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Autore: Degonia    27/06/2009    8 recensioni
Verrai, vero?
Mi verrai a prendere?
Sono qui da giorni e ti sto aspettando.
Vieni.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Verrai, vero?
Mi verrai a prendere?
Sono qui da giorni e ti sto aspettando.
Vieni.
Voglio vederti.
Voglio vedere il tuo viso, i tuoi occhi.
Voglio sentire ancora le tue mani su di me, quelle piccole mani che mi stringono.
Voglio essere ancora con te quando piangerai, quando avrai bisogno di qualcuno, quando tuo
fratello non ci sarà.
Verrai, vero?



Amo la mia vita.
Vivo in un’avventura da quando ho conosciuto lui.
La mia meta è il suo viaggio.
Ho viaggiato per ore su una vecchia autostrada dentro ad una scatola di metallo. Accanto a me scatoloni di ogni tipo creavano cumuli di ricordi.
Con una maglietta a maniche corte azzurra e i pantaloncini neri, lui mi teneva tra le sue braccia.
Era Estate, ma sotto il sole cocente lui mi stringeva.
Le gambe gli penzolavano giù dal sedile posteriore e sfioravano il tappetino nero. Quelle scarpe bianche e blu le avevo viste decine di volte nella sua vecchia casa.
Ma non era il tempo dei ricordi quello.
Era il momento di lasciarsi tutto alle spalle, di partire con le persone amate e smetterla di guardarsi indietro. Questo avremmo dovuto fare tutti, era un gioco perfetto; ero il primo a mentire.
Scrutai i suoi occhi: guardava la strada, ma non la vedeva.
Chissà a cosa pensava.
Chissà se aveva pianto.
L’auto rossa di mamma Costance si muoveva a velocità costante costeggiando aride colline deserte.
Nel cielo di Luglio erano sparite tutte le nubi e l’aria era percorsa da una calura dorata.
Accanto a lei, “l’uomo di casa” dormiva appoggiato allo schienale del sedile con le gambe tirate su, accanto al petto. Anche lui stanco e accalorato. Indossava una maglia grigia senza maniche. Pantaloni scuri fin sotto il ginocchio. Calzini e scarpe dello stesso colore e in testa un caschetto bruno. Le palpebre chiuse, fino a quando qualcuno urlò: “Mamma mi scappa!!” facendomi rotolare giù. Sul sedile di fronte un ragazzino aprì gli occhi e Costance disse calma che saremmo arrivati presto ad una stazione di servizio.
Poi mi riprese, si scusò con me per avermi fatto cadere e mi sorride.
Mi lisciò un po’ il pelo e guardò gli scatoloni accanto a lui.
Era triste.
Ricordo quando mi trovò su quella bancarella.
Sapevo che nessuno si sarebbe fermato a guardarmi: la gente non mi vedeva.
Sarei rimasto lì in eterno!
Non ero gradevole o almeno, così credevo.
Avevo due occhi per guardare il mondo, ma con essi, non avevo mai visto me stesso.
La gente mi passava accanto ignorandomi: per loro ero invisibile.
A volte qualcuno mi toccava, ma andava subito via. Nessuno mi avrebbe comprato.
Poi arrivò lui!
Per me è stato il sole e sempre lo sarà.
Capelli corti, uno sguardo furbetto e due occhi azzurri profondi e curiosi.
Guardava me!
Ero sconcertato: lui guardava me!!!
Non era possibile.
Mi vedeva!
“Shan lo voglio!!!” disse a qualcuno di qualche centimetro più alto di lui. Sembrava un bambino più maturo, ma era pur sempre un bambino!
“Lo sai che non puoi prenderlo”
“Ma io lo voglio!!!” si imputava il bambino, adesso arrabbiato da quel rifiuto “Compramelo!!!”
Ma venne portato via.
Piangeva.
Lui voleva me e piangeva.
Anche se non sarei stato con lui, l’avrei ricordato per tutta la vita.
Il giorno dopo pioveva, ma il mio venditore mi aveva buttato assieme agli altri su una bancarella sporca esposta alle intemperie del brutto tempo.
Sarei stato spazzato via da un vento che diventava sempre più forte.
Qualcuno arrivò veloce alle mie spalle e sentii tantissime monete di ferro che si scontravano tra di loro e si posavano sulla bancarella più in là.
“Non siamo in chiesa, ragazzino” disse quell’antipatico del venditore mentre fumava una sigaretta.
“Le conti signore, ci sono tutte. La prego!”
In quella voce c’era l’amore.
Spazientito e scocciato, il venditore contò le monete.
“T’ho!” disse porgendone una al ragazzo “Questa è in più”.
Il ragazzo l’afferrò. Forse sorrise.
“Ora scegli pure quello che vuoi e vattene” fece.
Altri bambini in quel momento, avevano cominciato a toccarmi, a farmi volare assieme ad altri peluche; quando lo vidi correre verso di me ed afferrarmi: “Lui è mio!” urlò agli altri ragazzi prima di correre via sotto la pioggia.
Il mio cuore di pezza batteva in sintonia con il tuo.
“Tranquillo, appena arrivati a casa ti faccio un bagno e ti asciugo per bene” disse continuando a correre e nascondendomi sotto alla sua giacchetta.
I capelli zuppi d’acqua sbattevano di qua e di là sotto la pioggia che si era fatta più fitta.
Il cielo si illuminava e scoppiava.
Poi entrò in un cancelletto e si intrufolò in casa dalla porta sul retro.
“Ssh” mi disse.
Come se potessi pronunciare qualcosa!
In quel momento pensai che fosse davvero tonto e carino.
Lo amai.
Mi portò in bagno e mi lavò strofinando del sapone per tutto il mio corpo.
Mi faceva il solletico, ma al mio posto rideva lui.
Era davvero contento!
Entrai nella sua stanza dopo che mi ebbe asciugato per bene con il phon caldo.
La sua stanza era molto piccola e oltre al suo letto ce n’era un altro.
Sulla parete alcuni poster di pianeti e satelliti vari.
C’erano anche i volti di gruppi musicali molto noti.
Sulle mensole in bella mostra libri riguardanti ogni cosa: dall’astronomia ai fumetti.
Uno di quei libri mi colpì: aveva la copertina rossa e di lato si poteva leggere il titolo “500 Hats of Bartholomew Cubbins”.
Mi piaceva il nome, chissà se me l’avrebbe mai letto.
Altri libri erano messi scomposti sotto una mensola accanto ad uno zainetto: probabilmente quelli scolastici.
Mi posò al centro del suo letto.
Poi sparì per qualche minuto.
Intanto continuai a guardare la stanza dove avrei vissuto: molto sobria e piacevole.
C’era una scrivania che divideva i due letti; su di essa vi erano dei cocchi di qualcosa.
Scoprii in seguito che erano i resti di un salvadanaio rotto per comprarmi.
Se in quel momento avrei potuto piangere, l’avrei fatto.
Ma adesso sono con lui e nulla potrà rendermi triste.
Accucciato sulle sue gambe, vigilo su di lui.
La sua mano posata sul mio guscio morbido.
Lo amo.
Se fossi un ragazzo sarebbe difficile amarlo in questa società della quale non faccio parte.
Per questo sono contento di essere una tartaruga verde.
Posso stare con lui e questo mi basta.
Posso amarlo in silenzio.
Posso amarlo.

La nuova casa era molto accogliente.
Ma la roba negli scatoloni non fu mai del tutto riversata in quelle stanze.
Poche settimane dopo mi ritrovai ancora in auto.
Lui dormiva tenendomi stretto e aveva la testa appoggiata sulle gambe del fratello maggiore.
Entrambi sui sedili posteriori.
Costance guidava: era notte.
Ero ancora giovane.
Non sapevo che quella sarebbe stata la mia ultima notte con lui.
Un enorme camion sbucò da una piccola stradina laterale prendendo il pieno l’auto rossa su cui viaggiavo. Fummo balzati sul lato sinistro della strada.
Gli scatoloni si aprirono: molta della roba uscì fuori.
Costance aveva la testa poggiata sul volante e le braccia penzoloni di lato.
Shannon cosciente, sgranava gli occhi guardandosi intorno: stringeva il mio padroncino che aveva sbattuto la testa contro il vetro del finestrino che si era frantumato. Il sangue dalla sua ferita gocciolava copiosamente sul mio guscio, sul mio volto.
Sentii urlare, il conducente del camion era venuto a soccorrerci.
Sentii una sirena e delle luci.
Poi non vidi più nulla.


Verrai, vero?
Mi verrai a prendere?
Sono qui da giorni e ti sto aspettando.
Vieni.
Voglio vederti.
Voglio vedere il tuo viso, i tuoi occhi.
Voglio sentire ancora le tue mani su di me, quelle piccole mani che mi stringono.
Voglio essere ancora con te quando piangerai, quando avrai bisogno di qualcuno, quando tuo fratello non ci sarà.
Verrai, vero?
Ti sto aspettando da giorni.
Qui piove e fa freddo.
Voglio dormire ancora insieme a te.
Voglio poter godere ancora del tuo buon odore, di quel calduccio che si creava tra le lenzuola e il tuo corpo.
Voglio poterti dire che mi manchi e che voglio solo te.
Voglio il mio sole, perché sotto questa pioggia, Jared, ho freddo... perché non vieni a prendermi?
So che non ti sei dimenticato di me.
Perché non vieni?
Perché?
...

Ti sto ancora aspettando.





24 Giugno 2OO9 e mi stanno scendendo le lacrime >.< porc!!
Non so se tutti conoscono François, probabilmente no, ma dovete sapere che in un intervista, Jared Leto ammise che da piccolo ha dovuto cambiare spesso casa per i lavori della madre e che l’unica cosa, di quel tempo, che gli manca ancora è la sua tartaruga di peluche François che perse in uno dei suoi tanti spostamenti.
Penso che sia davvero molto carino ricordarsi ancora di lei.
   
 
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