolò, mentre si infilava i guanti di gomma gialli.
Maka lo ignorò del tutto. “Tu mi hai detto che era venerdì 25!”
Black Star scosse energeticamente il capo.
“Assolutamente no!” sbottò indignato. “Credi che non sappia quando è il compleanno del mio migliore amico?”
“Non sapevi neanche che era oggi!” lo accusò Maka.
“Smettetela!” intervenne Kid all’improvviso. “Usate tutta questa energia per pulire il tavolo piuttosto.”
Alle sue spalle Maka e Black Star continuarono a guardarsi in cagnesco. Non che di solito andassero particolarmente d’accordo, ma quel giorno Black Star stava davvero superando i limiti di sopportazione.
“È semplice!” spiegò Kid con fare pratico “Black Star era convinto che venisse di venerdì e probabilmente ti ha detto che giorno della settimana cadeva, non sapendo di sbagliare.”
Maka sbuffò seccata. Bevve il suo ultimo sorso di succo d’ananas e cominciò a sbarazzare il tavolo.
“Cazzo, io sono a lavoro fino alle sei!” esclamò Black Star, riprendendo a camminare avanti e indietro.
“Inizi adesso e finisci alle sei?” chiese Maka sconcertata. Di solito non lavorava mai sia la mattina che la sera.
“Kilik non c’è e mi ha chiesto se potevo coprire anche il suo turno.”
Kid emise uno strano suono strozzato che Maka intuì dovesse essere una specie di ruggito.
“E tu ovviamente hai accettato.” commentò con una certa esasperazione.
“Senti, ha parlato anche lui di giorni della settimana.” si difese Black Star. “Se la gente si riferisse alle date con i numeri, non ci sarebbe nessun problema!”
“E tu riesci a fare allenamento per tutta la giornata?” chiese Maka perplessa.
“Ha!” esclamò lui, con la sua solita modestia. “Ovviamente! Sono io!”
“Tecnicamente sei tu che alleni le altre persone.” precisò Kid chiudendo di nuovo il rubinetto e sfilandosi i guanti.
Black Star lo liquidò con un gesto della mano. 
“In ogni caso, ormai ho preso l’impegno e non posso mica tirarmi indietro. Ho una reputazione da mantenere, insomma!”
Kid lo fissò con gli occhi socchiusi per qualche secondo.
“Io so che prima o poi scatterò e ti ammazzerò.” lo informò con molta calma. “E so anche che Maka e Soul mi aiuteranno a nascondere il tuo cadavere.”
Black Star scoppiò a ridere. “Sì, certo! Come se voi poteste anche pensare di riuscire a toccarmi!”
Maka sospirò seccata. 
“Se vuoi ti aiuto anche ad ammazzarlo.” disse a Kid con un mezzo sorriso.
Lui chiuse momentaneamente gli occhi, ragionando sulla situazione. 
“Abbiamo un problema, comunque.” esordì nuovamente.
“Qual è il problema? Se anche io torno un po’ tardi comunque voi siete con lui.” Black Star fece spallucce.
“Volevo come minimo addobbare un pochino!” spiegò Kid con fare pratico.
Maka storse la bocca senza però dire nulla. Kid ad addobbare la casa? Era una pessima idea, ci avrebbe messo un sacco di tempo e si sarebbe fatto venire come minimo qualche crisi di nervi.
Natale era passato solo da un mese e si stava ancora riprendendo dal crollo nervoso riguardo l’albero.
Black Star non si mise problemi, ovviamente, a esprimere il suo dissenso a voce alta. “Perchè perdere tempo? Neanche gli piacciono queste cose!”
“Non gli piacciono quando tu decidi di fare dei festoni con le nostre facce stampate sopra!” ribatté Kid sollevando un sopracciglio.
Maka scoppiò a ridere, presa alla sprovvista. Dall’espressione di Kid era chiaro che Black Star avesse seriamente fatto una simile proposta in passato.
“Sarebbero stati bellissimi, non capite niente di arte!” si lamentò lui sprezzante.
Kid sembrava ad un passo dal diventare violento. 
“Io ho una laurea in architettura, sto facendo un tirocinio con un architetto professionista! Non capisco niente di arte?!
Black Star sbuffò. 
“Adesso non fare il pallone gonfiato solo perchè sei andato all’università.”
Maka chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie. Continuava a pensare al proprio letto e a come stava comoda prima di alzarsi.
“Possiamo tornare all’argomento principale?” li richiamò con una certa fretta. Non aveva ancora avuto tempo di incartare il regalo per Soul.
“Si, giusto.” Black Star annuì, poi si voltò da Kid “Se proprio ci tieni, metti tutti gli addobbi che vuoi, non m’importa.”
Kid scosse il capo. 
“Non posso, non ci sono tutta la giornata. Te lo avevo già detto.”
“Quindi dovevo farlo io?”
“Non lo so, ma-”
“Basta!” esclamò Black Star scuotendo le braccia. “Niente addobbi. Tanto non gli piacerebbero.”
Kid parve un po’ deluso ma non disse niente. Francamente, neanche Maka era convinta del il fatto che Soul potesse apprezzare festoni e addobbi.
“Tu a che ora finisci, Kid?” chiese infine, cambiando discorso.
“Penso verso le quattro e mezza. Oggi dobbiamo solo fare il plastico.” spiegò lui.
“Allora non c’è problema.” fece Maka con semplicità. Non capiva davvero perchè Kid si stesse agitando così tanto. “Abbiamo tutta la sera e se lui decide di voler fare qualcosa di particolare abbiamo tutto il tempo per prepararci.”
“Sono d’accordo.” rispose Black Star. “Se vuole uscire, usciamo.”
Maka gli rivolse un’occhiata obliqua. Il concetto di festeggiamenti di compleanno di Black Star solitamente comprendeva tanto alcool e poco cervello.
“O se vuole stare a casa, stiamo a casa.” aggiunse Maka a quel punto. 
Era chiaro chi dei due avesse voglia di fare cosa.
Kid annuì distrattamente, ragionando.
“Va bene.” disse infine. Prese la borsa frigo e fece per andarsene, ma si fermò e si voltò nuovamente verso Black Star.
“Black Star, con il regalo è tutto a posto, vero?”
Black Star sgranò gli occhi e sussultò bruscamente, picchiandosi la fronte con la mano.
Era chiaro che non fosse tutto a posto.
Maka notò una vena gonfiarsi sulla tempia di Kid.
“Black Star!” la sua voce raggiunse un’ottava più alta del solito.
“Merda!” imprecò l’altro. “Credevo di avere ancora un giorno e mi è uscito di mente.”
Kid aprì e richiuse la bocca tre volte, apparentemente incapace di formulare i propri pensieri a voce alta. Si stava chiaramente arrivando ad un punto di non ritorno e Maka si preparò all’impatto dell’esplosione.
“Fammi capire” iniziò con tono glaciale. “Te lo sei lasciato all’ultimo giorno, di proposito?
Black Star fece una smorfia, rendendosi conto del guaio in cui si era cacciato.
“Non è stata una buona idea, eh?”
Kid lo fissava ad occhi sbarrati, con un’espressione che avrebbe potuto uccidere sul colpo.
Maka non l’aveva mai visto così arrabbiato. E di certo non si aspettava l’improvviso urlo quasi demoniaco che lanciò dopo.
“Maledetto bastardo imbecille!” sbraitò agitando un dito contro di lui. “Io ti ammazzo, giuro che lo faccio!”
“Calmati, lo andiamo a prendere dopo.” rispose Black Star, che non sembrava particolarmente turbato dalla reazione dell’amico.
Maka si chiese quante altre volte l’avesse fatto infuriare così.
“Ma se finisci alle sei! E se c’è fila?” strillava Kid che ormai stava sfogando tutta la sua frustrazione.
“Ma quale fila?”
“Devi mettere in conto tutto!” gridò di nuovo, passandosi nervosamente una mano sul volto. Si impose di calmarsi, inspirando a pieni polmoni ed espirando lentamente. 
“Ok.” fece infine, apparentemente oltre lo scatto d’ira. “Devo andare per forza io. Finisco prima di te, in ogni caso.”
Black Star fece spallucce. 
“Come vuoi.” rispose con semplicità. La questione era risolta per lui.
“Cosa gli avete preso?” chiese Maka con un pizzico di timidezza.
“Biglietti per un concerto.” disse Black Star con un sorriso trionfante. “Li abbiamo prenotati mesi fa, ma dobbiamo andare a ritirarli.”
“Io pensavo che li avessimo già, ma non puoi fidarti neanche quando gli dai un compito così semplice!” sbottò nuovamente Kid, uscendo dalla cucina con fare irrequieto.
“Ho solo fatto male i calcoli!” si difese Black Star con veemenza.
Maka si mordicchiò il labbro, ignorandoli completamente.
Era vero che conosceva Soul solo da qualche mese, ma avevano legato molto e voleva dargli qualcosa che gli sarebbe davvero piaciuto.
Ma il suo regalo sarebbe sembrato una sciocchezza in confronto ai biglietti per il concerto di chissà quale band (che lei probabilmente non conosceva), che gli avrebbero dato i suoi due migliori amici. Era anche vero che Soul le aveva rivelato che lui e Black Star erano amici da quando avevano undici anni. Chi poteva conoscerlo meglio di lui?
Sospirò. Forse avrebbe dovuto prendergli anche qualcos’altro.
“Avrei voluto anche avere qualche dolce, o una torta” continuava a lamentarsi Kid dal corridoio. “Ma a questo punto non so neanche se ho il tempo di farlo.”
“Ma fregatene, abbiamo il regalo!” ribatteva Black Star, che l’aveva raggiunto fuori dalla cucina.
Maka ebbe un’illuminazione.
“Ci penso io!” esclamò prima di riflettere su questa decisione. 
Alle sue spalle, Kid e Black Star si affacciarono alla porta. Maka si voltò a guardarli con un sorriso convincente.
“Posso prepararla io una torta.” si offrì con un’alzata di spalle. Assieme ad una torta magari, il suo regalo sarebbe sembrato meno misero.
In quel momento non le sembrò minimamente un problema il fatto che avesse preparato una sola torta in tutta la sua vita e che questo fosse successo almeno cinque anni prima.
Black Star la guardò sconcertato. 
“E la sai fare?”
Kid gli diede una gomitata, prima di riformulare la domanda in maniera più gentile. 
“Sei sicura?”
Maka annuì con un sorriso.
“Si, non preoccuparti. Ditemi solo come dovrei farla.”
Ci pensarono per un secondo solo.
“Cioccolato.” proferì Black Star con aria decisa e Kid annuì.
“Perfetto.” Maka tornò a voltarsi verso il tavolo, iniziando a pensare a cosa avrebbe dovuto fare. 
“Potrei decorarla io.” fece all’improvviso Kid. “Potremmo fare una bella torta a due piani con delle belle decorazioni-”
“Kid, no!” si lamentò Black Star con una smorfia.
Maka storse la bocca, trovandosi stranamente d’accordo con Black Star. Kid stava probabilmente già pensando di fare chissà quale dolce degno del Boss delle Torte, decorato con motivi geometrici rigorosamente simmetrici. Avrebbe preso righello e squadrette e ci avrebbe messo talmente tanto tempo che la torta avrebbero potuto mangiarla per il prossimo compleanno.
“Ehm... Kid non penso che avrai il tempo.” gli fece notare Maka con quanta delicatezza poteva.
“Ti ci vorrebbe un secolo e probabilmente finiresti per distruggerla per il nervoso, perchè hai sbagliato di un solo millimetro.” spiegò Black Star, come al solito dritto al dunque.
Kid si imbronciò ma dovette ammettere che effettivamente di tempo non ne aveva.
“Va bene. Magari se mi sbrigo si può fare qualcosa di più semplice.”
Maka annuì, ma aveva già deciso che avrebbe provato a decorarla da sola.
Quando tre quarti d’ora più tardi entrambi i coinquilini furono usciti, Maka si lasciò cadere sul divano con un sospiro sconsolato.
Lei non era una pasticciera, come le era venuto in mente di offrirsi di fare una torta? Sarebbe uscita un disastro e Soul l’avrebbe presa in giro.
Si strinse le ginocchia al petto, scrollando il capo. Di certo non era quello che voleva ottenere. E se Soul avesse fatto l’idiota, lei avrebbe finito per arrabbiarsi, forse gli avrebbe tirato un cazzotto e…
Prendendo fiato, si impose di calmarsi.
No, non sarebbe andata così.
Era il suo compleanno e si era alzato prima di quanto faceva solitamente, in più era andato a sbrigare faccende che probabilmente avrebbe preferito fare un qualsiasi altro giorno. Perciò avrebbe apprezzato per lo meno lo sforzo. 
Era vero, Soul amava scherzare e spesso la prendeva in giro, ma col tempo Maka aveva anche notato che lo faceva in una maniera ben diversa rispetto per esempio al modo di scherzare di Black Star, che spesso e volentieri sfociava nell’essere gratuitamente offensivo.
Soul era decisamente più attento. C’era qualcosa di quasi affettuoso nel suo modo di scherzare con lei.
O almeno, le sembrava.
Sforzandosi di stare tranquilla, si alzò e tornò in camera sua a prendere il cellulare.
Al terzo squillo, Tsubaki rispose.
“Pronto?”
“Hey, Tsu.” la salutò Maka. “Avrei un favore da chiederti. Sei a casa?”
“Certo, dimmi.” rispose l’amica con gentilezza. 
Maka sorrise.
“Mi daresti la ricetta più facile che conosci per una torta al cioccolato?”


*


Fumare in macchina non gli era mai piaciuto. La puzza di sigaretta aleggiava nell’abitacolo per un sacco di tempo e sarebbe stata in parte assorbita dai sedili. 
Ma quella che era iniziata già come una giornataccia, si stava trasformando in una vera e propria giornata di merda. E, per quanto fosse scontato, fumare lo aiutava quando era nervoso. Per lo più a mantenere la calma e non urlare in faccia alla gente, o commettere reati che gli avrebbero sporcato definitivamente la fedina penale.
Perciò quella mattina si stava concedendo una piccola eccezione. Un piccolo regalo di compleanno a sé stesso.
Si era svegliato praticamente all’alba, cosa che non avrebbe mai fatto in un giorno normale, figuriamoci per il suo compleanno. Ma al suo relatore piaceva fare le cose la mattina presto a quanto pareva, e gli aveva chiesto di presentarsi alle otto e mezza puntuale nel suo ufficio.
Soul adorava dormire, ma adorava ancora di più l’idea di finire quella dannata tesi di laurea e chiudere finalmente la sua carriera universitaria, così si era sforzato di alzarsi persino prima di Kid, che alle otto in punto doveva già essere vestito di tutto punto per placare la sua pace interiore. O la sua pazzia.
Quello che non si era aspettato era che il professore gli avrebbe contestato praticamente metà di quello che aveva già scritto. Certo, non l’aveva ancora finita, e neanche studiata ovviamente, ma l’idea di riscrivere metà tesi, quando gli mancava poco per completarla lo aveva per così dire destabilizzato. Diciamo pure che era furioso.
Non per il fatto che lo avesse corretto, assolutamente no. Quello che non sopportava era che avesse aspettato così tanto per dirglielo. Sapeva cosa stava scrivendo, perché non avvisarlo prima?
Ovviamente non gli aveva detto niente di tutto ciò. Si era limitato a serrare la mascella, forzare un mezzo sorriso e accettare.
Soul riteneva di essere una persona abbastanza tranquilla. Riusciva a mantenere la calma più facilmente di gente come Maka o Black Star che perdevano subito la pazienza e andavano in escandescenza alla minima provocazione.
Ma c’è da dire che nemmeno la sua di pazienza era infinita, e sinceramente non era neanche così abbondante.
E dopo il paio di ore spese nell’ufficio del suo relatore di tesi a parlare di come avrebbe dovuto riscriverne la metà, l’unica cosa che avrebbe davvero voluto fare sarebbe stato tornarsene a casa, spogliarsi, infilarsi di nuovo sotto le coperte e recuperare le ore di sonno perse quella mattina. Si chiedeva davvero come avrebbe fatto quando avrebbe trovato un lavoro.
Purtroppo quello che doveva fare invece, era andare in facoltà e assaltare la segreteria finché non gli avessero dato uno straccio di risposta. Era l’ultimo esame, porca miseria! L’ultimo esame prima della laurea e nessuno sapeva dirgli quale fosse il problema.
Ovviamente poi il suo relatore doveva avere l’ufficio in un’altra sede, quindi si era pure beccato l’imbottigliamento nel traffico dell’ora di punta prima di riuscire finalmente ad arrivare in facoltà.
E dopo un’altra mezz’ora persa a cercare un buco dove parcheggiare, eccolo lì che spegneva la sua sigaretta e dava uno sguardo veloce al suo telefono.
Non c’erano chiamate o messaggi. C’era stato il silenzio assoluto da quando lo aveva acceso. E non voleva davvero lamentarsi, per niente, ma in effetti si era aspettato che a quest’ora ormai sua madre o Wes avrebbero almeno mandato un messaggio. 
Con un sospiro uscì dalla macchina. Dopotutto era ancora mattina, avevano una giornata intera per ricordarsi del compleanno del proprio figlio (o fratello nel caso di Wes). 
La segreteria era deserta, se non per una donna sulla quarantina seduta dietro al bancone e un uomo poco più giovane a una scrivania più indietro, entrambi intenti a guardare gli schermi dei computer.
Come Soul entrò, la segretaria alzò lo sguardo e lo salutò con un sorriso plastico.
“Come posso aiutarla?” gli chiese educatamente.
Soul mise su un sorriso altrettanto falso e si avvicinò al bancone con calma.
“Quasi tre mesi fa ho dato un esame di Linguaggi di Programmazione, e negli ultimi due mesi vi ho mandato circa una cinquantina di email riguardo il fatto che non mi sia ancora stato convalidato. Più o meno alla ventottesima avete smesso di rispondere, quindi ho deciso di venire di persona a chiedere.” spiegò con una tranquillità che sorprese persino se stesso.
Il sorriso della segretaria tentennò e Soul la vide deglutire. Sapeva di cosa stava parlando, sapeva chi era e sapeva della quantità abnorme di email che aveva inviato.
Adesso non mi potete più evitare, pensò con trionfo.
La donna si schiarì la gola e annuì, tornando a guardare il computer.
“Allora, vediamo che succede.” mormorò con rassegnazione. “Mi diresti il tuo nome e il numero di matricola?”
Soul pensò a tutte le volte che lo aveva scritto. Non sapeva chi si occupasse della posta elettronica, ma questa donna aveva un’aria colpevole.
La vide digitare i suoi dati e muovere il mouse in assoluto silenzio per alcuni secondi. 
“Ha già parlato con il professore con cui ha fatto l’esame?” domandò con un pizzico di incertezza.
Soul la scrutò intensamente cercando di trasmetterle tutta la sua irritazione.
“È quello che mi avete scritto nelle prime due email, ed è quello che avevo già fatto prima ancora di contattare la segreteria. Ho parlato con il professore più volte e più volte lui mi ha detto di aver seguito la solita procedura.” spiegò tamburellando nervosamente le dita sul ripiano di legno. “Ma per qualche motivo non risulta che mi sia stato convalidato.”
Ma almeno le leggevano le risposte, per la miseria!?
La donna annuì nuovamente.
“Che esame ha detto che era?” domandò quasi timidamente.
“Linguaggi di Programmazione Avanzati, della magistrale di informatica.” rispose Soul meccanicamente. “So anche il codice se vuole.” ormai l’aveva imparato a memoria.
“Da 6 crediti, giusto?” fece lei dopo qualche altro click.
Soul confermò, sempre più seccato. Aveva riscritto quelle stesse informazioni decine di volte, se non avessero iniziato ad ignorarlo allora non sarebbe dovuto andare li a far sudare quella povera donna.
Notò che era sempre più nervosa ogni secondo che passava. Ogni tanto lanciava occhiate al suo collega che li aveva ignorati per tutto il tempo.
Passò circa un minuto di silenzio in cui lei fissò lo schermo ad occhi spalancati e le sopracciglia che andavano sempre più su fino a nascondersi dietro la frangetta storta.
“Oggi il server è molto lento.” balbettò con un sorriso teso. “Ci deve essere qualche problema di connessione, forse.”
Soul rimase impassibile, gli occhi sempre puntati su di lei. Non che provasse gusto a torturare la gente in quel modo, ma se lo meritavano, vista la tortura a cui avevano sottoposto lui per gli ultimi due mesi e mezzo. Quando aveva visto che continuavano a non rispondere aveva iniziato anche a fregarsene di scrivere decentemente e le ultime dieci email erano stato un continuo copia e incolla l’una dell’altra.
“Io aspetto.” affermò, quasi come fosse una minaccia. 
Non sarebbe uscito di lì finchè non avrebbe avuto il suo dannato esame convalidato.
La segretaria tossicchiò nuovamente.
“Lei è sicuro di essersi iscritto correttamente?” gli chiese con voce debole.
Soul si morse il labbro e iniziò a contare mentalmente fino a dieci. Inspirò ed espirò lentamente prima di rispondere con una pacatezza quasi inquietante.
“Signora, questo è il mio ultimo esame. L’ultimo della specialistica. È l’ultimo esame della mia intera carriera universitaria. Secondo lei ho sbagliato l’iscrizione?” 
Come si faceva poi a sbagliare una cosa del genere? Bisognava cliccare sul pulsante che diceva ‘iscriviti’, quanto credeva che fosse stupido?
La donna deglutì di nuovo, sudando sempre di più. Lo guardava ad occhi sbarrati senza sapere cosa dirgli.
“Si, sono sicuro di essermi iscritto correttamente.” ripetè Soul non nascondendo più l’irritazione. “Ho parlato col professore anche di questo, e lui ha detto la stessa identica cosa. Risultavo iscritto normalmente all’esame. Il problema. Non. È. Quello.”
Lei annuì per la centesima volta sempre più agitata. Probabilmente lo stava odiando, ma il sentimento era ormai reciproco.
Passò qualche altro minuto in cui lei batté qualche parola sulla tastiera e cliccò da una parte e dall’altra. Dopo l’ennesimo sospiro tornò a guardarlo con un sorriso di scuse.
“Guardi, da qui non trovo davvero niente. E non posso fare molto altro, perché ci deve essere qualche problema col server.” iniziò con un mormorio nervoso e un’alzata di spalle. “Dovrebbe andare al piano di sopra dal responsabile del sistema e provare a chiedere a lui.”
Soul le lanciò l’ennesima occhiataccia, prima di annuire e seguire le sue indicazioni.
Due ore più tardi, constatò che cambiare ufficio non era servito a niente, il responsabile aveva finito per fare spallucce e dirgli che era una questione che riguardava l’ufficio principale della segreteria. Così l’avevano prontamente rispedito di nuovo al piano inferiore. Soul continuava a sorprendersi da solo per la sua capacità di controllo della rabbia. Pensò che sua madre sarebbe stata orgogliosa di come stesse tenendo tutte le varie imprecazioni e bestemmie per sè. 
Tra l’altro tutte le persone con cui aveva parlato avevano continuato ad informarlo del fatto che il maledettissimo server continuava ad essere sempre più lento e che chiaramente qualcosa non andava.
Verso l’una era uscito fuori a rinnovare il parcheggio, perchè di certo non voleva che alle sfighe della giornata si aggiungesse pure una dannata multa. 
Ne approfittò per comprarsi qualcosa da mangiare per riempire la voragine che si era formata nel suo stomaco. Si chiese se un tramezzino poveramente condito del bar fosse il pranzo più triste che avesse mai avuto per il compleanno.
Non voleva davvero fare il bambino, non gli fregava di passare chissà quale giornata perfetta, ma di certo non avrebbe voluto sprecarla in facoltà a tormentare la segretaria fino a portarla paurosamente vicina alle lacrime o al chiedere un ordine restrittivo contro di lui. Di certo la quantità delle email inviate non sarebbe andata a suo favore.
Ogni tanto continuava a guardare il display del telefono, ma era sempre tristemente privo di notifiche, se non quelle di facebook che lo informava degli auguri di persone con cui non aveva mai parlato. 
Era vero che i suoi genitori ormai stavano invecchiando, ma possibile che si fossero dimenticati tutti e due del suo compleanno? Insomma, almeno sua madre avrebbe dovuto ricordarsi del giorno in cui aveva partorito, no? Non gli sembrava il genere di cose che qualcuno potesse dimenticare.
Con una certa amarezza pensò che non ricordava che avessero mai scordato il compleanno di Wes. 
Scacciò quel pensiero, prima di addentrarsi troppo nel regno delle sue insicurezze e complessi di inferiorità nei confronti di suo fratello.
Lo stesso fratello che non si era ancora fatto sentire.
Quello era ancora peggio, perché con Wes aveva un rapporto cento volte migliore che con sua madre e suo padre. Eppure anche lui sembrava aver dimenticato.
Con uno sbuffo, si sforzò di ignorare il fastidio che provava. 
Stava reagendo come un povero idiota. Non era così patetico da deprimersi solo perchè non gli avevano fatto gli auguri. Doveva fregarsene e continuare la sua giornata. 
Quando tornò negli uffici della facoltà, la sua vecchia amica segretaria lo guardò immediatamente con aria quasi impaurita. Probabilmente stava maledicendo quell’unico giorno di orario continuato. Ma Soul l’aveva scelto apposta. Non sarebbe andato lì proprio il giorno del suo compleanno, se non fosse che cadeva di giovedì e il giovedì la segreteria faceva orario continuato. E lui non poteva aspettare un’altra settimana.
Le sorrise quasi con cattiveria, mentre lei ormai non cercava neanche più di placarlo con i suoi sorrisi di circostanza.
“Sono tornato.” le disse tra i denti.
La sua unica risposta fu l’ennesimo deglutire della giornata.


*


Non pensava di aver mai provocato un disastro simile. Neanche nei suoi momenti peggiori quando da bambina giocava con il fango al parco, o quando aveva provato a colorare le pareti della sua cameretta con le tempere.
E dire che di solito era sempre molto ordinata.
La cucina era in condizioni a dir poco catastrofiche. Non osava immaginare come avrebbe reagito Kid se fosse tornato in quel momento e l’avesse trovata così. Probabilmente avrebbe pianto o l’avrebbe strozzata.
Maka sospirò, dando un’ultima mescolata energica all’impasto. Guardò il tavolo con aria sconfitta. C’erano farina e cacao dappertutto. Per non parlare dell’uovo che le era caduto in terra.
Sperò che almeno la torta fosse decente.
Versò l’impasto nella teglia e la infilò dentro il forno, riprendendo il foglietto su cui aveva scritto le istruzioni che le aveva dato Tsubaki e impostando la cottura.
Dopo essersi lavata le mani, mise un timer dal cellulare e si voltò ad osservare nuovamente con aria affranta il campo di battaglia a cui aveva dato vita.
Iniziò a pulire il tavolo, maledicendo il momento in cui aveva anche solo pensato che quella sarebbe potuta essere una buona idea. Non era neanche una così brava cuoca, a dire la verità. Riusciva a cucinare il tanto che bastava per fare cose commestibili, ma finiva tutto lì. Era esattamente per quel motivo che sia Kid che Black Star l’avevano squadrata scetticamente. E sinceramente iniziava a pensare che sarebbe stato meglio lasciargli comprare un dolce già pronto.
Andò al lavandino a risciacquare lo straccio, così che potesse finire di pulire il tavolo. Quando si girò, però, la sua ciabatta slittò improvvisamente in avanti e un attimo dopo sbatté forte il sedere contro il pavimento e il ginocchio contro un piede del tavolo.
“Merda!” sbottò, indolenzita.
Strinse i denti, cercando di raddrizzarsi e massaggiandosi il ginocchio. Sollevando le gambe constatò di essere scivolata sul dannato uovo che le era caduto prima.
Maka emise un verso a metà tra un ruggito e un grido.
“Ma che idea brillante che ho avuto! Ah sì!” esclamò verso se stessa, passando poi ad una serie di imprecazioni contro l’uovo, le galline, la torta e ancora se stessa.
Dopo circa mezz’ora aveva ripulito il disastro dell’uovo sia dal pavimento che dalle sue ciabatte, e aveva iniziato a montare la panna, sempre seguendo le istruzioni di Tsubaki e di quel favoloso regno che era internet, quando le prime non erano abbastanza chiare. 
Quando il timer del telefono iniziò a suonare Maka scattò. 
Aprì il forno di colpo, dimenticando di spostarsi e venendo così investita in pieno dal calore. Strizzò gli occhi e indietreggiò con un altro verso di rabbia. Come se il forno non lo usasse mai, poi!
Afferrò le presine e tirò fuori la teglia, lasciandola andare malamente sul tavolo e richiudendo il forno con un colpo del ginocchio (quello sano). Stava infrangendo tutte le regole di Kid.
Fece una smorfia.
Al diavolo Kid! Era il compleanno di Soul e lei gli aveva comprato solo un misero dvd. Gli avrebbe fatto quella dannata torta, a lui sarebbe piaciuta e le avrebbe sorriso in quel modo che le faceva sentire le gambe molli e…
No!
Scosse il capo, scacciando immediatamente il pensiero. 
Non gli stai preparando una torta solo per avere uno stupido sorriso e vedere le sue stupide fossette, Albarn. 
Guardò la torta nella teglia. Doveva assicurarsi che fosse cotta.
Prese uno stecchino lungo e lo infilò nel pan di spagna. Tsubaki le aveva detto che se lo stecchino fosse rimasto pulito allora la torta sarebbe stata pronta.
Si sporse in avanti per sfilarlo dalla torta e, senza pensarci, toccò la teglia, per tenerla ferma, con una mano. Nuda. 
Balzò all’indietro con un ululato, prendendo poi a soffiare con agitazione sulla bruciatura. Il dolore le faceva lacrimare gli occhi.
“Stupida idiota!” si lamentò insultandosi da sola. “Che male!”
Infilò immediatamente la mano sotto l’acqua fredda del rubinetto.
Perchè era diventata all’improvviso così imbecille? Stava perdendo punti di quoziente intellettivo?
Mugugnò con una certa disperazione, ispezionandosi il palmo della mano ormai di un rosso acceso. 
La disgraziata teglia sembrava prendersi gioco di lei dal tavolo. E il forno era ancora acceso.
Forse avrebbe dovuto fasciarsi la mano prima di continuare.
L’unica consolazione per il disastro che stava scatenando era lo stecchino con cui aveva punto il pan di spagna. Quando si era bruciata l’aveva tirato via con sè e ora giaceva indisturbato sul tavolo.
Era pulito.


*


Soul lasciò andare il portone del condominio alle sue spalle con noncuranza. Quando lo sentì sbattere imprecò sottovoce. Lanciò un’occhiata cauta verso le porte degli appartamenti, aspettandosi le due vecchiette del pianterreno uscire a fare il cazzettone a chi puntualmente faceva sbattere il portone, disturbandole dai loro pisolini o le loro partite di briscola.
Per carità, avevano la loro buona dose di ragione, ma quel giorno non aveva nessuna voglia di farsi prendere a urla e farsi guardare male per il suo colore di capelli. Come se lui ne avesse colpa, poi.
Le porte rimasero entrambe chiuse e Soul sospirò di sollievo, mentre aspettava l’ascensore.
Erano quasi le quattro del pomeriggio, e la segretaria, ormai rassegnata, gli aveva detto di andare a casa con la promessa che lo avrebbero richiamato non appena avessero capito quale fosse il problema.
Il suo telefono era sempre muto. Quando ci pensava, sentiva una fastidiosissima sensazione nel torace, quindi stava prontamente bloccando tutti i pensieri riguardanti la sua famiglia.
Salì al quinto piano e, una volta fuori dall’ascensore, iniziò a cercare le chiavi nella tasca del giubbotto in pelle.
Sentì il telefono vibrare nell’altra tasca.
Senza rendersene conto, si lasciò andare alla convinzione che Wes doveva avere finalmente guardato il calendario.
Il display gli mostrava un numero non salvato.
Non Wes.
Cercando di ignorare la terribile sensazione nel petto, che si faceva sempre più insistente e più somigliante alla delusione, rispose.
“Buon pomeriggio, chiamo dalla segreteria del dipartimento di Matematica e Informatica.” iniziò una voce maschile.
Soul chiuse gli occhi sospirando stancamente. 
Quando li riaprì la porta di casa sua sembrava deriderlo insieme al resto del mondo.


*


Ovviamente aveva fatto male i conti. Ovviamente le era uscito un quintale di panna. E ovviamente il cioccolato per fare la glassa non le bastava.
Almeno la torta non sembrava male, se non si considerava il fatto che fosse uscita storta.
La coprì con uno strofinaccio pulito e mise la ciotola con la panna dentro al frigo.
Si precipitò in bagno, constatando di essere sporca di cacao e cioccolato più o meno dappertutto. Si lavò la faccia e i denti, andando poi a cambiarsi.
Mentre si infilava le scarpe da tennis, sentì la porta d’ingresso aprirsi e richiudersi. Con uno sguardo fulmineo alla sveglia sul suo comodino, notò che fosse troppo presto perchè Black Star o Kid fossero già a casa.
Questo voleva dire una sola cosa.
Maka uscì di corsa dalla sua stanza gonfiando i polmoni, pronta a urlare ‘buon compleanno!’, bloccandosi poi quando si accorse che Soul stava parlando al telefono.
Sembrava un po’ stanco, forse, ma sicuramente non era di buon umore. Più precisamente, era furente.
Rispondeva seccamente a monosillabi.
Mentre aspettava che finisse la telefonata, Maka notò che la porta della cucina era spalancata e che dal corridoio si poteva ammirare il disastro che aveva combinato. Si precipitò a chiuderla immediatamente. Soul non doveva vedere la torta prima che avesse finito.
Lo guardò sospirare e chiudere la telefonata.
“Vaffanculo! Tu! La segreteria! L’università! Tutti!!” esclamò a gran voce, togliendosi velocemente la giacca.
Maka fece un sorrisetto.
“Mi pare di capire che non siano stati molto d’aiuto.” commentò.
Soul la guardò con una certa disperazione. 
“Non sono mai stato così vicino al commettere un omicidio!”
Maka ridacchiò e dopo un po’ anche lui si sciolse in un sorriso.
Lo vide coprirsi il volto con le mani e sospirare con esasperazione. Storcendo il naso, notò che aveva un forte odore di sigaretta. Doveva essere davvero arrabbiato.
“Mi hanno mandato a casa, e mi hanno richiamato subito.” le spiegò gesticolando con frenesia. “Devo tornare lì.”
Maka corrugò la fronte. Stava chiaramente avendo una giornata terribile.
“Ora faccio pipì, bevo acqua ed esco di nuovo.” continuò lui, osservandola poi da testa a piedi. “Stai uscendo anche tu?”
“Devo fare una commissione velocissima.” spiegò, tenendosi davanti alla porta della cucina. “Ti preparo io un bicchiere d’acqua, tu vai pure in bagno.”
Soul sollevò un sopracciglio, sospettoso. L’idea che Maka stesse cercando di fargli un favore, probabilmente, neanche lo sfiorò.
“Perchè?”
Maka si mordicchiò il labbro. Non aveva senso inventarsi chissà quale bugia.
“La cucina è un disastro e non voglio che entri.” rispose semplicemente.
“Che hai fatto?” fece lui sogghignando.
Maka abbassò lo sguardo.
“Mi sono preparata il pranzo da sola.” 
Soul la guardava per niente convinto. Aveva un mezzo sorriso stampato in faccia, come pronto a prenderla in giro.
“Ho provato a fare roba elaborata, sai. Visto che avevo tempo.” aggiunse per sembrare più convincente. “Ma ho fatto un disastro e sto finendo di pulire.”
Soul aprì la bocca per ribattere ma Maka lo anticipò spingendolo verso il bagno.
“Su, io ti preparo l’acqua e poi esco a comprare delle cose.”
“Perchè hai una mano fasciata?”
Maka si nascose la mano incriminata dietro la schiena, indietreggiando nuovamente.
Ora l’avrebbe davvero presa in giro.
“Mi sono bruciata.” ammise in un borbottio.
Soul le scoppiò a ridere in faccia, con la solita delicatezza da elefante.
“Che fai, sfotti?” ringhiò lei, incenerendolo con lo sguardo.
Lui continuò a sghignazzare, prima di sforzarsi di tornare serio con scarso successo.
“Ma ti sei fatta molto male?” domandò con un velo di preoccupazione nascosta dietro il suo ghigno derisorio.
Maka fece spallucce. 
“Bene non ha fatto. Ma non è niente di che.”
Detto questo lo spinse in bagno, facendolo sghignazzare di nuovo. Quando lo sentì girare la chiave nella toppa, corse in cucina a riempirgli un bicchiere d’acqua. 
Guardò l’orologio e imprecò. Doveva darsi una mossa.
Lasciò il bicchiere sul tavolino del salotto, facendolo sapere a Soul con un soave grido dal corridoio.
Un secondo dopo uscì di casa.


*


Mentre si lavava le mani sentì la porta d’ingresso chiudersi. Maka era uscita.
Storse la bocca. Avrebbe preferito rimanere con lei, invece che riandare di nuovo in quel posto infernale. Comunque lei sembrava indaffarata per conto suo.
Una vocina debole debole nel retro della sua mente gli fece notare che neanche lei gli aveva fatto gli auguri. La zittì prontamente. Non era neanche sicuro che Maka sapesse che era il suo compleanno. Non ricordava se glielo avesse mai detto.
Dallo specchio, il suo riflesso gli rivolgeva uno sguardo truce. Notò le ombre scure sotto gli occhi, sue fedeli compagne di vita ormai. 
Aveva un aspetto a dir poco orribile.
Così questi sono i ventisei, eh!
Uscì dal bagno, trovando il bicchiere d’acqua dove Maka gli aveva gentilmente strillato che l’avrebbe trovato. 
Il suo comportamento riguardo la cucina era stato a dir poco strano, perciò ci entrò comunque. In ogni caso doveva rimettere il bicchiere nel lavandino. L’avrebbe lavato quando sarebbe tornato più tardi.
Tutto sommato non era così disordinata come se l’era aspettata. Aveva visto molto peggio. Per esempio quella volta che Black Star si era sentito molto patriottico e aveva deciso di onorare le sue origini giapponesi preparando gli onigiri. Erano stati invasi dai chicchi di riso per mesi, continuavano ad uscire da ogni fessura, non importava quante volte pulissero la cucina da cima a fondo. Kid non glielo aveva mai perdonato.
Non capiva davvero l’insistenza di Maka perché non entrasse.
Sul tavolo c’era uno strofinaccio. Sembrava coprire qualcosa.
Soul lo sollevò leggermente, ritrovandosi ad osservare una torta. Era ancora tiepida per quello che poteva sentire dallo strofinaccio. Era grezza, senza farcitura.
Pensò a Maka che gli aveva detto tutta agitata che doveva andare a comprare qualche cosa, restando molto sul vago.
Non ci voleva molto per capire che tipo di cosa stesse comprando.
Si accorse che stava sorridendo.
Ricoprì la teglia con lo strofinaccio e uscì dalla cucina, chiudendo la porta così che fosse come l’aveva lasciata Maka.
Mentre scendeva al pianterreno si accorse di non sentire più quella brutta sensazione di oppressione al petto forte come prima. Si ritrovò a sorridere di nuovo.
Mezz’ora più tardi era di nuovo in segreteria.
La donna che lo aveva probabilmente odiato per tutta la giornata lo salutò con un cenno del capo.
Sembrava ancora agitata, forse più di prima.
Non presagiva niente di buono.
“Il server è in manutenzione.” lo informò con una vocina debole.
Soul sentì tutta l’ira accumulata quel giorno investirlo violentemente. Il prossimo passo era trasformarsi in un demone.
“Sta scherzando?!” fece senza farsi troppi problemi. Non ne poteva più. Lo avevano fatto tornare senza motivo?
La segretaria fece una smorfia colpevole.
“Purtroppo no. Ma non vuol dire che non possiamo risolvere la situazione.” gli spiegò velocemente, probabilmente notando la sua crescente affinità ad un qualche tipo di creatura infernale. “Solo che il processo sarà un po’ più lento.”
Soul la fissava senza sbattere le palpebre. Le parole server in manutenzione continuavano a riecheggiargli nella testa.
La donna prese un bel respiro e Soul capì che le brutte notizie non erano finite.
“Sembrerebbe che il problema sia che…” iniziò quasi con timore. “Ecco, non risulta che lei abbia dato l’esame.”
Gli ci vollero esattamente tre secondi e mezzo per capire quelle parole.
Quello doveva essere un incubo. Un terribile incubo. Peggio persino degli incubi dove moriva in qualche maniera orribilmente dolorosa.
Pensò che avrebbe potuto mettersi a piangere proprio lì, davanti alla segretaria, perdere tutta la sua dignità, il giorno del suo compleanno tra l’altro.
Chiuse gli occhi, contando i suoi respiri, perchè se no avrebbe pianto davvero. O peggio, avrebbe commesso un omicidio.
L’aveva detto a Maka scherzando, solo mezz’ora prima, ma ora stava quasi contemplando l’idea.
Riaprì gli occhi, rendendosi conto che probabilmente aveva tutta l’aria di uno che avrebbe potuto dare fuoco all’edificio. L’avrebbe fatto volentieri, se non avesse complicato ulteriormente la sua situazione.
“Lei mi sta dicendo che non… è come se io non avessi mai dato questo esame?” La sua voce aveva assunto un tono davvero strano, notò, non sembrava neanche la sua.
La povera donna annuì. Aveva un’espressione a metà tra il timore e la compassione.
Soul pensò che non era mai stato così disperato e arrabbiato al tempo stesso.
“Non si disperi, però.” si affrettò a dire lei. Soul la fulminò con lo sguardo.
“Lei l’esame lo ha dato, quindi una soluzione la troveremo. Non dovrà ripeterlo, ovviamente.” cercò di tranquillizzarlo.
Soul si sentiva tutt’altro che tranquillo.
Continuava a fissarla in silenzio. Primo, perché era ancora intontito dal turbine di sensazioni negative che stava provando in quel momento. E secondo, perchè se avesse aperto bocca probabilmente avrebbe iniziato a gridare gli insulti più volgari che gli fossero venuti in mente.
Lei doveva avere intuito il suo stato d’animo, perchè fece l’ennesima smorfia della giornata.
Si risistemò gli occhiali sul naso e tornò a guardare il monitor del suo computer.
“Allora, visto che il sistema è in manutenzione dovremmo passare per vie traverse.”
Soul si poggiò stancamente al bancone, nascondendo il volto dietro alle mani. Voleva andarsene a casa. Voleva dormire. Voleva urlare. Voleva fumare. Voleva mangiare la torta di Maka.
La donna davanti a lui si schiarì la gola.
“Può ripetere di nuovo il numero di matricola?”
Soul lo ripetè per la quarta o la quinta volta, quel giorno. Si chiese com’era che non lo aveva imparato a memoria anche lei, ormai.
Vide che digitò anche il suo nome, prima di tornare a guardarlo.
“Mi serve anche la data di nascita.”
Soul rispose meccanicamente. Ormai si sentiva privo di qualsiasi tipo di energia. La furia cieca che provava gliela stava risucchiando via tutta.
“Venti… quattro…” mormorò lei mentre scriveva. Poi si raddrizzò di colpo, come colta da un’illuminazione.
“Oh!” fece con sorpresa. “Ma è oggi.”
Soul non si mosse di un centimetro, guardandola sempre con astio. 
“Sì.” rispose seccamente.
Lei sembrò incerta su cosa dirgli a quel punto. 
“Ah… ed è stato qui tutto il giorno.” notò molto intelligentemente.
Soul la fissava sempre con maggiore ira.
“Sì.” ripeté con altrettanta acidità.
La segretaria si mosse nervosamente. Aveva puro senso di colpa stampato in faccia.
“Mi… dispiace.” mormorò con voce insicura.
Soul cercò di mostrarle tutto il suo odio solo attraverso i suoi occhi.
“Anche a me.”


*


Erano le sei quando Black Star tornò a casa.
Maka lo sentì entrare rumorosamente in casa e non ebbe neanche bisogno di chiedere chi fosse. Quando entrò in cucina lo salutò senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro.
“Come sta andando?” chiese Black Star affiancandosi a lei e sbirciando la torta.
L’aveva ricoperta di glassa al cioccolato e ora stava improvvisando delle decorazioni con la panna montata.
Non era per niente soddisfatta di come stava uscendo, ma non aveva assolutamente alcuna intenzione di ammettere una cosa simile davanti a Black Star.
“La sto decorando.” mormorò semplicemente e per poi ignorare Black Star che borbottò un debole “Lo vedo da solo.”
Rimasero in silenzio per alcuni secondi. Maka stava finendo di scrivere la o finale di buon compleanno, quando Black Star schioccò la lingua con aria critica.
Maka serrò la mascella, preparandosi mentalmente ad un nuovo litigio.
“Fai cagare come pasticcera, fattelo dire.” le disse con tono derisorio.
Maka alzò il capo e gli lanciò lo sguardo più truce che le riuscì. Provò una piccola soddisfazione quando Black Star sembrò sorpreso.
“Non è per offenderti, ma-”
“Allora chiudi quella fogna!” sbottò lei acidamente.
“È che tu non sai disegnare. L’abbiamo visto tutti quel giorno che abbiamo giocato a Pictionary.” cercò di spiegare lui, tenendo le mani sollevate.
Maka lo incenerì con lo sguardo, non degnandosi di rispondere e finì la scritta. Iniziò a delineare il contorno della torta con dei ciuffetti di panna.
“È un disastro.” bisbigliò Black Star.
Maka si fermò, lasciò andare la sac à poche e si voltò a tirargli un pugno sul petto. Per lo meno lo colse di sorpresa e questo la fece sentire meglio.
“Cazzo, non fare la matta, adesso!” sbottò lui massaggiandosi la parte colpita. “Se vuoi combattere, basta che me lo dici. Spostiamo i divani, ci mettiamo d’accordo su quanti round fare e ce le diamo di santa ragione.”
“Per quanto l’offerta di gonfiarti di botte sia allettante, ora ho altro da fare.” ringhiò Maka tra i denti. “Smettila di commentare, nessuno te l’ha chiesto!”
Detto questo tornò disegnare sul dolce. Sentì Black Star sospirare e con la coda dell’occhio lo vide sedersi al tavolo di fronte a lei.
“E Kid che fine ha fatto?” domandò con voce annoiata.
“Ha detto che ha avuto un contrattempo e che torna un po’ più tardi.” spiegò Maka, iniziando a disegnare sui lati.
Sentiva ancora lo sguardo di Black Star addosso.
“Senti, posso farlo io?” sbottò lui improvvisamente. “Uscirà molto meglio.”
Maka sollevò gli occhi su di lui, cercando di fulminarlo con la forza del pensiero. Quanto avrebbe voluto che se ne andasse! Quanto avrebbe voluto anche picchiarlo!
“No.” fece irremovibile. “Altrimenti uscirà per davvero un disastro.”
L’unica cosa che Black Star sapeva disegnare erano stelle. E visto che aveva tirato in ballo la famosa partita di Pictonary, non l’aveva dimenticata neanche lei, e di certo non aveva dimenticato il fatto che i disegni di Black Star erano peggiori persino dei suoi.
Lui non sembrava d’accordo.
“Per favore!” esclamò con una mezza risata e il petto gonfio di arroganza. “Tutto quello che tocco diventa oro!”
Maka lo osservò impassibile per alcuni secondi, prima di rendersi conto che non stava scherzando.
“Tu non puoi essere serio quando dici queste cose.” mormorò con rassegnazione. Black Star era senza ombra di dubbio la persona più strana che avesse mai conosciuto, e lo stava dicendo lei che era figlia di Spirit Albarn.
Continuò il suo lavoro di decorazione, ignorando le lamentele del suo coinquilino. 
“Ho detto che la faccio io!” sbottò Maka all’improvviso. 
Black Star la fissò imbronciato, ma lasciò cadere la questione. Dopotutto non gli importava così tanto, apparentemente.
“Quando torna Soul?” 
Maka fece spallucce. “Prima è tornato giusto per due minuti. Stava litigando con quelli della segreteria.” spiegò distrattamente. “Penso che sia ancora lì.”
“Che sfiga.” commentò Black Star, stravaccandosi sulla sedia e poggiando i piedi su quella accanto. Kid non gli permetteva di farlo quando era in casa.
“Già. Era davvero arrabbiato.” continuò Maka, ripensando alla loro conversazione di quel pomeriggio. “Quando è entrato stava parlando al telefono con qualcuno dell’università e…”
Non finì la frase. Le era appena venuta in mente una cosa. Una cosa molto importante, che aveva dimenticato.
Soul era entrato, lei era andata a fargli gli auguri, ma aveva dovuto aspettare. E poi…
“Oh mio dio!” si portò una mano davanti alla bocca. “Mi sono dimenticata di fargli gli auguri!”
Quanto poteva essere deficiente? Quel giorno era proprio diventata stupida di colpo. Come diamine era successo?
Black Star scoppiò a ridere.
“Smettila, cretino!” esclamò lei, imbarazzata. Si sentiva uno schifo. Non gli aveva neanche augurato buon compleanno, quando lui era già di pessimo umore. Era una persone orribile!
Black Star continuava a ridere, e Maka gli lanciò una presina in faccia.
“Che scema!” fece lui, prendendola in giro.
“Vai al diavolo, Black Star!” gli gridò contro con aggressività. “Oggi sei uno stronzo assurdo! Sei insopportabile!”
Lui sghignazzò un altro po’. “Andiamo, dici così, ma lo so che mi vuoi bene lo stesso.”
Lo avrebbe volentieri preso a colpi di teglia in testa.
Tornò a guardare la sua torta, ripensando a Soul. Doveva farsi perdonare in qualche modo.
Iniziò a disegnare con la panna nello spazio vuoto sotto la scritta.
Black star si raddrizzò, allungando il collo per cercare di vedere cosa stava facendo.
“Cos’è?” chiese dopo un po’.
Maka si morse il labbro per evitare di rispondergli. Suo malgrado si sentì arrossire.
Non stava venendo come l’aveva immaginato, al contrario stava uscendo proprio male. Che imbarazzo.
Black Star piegò la testa.
“Dovrebbe essere… un teschio?” chiese con una certa confusione.
Maka si stava vergognando sempre di più, ma non l’avrebbe mai ammesso. Finì di disegnare le orbite il foro del naso e guardò il risultato finale di tutto il suo lavoro.
Black Star si alzò e tornò al suo fianco, studiando la torta con una smorfia critica.
“Gli hai fatto i denti appuntiti.” commentò con poca convinzione.
Maka non rispose, continuando a guardare il dolce con una certa delusione.
Le veniva da piangere. Era un disastro, sembrava la torta che Hagrid regalava a Harry nella Pietra Filosofale, ma senza errori grammaticali. 
Si passò stancamente una mano sul volto.
“Sembra un cartone animato.” fece di nuovo Black Star.
“Basta! Non ti piace come l’ho fatta, ho capito!” strillò lei, con uno spintone. Era sull’orlo di una crisi isterica. “Non ti voglio più sentire parlare!”
“Minchia, stai calmina!” ribatté lui con una smorfia.
Maka gli tirò un cazzotto sul braccio con tutta la forza che aveva. Black Star mugugnò per il dolore, non volendo darle la soddisfazione di un lamento vero e proprio.
Si guardarono in cagnesco per qualche secondo, poi tornarono di nuovo alla torta.
Black Star sospirò con un’alzata di spalle.
“Comunque, tutto sommato è carina.” le concesse senza guardarla in faccia. “E poi l’importante è che sia buona.”
Maka lo osservò ancora con aria truce, finendo poi per annuire. Non sapeva se fosse sincero o se si fosse semplicemente reso conto di che stronzo era stato, ma poco importava. Voleva semplicemente che si zittisse.
Proprio in quel momento sentirono la porta di casa che si apriva e Kid che li chiamava.
“Siamo in cucina!” annunciò Black Star.
Sentirono i suoi passi avvicinarsi. “Non avete idea del traffico che c’è. In più, come avevo previsto, c’era una fila assurda per i biglietti e ho perso un sacco di-”
Quando entrò in cucina si fermò di botto e cacciò un urlo.
Maka sobbalzò e si girò a guardarlo perplessa.
Kid agitò le mani, a bocca aperta, mentre lo sguardo saltava da un punto all’altro della stanza, per poi fermarsi su loro due.
“Mi state prendendo in giro?!” gridò con esasperazione. “Cos’è questo disastro?”
Maka si mordicchiò il labbro e si strinse nelle spalle. Probabilmente era arrossita di nuovo.
“Mi dispiace. Ho fatto un po’ di disordine.”
“Un po’?!” ripeté Kid scettico. “E di solito tu sei l’unica che si salva qua dentro.”
Maka abbassò lo sguardo in imbarazzo. Stranamente Black Star venne in suo aiuto.
“Su, non è così male. Vuoi vedere la mia stanza?” disse, cercando di placare l’amico.
“Per farmi venire un infarto prematuro?” ribatté lui, acidamente.
Maka si schiarì la gola. “Be’, comunque adesso pulisco, non ti preoccupare. Ho finito la torta.”
Kid si avvicinò a guardarla e Maka provò nuovamente imbarazzo. Si chiese perchè diamine avesse pensato che fosse una buona idea. Quando Soul l’avrebbe vista sarebbe morta di vergogna.
Kid corrugò la fronte e stirò le labbra in una specie di smorfia, ma poi si girò e le sorrise.
“Considerando che non fai mai dolci, non è male.” le disse.
Maka lo prese come un complimento.
Kid continuava a scrutare la torta. Si inchinò in modo da avere la testa all’altezza del tavolo.
“Ma è storta!” esclamò all’improvviso. “Di almeno 3 gradi!”
Maka chiuse gli occhi e cercò di placare la sua ira.
Black Star tirò una manata in testa all’amico. 
“Smettila di fare il pazzo. Secondo te Soul farà caso a quanti gradi è storta? Penserà solo a divorarla!” esclamò, tirandolo su per il colletto della camicia.
Cinque minuti più tardi Maka stava aiutando Kid a pulire la cucina, mentre Black Star chiedeva cosa volevano sulla pizza.
“Allora vado a ordinarle.” annunciò mentre si infilava la giacca.
Maka guardò l’orologio. Erano le sette ormai, e Soul aveva passato tutta la giornata in facoltà. Doveva avere l’umore sotto i piedi.
Sperò che Black Star avesse ragione e che avrebbe apprezzato anche solo la presenza del dolce. E del regalo.
Il suo regalo, che era ancora nascosto nel suo armadio.
“Merda!” si picchiò la fronte all’improvviso, facendo sobbalzare Kid.
“Che succede?” chiese lui, guardandosi intorno freneticamente in cerca di qualche problema.
“Non ho incartato il regalo!” esclamò Maka, fissando Kid ad occhi spalancati. “Non penso neanche di avere della carta.”
Lui scosse il capo con un’alzata di spalle.
“Neanch’io, mi spiace.”
Maka sbuffò, le mani sui capelli e le sopracciglia corrugate. Doveva inventarsi qualcosa.
“Puoi incartarlo con qualcos’altro. Tipo i giornali.”
“Abbiamo giornali, in casa?” ormai lei leggeva le notizie sempre dal cellulare o dal pc.
La faccia di Kid le disse che era lo stesso per lui.
“Non penso, in effetti.”
Maka lasciò cadere le braccia sconsolata. Avrebbe dovuto trovare qualcos’altro.
Guardandosi intorno, scorse quella che forse era la sua unica soluzione.
Era pazza a prendere in considerazione un’idea simile? Sarebbe stato orribile.
Sospirò.
Almeno non avrebbe fatto sfigurare la torta.


*


La speranza è l’ultima a morire.
Questa era la dannatissima frase di merda con cui il professore di Linguaggi di programmazione l’aveva congedato.
Ammesso e non concesso che averlo trovato ancora in facoltà era stata forse l’unica botta di culo in tutto il giorno, avrebbe preferito andare via con un senso di maggiore tranquillità.
Sia il professore che la segretaria gli avevano assicurato, dopo aver litigato con il computer e il maledettissimo server e la sua manutenzione del cazzo, che potevano risolvere il problema. Male andando si sarebbe dovuto riiscrivere al prossimo appello solo come formalità, gli avevano detto.
In ogni caso, Soul non aveva ancora il suo esame convalidato, e di conseguenza neanche i suoi crediti. Sperava solo che sarebbero riusciti a risolvere la questione in fretta, perchè se doveva rimandare la laurea di una sessione per colpa loro, allora non avrebbe più risposto delle sue azioni.
Quando uscì fuori era buio. Era rimasto lì dentro quasi quattro ore, senza contare tutta la mattinata.
Diede un’occhiata veloce al suo cellulare. Per rispondere al filosofeggiare del suo professore, ormai la sua speranza era morta. Né suo padre o sua madre, né suo fratello si erano degnati di scrivergli neanche un misero messaggio.
Ormai non gli importava neanche più dell’orgoglio. Era triste. Si sentiva ferito.
Non che l’avrebbe ammesso a voce alta, o che glielo avrebbe mai detto. Però ora aveva un’altra cosa da aggiungere alla lista di pensieri scomodi con cui intrattenersi prima di dormire.
Si accese una sigaretta, mentre raggiungeva la macchina. Aveva speso un sacco di soldi per i parcheggi. 
Sbuffò seccato. Qualsiasi cosa di quella giornata lo aveva fatto imbestialire. Qualsiasi cosa a cui pensasse lo faceva imbestialire.
Non vedeva l’ora di infilarsi sotto le coperte e fare finta di non esistere.
Entrò in macchina, fregandosene di nuovo di avere ancora la sigaretta. Ormai non gli importava più. Aveva tutto il tempo i prossimi giorni per maledirsi per la puzza di fumo.
Il traffico era la ciliegina sulla torta di quella terribile giornata. L’analogia tra la torta e quel giorno in particolare lo fece ridacchiare, ma non era una risata felice. Tendeva più all’isteria.
Dieci minuti più tardi era fermo in una coda di macchine.
Lasciò cadere stancamente la testa sul volante, mugugnando lamentosamente.
Voleva solo tornarsene a casa, per l’amor del cielo!
Passarono circa altri quindici minuti, in cui Soul si stava consolando cantando insieme allo stereo dell’auto, prima che la macchina davanti a lui riniziasse a camminare per qualche altro metro.
Prima che potesse partire, però, un fuoristrada cambiò corsia improvvisamente, tagliando la strada a lui e alle macchine ai suoi lati.
“Coglione!” imprecò Soul, premendo la mano al centro del volante e cercando di assordarlo col clacson. Le altre due macchine seguirono il suo esempio. Vide l’uomo alla sua destra agitare le braccia contro il fuoristrada.
Quello che di certo nessuno di loro si aspettava era che il fuoristrada si fermasse (insieme al resto delle macchine, d’altronde) e che il tipo alla guida scendesse.
“Hai problemi, bello?!” gridò verso l’uomo alla destra di Soul.
Lui gli urlò qualcosa e iniziarono a discutere.
“Che cazzo vi attacate al clacson, ah?! Volete rogne?!”
In un qualsiasi altro giorno, Soul si sarebbe limitato a suonare, magari fare il dito medio, e poi se ne sarebbe fregato. Ma quel giorno, no. Non aveva più un briciolo di pazienza o compassione per nessuno. Era l’incarnazione dell’ira.
Prima che potesse rendersi conto di cosa stava facendo, aveva già abbassato il finestrino e tirato fuori la testa per urlare.
“Abbiamo suonato perchè è chiaro che non sai come cacchio si guida, testa di cazzo!” gridò con quanta aggressività poteva.
L’automobilista matto si girò di scatto verso di lui e si avvicinò al muso della sua macchina. Soul notò che aveva una pettinatura assurda e dei piercing sulla faccia. Non aveva l’aria di esserci un granché con la testa.
“E tu chi cazzo credi di essere, bianchino?!”
Bianchino?
Soul sentì il sangue ribollirgli nelle vene. Non perse neanche tempo a cercare di calmarsi.
“Uno che almeno sa guidare, e non reagisce come un stronzo fuori di testa quando la gente gli fa notare che ha sbagliato!”
“Giusto!!” urlarono le ragazze da un’altra macchina al lato. Soul vide l’uomo a destra annuire con veemenza.
Si chiese se stava avendo una tipica reazione da Black Star, ma le persone nelle macchine circostanti sembravano dargli manforte, perciò non si pose oltre il problema. 
Il tipo del fuoristrada non sembrò gradire quell’unione di pensieri.
“Mi stai dando del matto?!” urlò colpendo con un pugno il cofano di davanti della macchina di Soul. “Bastardo, mi stai dando del pazzo?!”
La macchina non me la sfasci, stronzo, fu l’unica cosa che pensò mentre si slacciava la cintura e apriva lo sportello.
“Allontanati dalla mia macchina, coglione!” sbottò puntandogli un dito contro.
“Altrimenti?” ribatté quello gonfiando il petto come un pavone. Fece un solo passo verso di lui, ma fu abbastanza perchè Soul tornasse all’improvviso a ragionare lucidamente.
Per un momento solo mise da parte la sua furia e studiò la situazione. 
Quel tipo aveva sicuramente qualche rotella fuori posto e sembrava pronto a fare a botte. Doveva uscirne in qualche modo.
Soul non sapeva picchiare. O meglio, sapeva come tirare un pugno, sapeva come fare male a qualcuno, ma non sapeva come uscire da una rissa illeso, tanto meno vincente.
Quando erano al liceo, Black Star lo aveva immischiato in qualcuno dei suoi casini e aveva dovuto fare a botte anche lui con qualcuno, ma era sempre stato abbastanza fortunato da beccare gente messa ancora peggio di lui.
Dubitava che sarebbe riuscito a cavarsela questa volta. Non era Black Star. E non era neanche Maka.
Prese fiato e parlò a voce abbastanza alta perchè potessero sentire anche le persone intorno a loro.
“Ascoltami bene, sei in torto marcio, hai fatto una cazzata e ti hanno visto tutti. Sei circondato da testimoni.” fece tentando di mantenere un tono di voce quasi calmo. “Se sei così stupido da provare ad alzare le mani sulla macchina o su di me, pensi davvero che la passeresti liscia? Non pensi che ormai abbiano tutti già segnato il tuo numero di targa?”
Sperava che almeno l’idea di avere problemi con la polizia lo avrebbe fermato, perchè se no aveva paura che sarebbe tornato a casa con qualche osso rotto, e allora avrebbe davvero pianto per il suo bel compleanno di merda.
“Esattamente, brutto stronzo!” gridò la ragazza della macchina a fianco che, Soul si accorse in quel momento, era scesa e si era avvicinata. “Ho fatto una foto al tuo orribile fuoristrada, e se non ti levi dalle palle immediatamente giuro che ti faccio passare le pene dell’inferno!”
Quello sembrò essere preso alla sprovvista dall’aggressività della ragazza e la guardò ammutolito per alcuni secondi.
“Mio padre è avvocato!” strillò l’amica ancora dentro la macchina.
“Suo padre è avvocato!” ripeté la ragazza, avanzando con fare minaccioso verso di lui.
L’automobilista sbuffò furibondo, agitò i medi di entrambe le mani e se ne tornò in macchina.
Soul sospirò di sollievo. Scambiò un cenno con la ragazza che gli aveva dato manforte e rientrò in macchina.
Guardò l’orario. Erano le sette e dieci.
Si coprì il volto e si stropicciò gli occhi. Era stanco morto, e sinceramente non ne poteva neanche più di essere arrabbiato.
I pianeti dovevano essersi allineati contro di lui quel giorno.
La vibrazione del suo cellulare interruppe il suo filo di pensieri. Cercò di tenere le sue aspettative più basse possibile, perchè non voleva davvero continuare a sentirsi così patetico.
Era un messaggio di Black Star. Era la prima volta che parlavano da quando si era alzato. In effetti, a parte quei due minuti con Maka, non aveva ancora visto nessuno dei suoi coinquilini quel giorno.
‘Come la vuoi la pizza?’
Solitamente il fine settimana, se non uscivano, compravano le pizze e cenavano guardando un film che sceglievano a turno. Ma durante la settimana era raro che la prendessero.
Sentì un briciolo di tensione abbandonarlo.
Probabilmente stavano cercando di fargli avere almeno una cena decente. Probabilmente erano coinvolti anche lui e Kid con la torta di Maka.
Con un mezzo sorriso rispose, lasciandosi poi sprofondare nel sedile della macchina.
Certo, sarebbe stato bello se fosse riuscito a tornare a casa in tempo per la cena, pensò mentre scrutava con astio la coda di macchine davanti a lui.
Nella mezz’ora seguente erano avanzati forse di venti metri, Soul aveva ripreso a cantare e aveva fumato un’altra sigaretta.
Alle otto e un quarto, finalmente riuscì ad uscire dall’ingorgo e finalmente parcheggiò sotto casa. Si accorse che stava morendo di fame.
Quando finalmente arrivò al suo piano e infilò la chiave nella toppa, non gli sembrava neanche vero di esserci riuscito. Gli sembrava di essere stato fuori per una settimana.
Con un sospiro entrò nell’appartamento e fu invaso dall’oscurità.
Prima che potesse chiedere cosa stesse succedendo, vide una luce avvicinarsi dalla cucina e fermarsi di fronte a lui.
Kid, Maka e Black Star stavano tenendo una torta al cioccolato con della candeline accese. C’era scritto ‘buon compleanno’ un po’ storto e sotto c’era disegnato un teschio che sembrava un cartone animato.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, iniziarono a cantargli la canzoncina. Probabilmente stava arrossendo, ma non gli importava in quel momento. Primo, perchè era buio e di certo non potevano accorgersene solo dalla luce delle candele. E secondo, perchè era l’unica cosa decente che gli era successa in tutta la giornata.
Come finirono si misero tutti a ridere, Soul compreso.
“Soffia!” lo esortò Maka.
Soul la guardò. Aveva i capelli raccolti in due cipolline disordinate. I suoi occhi erano enormi e la luce delle candeline creava un riflesso giallognolo sulle sue iridi.
Le sorrise. Poi soffiò le candeline.
Il buio durò giusto un minuto, prima che Black Star riaccendesse le luci. Un attimo dopo gli stava praticamente saltando addosso per  stritolarlo in un abbraccio.
“Buon compleanno, Soul!” gli urlò, assordandogli l’orecchio sinistro. 
Subito dopo fu abbracciato anche da Kid che gli fece gli auguri con più riguardi per il suo udito, e poi da Maka che fu sicuramente la più piacevole da abbracciare, e non solo perché era la più carina.
“Mi dispiace, questo pomeriggio ero distratta e in qualche modo ho dimenticato di farti gli auguri prima di uscire.” gli mormorò all’orecchio, con un certo imbarazzo. Soul la strinse a sua volta.
“Non preoccuparti.” le disse, prima di sciogliere l’abbraccio.
Black Star prese il vassoio con la torta e si diresse in cucina. 
“Forza, si mangia!” esclamò con allegria. 
Soul seguì gli amici e si sedette al tavolo.
“Come avete fatto ad accendere le candeline proprio quando sono entrato?” chiese poi, confuso.
Maka ridacchiò.
“Abbiamo appostato Black Star alla finestra del bagno a controllare quando tornavi.” spiegò Kid con fare pratico.
“Non è stata proprio una mezz’ora divertente, ma almeno avevo già il water lì, quando avevo bisogno.” commentò l’interessato, addentando la sua pizza.
Soul sghignazzò, lasciandosi finalmente andare. 
Non gli sembrava vero, di essere finalmente a casa. E stava morendo di fame, e quella pizza era buonissima.
Un’ora dopo erano tutti a stomaco pieno, ma pronti ad assaggiare la torta.
Gli avevano detto che Maka l’aveva fatta completamente sola. Black Star aveva fatto una battutaccia sulla sua mancanza di doti artistiche e lei l’avevo insultato di rimando, ma a Soul era sembrata in imbarazzo.
Osservò la torta.
Certo, non era un capolavoro, ma era carina. La scritta era un po’ tremante.
“Mi ricorda un po’ la torta di Hagrid nel primo film di Harry Potter.” disse con un sorrisetto, senza pensarci molto.
Al suo fianco, Maka, con il coltello in mano già pronta per tagliare le fette, lo guardò con un’espressione improvvisamente seria e le guance che si coloravano. Soul ricambiò l’occhiata e in un solo secondo capì di aver fatto un casino.
“Non è una cosa brutta!” si affrettò a precisare, adocchiando il coltello che aveva in mano. “È carina, mi piace!”
Maka lo fissò intensamente per alcuni secondi.
“Davvero.” continuò lui, più seriamente. Lei sembrò convincersi e gli sorrise, per poi iniziare a tagliarla.
Mentre gli porgeva la prima fetta, il suo cellulare iniziò a vibrare insistentemente. Soul lo prese dalla tasca dei jeans e quasi non gli sembrò vero di vedere il nome di Wes sul display.
Si scusò dalla stanza e si richiuse in camera sua.
“Pronto.” rispose, fingendo un  tono neutro. Non voleva che sentisse né la sua rabbia per non essersi fatto vivo, né la sua felicità per il fatto che avesse finalmente chiamato.
“Tanti auguri, Soulyyyyy!!” gridò suo fratello dal telefono.
Soul sospirò, concedendosi però un sorrisino.
“Non chiamarmi così, Wes.” borbottò, imbronciato. “Non ho più cinque anni.”
“No, ne hai ventisei!” esclamò lui con entusiasmo. “E sono così felice! Mi sembra ieri che sei nato.”
“Per favore, è già troppo se hai qualche ricordo confuso.” ribattè Soul, che però continuava a sorridere.
“Lì è già ora di cena, vero?” chiese all’improvviso suo fratello. “Mi dispiace, ero tutto il giorno in aereo e non mi sono regolato con l’orario.”
Soul si ricordò all’improvviso del viaggio di lavoro di cui Wes gli aveva parlato. Si era dimenticato che doveva partire proprio in quei giorni.
Si sentì in colpa per tutta la rabbia che aveva provato verso il fratello.
“Non fa nulla.” gli disse quasi con timidezza. “In ogni caso ora hai chiamato.”
Sentì suo fratello ridere dall’altra parte.
“Hai parlato con mamma?” gli chiese poi.
Soul si morse il labbro. Non voleva sembrare un bambino capriccioso.
“No.” ammise infine.
Wes rimase in silenzio per un secondo. “Come no?” fece interdetto. “Non l’hai sentita niente?”
“No.” confermò Soul, sempre più a disagio.
“Neanche papà?”
Figuriamoci.
“No.” ripetè.
Sentì Wes sospirare rumorosamente.
“Porca miseria, è già arrivato il momento in cui non distinguono più i giorni?” commentò cercando di metterla sul piano scherzoso.
Soul forzò una risata, ma probabilmente non era stato molto convincente. Wes gli disse semplicemente di non preoccuparsi.
“Probabilmente non si sono accorti che è oggi.” fece in un tentativo di trovare una spiegazione valida.
Soul intuì che probabilmente li avrebbe chiamati per dirgli di farsi sentire, e provò improvvisamente imbarazzo.
“Lascia stare, Wes. Non importa.” cercò di assicurargli.
Suo fratello non sembrava molto convinto, ma almeno cambiò discorso.
Per i venti minuti seguenti, riuscì a dimenticare i genitori, pur parlando con suo fratello.

 

*


Quando Soul tornò dalla sua stanza sembrava più tranquillo. 
Gli lasciarono finire la sua fetta di torta, prima di dargli i regali che erano andati a prendere mentre lui era al telefono.
Kid e Black Star gli consegnarono una busta da lettera rossa e quando Soul tirò fuori i biglietti sembrava al settimo cielo.
Maka pensò che avrebbe dovuto dargli prima il suo, giusto per rendere la situazione meno anticlimatica.
Quasi timidamente gli consegnò il suo pacchetto. Soul lo osservò e scoppiò a ridere.
“L’hai incartato con i volantini del supermercato?” fece, tra le risate. Stava diventando tutto rosso.
Probabilmente anche lei stava diventando dello stesso colore. Aveva ragione a ridere, la situazione era alquanto demenziale. Stava ridendo anche lei. E non le importava nemmeno di Black Star che la prendeva in giro, dall’altra parte della stanza.
“Non avevo carta da regalo e mi sono dovuta arrangiare con quello che ho trovato.” si giustificò, con un’alzata di spalle, continuando a ridacchiare.
“Comunque è stata originale, senza dubbio.” commentò Kid con un sorriso.
Soul annuì e scartò il dvd, prendendolo tra le mani e ammirandolo con aria indecifrabile.
Glielo aveva detto una notte, quasi due mesi prima, mentre guardavano la televisione da soli. Kill Bill era uno dei suoi film preferiti, e prima o poi avrebbe comprato il dvd.
Nelle ultime due settimane, Maka si era presentata più volte in camera del ragazzo, pretendendo di vedere la sua collezione di dvd, con la scusa di stare cercando qualcosa da guardare, giusto per assicurarsi che non se lo fosse comprato nel mentre.
Soul la guardò con un sorriso. Quel tipo di sorriso affettuoso che gli aveva visto pochissime altre volte, e con le fossette ai lati della bocca era incredibilmente carino.
“Grazie, Maka.” le mormorò fissandola con una certa intensità negli occhi.
Maka sentiva caldo, probabilmente era di nuovo diventata rossa. Si strinse nelle spalle e gli sorrise a sua volta.
Nonostante non fosse stato come i biglietti che gli avevano dato gli altri, Soul sembrava aver apprezzato comunque, e questo era abbastanza per tenerla tranquilla.
Lo vide passare un dito sulla panna rimasta sul suo piatto e poi infilarlo in bocca.
“La torta era buonissima.” le disse, dopo un po’ senza guardarla.
Maka sorrise trionfante. Almeno non si era fatta tutti quei lividi per niente.


*


Alle undici, Kid si era congedato dicendo che doveva andare a lavoro il giorno dopo. Dieci minuti più tardi, anche Black Star si era rintanato in camera sua, probabilmente per evitare di dover mettere a posto.
Soul si sentiva stanchissimo, ma rimase con Maka a finire di sistemare la cucina. 
Quando la guardò in faccia, vide la stanchezza anche sul suo volto.
“Dai, finiamo domani.” le disse, tirandola per il braccio fino al corridoio e afferrando il suo cellulare con l’altra mano. 
Camminarono in silenzio fino alle loro stanze. Le porte erano una di fronte all’altra. 
Una volta lì davanti, si fermarono e si guardarono in silenzio.
Soul si infilò la mano libera in tasca, perché non sapeva bene cosa farci, e si fissò i piedi. Quando sollevò il capo, Maka lo stava ancora guardando.
Le sorrise.
“Grazie. Per la torta e… tutto il resto.” le disse molto eloquentemente. Era un dannato disastro, porca miseria!
Maka gli sorrise a sua volta. Gli sembrò che si fosse avvicinata.
Si sentiva un idiota e non voleva davvero essere quel tipo di persona che fa pensieri sdolcinati che inducono al diabete, ma gli occhi di Maka erano così verdi ed erano davvero belli.
“Di nulla.” bisbigliò lei delicatamente, in risposta. “Almeno ti abbiamo fatto sentire un po’ meglio.” 
Si era sciolta i capelli, un po’ di tempo prima. Le incorniciavano il viso e le scendevano morbidamente sulle spalle. Gli stava ancora sorridendo, e Soul pensò che era davvero carina e l’idea che lei avesse cercato di tirarlo su di morale gli faceva venire voglia di sorridere come un maledetto idiota.
Era senza speranza.
Si chinò impercettibilmente su di lei e la vide allungarsi appena di riflesso. Sentì le labbra di Maka sull’angolo della propria bocca, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, furono interrotti dal rumoroso vibrare del suo telefono, ancora nella sua mano.
Guardarono entrambi in basso, dove la scritta ‘Mamma’ invadeva il display, annientando ogni possibilità di far evolvere la situazione in qualsiasi modo.
Soul non riusciva a crederci. Non sapeva se ridere o se piangere.
In più era ancora intontito dal mezzo bacio di Maka.
Si guardarono di nuovo, lei sembrava vagamente divertita.
“Dovresti rispondere.” gli disse a bassa voce, stringendogli la mano libera. “Ci vediamo domani.”
Detto questo, gli sorrise con una promessa negli occhi e si girò, lasciandolo da solo in corridoio.
Nel suo stato di imbambolamento, Soul si lasciò andare lentamente ad un sorriso ebete e pensò che dopotutto quella ridicola giornataccia non era stata un completo fiasco.






Nota:
Si prova una strana soddisfazione a torturare i personaggi, lo penso solo io?
Per chi se lo fosse chiesto (nessuno), l'automobilista matto è Giriko.
Poi, non ci sono date ufficiali per i compleanni dei personaggi, quindi ho inventato spudoratamente. xD
Grazie per aver letto e se vi va, i commenti sono sempre ben accetti. :)


Bye bye

 

  
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