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Autore: Ode To Joy    18/01/2018    2 recensioni
(Iwaizumi x Fem!Oikawa)
Hajime non aveva mai potuto guardare Tooru dall’alto al basso ma la fanciulla che aveva di fronte era almeno dieci centimetri più bassa di lui ed era quando lo notava che gli occhi scuri non riuscivano più ad incantarlo, che i capelli castani troppo lunghi gli saltavano all’occhio e così anche quel non troppo piccolo particolare all’altezza del petto che la camicia da uomo sembrava mettere in risalto più di qualsiasi corsetto.
Aveva vent’anni, come Tooru. Aveva gli occhi grandi e scuri, come Tooru. Tobio la chiamava mamma perché quella fanciulla era Tooru.
[Spin-Off di "A Tale Of Crows And Demons"]
(Scritta per il Cow-T 8 di Lande di Fandom)
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Gender Bender
- Questa storia fa parte della serie 'The Raven Crown '
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Nota: questa one-shot è uno spin-off della long-shot "A Tale Of Crows And Demons" e gli eventi narrati sono direttamente subordinati alla storia originale. Questo spin-off è una sorta di remake del breve long-fic "A Winter Tale" mai conclusa.

 
Scritta per il Cow-T 8
Prima settimana, missione 1: "Cerimonia"
N. Parole: 15507




Till My Last Breath

 



Aveva cominciato a nevicare al calar del sole ma la carrozza era riuscita a proseguire fino a che non era scesa la notte.

Non sarebbero arrivati molto lontano in quelle condizioni.

Quando fu ormai chiaro che le ruote della carrozza non sarebbero andate avanti e che i cavalli erano troppo stanchi per continuare a trainare un simile peso in quelle condizioni, Takahiro lasciò andare un sospiro frustrato e sollevò lo sguardo verso i compagni di viaggio che cavalcavano a fatica. “Hajime!”

Il Primo Cavaliere di Seijou, che era in testa al gruppo, frenò il cavallo e si voltò nell’udire il suo nome. “Che cosa succede?” Domandò.

Takahiro lasciò andare le briglie del cavallo che li trainava con espressione evidentemente scocciata. “Siamo bloccati!” Concluse.

Accanto al Primo Cavaliere, Issei emise un sospiro stanco. “Te lo aveva detto che non era una buona idea…”

Kentaro ringhiò a bassa voce in approvazione. Shigeru e Shinji furono gli unici a rimanere chiusi dietro ad un muro di rispettoso silenzio, ma il Primo Cavaliere poteva chiaramente vedere sui loro volti quello che i loro pensieri non differivano da quelli dei loro compagni. Abbassò il cappuccio del mantello e sollevò gli occhi verdi. Il castello di vedetta non era lontano: due o tre miglia ad occhio… In salita e con almeno mezzo metro di neve sul terreno.

Sospirò, scese da cavallo e legò le briglie al ramo di un albero vicino. “Continueremo a piedi,” informò i suoi uomini. “I cavalli non ce la fanno con noi sulla schiena. Non abbiamo alternativa.”

Nessuno osò replicare. Hajime li superò tutti e si avvicinò alla carrozza. Il ghiaccio aveva ricoperto gran parte del vetro. Aprì la porta e si affacciò al suo interno. “Tooru?”

Due grandi occhi scuri risposero al suo sguardo dalla semioscurità ed il Cavaliere finse di non accorgersi delle ciglia troppo lunghe che ne disegnavano il contorno. “Che cosa succede, Hajime?” Domandò una voce che non apparteneva al suo Re. “Perché ci siamo fermati?” Eppure, era con Tooru che stava parlando.

“Dobbiamo continuare a piedi,” disse in fretta Hajime.

Le belle labbra della creatura che aveva davanti si strinsero appena, poi quegli occhi scuri si abbassarono. “Tobio si è addormentato,” disse adducendo al fagotto che stringeva teneramente al petto. “Non smette di tremare, Hajime.”

Il Primo Cavaliere abbassò lo sguardo a sua volta ed un improvviso senso di colpa gli strinse il cuore in una morsa: si era completamente dimenticato di aver trascinato anche il suo unico figlio di appena tre anni in quell’assurda fuga. “Dallo a me,” disse allungando le braccia. “Lo porto io.”

Tooru glielo porse facendo il possibile per non svegliarlo, ma l’aria all’esterno era troppo fredda ed il sonno del piccolo Principe era stato troppo agitato.

Il faccino era già contratto in una smorfia ancor prima che gli occhi blu si aprissero. “Mamma…” Gemette.

“Shhh…” Mormorò Hajime posando una mano sulla nuca ricoperta di capelli corvini per invitare il bambino ad appoggiarsi alla sua spalla. “Resisti ancora un po’. Siamo quasi arrivati, Tobio.”

Il principino lasciò andare un singhiozzo e nascose il viso contro il collo di suo padre piangendo in silenzio. Hajime sentì la morsa al cuore farsi ancora più dolorosa ma strinse le labbra e si fece coraggio. Posò un bacio tra i capelli corvini di suo figlio.

“Sta piangendo?” Domandò una voce che non apparteneva a Tooru.

Hajime sollevò lo sguardo. La creatura che rispondeva allo stesso nome del suo amore lo guardava con i suoi occhi scuri. Le belle labbra erano le stesse del Re Demone e così lo era la linea del piccolo naso. Forse, gli zigomi erano disegnati un poco diversamente ma se Hajime fosse stato costretto a guardarla negli occhi per tutto il tempo, il problema non sarebbe poi stato così grande.

Dall’alto al basso.

Già, era proprio quella la prima parte del problema. Hajime non aveva mai potuto guardare Tooru dall’alto al basso ma la fanciulla che aveva di fronte era almeno dieci centimetri più bassa di lui ed era quando lo notava che gli occhi scuri non riuscivano più ad incantarlo, che i capelli castani troppo lunghi gli saltavano all’occhio e così anche quel non troppo piccolo particolare all’altezza del petto che la camicia da uomo sembrava mettere in risalto più di qualsiasi corsetto.

Hajime allungò la mano libera ed afferrò l’orlo del mantello di Tooru per coprirle il petto. “Fa freddo,” fu la sua scusa.

La giovane donna strinse le labbra e non gli credette neanche per un istante. Aveva vent’anni, come Tooru. Aveva gli occhi grandi e scuri, come Tooru. Tobio la chiamava mamma perché quella fanciulla era Tooru.

Hajime affondò tre passi nella neve fresca, poi si voltò per assicurarsi che la ragazza riuscisse a muoversi da sola. Fece quasi per allungare la mano ma Tooru lo superò a testa alta. “Ce la faccio,” disse.

Non ho bisogno di te, sembrava che avesse detto.

Il castello era piccolo e polveroso, le tende tirate ed i mobili coperti da teli pesanti.

“Da quanto tempo nessuno mette più piede qui dentro?” Si domandò Takahiro strofinando i palmi contro le braccia. “Fa più freddo dentro che fuori.”

Di fatto, Issei si era subito avvicinato al caminetto della stanza principale senza chiedere il permesso. “Avranno lasciato qualcosa per accendere il fuoco, no?”

Tobio riemerse dalla spalla del padre ed un piccolo mucchio di neve cadde dal suo cappuccio. “Ehi…” Mormorò Hajime tirandogli i capelli all’indietro. Era gelido e tremava.

“Mamma…” Chiamò il bambino assonnato.

Hajime fu costretto ad incontrare di nuovo gli occhi di Tooru. La giovane donna si avvicinò e simulò alla perfezione un sorriso dolce. “Vieni qui, Tobio-chan.”

Il piccolo Principe si accoccolò tra le braccia della madre premendo un pugnetto contro la piccola bocca a cuore. L’espressione di Tooru si fece immediatamente seria. “Hajime, sta tremando.”

“Se non trovo della legna utilizzabile, brucio i mobili, giuro!” Esclamò Issei.

Un improvviso frastuono attirò l’attenzione del gruppetto. Tobio sollevò immediatamente la testolina spaventato ma Tooru gli accarezzò i capelli per rassicurarlo. Hajime aveva fatto a pezzi una vecchia sedia di legno marcio. “Usa questa,” disse con voce incolore avvicinando i pezzi di legno ai Cavalieri con un gesto sbrigativo del piede.

Nessuno disse nulla o si mosse.

Hajime si voltò verso la giovane che teneva tra le braccia suo figlio.

Tooru. Quella fanciulla era Tooru.

“Andiamo di sopra e cerchiamo una camera che non sembri una ghiacciaia, magari troviamo delle coperte per lui.” Disse.

Tooru lo guardò e basta. “Shigeru,” chiamò.

Il giovane Cavaliere si staccò dal gruppo e si avvicinò. “Maestà,” abbassò lo sguardo un po’ per rispetto ed un po’ per imbarazzo.

“Tienilo tu, per favore,” disse Tooru allontanando Tobio da sé. “Accendete il fuoco e cercate di scaldarvi.”

“Mamma!” Obiettò Tobio afferrando l’orlo del mantello della giovane.

Tooru sorrise. “Va tutto bene, Tobio-chan. Mamma e papà devono fare una di quelle lunghe e noiose conversazioni da grandi. Shigeru e gli altri ti terranno al caldo nel frattempo, va bene?”

Pur imbronciato, Tobio si fece prendere in braccio dal Cavaliere e permise a sua madre di raggiungere suo padre sulle scale. Il Primo Cavaliere rimase in silenzio, mentre la fanciulla in cui si era trasformato il Re Demone saliva le scale a testa alta e lo superava senza guardarlo.

Entrarono nella prima stanza del soppalco e richiusero la porta alle loro spalle senza dire una parola.

Tutti i Cavalieri si sorpresero a fissarla come se si aspettassero che sarebbe saltata in aria da un momento all’altro.

Kentaro, che si era seduto su di una poltrona senza chiedere il permesso e senza nemmeno disturbassi a liberarla dal telo che la ricopriva, fu l’unico a dare voce al pensiero di tutti. “Si scanneranno…”

Shirabu strinse di più Tobio a sé e guardò storto il compagno. “Kentaro, usa un linguaggio adeguato al Principe.”

L’altro Cavaliere ringhiò a bassa voce ed incrociò le braccia contro il petto come un bambino offeso.

“Va bene,” Issei sollevò tra le mani i resti della sedia su cui Hajime aveva scaricato l’irritazione. “Siamo scampati all’ira degli sposi, ora cerchiamo di scampare al congelamento.”


Hajime si guardò distrattamente intorno. Accidentalmente dovevano essere entrati nella camera da letto principale: vi erano un grande armadio contro il muro privo di finestre ed un letto matrimoniale a baldacchino contro la parete opposta, più vicino al camino. C’era anche abbastanza spazio per aggiungere un letto più piccolo per Tobio.

“Potremo stare qui,” concluse il Primo Cavaliere senza curarsi del fatto che la giovane donna che aveva di fronte lo stava fissando con occhi infuocati d’ira. “C’è abbastanza spazio anche per Tobio. Non c’è la stanza da bagno come al Castello Nero ma non ne abbiamo una solo per noi nemmeno nella tenuta di campagna, quindi…”

Una mano si abbatté contro la sua guancia segnando la fine di quel discorso inutile.

Hajime non se ne sorprese, non fece nemmeno così male: era il colpo di una donna e aveva ricevuto di ben peggio da Tooru durante i loro litigi.

Quando tornò a guardarla, gli occhi scuri di lei erano pieni di lacrime ed il Cavaliere seppe di averla fatta arrabbiare davvero. Abbastanza da farla star male, comunque. “Smettila,” sibilò Tooru e con quella voce femminile riusciva ad essere decisamente più minaccioso del solito. “Smettila! Smettila! Smettila!”

Hajime si premette le mani contro le orecchie con espressione irritata: alla fine, aveva trovato una creatura che riusciva ad essere più rumorosa del Re Demone ed altri non era che la sua controparte al femminile.

“Smettila tu di urlare!” Replicò con rabbia.

“Lo stai facendo anche tu!”

“Perché altrimenti non mi ascolteresti!”

Le labbra di Tooru cominciarono a tremare. “Ascoltarti?” Domandò e le lacrime scesero a bagnargli le guance. “Chi è che non ascolta chi qui? Chi, Hajime?”

Il Cavaliere aprì la bocca per rispondere a tono, poi la richiuse e distolse lo sguardo: non sopportava di vedere Tooru piangere, poco importava che fosse una giovane donna di vent’anni in quel momento e non il Re che in pochi anni di regno aveva riscritto la storia di tutti i Regni liberi.

Tooru artigliò la sua tunica e Hajime non poté evitare di notare quanto le sue dita fossero tremendamente piccole, tanto che gli sarebbe bastato stringerle un po’ più del solito per spezzarle. “Hajime, guardami…”

Non era una richiesta da poco.

“Guardami, ti prego.”

Il Cavaliere chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. Era inutile, non poteva negarle nulla se glielo chiedeva in quel modo. Si fece coraggio e tornò a perdersi in quegli occhi scuri che, indipendentemente da tutto il resto, erano sempre gli stessi: quelli di cui si era innamorato da bambino.

Le labbra di Tooru si piegarono in un sorriso tremante e sollevò le mani per accarezzargli il viso. “Wow…” Mormorò. “Sei alto…”

Hajime alzò gli occhi al cielo. “Non è uno scherzo, Tooru.”

Era questo il principale motivo del litigio in corso: il Re Demone non pareva preoccupato nemmeno la metà del suo Primo Cavaliere.

Una mattina d’inverno, Hajime aveva allungato una mano per accarezzare l’amante che dormiva al suo fianco e si era ritrovato con le dita stretta intorno ad un seno caldo, morbido e decisamente fuori luogo.

“Per Tobio non è cambiato niente,” gli fece notare Tooru. “Perché dovrebbe essere diverso per te?”

Quello era un altro fatto che non giocava a favore di Hajime. La stessa mattina in cui si era verificata la metamorfosi e Tooru non aveva avuto altra reazione, se non quella di guardarsi allo specchio e valutare quanto fosse bella in quelle sembianze, Tobio si era svegliato, era entrato nella stanza dei genitori e dopo una breve occhiata confusa, era corso da Tooru chiamandola mamma.

Nulla d’insolito. Nulla di strano. Per il loro Principe, tutto andava bene ed era come doveva essere.

“Sei la sua mamma,” replicò Hajime. “A lui certe cose non interessano.”

“Perché interessano a te?” Domandò Tooru stancamente. “Ci hai trascinati nel bel mezzo del nulla e nel cuore dell’inverno. Ti sei fatto prendere dal panico. Di che cosa hai tanta paura?”

“Non essere stupido, Tooru!” Esclamò Hajime. “Tu sei il Re Demone! Per il mondo c’è un uomo sul trono del Regno di Seijou, lo stesso che ha messo in ginocchio Wakatoshi di Shiratorizawa.”

Tooru scrollò le spalle. “E con questo?” Domandò. “I Re sono fissati con i figli maschi! Se fossi nato femmina o se Tobio fosse stato una bambina, la nostra legittimità non sarebbe stata toccata comunque!”

“Conosco la legge, Tooru…”

“Allora perché?”

“Perché gli occhi di tutto il mondo sono su di te!” Esclamò Hajime. “Perché molti potrebbero approfittare di questo tuo momento di fragilità…”

“Fragilità?” Lo interruppe Tooru di nuovo arrabbiato. “Avevo in grembo tuo figlio quando mi hanno detto che eri morto e con il nemico sotto il nostro tetto. Te lo ricordo com’è finita? Abbiamo vinto, abbiamo messo al mondo Tobio ed è andato tutto bene. Non parlarmi di fragilità, Hajime! Non a me!”

Il Primo Cavaliere strinse le labbra.

Erano passati più di tre anni da quel suo salto nel vuoto ed ancora non riusciva a non sentirsi in colpa per non essere stato lì, quando Tooru aveva avuto più bisogno di lui. Più di una volta si era ritrovato ad accarezzare Tobio mentre dormiva e a pensare a cosa si sarebbero persi se Tooru non si fosse dimostrato forte come era stato.

Un calore improvviso contro il petto ebbe il potere di spezzargli il fiato.

Hajime abbassò lo sguardo su una testa di lunghi capelli castani. “Tooru?” Chiamò insicuro.

Si era messa di nuovo a piangere?

La voce di lei era tranquilla, però, quando parlò di nuovo. “Stringimi, ti prego.”

Hajime esitò solo per un istante. Fu un colpo al cuore rendersi conto di quanto Tooru era piccola stretta a lui ma ci stava perfettamente, come sempre.

Tooru rise con leggerezza.

“Che cosa c’è?” Domandò Hajime.

“Niente,” rispose lei affondando completamente il viso contro il petto del suo Cavaliere. “Sto bene così.”

Hajime decise di lasciarsi andare un poco. Appoggiò la guancia tra i capelli di Tooru e chiuse gli occhi stancamente sentendo di colpo tutto il peso del viaggio.

Un bacio caldo contro la pelle fredda del collo lo fece rabbrividire..

“Tooru…”

“Shhh…” Mormorò Tooru con voce calda contro il suo orecchio. “Ho freddo, mio Cavaliere. Riscaldami…”

“Hai freddo perché questo castello è una ghiacciaia,” replicò Hajime afferrandola per le spalle ed allontanandola da sé. “Non ci sono nemmeno le lenzuola sul letto e nessuno di noi lo toccherà fino a che non sarà stato ripulito fino all’ultimo strato di polvere.”

Tooru reclinò la testa da un lato con un sorriso speranzoso. “Questa notte, allora…”

Hajime scosse la testa. “Risolviamo questa cosa, prima di tutto. Non riusciremo a preparare e scaldare tutte le stanze del castello questa sera. Tu e Tobio dormite qui ed io dormirò di sotto con i ragazzi.”

Gli angoli della bocca di Tooru si abbassarono lentamente. “Sei serio, Hajime?”

Hajime strinse le labbra e fece di tutto per non incrociare lo sguardo deluso della giovane donna. “Tooru, per favore…”

“Per favore, cosa?” Tooru gli prese il viso tra le mani e lo costrinse a guardarla in faccia. “Devi farmi una lista dei tuoi problemi perché è evidente che non è solo la mia fragilità a preoccuparti!”

Hajime le afferrò i polsi e l’allontanò di nuovo da sé. Lo fece con garbo ma Tooru lo guardò come se l’avesse colpita con un pugno.

“Perché mi respingi?” Domandò e la sua voce tremava di nuovo.

Hajime strinse le labbra. “Si tratta solo di qualche giorno, Tooru. Il tempo che Tetsuro riesca…” Scosse la testa. “È colpa mia se sei ridotto così, Tooru.”

“Non ne siamo sicuri, Hajime,” replicò lei con tono gelido, poi sorrise. “Non sono moribondo..”

Il Primo Cavaliere ringhiò a bassa voce. “Diavolo, Tooru!”

“Cosa?”

“Perché sei così?” Domandò Hajime imbestialito. “Se non sono stato io, qualcuno ti ha fatto un incantesimo… Qualcuno che ce l’ha con te, capisci?”

Tooru scrollò le spalle. “Il buon vecchio veleno deve essere passato di moda,” disse con sarcasmo.

“Ce la fai a parlare seriamente per un minuto?”

“No!” Sbottò Tooru innervosito. “No, perché sono lontano da casa, con un bambino piccolo ed un compagno che vuole rinchiudermi nel bel mezzo del nulla appigliandosi alla scusa della mia sicurezza!”

“Non ti sto rinchiudendo da nessuna parte!” Sbottò Hajime. “Sono qui con te!”

Tooru esaurì la distanza tra loro e lo guardò dritto negli occhi. Quei dieci centimetri che separavano i loro sguardi non erano niente grazie all’intensità di quegli occhi scuri. “Allora dimostrami che ci sei,” disse. “Sono qui, davanti a te e non ricordo nemmeno l’ultima volta che mi hai baciato.”

Hajime fece una smorfia. “Se è per questo, anche a me piacerebbe scopare, una volta ogni tanto,” replicò velenoso.

Fu una pessima mossa.

Gli occhi di Tooru si fecero più freddi dell’inverno che imperversava fuori da quelle mura.

Hajime si morse l’interno guancia. “Tooru, ascolta…”

“Perché dovrei scopare con un uomo che nemmeno vuole la mia mano?”

Ed il Cavaliere non ebbe più voglia di chiedere scusa. “Lasciamo perdere, Tooru,” strinse i pugni e scosse la testa. Si voltò ed abbassò con rabbia la maniglia della porta. Raggelò nel trovarsi Shigeru davanti e gli occhi blu del suo Principe che lo fissavano indignati.

“Mi dispiace, Sir ma il principino è molto stanco e…”

“Non importa, Shigeru,” intervenne Tooru apparendo al fianco del Primo Cavaliere e superandolo di un passo. “Vieni, Tobio-chan, vieni…” Disse dolcemente prendendo il bambino tra le braccia e stringendolo al petto. “Shigeru, aiutami a preparare la camera, per favore.”

Il Cavaliere annuì. “Con permesso, Sir.”

Hajime si tolse dai piedi. Tooru gli lanciò un’occhiata glaciale, poi gli chiuse la porta in faccia.

Dopo un minuto d’immobilità, il Cavaliere ingoiò a vuoto e strinse i pugni. Prese la via delle scale a testa bassa ma si fermò a metà strada punzecchiato dalla fastidiosa sensazione di essere osservato.

Shinji era l’unico poveretto rimasto davanti al camino a cercare di accendere il fuoco. Kentaro non si era più mosso dalla poltrona di cui si era appropriato ed Issei e Takahiro si erano appoggiati al capo del lungo tavolo al centro della stanza fissandolo con lo sguardo critico di chi conosce la situazione nei dettagli e ha molto da dire a proposito.

“Che diavolo volete?” Ringhiò il Primo Cavaliere. Scese le scale in fretta, attraversò la stanza principale con ampie falcate ed uscì fuori senza curarsi della neve che continuava a cadere. Non c’era un luogo in cui poteva fuggire, non con quel tempo. Non la conosceva nemmeno quella parte del Regno.

Appoggiò la schiena al portone di quel castello di vedetta lontano da tutto e tutti.

Tooru aveva ragione. La loro era una fuga, ma da cosa non era chiaro nemmeno a lui e la scusa di proteggerlo da possibili pericoli era stata tanto banale che ora si sentiva un completo idiota ad aver solo provato a farla valere.

Chiuse gli occhi e sperò che l’aria gelida potesse placare i suoi nervi.

”Hajime Iwaizumi, Primo Cavaliere del Regno di Seijou e del Re Demone… Mio Cavaliere…”

Hajime aggrottò la fronte. No, no, no… Non era il pensiero giusto quello.

Non era il momento giusto per ricordarsi di quanto gli occhi di Tooru erano stati luminosi nel rivolgergli quelle poche, destabilizzanti parole.

Peccato che il suo senso di colpa avesse altri piani per lui.

”Mi faresti l’immenso onore di divenire il mio consorte?”

Hajime tirò un pugno al portone alle sue spalle. Fece male ma non gli importò.

Inspirò a pieni polmoni e l’aria gelida dell’inverno gli ustionò il petto.

Era meglio rientrare.

“Non posso, Tooru…”




***


Se qualcuno l’avesse chiesto a Hajime, lui avrebbe affermato che era cominciato tutto per colpa di Tooru. “Come sempre…” Avrebbe aggiunto poi, ringhiando sommessamente.

Se, invece, qualcuno avesse permesso a Tooru di dire la sua, il Re Demone avrebbe affermato che, senza ombra di dubbio, era colpa di Iwa-chan e lo avrebbe fatto con le lacrime agli occhi ed espressione tragica.

In entrambi i casi, i fatti raccontavano una storia ben diversa.


A tre anni dalla nascita di Tobio, non era più stato possibile per Tooru fare prima il genitore e dopo il Re. Con la sconfitta di Shiratorizawa e le nuove alleanze che si erano venute a creare, Seijou era divenuto un Regno splendente e niente sembrava poterne fermare la crescita. Vent’anni di vita, cinque aul trono e Tooru era già il Re Demone che aveva cambiato il corso della storia. Sotto molti più punti di vista di quello che sarebbe stato comodo.

Il giovane sovrano era un vincente quanto un ribelle e questo aveva già portato ad una rivoluzione delle classi nobili e all’abrogazione di leggi di parità tra Demoni ed Umani.

Il Primo Cavaliere del Re non era certo una coincidenza del destino in tutto questo.

Al contrario: ne era la causa principale.

Dire che Tooru aveva voluto l’uguaglianza tra le stirpi di Demoni e le famiglie Umane solo per amore sarebbe stata un’offesa sia per il giovane sovrano, sia per il condottiero che si era guadagnato con le sue sole forze tutto quello che possedeva.

Tooru non avrebbe mai vinto Wakatoshi senza Hajime ed era una verità di cui il Re non si vergognava. Era giusto che il suo Cavaliere brillasse, era giusto che tutti vedessero e conoscessero l’uomo che aveva deciso di avere al suo fianco.

Hajime non doveva essere solo un capriccio di letto come tanti ve ne erano nelle grandi corti e Tobio non doveva essere solo un incidente comodo per evitare le noie di un matrimonio combinato.

Tooru aveva scelto Hajime, aveva voluto un figlio da lui. Punto.

Queste erano le parole del Re e cosa pensassero gli altri non aveva alcun valore.

Tuttavia…

“Sposami…”

Tooru glielo disse in un sussurro innamorato. Hajime lo udì a stento e si voltò a guardarlo per accettarsi se avesse parlato a meno.

Si erano trasferiti nella tenuta di campagna per dare una mano con il raccolto e se ne stavano seduti come due ragazzini sul davanzale della finestra della loro camera, quella che dava sul cortile. I Cavalieri avevano rapito Tobio per farlo montare su di un piccolo cavallo di proprietà di uno dei contadini del luogo. Era una bestia mite, avevano detto, abituata a giocare con i bambini.

Tutto per avere qualche minuto solo per loro, ma si erano ritrovati affacciati alla finestra per tenere sotto controllo la situazione prima di subito.

Come fossero arrivati a quel punto, Hajime non lo sapeva proprio. “Che cosa hai detto?” Domandò con l’assoluta certezza di aver capito male.

Tooru rise con leggerezza. Era bello da spezzare il fiato e con quell’aria fanciullesca, i capelli un po’ spettinati ed i semplici vestiti da ragazzo di campagna lo era ancor di più. Inoltre, quando gli sorrideva in quel modo, come se gli stesse ripetendo ti amo infinite volte ma senza usare le parole, Hajime sapeva che non avrebbe potuto negargli niente.

“Sposami!” Ripeté Tooru con euforia.

Hajime sbatté le palpebre un paio di volte e reclinò la testa da un lato. “Eh?”

Tooru rise di nuovo. “Oh, quanto è tonto il mio Iwa-chan!” S’inginocchiò a terra e gli occhi verdi del Cavaliere continuarono a fissarlo come se gli fossero spuntate di colpo altre due paia di corna. “Hajime Iwaizumi,” continuò il giovane Re con quello che sarebbe dovuto essere un tono solenne ma, piuttosto, sembrava che a stento riuscisse a trattenere le risate. “Primo Cavaliere del Regno di Seijou e del Re Demone…” Le gote gli si tinsero un poco mentre prendeva la mano del compagno tra le sue. “Mio Cavaliere…”

Hajime non sapeva quando aveva smesso di respirare, ma era certo che sarebbe collassato a terra, se Tooru non avesse smesso di parlare prima di subito.

“Mi faresti l’immenso onore di divenire il mio consorte?”

Seguì un attimo d’immobilità totale, il silenzio interrotto solo dalle voci dei Cavalieri che provenivano dal cortile sotto la finestra. Il sorriso di Tooru morì gradualmente ma nemmeno quando quelle labbra si strinsero in una linea sottile, nervosa, Hajime riuscì a trovare le parole giuste da dire.

Scosse la testa e liberò la mano dalla stretta di Tooru. “Alzati…”

Gli occhi grandi del Re Demone si fecero cupi, insicuri ma fece come gli era stato detto. “Non sto scherzando.” Si sentì in dovere di dire.

Hajime si morse l’interno guancia. “Lo so…”

Tooru accennò un sorriso speranzoso. “Allora?”

Il Cavaliere avrebbe di gran lunga preferito affrontare un duello all’ultimo sangue che partecipare a quella conversazione. Scosse la testa. “Non credo che tu ti renda conto di quello che hai chiesto.”

L’espressione di Tooru assunse delle sfumature nervose. “Che cosa intendi, Hajime?”

Hajime, non Iwa-chan.

“Intento che tu sei un Re ed io sono un Cavaliere senza titolo.”

“Sei il Primo Cavaliere. L’uomo che ha sconfitto Wakatoshi di Shiratorizawa.”

Hajime scosse la testa. “Tu hai sconfitto il Re dell’Aquila.”

“No!” Esclamò Tooru. “Noi abbiamo…”

“La storia ricorda i Re,” lo interruppe Hajime gentilmente. “Gli altri Regni ricordano i Re.”

“Non di questa storia!”

“Tooru…” Hajime prese un respiro profondo. “Perché?”

Tooru sbatté le palpebre un paio di volte. “Che cosa?”

“Perché vuoi sposarmi?” Domandò il Cavaliere in modo diretto.

Dopo un attimo di attonita immobilità, Tooru lasciò andare una risata isterica. “Perché?” Ripeté. “Mi stai davvero chiedendo il perché?” Era ferito, arrabbiato. “Non lo so, tutta la nostra vita non è una risposta sufficiente?”

Hajime scosse la testa. “Non intendo questo.”

“Che cosa intendi, allora?!”

“Abbiamo un figlio, Tooru!” Esclamò Hajime in risposta. “Tu sei il Re Demone ed il io sono il Primo Cavaliere di Seijou. Siamo entrambi ciò che desideravamo diventare. Tobio, invece, è molto più di quello che abbiamo mai sognato. Perché dovremmo diventare qualcosa di diverso?”

Il viso di Tooru era una maschera di puro gelo. “E sposarmi in che modo cambierebbe quello che siamo?”

“Lo hai detto tu stesso,” replicò Hajime. “Mi hai chiesto di divenire il tuo consorte, Tooru. Un consorte reale, capisci?”

Tooru scrollò le spalle. “E con questo?” Domandò. “Abbiamo un figlio insieme, dormiamo insieme, regnamo su Seijou insieme!”

“È proprio qui che ti sbagli, Tooru,” replicò Hajime. “Tu sei il Re. Tu hai il potere di prendere le decisioni.”

Tooru lo guardò confuso. “Non ha mai preso decisioni senza prima consultarti.”

Hajime alzò gli occhi al cielo. “Magari fosse vero…”

“La tua opinione è indispensabile per me!” Replicò Tooru con forza.

“Certo, io dico di non essere d’accordo su qualcosa così tu puoi farlo ancor più volentieri!”

“Non è vero!”

“Vuoi che ti faccia un elenco degli episodi passati?”

Tooru sbuffò sonoramente incrociando le braccia contro il petto. “Allora approfittane!” Sbottò. “Come consorte reale potresti…”

“… Prendere polvere. Come molti consorti reali.”

“Dillo a Koushi, la prossima volta che lo vedi se ne hai il coraggio!” Esclamò Tooru. “Oppure a Keiji… Koutaro l’ha reso ufficialmente il suo consorte la primavera scorsa, te lo ricordi? Ho firmato la legittimazione di quell’unione insieme a Tetsuro!”

Fu il turno di Hajime di sbuffare. “E l’evento ti è piaciuto al punto che hai pensato lo voglio anche io! Come il moccioso troppo cresciuto che sei!”

Gli occhi scuri di Tooru si riempirono di lacrime. “Io parlo seriamente, Hajime.”

“E allora non posso!” Esclamò con un po’ troppa rabbia e se ne pentì. “Non posso, Tooru…”



E appena una stagione dopo erano lì, nel bel mezzo del nulla, assediati dall’inverno.



La camera da letto era stata pulita ed il fuoco scoppiettava nel caminetto vicino al letto. Tooru, tuttavia, non aveva potuto fare a meno di avvolgersi il mantello da viaggio intorno alle spalle, sopra la camicia da notte, prima di raggomitolarsi sulla poltrona di fronte alle calde fiamme.

“Maledizione, Hajime…” Imprecò allungando le mani verso la fonte di tepore.

Quel fuoco sembrava stesse cercando di sopravvivere all’inverno stesso.

La porta della camera si aprì senza che nessuno avesse bussato. Tooru alzò gli occhi scuri e vide Hajime entrare nella stanza con Tobio tra le braccia. Il piccolo Principe era sveglio ma gli occhi blu erano evidentemente stanchi.

Tooru distese le gambe e allargò le braccia. “Vieni qui, mio Principe,” disse con un dolce sorriso.

Tobio non fece storie quando suo padre lo affidò all’abbraccio di sua madre. Appoggiò la guancia contro il seno coperto dalla camicia da notte e lasciò che Tooru gli accarezzasse i capelli. “Va tutto bene, mio Principe,” mormorò Tooru baciandogli la fronte. “Scaldati un po’ con la mamma.”

Tobio sbadigliò accoccolandosi meglio in quel caldo abbraccio.

Tooru si concesse un istante per perdersi in quei lineamenti minuscoli, perfetti. Le avevano detto che tutto quel senso di meraviglia sarebbe sparito col tempo, quando suo figlio avrebbe cominciato a dimenticare a comodità cosa fosse il rispetto. Tobio, però, era ancora una creaturina solo loro e Tooru si sorprendeva ancora ad osservare incantato tutti quei piccoli dettagli. Si domandava ancora come fosse possibile che tanta perfezione fosse nata da lui e Hajime.

Specialmente da Hajime.

“Volevo augurarti la buona notte.”

L’espressione di Tooru non era poi così dolce, quando sollevò gli occhi. “Io non ti sto cacciando,” gli fece notare. Se il suo Cavaliere avesse deciso di restare, non gli avrebbe negato il suo abbraccio e quello di suo figlio.

Hajime, però, nemmeno la toccò. “Lo so,” rispose. “Buonanotte, Tooru.”

Tobio sollevò la testolina corvina e puntò gli occhi blu in quelli verdi di suo padre. “Dove vai, papà?”

Il Cavaliere sorrise e Tooru voltò lo sguardo altrove mentre s’inchinava per concedere una carezza al loro bambino. “Resto di sotto con gli altri Cavalieri per meglio proteggere te e la mamma,” disse e posò un bacio tra i capelli corvini. “Buona notte, figlio mio. Resta accanto alla mamma per me, va bene?”

Tooru alzò gli occhi al cielo ma non disse nulla: Tobio non aveva bisogno di soffrire per la loro incapacità di comprendersi.

Delle dita calde le accarezzarono la tempia e sfiorarono i capelli. Trattenne il fiato e cercò d’ignorare la spiacevole sensazione agli angoli degli occhi prima di voltarsi per incontrare le iridi verdi del suo Cavaliere.

C’era una luce strana negli occhi di Hajime. Era come se le stesse chiedendo perdono sia per quello che stava facendo, sia per non potersi scusare a parole.

Tooru, però, non poteva comprenderlo. Tornò a guardare il fuoco che ardeva nel camino senza dire una parola. La mano che la toccava esitò solo un istante e poi si allontanò lasciando solo una spiacevole sensazione di freddo.

Tooru strinse le labbra. “Hajime.”

Il Cavaliere si fermò. “Dimmi, Tooru.”

La giovane donna si alzò in piedi ed il piccolo Tobio drizzò subito la testolina di capelli corvini confuso. “Puoi rimanere con lui ancora un poco?”

Hajime inarcò le sopracciglia. “Certo,” rispose. “Per quale motivo?” Aggiunse subito dopo.

“Ho bisogno di aria…” rispose Tooru con voce un poco strascicata. “Devo tirare con l’arco per qualche minuto. Ne ho bisogno.”

Hajime prese Tobio tra le braccia seguendo in un gesto quasi meccanico. Gli occhi blu del piccolo Principe passarono confusione dal viso di un genitore all’altro.

“Tooru, si gela di fuori,” disse Hajime come un rimprovero, mentre Tooru si cambiava in dei pesanti abiti maschili e si metteva arco e faretra in spalla.

“E qui si soffoca,” replicò Tooru freddamente, poi si avvicinò e forzò un sorriso per il loro bambino. “Oggi ti addormenti con papà. Va bene, Tobio-chan?”

Tobio annuì, troppo stanco a causa del lungo viaggio per poter fare qualsiasi capriccio.

Hajime, però, non sembrava voler lasciar perdere così facilmente. “Tooru, siamo miglia e miglia lontano da casa,” disse, poi scosse la testa. “Ti accompagno…”

“No,” rispose Tooru con tono glaciale. “Non è necessario.”

“Tooru…” Hajime provò a toccarla.

Non ci riuscì.

Tooru non restò abbastanza per udire quello che aveva da dire.



Non nevicava più ma gli stivali affondavano nel terreno con troppa facilità e, cocciutaggine o meno, Tooru doveva ammettere che in quel corpo non disponeva più della forza di prima ma figurarsi se questo sarebbe bastato a convincerla a tornare sui suoi passi.

Non conosceva quei boschi e non aveva idea dei volatili notturni che potessero abitarli ma la luna era come un secondo sole nel cielo notturno e la neve bianca ai suoi piedi sembrava brillare di luce propria. Se fosse stata dell’umore giusto, Tooru avrebbe anche potuto ammettere che c’era qualcosa di romantico in tutto quel freddo.

Fece una smorfia tirando il cappuccio del mantello sopra la testa: non avrebbe dovuto sentirsi così sola per vedere del romanticismo in tutta quella desolazione invernale.

Incoccò la freccia e tese l’arco. Vi era un ramo spezzato a metà che dondolava al ritmo del vento notturno ad una decina di metri di distanza.

Prese la mira. La freccia centrò il bersaglio ma Tooru non aveva più nelle braccia abbastanza forza per farlo anche finire a sul terreno ricoperto di neve.

Sospirò ed il fiato uscì dalle labbra screpolate per il freddo come una lieve nuvola di fumo.

“Maledizione…” Imprecò a bassa voce.

“Che cosa stai facendo?”

Tooru scattò, seguendo un istinto sviluppato durante la guerra. Un’altra freccia incoccata, la corda dell’arco tesa e pronta a vibrare nel silenzio della notte. La giovane donna che era stata il Re Demone, però, rimase congelata e così anche la sua mano.

La ragazzina dai lunghi capelli dello stesso colore del tramonto s’imbronciò e a Tooru sembrò un’espressione tanto familiare che dovette sbattere le palpebre due volte per assicurarsi di essere sveglia.

“Non ti mordo mica,” disse la mocciosa con una naturalezza insopportabile.

Tooru sgranò gli occhi. Sì, era sveglia ma il freddo doveva averle dato alla testa o qualcosa del genere perché quella scena aveva dell’assurdo… E di cose strane ne aveva viste e fatte parecchie durante i suoi vent’anni di vita.

Erano quasi sulla cima di una delle montagne del confine nord, nelle vicinanze di un castello di vedetta lasciato vuoto per chissà quante stagioni e davanti a lei c’era una ragazzina con addosso degli abiti da caccia di ottima fattura, una faretra in spalla ed un arco stretto tra le dita.

Un arco vero, non uno di quei giocattoli che si erano ritrovati costretti a regalare a Tobio per evitare che giocasse con le armi dei grandi.

“Ti sei persa?” Domandò Tooru.

In realtà, la ragazzina sembrava a suo agio in quel luogo più di quanto lo fosse lei.

“Tu sembri quella persa,” replicò, di fatto, la fanciullina affondando con sicurezza gli stivali neri nella neve candida. Era minuta in modo inverosimile ma non sembrò faticare nell’avvicinarsi a lei. Doveva essere abituata a vivere su quelle alture, evidentemente.

“Tu non sei di queste parti, vero?” Domandò guardandola dritto negli occhi. Non mostrava alcun timore.

Fu il turno di Tooru d’imbronciarsi. “Sono del Regno di Seijou, questo è ancora territorio del Regno di Seijou e, per tanto, sì, sono di qui!” Sarebbe stato abbastanza vergognoso per il Re Demone ammettere che quella zona era come una terra straniera per lui.

Avrebbe dovuto rimediare in breve tempo ed organizzare viaggi nelle città più remote del Regno. Ah, giusto, prima avrebbe dovuto risolvere la questione del matrimonio e del suo inaspettato cambio di sesso con Hajime. Era per quello che erano praticamente fuggiti di casa… Per risolvere.

La ragazzina storse il naso. “È una replica stupida…”

Tooru sgranò gli occhi e spalancò la bocca. “Piccola mocciosa arrogante! Ma come ti permetti?”

La fanciullina scrollò le spalle. “A Seijou c’è sia il mare che la montagna… Anche se, in linea di massima, è più campagna. Se non sei nato e cresciuto sulle montagne, è difficile viverci.”

Bene, ci mancava solo che una mocciosa impertinente le facesse una lezione approfondita sul suo Regno ed i suoi territori, manco ne fosse la Regina.

Tooru alzò gli occhi scuri al cielo. “Immagino che tu sia figlia di queste montagne, allora.”

La ragazzina scosse la testa ed i lunghi capelli dello stesso colore del tramonto le ricaddero sul bel faccino dalla pelle pallida. Tooru si domandò quanti anni poteva avere? I lineamenti erano ancora decisamente infantili. Era come un fiore ancora chiuso che aspetta il primo sole di primavera per sbocciare.

Forse, dodici o tredici anni.

“No,” rispose. “I miei genitori mi hanno raccontato che sono nata sul mare.”

Tooru poteva non essere il miglior conoscitore dei suoi stessi confini ma sapeva con assoluta certezza che il mare non era proprio ad una passeggiata a cavallo di distanza. Sapeva, inoltre, che era davvero difficile che una famiglia della costa si trasferisse da tutt’altra parte. La ragazzina, però, non portava addosso vestiti che una figlia di pescatori o montanari potesse permettersi.

“I tuoi genitori sono nobili del posto?” Domandò.

Non era escluso che quel territorio fosse nelle mani di qualche nobile minore che non aveva mai messo piede a corte e di cui non ricordava il nome.

L’espressione della ragazzina rimase imperturbabile. “Nobili…” Ripeté. “Sì, sono nobili. Più o meno…”

“Il nome di tuo padre?” Domandò Tooru.

Aveva gli occhi grandi quella creatura completamente fuori luogo. Le ciglia erano lunghe e le iridi scure o, almeno, così sembravano alla luce argentea della luna. Era bellissima in un modo che a Tooru toccava il cuore ma non sapeva perché.

“Re dei...”

Una folata di vento gelido rese quelle parole troppo impercettibili per essere udite.

Tooru sbatté le palpebre un paio di volte. “Cosa?”

“Il nome di mio padre,” chiarì la ragazzina. “È Re dei...”

Il vento tornò e fu più violento di prima, tanto che Tooru fu costretta ad abbassare lo sguardo per evitare che il gelo le ferisse la pelle del viso. I lunghi capelli castani le ricaddero davanti agli occhi ed il cappuccio le scivolò già dalla testa. Le ci volle qualche istante per ricomporsi. “Stai bene?” Domandò d’istinto alla piccola sconosciuta.

Quando sollevò gli occhi scuri, però, era di nuovo da sola.

Della ragazzina non c’era alcun segno, nemmeno le tracce nella neve fresca.

Tooru sbatté le palpebre un paio di volte completamente smarrita e si guardò intorno. Non c’era nessuno, la notte era silenziosa ed immobile.

Un gufo cantò in lontananza e Tooru trasalì lasciando andare un urlo spaventato.

“Hajime!” Chiamò a gran voce correndo verso il piccolo castello di vedetta. “Hajime!”

Sì, ne aveva viste di cose assurde in vita sua ma quella fu la prima volta che vide un fantasma.



Tooru non la smetteva di piangere e Hajime era certo che gli stesse per venire il mal di testa.

Fuori cominciava ad albeggiare e dalla luce chiara che entrava dalle finestre dai vetri ghiacciati, ci sarebbe stato il sole quel giorno. Non avrebbe certo sciolto la neve che li circondava ma, di certo, avrebbe rallegrato un po’ l’umore del Primo Cavaliere e dei suoi uomini.

“Hajime, mi stai ascoltando?” Domandò Tooru con gli occhi ancora pieni di lacrime.

“Uhm? Ah, sì.”

Tooru emise un verso acuto e frustrato. “Non credi ad una parola di quello che dico, vero?”

Hajime sospirò. “Ovvio che ti credo,” rispose con sarcasmo. “Dici di aver visto una ragazzina di circa dodici anni qui, nel bel mezzo del nulla e nel cuore della notte. Una ragazzina che si è volatilizzata nel momento in cui hai abbassato lo sguardo. Come potrei non crederti?”

“Era un fantasma!” Esclamò Tooru stringendosi ancor di più nel mantello del suo Cavaliere. “Un fantasma, ti dico!”

Hajime sospirò e prese a strofinare i palmi contro le braccia di Tooru per aiutarla a riscaldarsi un poco. Erano seduti davanti al grande caminetto della sala principale ma quel castello sembrava essere infestato dallo spirito stesso dell’inverno. Si guardò bene dal fare una simile battuta con Tooru, però.

“Una creatura morta così giovane,” singhiozzò Tooru. “Come è possibile?”

Hajime scostò le lunghe ciocche di capelli castani dal bel viso in un gesto tenero di cui la giovane donna non si sorprese. Era quello il comportamento naturale che tenevano l’uno con l’altro quando erano soli, quando Tooru era stato ancora un lui.

“Il freddo intenso è come un colpo di caldo,” disse Hajime con tono rassicurante. “Potresti aver visto qualcosa che è esistito solo nella tua mente e nulla di più.”

Tooru scosse la testa ma almeno non tremava più. “La conoscevo…”

Hajime inarcò le sopracciglia. “Che vuoi dire?”

“Sì, aveva qualcosa di familiare… Come se l’avessi già vista…”

“Conosci una fanciullina dai capelli rossicci che ama l’arco?” Domandò il Cavaliere. Non era poi così assurdo: c’erano alcune fanciulle abili con l’arco anche più di alcuni ragazzi e, per le più impavide, una carriera come Arcieri era più fattibile che come Cavalieri. Tooru assisteva all’addestramento dei bambini alle volte e, forse, una di loro doveva aver attirato la sua attenzione in particolar modo.

“Potrebbe essere un’allieva della nuova generazione.”

Tooru scosse la testa di nuovo. “No, non la conosco in quel senso.”

“E in che altro senso dovresti conoscerla?”

“Nel modo in cui conosco Tobio,” rispose la fanciulla guardando il Cavaliere dritto negli occhi. “Ricordi il giorno in cui è nato Tobio, vero?”

Hajime sorrise. “E come potrei dimenticarlo, stupido?”

Tooru accennò un sorriso a sua volta e prese le mani del compagno tra le sue in un gesto spontaneo, innamorato. “Quando l’hai preso in braccio la prima volta e lo hai guardato non ti sei sentito come… Come se lo conoscessi da sempre?”

Hajime annuì con un poco di esitazione. “Sì, penso di poter definire così quello che ho provato,” rispose. “Un po’ come se avessimo passato tutta la vita ad aspettarlo e potessimo finalmente conoscerlo.”

Gli occhi scuri di Tooru si fecero brillanti. “Esatto!” Esclamò. “È la stessa cosa che ho provato anche quando ho guardato quella ragazzina negli occhi, capisci?”

Hajime scrollò le spalle. “Forse, c’era qualcosa di lei che ti ha ricordato Tobio. Hai detto che aveva i capelli rossicci, di che colore aveva gli occhi?”

Tooru scrollò le spalle. “Scuri ma non riuscivo a distinguere il colore…”

“Tipo i tuoi?”

“Non lo so, era buio e…”

Al piano di sopra, una porta si aprì sbattendo contro il muro di pietra. Sia che Hajime che Tooru sollevarono gli occhi verso il soppalco appena in tempo per vedere i loro Cavalieri correre dietro a qualcosa che non riuscivano a vedere a causa della balaustra di legno.

L’autore di tutto quel caos comparve in fondo alle scale prima di subito con l’espressione indignata di un sovrano a cui i suoi sudditi hanno disubbidito.

Shigeru arrivò in fondo alle scale ed appoggiò entrambe le mani sulle piccole spalle del bambino. “Mi dispiace, voleva vedervi a qualsiasi costo.”

“Non ci abbiamo nemmeno provato a fermarlo,” disse Issei con un’espressione tra lo scocciato e l’assonato. Takahiro aveva la testa appoggiata alla sua spalla e gli occhi chiusi. “Già…” Disse coprendosi la bocca con una mano per nascondere uno sbadiglio. “Battaglia persa in partenza…”

Hajime e Tooru si scambiarono un’occhiata colpevole, poi il Primo Cavaliere allungò una mano verso il bambino. “Vieni qui, Tobio.”

Il Principe si avvicinò col naso sollevato all’insù, con quell’espressione in faccia che rendeva perfetta giustizia ad entrambi i suoi genitori.

“Dormito bene, Tobio-chan?” Domandò Tooru con dolcezza mentre Hajime lo metteva a sedere sulle sue gambe e gli tirava i capelli indietro con una carezza.

“No,” rispose Tobio con espressione scura. “Mi sono addormentato da solo e mi sono svegliato da solo.” Disse con tono d’accusa passando gli occhi blu dal viso di un genitore all’altro. “Che cosa avete fatto tutta la notte?”

“Niente che possa giustificare degnamente un’assenza tanto grave, mio Principe!” Intervenne Takahiro improvvisamente sveglio. Issei annuì per dargli man forte e persino Kentaro emise un ringhio di disapprovazione. Shigeru e Shinji si lanciarono un’occhiata da un capo all’altro delle scale e rimasero in silenzio.

Hajime li guardò storto. Tutti, dal primo all’ultimo.

“Mamma ha visto un fantasma e si è spaventata tanto, Tobio-chan, così papà è rimasto con lei per tranquillizzarla, capisci?”

Gli occhi verdi del Primo Cavaliere divennero enormi mentre tornava a guardare la fanciulla che era il Re Demone. Bene, pensò, ci mancava l’idiota.

Non avrebbe dovuto sorprendersi, però. Era tradizione, ormai, che dove Hajime arrivava appena in tempo per tenere insieme i pezzi, Tooru sopraggiungeva per provocare caos.

Tobio sbattè le ciglia scure un paio di volte. “Un fantasma?” Domandò.

Non sembrava spaventato, però.

Hajime lasciò andare un sospiro. “Mamma ha perso la testa, Tobio.”

Tooru sgranò gli occhi scandalizzata. “Iwa-chan!”

Tobio sembrò più confuso di prima. “Perché allora ce l’ha attaccata al collo?” Domandò.

I Cavalieri risero di cuore, poi Tooru si alzò prendendo suo figlio tra le braccia. “Visto, lo confondi?”

Hajime lo guardò divertito. “Tu gli parli di fantasmi ed io sono quello che lo confonde?”

“Che fantasma hai visto, Tooru?” Domandò Issei, mentre Takahiro sghignazzava divertito.

“Era una ragazzina!” Esclamò la fanciulla con astio sentendosi presa in giro. “Antipatica per di più!”

Tobio la guardò. “Ti fanno paura le ragazzine, mamma?”

Fu il turno di Hajime di ridere di gusto e Tooru non glielo perdonò. “Vorrà dire che questa notte verrai con me!” Esclamò infuriata.

Hajime alzò gli occhi al cielo. “Non ci vengo a morire congelato con te!”

“Posso venire io?” Si offrì Tobio.

Tooru lo guardò. “Ma tu hai capito che cosa sono i fantasmi?” Domandò perplessa.

Il principino scosse la testa. “Che cosa sono, mamma?”

Hajime guardò la giovane donna in cagnesco. “Non ci provare!”

“Non ho detto niente!”

“Ma stavi per farlo! Quindi taci!”

“Voglio andare a vedere il fantasma con mamma stanotte!” Esclamò Tobio con l’espressione di un Re che non ammette obbiezioni.

Hajime sbuffò e si alzò in piedi. “Voi due non andate da nessuna parte, ci siamo capiti?” Disse duramente.

Tooru e Tobio lo guardarono con la stessa identica espressione e, se non fosse stato particolarmente irritato per tutta quella assurda situazione, il Primo Cavaliere si sarebbe messo a ridere. O, forse, avrebbe dovuto disperarsi di fronte all’evidenza che avrebbe dovuto combattere con due esemplari dello stesso demonio per tutta la vita.

Tooru posò un sonoro bacio sulla guancia del principino. “Tobio-chan è coraggioso!” Esclamò stringendolo a sé. “Tobio-chan proteggerà la mamma da tutti i fantasmi!”

Tobio strinse le labbra in un’espressione determinata e tenerissima. “Io sono coraggioso e proteggerò la mamma!” Esclamò

“Certo, amore mio!” Tooru fece una piroetta e a Hajime venne una gran voglia di prendere l’attizzatoio del camino e darglielo in testa.

“Nessuno andrà da nessuna parte!” Sbottò. “Questa notte, ce ne staremo nei nostri letti, al caldo, al sicuro ed il primo che prova anche solo a ritirare fuori l’argomento…”

“Fantasma!” Esclamò Tooru come una bambina in preda ad un capriccio. “Fantasma! Fantasma! Fantasma!”

“Taci!”

No, non era un litigio.

Era tradizione.

Quelli erano loro, né più né meno e nessuno dei due si rese conto che, in mezzo a quel battibecco, Tobio era tranquillo come non lo era mai stato dall’inizio di quella assurda storia.



“Maledizione… Che ci faccio qui?” Hajime si prese la testa tra le mani e fissò i propri stivali affondati nella neve fresca. Dire che si era fatto convincere non sarebbe stata la verità. Piuttosto, era più corretto affermare che il Primo Cavaliere aveva assecondato il folle piano del suo Re, tramutatosi in donna, perché sarebbe stato di gran lunga peggio lasciare Tobio in balia della pazzia di Tooru con tutto quel freddo.

“Andrò con la mamma a vedere questo fantasma,” aveva detto a suo figlio in un disperato tentativo di tenerlo al caldo e non sotto la neve, di notte, sulla cima di una montagna. “Se lo vedremo, la prossima volta verrai con noi.”

Alla fine della storia, però, Tobio era comunque andato a letto senza nessuno dei suoi genitori ed il giorno dopo sarebbe stato arrabbiato con loro ancora una volta.

Seduto su quel tronco nel cuore della notte, Hajime si ritrovò a chiedersi se quello che era successo al suo compagno fosse seriamente il peggiore dei loro problemi.

Tooru continuava a camminare avanti ed indietro come un’ossessa. “Arriverà! Credi a me, arriverà!”

Hajime sospirò stancamente. “Tooru, siediti…”

“Ti dico che arriverà, Hajime, dobbiamo solo...”

Gli occhi verdi del Cavaliere cercarono quelli scuri della giovane donna. “Non sto mettendo in discussione quello che dici,” disse col tono più gentile possibile. “Ma siediti… Avanti…”

Non aveva la forza di arrabbiarsi: non ricordava un periodo della sua vita in cui si era sentito tanto stanco. Considerando che si era lasciato alle spalle una guerra in cui aveva rischiato di perdere vita, amante e figlio, non era proprio un buon segno.

“Stai bene, Hajime?” C’era una dolce preoccupazione negli occhi scuri di Tooru e, per un attimo, il Cavaliere ebbe solo voglia di farsi stringere da lei e lasciar perdere la gran lista di pensieri che gli facevano dolere la testa da giorni. Però, sapeva che se avesse ceduto alla dolcezza di Tooru, avrebbe perso di vista ciò che era più importante in quel momento e, forse, sarebbe anche riuscito a convincersi che la maledizione da cui era stato colpito non era altro che un gioco.

Non poteva permetterselo.

“Chi pensi che sia stato?” Domandò.

Tooru sbatté le palpebre un paio di volte stringendosi ancor di più nel mantello da viaggio. “A fare cosa?”

“A ridurti così,” chiarì Hajime, sebbene fosse ovvio.

Tooru dischiuse le labbra, poi abbassò lo sguardo con un sorriso amaro. “Non riesci proprio a vedere nulla di positivo in tutto questo, eh?”

Hajime avrebbe voluto prenderla a schiaffi ma nella sua attuale condizione si sentiva in difficoltà a toccarla per una carezza, figurarsi per farle del male. “Io continuo a non capire il modo in cui accetti serenamente tutto questo.”

Tooru scrollò le spalle. “Mi hanno detto che dovevo sposare un Re, che non potevo averti,” replicò. “Mi hanno detto che non avrei mai potuto dare alla luce tuo figlio e quando è miracolosamente accaduto, sono venuti a dirmi che eri morto.”

Hajime la guardò non comprendendo.

“Sono rimasto in piedi in tutte e tre le occasioni,” gli ricordò Tooru. “Se adesso m’immagino che qualcuno possa arrivare a dirmi che dovrei passare in questo corpo il resto della mia vita, non riesco davvero a… Continuerei ad avere te, continuerei ad avere Tobio, continuerei ad essere vivo… Viva.”

Hajime ispirò una boccata di aria gelida. “Dobbiamo tornare a parlare delle conseguenze politiche del…”

“Hajime, sono io quella delle conseguenze politiche,” lo interruppe Tooru. “È sempre stato così. A me le idee folli e quelle scomode, a te la parte umana, quella che mi ricorda che non sono solo Re.” Gli occhi scuri si sollevarono e si posarono in quelli verdi. “Seijou non è mia. È nostra e sarà di nostro figlio, un giorno. Questo è quello che credo, questo è quello che voglio ed è per questo che voglio la tua mano.”

Suo malgrado, Hajime sorrise. “Dovrei essere una fanciullina in età da marito perché un Re possa chiedere la mia mano…”

Tooru strinse le labbra. “Lo vedi?”

“Cosa?”

“Io non do importanza all’incantesimo che mi ha reso una donna ma tu non fai diversamente quando si tratta di matrimonio.”

Hajime alzò gli occhi al cielo. “Maledizione, Tooru, se non avessimo avuto Tobio, so perché lo faresti.”

“E perché, sentiamo!”

“Perché sei un ribelle!” Esclamò Hajime. “Perché tu sei così!”

“Bene! Confermo!” Confessò Tooru. “Ora, spiegami perché non avrebbe senso farlo dopo che è nato Tobio.”

“Cosa c’è di più ribelle che dare alla luce un figlio mezzo Demone insieme al Primo Cavaliere Umano senza titoli nobiliari e poi renderlo unico erede al trono?”

Tooru rise con sarcasmo. “Così ho passato dodici ore d’inferno tre anni fa soltanto per un atto di ribellione, non è così? È questo che diremo a Tobio quando sarà grande? Sei nato da un atto di ribellione, amore mio! Hanno anche fatto una rivoluzione per causa tua!”

“Quanto sei idiota!”

“Sei tu che non ti curi dei miei sentimenti!” Lo accusò Tooru.

Hajime lo guardò basito. “Non mi curo dei tuoi sentimenti?” Domandò con astio. “Chi ha sopportato i tuoi capricci per tutta la vita, sentiamo?”

“Ma ti senti quando parli?”

“Cosa dovrei sentire, Tooru?”

“Che non mi ami più!” Sbottò Tooru con voce rotta, le lacrime agli occhi. “Sono solo una responsabilità per te. Un fastidio. Tu non mi vuoi sposare perché non mi ami più…”

Hajime strinse le labbra, lo guardò fisso, i pugni stretti. “Ringrazia il cielo che me lo stai dicendo con la faccia di una donna, Tooru,” disse con voce tremante d’ira. “Altrimenti, te la spaccherei e questa volta non scherzo.” Si alzò in piedi ed affondò due passi nella neve.

“Ti ho sentito!” Esclamò Tooru con le lacrime agli occhi. “Ti ho sentito esprimere quel desiderio!”

Il Cavaliere si fermò, gli occhi verdi si fecero enormi ma non si voltò a guardare la giovane donna in cui si era tramutato il suo Re.

“È per questo che ti ho chiesto di sposarmi,” Tooru singhiozzò ma Hajime non si voltò neanche allora. “Hai desiderato normalità e volevo provare a dartene un po’…” Un altro singhiozzo. “Ed è per questo che ti senti in colpa. Pensi che sia stato il tuo desiderio ad avermi reso così, vero?”

Hajime continuò a rimanere in silenzio.

Tooru fissò la sua schiena in attesa, sperando in qualcosa ma non sapeva nemmeno lei cosa. Voleva solo dare fine a tutta quell’immobilità, tutta quella freddezza. Non ne poteva più di essere sospesa sul vuoto.

Hajime, però, ancora una volta, non fece niente. Affondò gli stivali nella neve dirigendosi verso il castello. Non si voltò. Non provò nemmeno a chiedere a Tooru di tornare indietro con lui, al caldo, dal loro bambino.

Se ne andò come se non gli importasse.

Di colpo, Tooru non sentiva più freddo. Non sentiva niente. Il suo Cavaliere sparì tra gli alberi velocemente senza controllare se lo stesse seguendo o meno e lei non trovò nemmeno la voce per urlare il suo nome con tutta la rabbia, la delusione e, sì, il dolore che le stringeva il cuore.

Si avvolse le braccia intorno al corpo e piegò la testa. I lunghi capelli castani le nascosero il viso mentre le lacrime calde cadevano sulla neve fresca senza far rumore.

“Non è possibile,” mormorò alla notte. “Non dovrebbe essere così. Noi siamo destinati l’uno all’altro, io so che è così… Siamo nati per amarci, io e te… Vero?”

“Dipende…”

Tooru sollevò il viso di scatto, il respiro bloccato in gola.

Questi volta riuscì a vederli bene gli occhi d’ambra della fanciullina dai capelli dello stesso colore del tramonto. Aveva la bella bocca imbronciata in un’espressione tra il curioso ed il confuso. Tooru pensò che le ricordava Tobio.

Si voltò con le labbra dischiuse ma il nome che avrebbe voluto urlare non venne mai pronunciato, come se il freddo della notte avesse congelato le parole nella sua gola.

“Che cosa fai?” Domandò la ragazzina.

Tooru rimase a fissare il punto in cui Hajime era sparito per alcuni istanti. Fu inutile, il suo Cavaliere non tornò mai indietro per lui.

“Niente…” Mormorò con voce incolore tornando a guardare la creatura di fronte a lui. Aveva le guance arrossate per il freddo, le belle labbra erano rosse ed avrebbero attirato molti baci col tempo, gli occhi blu erano grandi, luminosi.

Se era un fantasma, lo era nel modo più vivo possibile.

“Che cosa sei?” Domandò Tooru.

La ragazzina inarcò un sopracciglio. Un’altra espressione che Tooru aveva conosciuto sul viso di Tobio.

È tua, le disse la voce di Hajime nella sua testa. Tu fai quella stessa identica faccia ogni volta che qualcosa non ti convince.

“Deve essere un’espressione comune…” Si rispose da sola.

“Eh?” Domandò la ragazzina. “Oggi non dici niente di sensato, lo sai? Hai battuto la testa?”

Tooru accennò un sorriso e scosse la testa. “No, sono solo triste.”

La ragazzina si avvicinò e si sedette sul tronco abbattuto accanto a lei. “Chi è la tua anima gemella?”

Fu il turno di Tooru di guardarla confusa.

“Hai detto che tu e qualcun altro siete nati per amarvi,” chiarì la piccola. “Chi è?”

“Oh…” Tooru abbassò gli occhi sulla neve candida sorridendo tristemente. “È il mio Cavaliere,” spiegò. “Il padre di mio figlio.”

La ragazzina sbatté le lunghe ciglia sorpresa. “Sei una lady? Solo i nobili hanno Cavalieri personali e nemmeno tutti. Devi essere una persona importante!”

Tooru le rivolse un sorrisetto arrogante. “Sono molto più di una lady, piccola mia,” disse. “Sono una Regina.”

La fanciullina gonfiò appena le guance. “Non esistono ancora Regine nei Regni liberi.”

Tooru sorrise. “Hai ragione,” rispose. “Io sono la prima.”

La creatura scosse la testa agitando i lunghi capelli dal colore vivace. “No!” Esclamò con orgoglio. “Io sarò la prima Regina dei Regni liberi!”

Tooru smise di sorridere. “Prego?”

“Mio padre mi chiama così,” spiegò la ragazzina e le guance divennero un poco più rosse. “La mia mamma mi ha raccontato che ha cominciato a farlo quando ero ancora dentro la pancia.”

Tooru si riprese immediatamente dalla sorpresa e sorrise teneramente. “Oh, capisco…”

”Come sta il nostro Principe?”

“Non fa che prendermi a calci. È arrogante!”

“Si vede che te lo meriti…”

“Iwa-chan! Non ti alleare col nemico!”


Scacciò quel ricordo molesto con un veloce cenno del capo ingoiando la tristezza, sebbene a fatica. “Tuo padre deve aver desiderato tanto una bambina,” disse. Strano, pensò: da sempre. i nobili erano fissati coi figli maschi..

Tooru fece una smorfia: quale assurdità…

La fanciullina scrollò le spalle. “Credo di sì,” disse. “Il mio papà mi ha raccontato che lui e mamma mi hanno aspettato per molto tempo, ancor prima che fossi dentro la pancia. Sono arrivata nel bel mezzo di un’avventura…”

Tooru sorrise divertita. “Davvero?”

“Sì!” La ragazzina sorrise ed annuì. “Mi hanno concepito durante una loro avventura in mare.”

Tooru inarcò un sopracciglio. “In mare?”

“Sì, anche la mia mamma ed il mio papà sono nati per amarsi, sai?” Gli occhi blu s’illuminarono d’orgoglio. “Hanno vissuto insieme tante avventura e le loro storie sono meravigliose!”

Tooru continuò a sorridere. Sì, anche quelle che lui e Hajime raccontavano a Tobio erano meravigliose. Parlavano solo di Cavalieri coraggiosi e grandi Re e di come si combattevano per decidere chi fosse il più forte. Il concetto di guerra non era presente nelle loro storie, come non c’era quello di sconfitta ed umiliazione.

Tobio non aveva bisogno di conoscere quei dettagli. Non ancora.

Esattamente come quella fanciullina non aveva bisogno di sapere che nessuno nei Regni liberi aveva mai esplorato il mare.

“Vuoi molto bene alla mamma e al papà, vero?” Domandò.

La fanciullina lo guardò come se avesse fatto una domanda particolarmente stupida. “Sono mamma e papà…” Replicò. Non c’era bisogno di dare alcuna spiegazione. L’amore per loro era qualcosa di completamente naturale, esattamente come l’orgoglio riflesso nei suoi occhi d’ambra quando parlava di loro.

Tooru sospirò tristemente.

La ragazzina scrollò le spalle. “Voglio tanto bene anche i nonni, però!”

Tooru non l’ascoltava più, gli occhi fissi sulla neve candida.

Anche gli occhi del nostro Tobio brilleranno quando racconterà di noi, Hajime?

Quando sollevò gli occhi, Tooru era di nuovo sola.




***



“Lo sai, Iwa-chan, se esprimi un desiderio alla prima neve dell’anno, quel desiderio potrebbe avverarsi prima che sbocci il primo fiore di primavera.”

Forse, non avevano nemmeno compiuto dieci anni e Hajime aveva reagito a quella storiella ridicola alzando gli occhi al cielo e facendo appello a tutta la sua pazienza. “Questa versione è anche più ridicola di quella delle stelle cadenti…”

“Rude Iwa-chan!”





Un decennio più tardi, Hajime avrebbe pagato a caro prezzo quella mancanza di fiducia nella magia e nel fato.



“Lo sapevi…” Quello era stato tutto quello che Tooru era riuscito a dire dopo quella discussione a senso unico.

Era stato un litigio anomalo. Probabilmente, era stato uno dei pochi veri litigi che avevano avuto. Era nella loro natura farsi continuamente dei dispetti, sfidarsi, punzecchiarsi ma quella era stata la prima volta in cui Tooru se ne era rimasto tutto il tempo a fissare il pavimento con il labbro inferiore stretto tra i denti, mentre Hajime gli urlava contro senza nessuna buona ragione.

E se ne aveva avuto una, aveva perso ogni diritto di esprimerla nel momento in cui aveva aggredito gratuitamente il compagno.

“Lo sapevi fin dal principio cos’ero,” disse Tooru. “Chi ero…”

Aveva parlato con voce bassa, tremante ma quelle poche parole erano state più incisive di tutte le accuse insensate che Hajime gli aveva vomitato addosso. A quel punto, il Primo Cavaliere non aveva potuto fare altro che sgranare gli occhi verdi e rimanere in silenzio.

A quel punto, Tooru si era alzato. Lo aveva ferito, lo aveva tradito, lo aveva umiliato…

“Evidentemente, devi essertene dimenticato quando hai detto di amarmi.”

Hajime non aveva avuto il coraggio di fermarlo, di spingerlo a sedersi di nuovo, di chiarire quella tremenda situazione figlia di uno scatto di nervi. Non lo aveva fatto perché, nonostante lo sfogo, il nodo intorno alla sua gola era solo peggiorato e la stretta allo stomaco si era fatta insopportabile.

Sarebbe potuto essere semplicemente onesto con se stesso e chiamare quel disagio senso di colpa, ma dopo si sarebbe ritrovato a dover ingoiare di nuovo quella situazione insopportabile che era divenuta la loro vita e sarebbe finito col scoppiare di nuovo e non solo per la rabbia.

Alla fine, si era passato una mano tra i capelli con un sospiro stanco. “Ma perché non ho scelto una moglie come tutti gli altri?” Si domandò. “Perché non ho scelto una vita normale?”

Non si era accorto che Tooru era rimasto dietro la porta e lo aveva udito.

Non aveva notato i primi fiocchi di neve di quell’inverno che cadevano fuori dalla finestra, sul Regno di Seijou.


Rientrato al castello, Hajime non trovò nessuno ad attenderlo nella sala principale.

Shigeru doveva aver già portato Tobio a dormire e gli altri Cavalieri dovevano averlo seguito per dargli una mano o, semplicemente, per ritirarsi nelle rispettive stanze a riposare. Hajime non poteva biasimarli dopo la prima notte lontano da casa che Tooru aveva fatto passare a tutti loro.

”Sei tu che ti sei dato alla fuga, Iwa-chan…” Gli ricordò la voce velenosa del suo Re nella sua testa.

Hajime sbuffò scocciato. Fece il giro del grande divano e si chinò davanti al caminetto. Le braci non erano del tutto spente. Aggiunse altra legna ed afferrò il tizzone per ravvivarle.

Non pensò troppo al perché lo stava facendo o si sarebbe costretto a salire al piano di sopra e a chiudersi nella sua stanza sbattendo fuori dalla porta qualsiasi pensiero riguardasse Tooru. Non ci riusciva mai ma si riprometteva sempre di provarci di tanto in tanto.

Si tolse il pesante mantello da sopra le spalle lasciandolo cadere sul bracciolo del divano, poi si sedette e fissò gli occhi verdi sulle fiamme scoppiettanti del camino. Era stanco, molto stanco ma Tooru non era ancora rientrata e sapeva che sarebbe stato inutile cercare di dormire sapendola da sola, là fuori, in mezzo alla neve.

”Mi hai lasciato tu là fuori, Hajime.”

“Stai zitto,” rispose alla stanza vuota. Tuttavia, la stretta allo stomaco era ancora lì e non accennava a voler scomparire. Al contrario, da quando aveva lasciato il Castello Nero sembrava solo peggiorare e quella nuova ossessione di Tooru per i fantasmi non faceva nulla per migliorare lo stato della sua salute o del suo umore.

Ancora una volta, si ritrovò a chiedersi quando era cominciato tutto, quando erano passati dall’essere la coppia più felice dei Regni liberi ad un completo disastro su di ogni punto di vista. La scomodità della loro relazione non aveva potuto niente contro il loro legame, così come la guerra contro Shiratorizawa.

Maledizione, avevano anche avuto un figlio a diciassette anni ed il loro rapporto ne era uscito completamente illeso.

”Forse, hai cominciato a desiderare un po’ troppo spesso di non esserti innamorato di un Re.”

Hajime avrebbe voluto prendere a testate il muro: non era possibile che fosse tanto uscito di senno da sentire la necessità di udire la voce di Tooru anche quando l’idiota non c’era.

“Non è vero…”

”Bugiardo…”

“Non farei mai scelte diverse da quelle che ho fatto. Mai.”

“Allora perché hai desiderato qualcos’altro?”

Hajime dischiuse le labbra, poi si rese conto che quella non era la voce di Tooru.

Sollevò lo sguardo. Oh… Pensò. Sì, adesso lo è..

Perso nei suoi pensieri, non l’aveva sentita rientrare. “Stai…” Esitò. “Stai bene?” Non era certo che fosse la domanda giusta. In seconda analisi, era una domanda decisamente stupida ma temeva che Tooru se ne sarebbe semplicemente andata di sopra e avrebbe lasciato che quel muro di silenzio tra loro continuasse a divenire più alto ed invalicabile.

“Sì,” rispose Tooru con voce neutra liberandosi del mantello.

Hajime notò che tremava appena ed allungò una mano in un gesto meccanico. “Hai freddo, resta qui e scaldati un po’.”

Tooru annuì ma ignorò quella mano come se non l’avesse vista. Hajime la ritrasse e tornò a rivolgere la sua attenzione alle fiamme nel caminetto. “Allora?” Domandò. “Hai visto qualcosa?” Non voleva suonare derisorio ma Tooru gli avrebbe risposto con astio comunque.

“Sì,” rispose osservando il fuoco a sua volta. “Ma se te lo dicessi non mi crederesti,” aggiunse. “Quindi è inutile parlarne.”

Hajime prese un respiro profondo. “Era di nuovo il fantasma di una ragazzina?”

“Non è un fantasma,” rispose Tooru.

“Che cos’è allora?”

“Non lo so ma non è un fantasma. È troppo viva per essere un fantasma.”

Hajime annuì ma Tooru non lo stava nemmeno guardando. Alcuni fiocchi di nevi erano rimasti tra i lunghi capelli castani appena ondulati. Il Primo Cavaliere sollevò pigramente le dita prendendo tra le dita quei frammenti di gelo che sembravano piccoli brillanti nella semi-oscurità della stanza. Si sciolsero immediatamente contro i suoi polpastrelli ma, almeno, spinsero Tooru a portare lo sguardo su di lui.

“Perché sei ancora sveglio?” Chiese lei.

“Volevo aspettare che rientrassi.” Una risposta sincera.

“Mi hai lasciato da sola in mezzo alla neve. Perché preoccuparsi? È poco coerente…”

“Pensavo mi avresti seguito subito.”

“Non funziona così, Hajime,” replicò Tooru con orgoglio. “Se scappi non t’inseguo.”

Suo malgrado, il Cavaliere annuì. “Già, sono sempre stato io ad inseguire te.”

L’espressione di Tooru si addolcì un poco. “Allora perché stai scappando, adesso?” Domandò quasi dolcemente. “L’ultima volta che è successo, ho rifiutato la proposta di un giovane Re e mi sono ritrovato sul pavimento della mia sala del trono massacrato ed umiliato. Potresti correre nella direzione opposta prima che succeda qualcosa al mio bel viso questa volta, per favore?”

Hajime si ritrovò a sorridere senza rendersene conto e prese ad arrotolare una lunga ciocca di capelli castani intorno all’indice come se non ci fosse niente di strano. “È passata la stagione in cui eri il fiore più bello dei Regni liberi, Tooru. Fattene una stagione.”

Tooru lo guardò storto. “Ho vent’anni! Sono un fiore appena sbocciato, invece!”

“Ma sei già stato raccolto,” gli ricordò Hajime. “E chi l’ha fatto non ha alcuna intenzione di ripiantarti, sappilo.”

Tooru strinse le labbra ed allontanò la mano del Cavaliere dai suoi capelli. “Una volta mi facevi sentire protetta, sai? Ti guardavo e mi sentivo invincibile, al sicuro,” disse. “Ora, ti guardo, ascolto le tue parole e non so più chi sei.”

Hajime sbatté le palpebre un paio di volte. “Che vuoi dire?”

“Che adesso potrei anche credere che mi ami ancora,” rispose Tooru. “Ma poco fa mi hai lasciato da sola senza preoccuparti che fossi scoppiata a piangere.”

“Ero arrabbiato, Tooru…”

“Sei sempre arrabbiato,” sottolineò lei. “Lo sei da un po’…”

Hajime si umettò le labbra. “Mi sono sentito insoddisfatto nell’ultimo periodo, tutto qui.”

Tooru incassò il colpo e si fece più vicino: era la prima volta dall’inizio di quella storia che Hajime faceva una confessione simile. “Perché non me ne hai mai parlato?” Domandò.

“Perché tu non ci sei mai,” rispose Hajime un poco duramente. “Non appena Tobio è divenuto un poco indipendente, tu sei sparito.”

Tooru sgranò gli occhi, poi tornò a guardare il fuoco. “È dopo una discussione simile che hai espresso quel desiderio,” gli ricordò.

“Lo so…”

“Sapevi chi ero quando ti sei innamorato di me. Sapevi che cosa ero destinato a diventare.”

“So anche questo.”

“Hajime,” Tooru non voleva mettersi a piangere di nuovo ma sapeva che il nodo che le stava stringendo la gola non l’avrebbe lasciata presto in pace. “Prima l’ho detto con rabbia ma…” Esitò, le labbra tremanti. “Amarsi da ragazzini è una cosa. Amarsi come due eroi tragici di una bella storia può quasi essere semplice ma amarsi davvero, amarsi come ci dovremmo amare noi adesso…” Sentì le lacrime scorrerle lungo le guance. “Rispondi col cuore, Hajime, non con astio, ti prego,” un singhiozzo. “Mi ami ancora?”

Per un attimo, uno solo, Hajime strinse i pugni e quasi lasciò che l’orgoglio avesse la meglio sul cuore. Perché poteva Tooru mettere in discussione il suo sentimento dopo tutto quello che aveva fatto per loro? Non gli aveva forse dato abbastanza? E che altro avrebbe potuto chiedere? Era morto per lui. Era dannatamente morto!

Fu solo un momento, però, poi si calmò e rivide tutti gli istanti degli ultimi mesi in cui aveva fatto del male a Tooru per una sua personale frustrazione. Sì, sapeva che Tooru sarebbe divenuto un Re quando si era innamorato di lui e sapeva che ci sarebbero stati momenti della loro vita in cui quel ruolo sarebbe venuto prima di lui ed anche di Tobio.

Per quasi due anni, Tooru non aveva fatto altro che il genitore ed il compagno e Hajime da bravo egoista si era abituato ad essere quello in prima linea, a tornare a casa da un compagno che viveva e sorrideva solo per lui. Nel momento in cui Tooru era tornato a superarlo di un paio di passi, era cominciata la frustrazione.

Aveva messo di mezzo Tobio, aveva accusato Tooru di non dedicargli abbastanza tempo. Era stata una crudeltà. Non era tradizione che i Re crescessero i propri figli ma Tooru si era rifiutato di avere una balia e quando aveva dovuto riprendere tra le mani i suoi doveri, non aveva mai lasciato Tobio per più di qualche ora e sempre in mani sicure.

Dal canto suo, Hajime aveva provato a lasciarli soli quando il loro bambino aveva appena tre mesi e se Tooru non fosse stato abbastanza sveglio da leggere l’atmosfera di corte, sarebbero entrambi rimasti vittima di una rivoluzione.

“Non ho accettato di sposarti perché hai posto male la domanda, Tooru.”

Tooru sbatté le lunghe ciglia un paio di volte. “Che cosa significa?”

Gli angoli della bocca di Hajime si sollevarono un poco. Alzò una mano e toccò il bel viso della giovane donna di fronte a lui come se fosse il un fiore delicato. “Non ha importanza… Non ora…” Si sporse in avanti.

Tooru fu presa di sorpresa e premette le mani contro il suo petto. “Che stai facendo?”

“Cambio direzione,” rispose Hajime. “Smetto di scappare e corro di nuovo da te.”

Perché le parole non sarebbero servite a niente.

Le avevano usate ed erano finiti solo col ferirsi, allontanarsi e comprendersi ancor meno.

Certe volte, per fare ordine nel caos della testa di Tooru, bastava ricorrere al metodo più semplice.

Hajime sapeva che quello era l’unico modo in cui lo avrebbe ascoltato e gli avrebbe creduto. Ne ebbe la conferma non appena baciò quella bocca che gli era tanto mancata e Tooru si sciolse sotto le sue mani come neve al sole. Scivolarono tra i cuscini del divano, le labbra si cercavano affamate e le mani si muovevano con esperienza.

La camicia del Cavaliere finì a terra per prima ma Tooru s’irrigidì come le carezze di lui scivolarono sotto la stoffa della tunica. Hajime se ne accorse. “Che cosa c’è?”

Gli occhi di Tooru erano grandi, timorosi. Le guance rosse e l’espressione di una ragazzina che non è mai stata toccata da un uomo in vita sua e teme di non essere all’altezza. Hajime per poco non scoppiò a ridere ma poi ci sarebbe voluta un’infinità di tempo per ristabilire l’atmosfera giusta e sarebbero stati dolori per i suoi poveri nervi… E non solo quelli.

Scostò una lunga ciocca di capelli castani dal bel viso e le sorrise. “Quando la finirai di complicarti l’esistenza, Tooru?” la rassicurò. “Sei sempre tu…” Le baciò un seno da sopra la stoffa. “Ti ho amato per tutta la vita, so come fare…”

Tooru gli sorrise, un po’ radiosa, un po’ commossa…

Hajime decise di non dirle che era bellissima: meglio evitare che si montasse troppo la testa.


Il fuoco nel camino si stava spegnendo e Hajime stava riflettendo attentamente se fosse più opportuno ravvivarlo, oppure fare appello alle sue membra intorpidite e salire fino al piano di sopra, nella camera che era stata preparata per Tooru.

Se fosse stato per lui, avrebbe chiuso gli occhi e si sarebbe lasciato andare al sonno.

Tooru, però, sembrava aver deciso di divenire una creatura notturna perché l’alba era solo dietro l’angolo ma non sembrava essere stanca di stargli addosso. Hajime sorrise stancamente nel sentire la morbida curva dei due seni contro il petto. “Tooru…”

“Uhm?”

Le labbra calde di lei gli solleticarono il collo ed il Primo Cavaliere aprì gli occhi appena in tempo per rispondere allo sguardo di due iridi scure e lucenti. “Forse, dovremmo prendere in considerazione l’idea di dormire un po’, prima che Sua Altezza il Principe venga a buttarci addosso tutta la sua indignazione per averlo lasciato da solo ancora una notte…”

Tooru rise rilassandosi contro il suo petto. “Possiamo fermare il tempo per qualche ora?”

Hajime fece una smorfia. “Penso di averne abbastanza della magia, francamente…”

Lei tornò a guardarlo. “Non mi pare che nelle ultime due o tre tu ti sia lamentato.”

Il Cavaliere arrossì e voltò lo sguardo altrove. “Ah, stai zitta…”

“Fammici stare tu,” propose Tooru maliziosa. “Devo distrarmi, sai? Ho dei pensieri violenti in testa in questo momento e tu sei particolarmente bravo a farmi smettere di pensare.”

Hajime inarcò un sopracciglio e la guardò sospettoso. “Che pensieri violenti?”

Tooru scrollò le spalle con un broncio. “Mi piacerebbe mettere a tacere le tre donne con cui sei stato prima di me. Negli ultimi anni chissà quante volte si sono vantate di essere state col Primo Cavaliere e chissà cos’altro.”

Se non fosse stato così stanco, Hajime si sarebbe messo a ridere. “Avevo quindici anni, Tooru…”

“Non è poi così tanto tempo fa,” ribatté lei.

“Non ero nemmeno il Primo Cavaliere a quel tempo!”

“Ma loro sanno sicuramente che lo sei diventato! Per fortuna, nessuna si è presentata al castello con un moccioso… Sarebbero stati guai!”

Hajime alzò gli occhi al cielo. “Non ho figli in giro, Tooru. Credimi.”

“No, ma hai vecchie amanti!”

“Tre notti per tre ragazze. Non è una gran cosa per un Cavaliere.”

“È come una lista troppo lunga per me!”

Hajime fece appello a tutta la sua pazienza. “Con la prima sono venuto non appena gliel’ho messo dentro,” disse e non si preoccupò di essere troppo volgare.

Tooru sollevò lo sguardo, gli occhi sgranati.

Hajime divenne paonazzo. “Che vuoi? Era la mia prima volta ed i veterani quando parlano non sprecano molte parole sul piacere dei propri amanti, sai?”

Tooru fece una smorfia disgustata. “Certo, l’importante è svuotarsi, vero?”

“Mi sono mai comportato così con te?”

“Touché!”

“Quella stessa notte, lei ha cercato di prendersi il suo piacere non appena sono riuscito a…”

“Ah! Ci sei stato due volte nella stessa notte!”

“La seconda volta, ha fatto tutto lei e è andata….”

Tooru alzò gli occhi al cielo. “È andata…”

“Delle altre due a stento mi ricordo i visi, se vuoi saperlo!”

“Oh! Rude!”

“Prima ti preoccupi delle mie vecchie amanti e poi mi rimproveri se non le ricordo.”

“Erano belle?”

“Tooru, tu stavi per sposare un altro ed io avevo bisogno di sfogarmi e non pensare! Non mi sono fatto troppi problemi!”

Tooru si lasciò ricadere di lato con uno sbuffo. “Uomini…” Commentò con un broncio.

Hajime la guardò. La guardò fisso, a lungo. “Uomini?” Ripeté divertito.

Tooru ricambiò lo sguardo. “Io sono un Demone,” disse con fare altezzoso. “Ho partorito un bambino! Io mi posso lamentare del sesso maschile!”

“Beh… Sei l’unica creatura che conosco che può rispondere ad un quesito millenario, adesso che ci penso.”

“Che sarebbe?”

“Fa più male partorire o un calcio nelle…?”

Tooru gli schiaffò una mano contro la bocca. “Ti proibisco di dire una parola di più, Hajime. Altrimenti, un po’ di magia e tutti i Cavalieri di Seijou potranno…”

Hajime si spostò sopra di lei. “Se proprio devo farti stare zitta…”

Tooru sorrise vittoriosa imprigionando il suo Cavaliere in un altro caldo bacio.

Alla fine, il fuoco si spense del tutto ma non soffrirono il freddo.




Hajime la guardò dormire per tutta la notte.

Le braci nel camino scoppiettavano debolmente ma la temperatura nella stanza era piacevole. Tooru era calda e morbida contro di lui. Tra le sue dita, i capelli ondulati parevano seta. Non poteva negare che quelle ore d’amore fossero state qualcosa d’incredibile. In un primo momento, il cambiamento di Tooru lo aveva inibito in quel senso. Dopo anni passati nel letto della stessa persona, non era semplice amare un corpo completamente nuovo ed il pensiero di tradire Tooru con una donna che era Tooru era… Complicato.

Ritrovarsi quei seni tra le mani, però, non era stato così estraneo come aveva temuto.

Aveva riconosciuto la bocca di Tooru al primo bacio. Il suo sapore ed il suo odore non erano mutati. Era stato fantastico rendersi conto che sapeva amare Tooru anche in quella forma, che poteva ancora indovinare i punti giusti da sfiorare per darle piacere.

Hajime e Tooru si conoscevano tanto intimamente che fare l’amore era stato naturale anche in quella loro bizzarra situazione.

Guardandola dormire, il Primo Cavaliere ne fu orgoglioso.

Anche se il destino li avesse divisi, relegati agli angoli opposti del mondo conosciuto e tramutati in qualcosa di completamente diverso da loro stessi, sarebbero comunque riusciti a trovarsi ed amarsi di nuovo.

Hajime sapeva che non sarebbe potuto vivere senza la creatura che gli dormiva accanto. Se mai il fato fosse stato tanto crudele con loro, solo Tobio lo avrebbe spinto a continuare a respirare ma sapeva che non si sarebbe più sentito vivo.

Suo figlio era tutto il suo mondo, la sua vita, il suo più grande tesoro.

Il suo cuore, però, era di Tooru ed era un sentimento che non oscurava quello per Tobio ma non poteva essere sostituito.

Hajime ripensò alla proposta di Tooru, a come avevano brillato i suoi occhi scuri al pensiero di essere il suo sposo. No, la risposta del Cavaliere non sarebbe cambiata dopo quella notte. Non voleva divenire il Consorte ufficiale del Re Demone, non voleva occupare quel posto ma, si rese conto, non era quello il punto per il suo amore.

Tooru non gli aveva fatto quella proposta per una ragione politica o per legittimare qualcosa.

Non lo aveva fatto per avere la sua firma su di un contratto.

L’angolo destro della bocca di Hajime si sollevò: Tobio avrebbe compiuto tre anni in pochi giorni e, ogni anno, Hajime era solito pensare ad un regalo per entrambi i Principi del suo cuore. Riteneva che fosse doveroso rendere onore al giovane che aveva messo al mondo suo figlio.

Quell’inverno, decise che non lo avrebbe fatto solo come genitore.





Il giorno del compleanno di Tobio, Tooru si svegliò al centro del grande letto della camera da letto patronale. Era sola ma Hajime aveva acceso il camino, prima di andarsene.

Sorrise stiracchiandosi tra le lenzuola ancora calde. Doveva ammettere che quella fuga non si era rivelata completamente una cattiva idea. Hajime era andato in panico ed aveva fatto i bagagli per tutti la mattina stessa in cui l’incantesimo si era verificato, ma forse non era stato per il peggio.

Passare l’estate nelle campagne era una boccata d’aria fresca ma essere lì, nel bel mezzo del nulla, costretti dall’inverno tra quelle mura di pietra era qualcosa di diverso. Quel tempo rubato al mondo e ai doveri di corti era tutto per loro.

E Tooru ne era felice.

Indossò la vestaglia per coprire il corpo nudo. Si prese il suo tempo: si sedette di fronte al vecchio specchio da toeletta e si spazzolò i lunghi capelli castani. Era un’abitudine che stava facendo sua senza particolare difficoltà. Hajime l’aveva sempre definito un vanesio, ma a Tooru piaceva solo prendersi cura di sè e sentirsi a suo agio quando si guardava allo specchio.

Attraversò la stanza per avvicinarsi all’armadio ma qualcosa attirò la sua attenzione.

Vi era un abito bianco disteso su una delle poltrone vicino al caminetto. Le maniche erano velate ed il corpino lucente, come se fosse trapunto di stelle.

Era un abito da sposa.

Tooru si passò una mano tra i capelli, le labbra dischiuse in un’espressione attonita. Si avvicinò e sollevò l’abito per poterlo ammirare meglio. Era semplice ma splendido.

Non era accompagnato da un biglietto ma Tooru non ne aveva bisogno.
Senza esitare, lo indossò.




Aprì la porta della camera solo quando sentì di essere perfetta ed il suo Cavaliere era lì, vestito con l’armatura ed i colori del Regno di Seijou.

Hajime sorrideva, ma l’espressione di Tooru era radiosa. “Che cosa stai facendo?” Domandò quest’ultima.

Il Primo Cavaliere poggiò un ginocchio a terra. “La cosa giusta,” disse prendendole la mano. “Non saresti mai dovuto essere tu a chiedermelo.”

Gli occhi di Tooru brillarono di emozione. “Hajime…”

“Abbi pietà di me e lascia che faccia quello che devo fare,” la interruppe Hajime, le guance rosse. “Tooru, mi faresti l’onore di…”

“Sì!” Esclamò Tooru con le lacrime agli occhi.

Hajime sbuffò frustrato. “Tooru, non ti ho ancora chiesto niente!”

Lei scosse la testa. “Alzati, voglio baciarti!”

Hajime ubbidì ma le afferrò le spalle. “No, non ancora,” le rispose con un sorrisetto.

Tooru sospirò. “Per tua informazione, non sono vergine,” disse.

Entrambi risero.

“Ne sono felicemente consapevole,” disse il Primo Cavaliere, anche i suoi occhi brillavano. “Tuttavia, ho fatto impazzire i miei uomini affinchè trovassero una sarta che potesse cucirti l’abito che hai addosso e sarebbe un peccato sgualcirlo troppo presto.” La guardò. “La poveretta ha dovuto usare uno degli abiti che hai nell’armadio come modello e si è lamentata tutto il tempo di non poter lavorare senza prima vedere la sposa. Ha fatto un lavoro eccezionale.”

Tooru abbassò lo sguardo su se stessa. “È bellissimo.” Guardò il suo Cavaliere negli occhi. “Ma perchè tutto questo? Perchè proprio oggi?”

“È il compleanno di nostro figlio. Tre anni fa, siamo divenuti una cosa sola attraverso di lui… Volevo solo ricordarlo in un’altra forma.” Hajime gli porse il braccio. “Fidati di me.”

Tooru non si fece pregare. “Sempre…”



Celebrarono il matrimonio nella sala principale.

I ragazzi avevano addobbato il davanzale del grande caminetto con qualche fiori selvatico della montagna ed avevano spostato poltrone e divano per permettere agli sposi di stare in piedi di fronte al fuoco acceso.

“Siamo tutti qui riuniti,” cominciò Issei con voce smorta.

Takahiro, con Tobio in braccio, diede una gomitata al vecchio amico e prese la parola. “Siamo tutti qui riuniti,” si guardò brevemente intorno. “Otto persone in tutto, compresi gli sposi.”

Shinji e Shigeru alzarono gli occhi al cielo e Hajime li minacciò entrambi con lo sguardo.

Tooru, però, rise felice. “Ci sono tutti quelli che contano,” concluse.

I grandi occhi di lei riflettevano la luce del camino ed il primo Cavaliere pensò che non vi aveva mai vista riflessa tanta felicità.

“Dicevo,” proseguì Takahiro. “Siamo qui per un unire in matrimonio questo uomo e questa… Donna.”

Qualcuno rise, Tooru compreso e Hajime sibilò una minaccia tra  i denti.

“Sorridi, Iwa-chan,” disse la sua Regina afferrandogli entrambe le mani. Il viso del Cavaliere si distese immediatamente, gli occhi verdi si posarono su quelli scuri di lei e drizzò le spalle: non avrebbe posto attenzione a niente altro, fino alla formula finale.

Peccato che i piani dei suoi migliori amici fossero ben altri.

“Se lo sposo vuole dire qualcosa alla sua promessa,” lo invitò Issei con un ghignetto malcelato. Takahiro s’impegnò a nascondersi dietro Tobio.

“Non importa se non hai niente da dire,” intervenne Tooru. “Non voglio che ti senta obbligato…”

“No, qualcosa devo dirlo,” la interruppe gentilmente Hajime. “Ti ho fatto del male. Sì, non è la prima volta e, in confronto a me, tu non sei così innocente!”

Tooru storse la bocca.

“Lo sposo vuole scatenare una rissa prima del fatidico ,” sussurrò Takahiro all’orecchio d’Issei.

“Tuttavia, quando mi hai chiesto di sposarti ed io ti ho rifiutato, ho compreso di averti ferito come avevo promesso non avrei mai fatto,” proseguì Hajime. “Non credo di essere riuscito a spiegare le ragioni del mio rifiuto e temo di non poterlo fare nemmeno ora ma… Io ti amo, Tooru. Ti amo. Non chiedermi di sedermi su un trono accanto e te e di appoggiare le tue scelte come un Consorte dovrebbe fare, io non sono così. Io sono quello che sarà sempre due passi dietro di te, pronto ad evitare che tu cada; quello che ti stava già guardando incantato, prima che il mondo si accorgesse di te. Sono il tuo migliore amico, il tuo compagno ed il padre di tuo figlio e voglio continuare ad esserlo come Cavaliere, il tuo Primo Cavaliere. Non sei tu ad essere sbagliato. Non ho mai desiderato che fossi qualcosa di diverso. Ti chiedo solo di accettare che sarò tuo per tutta la vita ma nel modo in cui sono ora, senza titoli che rendano ufficiale qualcosa che è già nostro. Io voglio sposare te. Voglio sposarti così, con le sole persone a cui affideremo la nostra vita e con la creatura che abbiamo messo al mondo,” lanciò una breve occhiata a Tobio. “Io voglio sposare te, Tooru e so che questo significa passare la vita al fianco di un Re. È la vita ho scelto… Tu sei ciò che ho scelto e sarà così fino al giorno della mia morte.”

Gli occhi di Tooru si erano fatti più grandi, lucidi per l’emozione. Nessuno parlava e Hajime dovette serrare i denti sul labbro inferiore per costringersi a tenere lo sguardo alto.

Solo il piccolo Tobio, forte dell’ingenuità dai suoi tre anni non ancora compiuti, ebbe il coraggio d’interrompere il silenzio. “Non ho capito,” disse, guardando perplesso i due genitori.

La tensione si spezzò e tutti scoppiarono a ridere.

“Quanto sarai grande, te lo spiegherò,” disse Hajime. “E…”

“Oh, sì!” Takahiro si spostò al centro della scena con il piccolo Tobio tra le braccia. “Come abbiamo detto, mio Principe?”

“E… E…” Tobio arricciò il naso in un’espressione concentrata. “Io vi difia… Vi divia…”

“Vi dichiaro, amore,” intervenne Tooru.

Il piccolo Principe arrossì ed annuì velocemente. “Io vi dichiafo marito e moglie!” Esclamò con la stessa possenza di un Re che afferma la sua superiorità sul nemico.

Incapaci di resistere oltre, Tooru e Hajime si fecero avanti e baciarono le guance del loro bambino.

“No! Così è sbagliato!” Esclamò Takahiro, mentre Hajime lo liberava dal peso di Tobio. “Non dovete baciare lui. Dovete baciarvi tra di voi.”

Hajime e Tooru si guardarono e si scambiarono un bacio a fior di labbra per il sincero disgusto del loro bambino.

Tutti i Cavalieri applaudirono. “Congratulazioni!” Esclamarono.

Solo il piccolo Tobio pareva perplesso. “Mamma, papà, io non capito.”

“Oh, lo capirai, Tobio-chan!” Esclamò Tooru lasciando che Hajime gli circondasse la vita con un braccio e la tirasse a sè. “Lo capirai…”

“Ehi, Shigeru, togli il telo dal pianoforte!” Esclamò Takahiro. “Siamo ad un matrimonio e voglio ballare!”

“Con chi?” Domandò Issei un poco sconsolato.

“Con te?” Propose l’amico. “Dalla seconda bottiglia di vino in poi?”

“Ci sto!”



Ballarono, cantarono e bevvero per tutta la notte. Quando furono troppo stanchi, si sedettero intorno al fuoco raccontando storie di quando erano ragazzini. Tobio si addormentò con la testolina di capelli corvini appoggiata al seno della mamma. Hajime e Tooru si lanciarono un’occhiata complice e si ritirarono per la loro prima notte di nozze.




Fecero l’amore in silenzio, per non svegliare il piccolo Principe che dormiva nel suo lettino nell’angolo. Tooru insistette per farlo con il suo vestito da sposa addosso e fu divertente vedere il suo Cavaliere duellare con la lunga gonna bianca.

“Lascia fare a me…” Mormorò Tooru sensualmente spingendolo a sedersi contro i cuscini. Quei grandi occhi scuri erano gemme tentatrici, a cui era impossibile resistere.

Hajime la guardava incantato e le sue mani s’infilarono sotto la stoffa affondando le dita nella pelle morbida delle cosce.

Eseguirono insieme la danza dell’amore come avevano fatto centinaia di volte. Quando la passione si fece accecante, Hajime si sollevò, le strinse i fianchi ed il corpetto scivolò abbastanza da liberare i seni gonfi. Il Cavaliere ne raccolse uno con la mancina e le dita della destra s’intrecciarono tra i lunghi capelli castani.

Si baciarono ed il pallido sole d’inverno spuntò da sopra le cime delle montagne.

Fu una prima notte di nozze meravigliosa.




Quando Tooru scivolò lontano dall’abbraccio del suo Cavaliere, il sole era già alto. Il suo vestito da sposa era finito in fondo al letto. Lo sollevò tra le mani e lo guardò un’ultima volta con un sorriso amaro, prima di riporlo sulla poltrona, come lo aveva trovato il giorno precedente.

Il suo matrimonio non era stato come lo aveva immaginato ma aveva superato tutte le sue aspettative. Era stato bellissimo.

Indossò dei comodi vestiti da uomo e degli stivali alti per camminare meglio nella neve. Tornò dal suo Cavaliere, gli accarezzò i capelli e disegnò il contorno delle sue labbra con la punta delle dita. Si avvicinò poi al letto di suo figlio e si chinò per posare un bacio tra quei morbidi capelli corvini. In quella stanza, in un castello dimenticato dal mondo, c’era tutto ciò di cui il suo cuore aveva bisogno per continuare a battere.

La magia poteva anche finire lì.

Indossò il mantello blu come la notte e, senza far rumore, uscì dalla camera.




Il Mago lo aspettava vicino all’albero caduto, dove, nelle notti precedenti, avevano incontrato quella strana fanciulla dagli occhi blu e dai capelli color del tramonto.

“Allora?” Domandò Kenma con voce incolore.

Tooru sorrise amaramente e si sedette accanto a lui, sul tronco scuro che giaceva sulla neve fresca. “Allora…” Sospirò.

Il Mago inarcò un sopracciglio. “Non è una risposta.”

“La magia finisce qui, Kenma,” disse Tooru con un sorriso sereno. “A te non serve sapere altro.”

Kenma lanciò una breve occhiata al castello. “E lui non ha sospettato di nulla?”

“Hajime crede che sia stato il suo desiderio espresso alla prima neve dell’anno a trasformarmi in una donna,” disse. “Non gli dirò mai che è stato tutto un mio piano fin dal principio.”

“Crudele…”

“No, solo un altro dei nostri piccoli segreti,” disse Tooru. “Hajime mi ama. Ama Tooru, il Re Demone e tutto quello che questo comporta. Resterà al mio fianco fino alla fine dei suoi giorni ma lo farà alle sue regole… Solo le sue, mai le mie.”

Kenma annuì. “E pensi di poterlo accettare, Re Demone?”

“Penso che lo amo,” rispose Tooru. “Il resto non ha importanza.”

Kenma annuì e sollevò la mano destra. “Se è questo ciò che desideri, chiudi gli occhi.”

Il Re Demone ubbidì.

Quando sollevò le palpebre, era di nuovo se stesso.

“Tutto qui?” Domandò inarcando un sopracciglio. La sua voce era di nuovo quella di un uomo.

Kenma scrollò le spalle. “Anche la magia sa essere semplice.” Si alzò in piedi e si voltò. Tooru rimase dov’era, gli occhi scuri fissi sulla neve bianca. Ripensò alla fanciulla dagli occhi blu che non si manifestava mai alla luce del sole e tornò a domandarsi se si trattasse di un fantasma, o solo di un sogno particolarmente vivido. “Kenma, aspett-”

Il Mago, però, era già sparito.

Poco male: gliene avrebbe parlato in un’altra occasione.

Tooru non seppe per quanto tempo rimase lì, a contemplare il candore di quelle cime remote. Non aveva voglia di tornare indietro, di porre fine a quell’inverno, di cui, lo sapeva, avrebbe sempre conservato il ricordo nel cuore in modo particolare.

Il suo Cavaliere, però, degno di tutte le promesse che gli aveva fatto, non tardò molto a trovarlo.

“Tooru!”

Il Re Demone sorrise ancor prima di voltarsi.

La sorpresa negli occhi verdi di Hajime ebbe vita breve e fu sostituita velocemente dal sollievo. “Sei tu…”

Tooru ridacchiò e si alzò in piedi con un saltello. “Sono sempre stato io, amore mio!”

Hajime sbuffò. “Questo lo so,” disse. “Volevo dire che sei tornato ad essere quello che eri.”

“Deluso?”

Il Cavaliere scosse la testa.

“Ne sei sicuro?”

Hajime alzò gli occhi al cielo. “I difetti non si sono mai aggiustati, perchè dovrebbe esserci qualcosa di diverso per me?” Sbottò.

Tooru esaurì la distanza tra loro. “Ti avrei amato anche se non avessi fatto di me un grande Re,” confessò con solennità.

Hajime sbatté le palpebre un paio di volte, poi sorrise. “Ed io ti avrei amato anche se non avessi fatto di me un grande uomo.”

Si baciarono e sorrisero con le bocche premute le uno contro le altre.

“Mamma!” Chiamò la vocetta del loro Principe da poca distanza. “Papà!”

Entrambi si voltarono: Tobio era alla testa di un piccolo esercito di Cavalieri in evidente difficoltà. Takahiro ed Issei imprecavano, di Shinji si vedevano solo le braccia sollevate e Shigeru era rimasto indietro a cercando di convincere Kentaro a camminare.

Hajime sospirò e porse la mano al suo consorte. “Andiamo?”

Tooru l’afferrò senza esitare. “Sì, andiamo.”



Era inverno ed erano ancora felici.



 
   
 
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