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Autore: _F2640_    20/01/2018    2 recensioni
Questa one-shot mi è nata per caso in un giorno in cui stavo pensando al personaggio di Larxene: perché non vuole un cuore? Perché non vuole provare emozioni? Cosa la spinge ad affiancare Marluxia?
Genere: Suspence, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Larxene
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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Camminavo sul vialetto di casa mia dritta verso l'entrata come nulla fosse nonostante fossero le tre di notte e pensavo alla scenata dei miei genitori mi avrebbero fatto tra qualche secondo, proprio dopo che avrei aperto la porta: "Devi smetterla di fare così tardi ogni sabato! Non è sicuro per una ragazza come te andare in giro a piedi a quest'ora" mi avrebbero sicuramente detto i miei, facendo costantemente finta che con tutti gli incantesimi elettrici che avevo imparato sarebbe stato meglio che nessuno mi ostacolasse. Ma ovviamente no: io ero, sono e per sempre sarò la loro "piccola e indifesa Arlene"; apprezzavo i miei, ma odiavo che mi trattassero come una quindicenne sprovveduta a ventidue anni. In ogni caso c'era solo da farsi l'abitudine, ormai neanche gli rispondevo male ma mi limitavo a giustificarmi con uno svogliatissimo "scusate, non lo farò più. Promesso" per liquidarli il prima possibile e poter finalmente dormire.

Ma tutto cambiò quella notte. Tutto.

Più mi avvicinavo alla porta più iniziai a notare che c'era qualcosa che non andava.

Era aperta, anzi, la serratura era scassata e aveva segni di artigli, graffi o qualunque cosa fossero nel legno.

Il Cuore mi si fermò per un secondo. Un secondo lungo tutta una vita.

Tirai fuori un piccolo pugnale giallo che portavo sempre con me in caso ci fosse stato il caso di difendermi ed entrai in casa.

Era completamente buia, non vedevo niente né percepivo niente; era come stare nell'Oscurità più assoluta. Non riuscivo a distinguere niente.

Se non due sfere gialle fluttuanti che mi guardavano insistentemente.

Erano parallele tra loro e si avvicinavano sempre più velocemente a me.

Non sapevo cosa fare: qualcosa mi graffiò la pancia, strappandomi la maglietta e facendomi sanguinare; barcollai e il pugnale cadde dalle mie mani. D'impulso lanciai un incantesimo di Tuono verso quelle due sfere, o meglio, ai due occhi di quella creatura orribile, qualunque cosa fosse: un fulmine giallo irradiò la stanza, eliminando la creatura, piccola, tozza e completamente nera. Riuscii a riprendermi il pugnale, mi rialzai in piedi e accesi la luce: il mio salotto era completamente in disordine, tutti i vasi di mia madre erano ormai in frantumi, il nostro ritratto di famiglia lacerato e con la cornice rotta. Ma dei miei nemmeno l'ombra.

Finché non sentii delle urla provenienti dal piano di sopra. Delle urla di donna.

Le urla di mia madre.

Corsi le scale, notando macchie di sangue ovunque, e mi affrettai verso la camera dei miei; dalla foga sbattevo ovunque, ma non importava: salvarli era la cosa importante.

Arrivata in camera loro vidi quelle creature che stavano graffiando mia madre, stipata in un angolino accanto al comodino del letto, ovunque:  la sua camicia da notte era sporca di sangue, i suoi occhi, normalmente azzurri e sereni, iniettati di paura; lei cercava di scalciare e dare ribellarsi, ma era inutile. Corsi verso quelle  tre aberranti creature e iniziai a distrarle per far scappare mia madre: due ne uccisi con un incantesimo, ma quando provai a lanciare un terzo Thundaga mi resi conto di essere stremata, così come se ne accorse quell'essere: insistette con il suo assalto, e cercavo di parare i suoi colpi col pugnale,  ma era tutto inutile. Scalciavo, urlavo, ma niente, quell'aborto oscuro continuava a torturarmi.

Finché non sentii il suo peso svanire dal mio corpo.

Mio padre, anche lui pieno di tagli e ferite, lo aveva colpito attirandolo su di sé; la creatura iniziò a graffiarlo, finché mio padre non ce la fece più: i suoi occhi diventarono vitrei, e morì. La sua mano era distesa verso di me, come a dirmi "Ti voglio bene. Per sempre".

Provavo un misto tra disperazione, angoscia, ansia e tristezza. Ma in quel momento ero rabbiosa.

Mi alzai e nonostante le ferite e tutto il sangue che avevo perso ripresi il coltello e mi avventai sulla creatura, iniziando ad accoltellarla finché non svanì nell'Oscurità.

Corsi verso  mia madre, che era arrivata fino al corridoio lasciando una scia di sangue dietro di sé. Non ce l'aveva fatta.

Iniziai a piangere. A dirotto.

Non potevo perdere i miei genitori.

Ma non ebbi nemmeno il tempo di iniziare a  disperarmi che una di quelle creature mostruose apparve davanti a me e puntò dritta al mio cuore.

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Mi  svegliai in preda al panico e all'ansia, evocando i miei otto pugnali d'istinto. Lì non c'era nessuno, solo io e qualche mobile grigio come tutto il Castello Che Non Esiste.

Mi accorsi che stavo piangendo.

No.

Non volevo un Cuore.

Non avrei avuto la forza di soffrire ancora.

   
 
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