“Che cazzo sto facendo?”

Già, cosa cazzo sto facendo? Me lo chiedo da anni ma solo adesso a voce alta. Qui dinanzi allo specchio, osservo la mia figura impomatata. Il completo nero, il papillon, i gemelli al polso.

Sembri un fottuto pinguino.

Lo sono. Mi sono costretto ad un andamento sbilanciato, claudicante e a chiappe strette perchè avevo paura della felicità. Cazzo, è normale. Essere felici non è facile e per esserlo devi patire l'inferno sul serio, ma io mi sono superato.

Non saprei nemmeno trovare un principio alla lunga trafila di errori commessi che mi hanno portato fin qui. O forse sì, ma pensarci fa più male di quanto vorrei.

Ho sempre provato a salvare gli altri e col tempo mi sono illuso di saperlo fare. In tutti questi anni, capisco di aver salvato soltanto me stesso.
Mi sono salvato dalla possibilità di vivere. Mi sono messo in pausa. Ho chiuso i miei sentimenti in una valigia troppo piccola e l'ho spedita lontano.

Tipo in Messico.

Noi Gallagher non brilliamo per azioni ponderate ed io ho una marcia in più nel rovinare ciò che mi fa stare bene. Ancor più in gamba sono nel ferire gli altri. Ho accumulato una lunga serie di combo micidiali che mi hanno costretto in un completo che mi fa vomitare.

Mi prenderei a pugni.

Scuoto il capo afferrando il cellulare.

Non c'è nessuno che io possa chiamare, nessuno a cui possa chiedere aiuto. Nessuno che possa salvarmi.

Sono bloccato nel mio errore a scontare una per una le mie pessime scelte, e mentre sospiro la mia insopportazione in un ennesimo sbuffo avvilito, oppresso dalle lancette che avanzano, mi fermo ad osservare lo sfondo del mio smartphone.

È ironico che tra tante fantastiche immagini proposte dalle tematiche di questo apparecchio io abbia scelto proprio quella che ritrae Playa Del Amor di Cabo San Lucas, no?

No, forse non è ironico ma sottintende più di quanto avrei immaginato. Più di quanto sono stato in grado di ammettere in questi anni. 

Per quanto puoi tenere a freno i tuoi propositi? Fino a quando puoi rinnegare te stesso al cospetto di una fantomatica quanto falsa esistenza migliore?

Fanculo, io non sono questo. Io non sono mai stato tutto questo ma mi sono circondato di persone troppe impegnate a coccolare il loro ego per accorgersene. Compreso Trevor.

Così, faccio quello che avrei dovuto fare da tempo: spalanco le finestre e finalmente libero il mio spirito.

Mentre corro verso l'uscita di questa stupida villa, sorrido. È la prima volta che succede dopo tanto tempo.

Ho contato ogni secondo, di ogni minuto, di ogni ora di questo volo. Tre ore, cinquantatre minuti e ventisette secondi. All'incirca.

Ho immaginato mille e più scenari. Ho sorriso pensando ad un ipotetico futuro.

Il sole, la spiaggia, noi. Cosa cazzo stavo aspettando?

Non credo di essermi mai sentito così felice. Per la prima volta so esattamente cosa voglio. Non sto scappando da qualcosa che mi sta stretto, sto scappando da una vita che non mi sta per niente.
Ho sul serio provato a giocare all'uomo in carriera, con una vita normale e noiosa e non mi è piaciuto.

Io non sono questo.

Io sono un Gallagher e mi prenderò il mio Milkovich.

Quando arrivo all'indirizzo da cui lui mi ha scritto mesi e mesi fa, sono circa le tre e trenta del mattino. È assurdo che io sappia esattamente cosa fare. Non mi sono mai sentito più sicuro di così.

Busso alla porta in modo spasmodico e continuo. Lo faccio fin quando non si accendono le luci all'interno dell'abitazione.

“Son las cuatro en punto, hijo de puta. Qué diablos quieres?”

Apre la porta e guardarlo è tutto quel di cui avevo bisogno.
Devo sembrargli ridicolo, qui sull'uscio, con i capelli sparati in tutte le direzioni, lo smoking ancora indosso e l'espressione di chi perso, si è appena ritrovato.
Ci siamo già trovati in una situazione simile. Lui si è beccato una pallottola in una coscia per colpa mia ma stavolta sarà diverso.

“Ian?”

E' preoccupato ovviamente e titubante. Mi guarda, prima di lanciare uno sguardo oltre la mia figura. Torna a me l'attimo dopo, scuotendo il capo come a chiedermi più notizie di quanto io gliene stia dando. È confuso e lo capisco. Ho giocato più di quanto avrei dovuto con le sue necessità ma adesso so esattamente chi sono e so cosa voglio.

Non dico nulla mentre traffico con il piccolo mazzo di chiavi per liberare il cerchio di ferro che le tiene unite. Quando ci riesco lo guardo con un sorriso immenso. 

Deve credere io abbia perso completamente il senno ed invece non sono mai stato più lucido di così.

Mi chino sulle ginocchia, porgendogli il cerchio del portachiavi come se fosse un anello. Siamo sempre stati bravi ad arrangiare la nostra realtà, a renderla perfetta nonostante i pochi mezzi a disposizione. 

Probabilmente mi prenderà a pugni per quel che sto facendo ma so che ne vale pena. Lui ne è sempre valsa la pena ed ora che l'ho capito, se lo vorrà, possiamo godere di tutte le promesse che ho infranto su quel maledetto confine.

Possiamo riprenderci la nostra vita ed essere liberi ma insieme.

“Mi vuoi sposare?”

A me sembra un'ottima idea.

E a lui?