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Autore: Lumen Noctis    21/01/2018    2 recensioni
Goro Akechi sta indagando su un caso in apparenza molto semplice ma che è destinato, forse, a diventare un punto di svolta nella sua futura carriera di investigatore. Incastrato dalla necessità di mantenere il proprio anonimato, si ritrova a metter piede per la prima volta dopo anni nel bar Crossroads di Shinjuku. Ciò che qui vi troverà sarà molto più di quello che inizialmente si aspettava: un compromesso, delle nuove conoscenze e alcune nuove parole che gli avrebbero tolto il sonno per i giorni a venire.
Genere: Mistero, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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★ IniziativaQuesta storia partecipa al “Neon Lights” a cura di Fanwriter.it!
★ Numero Parole: 4634.
★ Prompt: Neon 48. "Find what you love and let it kill you".
★ Note dell'autrice: so di non avere il dono della brevità e la mia passione per l'analisi dei personaggi alla fine mi ha portata a rendere quella che avevo pensato come una One Shot una fiction a più capitoli. Non so se sono riuscita a rimanere completamente in tema, perché la scritta al neon non è il nucleo centrale di questo capitolo, tuttavia rappresenta uno snodo di riflessione che tornerà più volte nel corso della storia. Detto ciò, auguro buona lettura a tutti e spero che il racconto vi piaccia!

 


Il caso dei gemelli Ikariya

- e ciò che accadde nel mentre al giovane detective Goro Akechi -

 

Capitolo 1.

Il bar Crossroads di Shinjuku non era cambiato molto nell’arco di quei due anni in cui non vi aveva più messo piede. Lala-chan aveva investito parte del ricavato di anni per ampliarlo, ma lo stile era rimasto lo stesso. Luci basse, qualche scritta al neon in più, bottiglie di alcolici in vetri opachi e colorati che adesso poteva bere ma ai quali non era comunque interessato. Infine c’era la musica, emessa dal giradischi  posto in un angolo vicino l’ingresso. Non ricordava per quale ragione si fosse recato in quel luogo la prima volta, quando frequentava il suo terzo anno di liceo - l’unica cosa certa era che anche allora era in cerca di una persona, la stessa di quella sera.

La porta si chiuse alle sue spalle facendo tintinnare il campanello, ma finché non mosse i primi passi verso il bancone nessuno diede segno di aver notato la sua presenza. Diverse persone occupavano un posto sugli sgabelli, bevendo e scambiando chiacchiere tra loro o con il ragazzo dai capelli corvini dall’altra parte del banco. A giudicare dall’abbigliamento, doveva trattarsi di un part-timer. In fondo alla sala, Lala-chan intratteneva gli ospiti seduti ai tavoli passando dall’uno all’altro. Probabilmente domandava a ciascuno come stesse procedendo la serata, se volessero ordinare altro da bere o da mangiare, e forse con qualche cliente abituale si fermava a parlare anche del più e del meno. Indossava un kimono tradizionale viola con ricami di fiori, il solito ventaglio stretto tra le mani e chiuso, per il momento, ma pronto ad aprirsi qualora fosse stato utile alla scena.

Il ragazzo fece qualche passo avanti, sfilando accanto ai clienti seduti al bancone finché non individuò la figura snella e vestita di scuro di Ichiko Ohya, la persona per la quale si era disturbato a compiere tanta strada. La raggiunse, superando Lala-chan, che lo salutò con un leggero inchino della testa, al quale lui rispose educatamente. Senza che fosse necessario un suo incoraggiamento, si andò a sedere sullo sgabello libero accanto ad Ohya. Lei non si rese subito conto della sua presenza, impegnata a fissare il contenuto del suo bicchiere con un mezzo sorriso stampato sulle labbra. Il ragazzo poggiò la propria ventiquattrore sul banco e si schiarì la gola.

«Ohya-san.»

La donna si voltò, il suo sguardo scivolò prima sulla valigetta, poi su di lui. Nel momento in cui lo riconobbe, il suo sorriso si allargò, con una punta di spavalderia e cattiveria malcelata.

«Akechi-kun, ma che piacere!» sventolò il bicchiere davanti al viso prima di portarlo alle labbra e bere quel che ne restava all’interno, «Un brindisi al mio prossimo articolo, che grazie a te sarà una vera bomba. Oh, non so come potrei mai sdebitarmi.»

«Proprio di questo sono venuto a parlarti, Ohya-san. Del contenuto dell’articolo,» iniziò lui cercando di mantenere la voce il più calma possibile.

«So cosa stai per chiedermi, ragazzo, e la risposta è no.»

«Lei non si rende conto di quello che sta facendo, non può rivelare questa informazione e renderla di pubblico dominio,» si mosse nervosamente sullo sgabello, tenendo le mani guantate in grembo e stringendole forte tra loro per la tensione. Ohya l’osservò dall’alto al basso con quel sorriso beffardo che non accennava a volersene andare.

«Ma non si tratta forse di dichiarazioni sotto falso nome, caro il mio ispettore?» iniziò la donna, prima di voltarsi e fare un cenno al cameriere per farsi portare un altro bicchiere. «Tutto ciò che faccio è portare la verità alla luce. Il bonus è che una notizia così strabiliante potrebbe avvicinare la prospettiva di una promozione, ah!»

Ohya cinguettò soddisfatta, come se fosse stato il giorno più bello della sua vita. Nel frattempo, il ragazzo dai capelli corvini che lavorava dietro al bancone si era avvicinato per poggiare un nuovo bicchiere pieno di brandy di fronte a lei. Akechi non stava prestando molta attenzione a ciò che avveniva al di fuori della discussione, troppo impegnato a cercare un modo per far cambiare idea alla giornalista, quando si sentì chiamare.

«Chiedo scusa, desidera ordinare qualcosa?»

Akechi alzò gli occhi, ritrovandosi ad osservare il viso del ragazzo, illuminato da due iridi di un grigio chiaro che lo guardavano con calma e gentilezza.

«Ah, non saprei… li preparate i caffè, qui?» domandò, un po’ sorpreso e deciso a ripiegare sulla cosa più semplice che conoscesse. Avrebbe ordinato volentieri una camomilla per calmare la tensione, ma non gli sembrava il caso di chiedere. Il ragazzo gli sorrise affabilmente e annuì.

«Certo, ci penso io. Può scegliere tra lungo, ristretto e macchiato.»

«Lungo, per favore.»

«In arrivo tra cinque minuti.»

Così dicendo, il ragazzo aggiustò l’orlo della manica sinistra, poi anche quello della destra mentre si voltava e andava via. Akechi tornò a guardare Ohya, che continuava a tacere col sorriso sulle labbra e lo guardava con aria di sfida, perfettamente consapevole di tenere il coltello dalla parte del manico. Purtroppo non esisteva una legge che potesse tutelare la situazione in cui Akechi si trovava, e il ragazzo sapeva di dover trovare da solo una via di uscita.

«So cosa sta pensando, Ohya-san,» riprese senza demordere, «Ma è stato lo stesso sovrintendente generale ad approvare questo espediente, al fine di tutelare la mia vita privata e tenerla separata da quella lavorativa.» Se fosse stato necessario avrebbe volentieri inventato qualche informazione per convincere Ohya, ma era abbastanza sicuro che la donna gli fosse stata alle costole per giorni e avesse avuto tempo a sufficienza per informarsi sulle normative che potevano sostenere il suo futuro articolo bomba. Ingannarla non sarebbe stato possibile.

Poggiando il bicchierino sul banco, Ohya si chinò verso di lui e piegò al testa di lato, per poggiarla sul palmo della mano destra.

«Quello che decide il capo della polizia metropolitana di Tokyo non mi interessa. Non sto per rivelare segreti di stato che potrebbero compromettere la sua posizione, ma la vera identità del detective più acclamato del web, il nostro brillante Corvo, Goro Akechi.» La giornalista si lasciò andare ad una risata compiaciuta e bevve un altro sorso, mentre lui taceva con uno sguardo impassibile, reprimendo l’impulso di metterle una mano sulla bocca e farla tacere. Se avesse continuato ad urlare in quella maniera non sarebbe stato necessario pubblicare un articolo, perché già mezza Tokyo avrebbe saputo il suo segreto. Ohya tamburellò brevemente con le dita sul bancone. «I poliziotti non potranno fare altro che dirti “mi dispiace, amico” ed è tutto quello che posso dirti anche io. Sorry not sorry, te ne farai una ragione e la tua vita andrà avanti. Prova a vederla così, ti sto facendo un piacere, la tua popolarità salirà alle stelle e magari ti troverai una ragazza.»

«Va bene,» fece il ragazzo, premendosi due dita tra gli occhi e massaggiandosi l’attaccatura del naso, «Potrà non interessarle ciò che dice il sovrintendente generale, ma non ha nemmeno un po’ di pietà per me?»

«Ah, ah,» rispose l’altra scuotendo la testa, «Nemmeno un po’.»

In quel momento Goro vide il cameriere avvicinarsi. Si affrettò a metter via la ventiquattrore, che fu presto sostituita sul tavolo da un piccolo piatto bianco, con sopra la sua tazza di caffè e un cucchiaino. Il tutto fu poggiato con grande cura.

«Ecco a lei. Ah, desidera dello zucchero?» il ragazzo dagli occhi magnetici non faceva altro che sorridergli e Goro avrebbe voluto poter essere di un umore migliore per ricambiare la gentilezza.

«Sì, per favore.»

Questi annuì e rovistò negli scomparti del bancone, che dal lato dei clienti non erano visibili, ma dai suoni che raggiungevano le sue orecchie Goro immaginò che vi fossero diversi cassetti, probabilmente piccoli e usati per contenere spezie e dolcificanti di sorta. Infine, il ragazzo ne tirò fuori due bustine, una nera e bianca e una dai colori più marroncini. Le poggiò entrambe sul piatto accanto alla sua tazza. «Non sapendo quale preferisce, le lascio entrambi.»

«Akira-kun!» fece improvvisamente Ohya allungando un braccio verso di lui, come se si fosse appena risvegliata da una trance. Sia Goro che il ragazzo sobbalzarono, colti alla sprovvista, e quest’ultimo osservò la mano di Ohya senza muovere un muscolo. Lei semplicemente l’allungò ancora un po’ per arrivare a spettinargli i capelli e scoppiò a ridere, il rossore sulle sue guance un po’ più vivo di prima. «È così bello rivederti lavorare qui dopo così tanto tempo. Sono così felice che ti sia trasferito di nuovo a Tokyo e che Lala-chan ti abbia ripreso come part-timer.»

Goro sospirò, innervosito dal fatto che Ohya lo stesse volontariamente ignorando, dando per scontato che il loro discorso fosse finito. Il modo in cui marcava le parole per sottolineare quanto fosse contenta, inoltre, aveva un che di esagerato. Mentre il cameriere commentava qualcosa di irrilevante sugli studi che aveva appena iniziato e per i quali era tornato nella grande metropoli, Goro esaminò le bustine di zucchero che gli erano state offerte. Quella marrone conteneva dello zucchero di canna, l’altra zucchero fino. Senza pensarci troppo, scelse la prima e ne versò tutto il contenuto nel caffè, osservando con piacere il modo in cui ogni granello cadeva e affondava nel liquido scuro. L’odore che saliva dalla tazzina in chiare scie di calore era inebriante.

Questo non farà bene ai miei nervi.

«Ora è meglio che io vada, alcuni clienti sono rimasti soli e non voglio farmi sgridare. Inoltre, ho la sensazione di aver interrotto una conversazione importante poco fa,» Goro alzò gli occhi verso il cameriere, che a sua volta spostò lo sguardo da Ohya a lui e sorrise nuovamente.

«Ah, non curarti di lui, non abbiamo più niente da dirci.»

«Se devo esser sincero, a me sembra il contrario,» con un leggero cenno della testa, si congedò per spostarsi poco più in là e lasciando Ohya delusa, con un broncio stampato in viso. Lei lo seguì con lo sguardo e infine sospirò. Quando si voltò verso Goro, lo trovò che faceva fatica a trattenere un sorriso.

«Qui qualcuno è innamorato,» fece semplicemente. Ohya fu colta da un rossore improvviso agli zigomi e Goro nascose un sorriso soddisfatto dietro la tazza di caffè, prendendone un primo sorso. Non ci stava pensando in quel momento, ma fu costretto a concentrarsi sul sapore intenso del caffè nel momento in cui le sue papille gustative reagirono, tutte positivamente. Era denso, ma non concentrato. Inoltre, l’aroma aveva qualcosa di esotico, non assomigliava a niente che avesse assaggiato prima e ne rimase rapito.

«Ehi, mi hai sentito?» si sentì richiamare dalla voce turbata della giornalista, «Come ti permetti di dire una cosa del genere? Non hai rispetto per chi è più grande di te?»

Il ragazzo sorrise affabilmente, ma era inebriato dalla consapevolezza di aver appena colpito un punto debole di Ohya. «Oh, ma non ho detto niente di irrispettoso. Aspiro a diventare un criminologo professionista, saper leggere le persone è una capacità necessaria al mio lavoro. E poi, dovremmo andare d’accordo su questo, tutto ciò che faccio è portare la verità alla luce.»

Mentre parlava, improvvisamente gli venne un’idea. La presa delle dita di Ohya sul bicchiere di brandy si fece ferrea. Guardò Goro come se gli stesse lanciando coltelli dagli occhi, ma alla fine ripiegò sul bicchiere. Ne buttò giù il contenuto tutto d’un fiato, poi lo riappoggiò energicamente sul banco.

«Touché,» disse mentre si passava la lingua sulle labbra, come se avesse appena accettato una sfida, «Devo ammettere che sei un ragazzo competente.»

«Proprio perché lo sono posso anche affermare qui di fronte a lei che pubblicare un articolo sulla vera identità del Corvo non gioverebbe alla sua carriera a lungo termine.»

Ohya storse il naso, visibilmente non convinta né colpita, «Perché mai dovrebbe essere come dici? Questo articolo darà una svolta decisiva alla mia carriera.»

Goro sollevò un dito in aria: «È qui che si sbaglia, Ohya-san. Certamente, all’inizio sarebbe una grande soddisfazione per lei essere conosciuta da tutti come la giornalista che ha scoperto la verità sull’anonimo detective giapponese, ma poi?» Ohya sbatté gli occhi confusa, come se non riuscisse a capire dove il ragazzo volesse andare a parare.

«Poi si scatenerebbe la concorrenza,» spiegò lui, «Non sareste più l’unica a conoscere la sua identità. Tutti i giornalisti interessati al caso si farebbero avanti per essere i primi ad estorcere da lui più informazioni possibile. Forse i vostri superiori vi complimenterebbero per un po’, ma poi… passerebbero lo scoop nelle mani dei soliti favoriti, non è così?»

Ad ogni sua parola, lo sguardo di Ohya si faceva più tenebroso, come se un velo scuro le stesse calando sul viso. In un gesto involontario, aveva corrugato la fronte e si mordeva le labbra. «Sì, è così. Come ho fatto a non pensarci?»

Goro si sentì come se avesse appena segnato un gol ai mondiali. Soddisfatto e col cuore che batteva a mille, portò un altro sorso di quel caffè alle labbra. Lo stato confusionale di Ohya di fronte a lui, tuttavia, non durò a lungo. La donna ne uscì con uno scatto, battendo un pugno sul tavolo, «Ma questo non cambia niente, non posso farmi sfuggire un’occasione simile. È sempre meglio che non avere nulla tra le mani. Mi dispiace ragazzo, eri quasi riuscito a convincermi.»

«Non riesce proprio a pensare a una soluzione più conveniente?»

«Conveniente per te, senza dubbio. Per me, non c’è meglio di questo.»

«Ed è qui che sbaglia per la seconda volta.»

Ohya sbuffò senza nascondere la propria frustrazione. Adesso anche Goro aveva smesso di giocare, si era preso la rivincita emotiva, ma era giunto il momento di parlare dello snodo più importante. «Quello che ho pensato è quanto segue. Invece di pubblicare un articolo che riveli la sua identità, lei potrebbe diventare l’unica giornalista in grado di scoprire e divulgare informazioni di prima mano sui casi e sulla vita privata del Corvo, entro certi limiti ovviamente.»

«E tu saresti il mio informatore…» concluse lei pensosamente.

«Ovviamente, chi altri?» sorrise, portando alle labbra la tazza di caffè e bevendo quello che ne rimaneva. Quando l’ultima goccia gli scivolò tra le labbra, guardò il fondo della tazzina, interdetto dal fatto che fosse già finito. Ohya, che aveva smesso di mordersi le labbra, uscì dai suoi pensieri e lo guardò con una nuova luce negli occhi.

«In pratica potrei scrivere più di un articolo al riguardo e mantenere l’esclusiva. Dovremmo inventarci, appunto, la figura dell’informatore, perché se avessi un contatto diretto con il nostro ace detective i miei superiori senza dubbio mi presserebbero per farmi rivelare il suo nome. Se si tratta di un informatore, magari anonimo, di cui nemmeno io conosco l’identità, nessuno potrebbe dirmi niente. E se il vero Corvo potesse testimoniare la veridicità dei miei articoli pubblicando online qualcosa sul suo blog personale, sarebbe ancora meglio. Sì, ottimo, è fantastico.» La donna stava andando avanti come un treno, rimuginando parole su parole. Era un fiume in piena che straripava, pronto a travolgere una diga. «E poi, vuoi aggiungere il fatto che alla figura misteriosa del detective si aggiunge anche quella ancora più sconosciuta dell’informatore?»

Goro non avrebbe mai immaginato di sortire una reazione così entusiasta. Senza dubbio quando gli era venuta l’idea aveva pensato che potesse essere la sua carta vincente, ma il risultato eccedeva l’aspettativa. I due si guardarono in silenzio per un attimo. L’animosità che illuminava gli occhi di Ohya era chiaramente quella di chi aveva appena trovato nel proprio nemico il migliore alleato. O forse più che nemico avrebbe fatto meglio a dire vittima. Brutte bestie i giornalisti.

«Allora, è un accordo?»

Con un sorriso a metà tra il compiaciuto e il sollevato, nascose il disprezzo che sentiva montare in fondo allo stomaco e tese la mano destra verso Ohya, rimediando solo alla fine all’istinto di dare la sinistra. La donna ghignò soddisfatta e la strinse energicamente. «È fatta, mi hai convinta. Adesso vedi di non venire meno alla tua parola o sarà peggio per te.»

«A tal proposito…»

«Oh, vedo che tutto è bene quel che finisce bene,» la voce profonda di Lala-chan s’intromise, anticipata unicamente dalla presenza troneggiante della sua figura. Con un modo di fare civettuolo che si addiceva benissimo al suo personaggio, agitò il ventaglio davanti al viso e si chinò su di loro, «Non per niente ragazzi, ma l’atmosfera negativa che avete emanato finora rischia di farmi cattiva pubblicità. Sapete, le influenze negative si percepiscono anche se non si capisce quello che state dicendo e qualche cliente è giù da un po’ che mi e vi lancia occhiate infastidite.»

Goro sentì il sangue gelarsi nelle vene per l’occhiata di avvertimento che gli fu lanciato da Lala-chan. Anche Ohya ammutolì. Dopo che ebbe passato lo sguardo dall’uno all’altra un paio di volte, alzò un sopracciglio come a domandare se fosse stato abbastanza chiaro. I due annuirono e dissero all’unisono: «Sissignore!»

Con un gesto secco il proprietario richiuse il ventaglio e si allontanò, iniziando a canticchiare la melodia che passava di sottofondo dal giradischi. Quando fu abbastanza distante, Ohya si lasciò andare ad una risata leggera e tornò a guardare il ragazzo, che al contrario si sentiva stanco e stremato.

«Dai, ti offro un drink,» propose lei, «Festeggiamo alla nostra collaborazione!»

«Oh, no. Non bevo alcol, grazie. Ma partecipo emotivamente.»

«Che tristezza, non bere alla tua età. Ora capisco perché non sei ancora fidanzato, Akechi-kun.»

«Forse è perché beve così tanto che anche lei non è fidanzata, Ohya-san,» rispose senza grande entusiasmo Goro, mentre si alzava dallo sgabello e stiracchiava le gambe intorpidite. Vedendo l’ombra di un’obiezione in fondo allo sguardo della donna, la anticipò: «E non mi dica che non ho il diritto di dirle cose del genere solo perché non la conosco. D’altro canto, nemmeno lei mi conosce.»

In breve tempo, il cameriere di prima si affacciò di nuovo dalla loro parte del bancone, rispondendo al richiamo di Ohya, che sbuffò in faccia a Goro e si voltò verso di lui per ordinare qualcosa per sé. Goro si chiese per quanto ancora la donna avesse intenzione di restare lì a bere e se davvero le informazioni che teneva con sé fossero al sicuro. Se qualcuno avesse rubato le prove che aveva per incastrarlo, si sarebbe trovato in guai ancora più seri, ma decise di rimandare l’argomento a un altro giorno. Non voleva rischiare di ritrattare dall’inizio il loro accordo richiedendo la cancellazione del materiale. Per un momento, si ritrovò a ringraziare l’intervento provvidenziale di Lala-chan.

«Se ne sta andando?» la voce del ragazzo dall’altro lato del banco lo richiamò. Goro uscì dai propri pensieri e sorrise istintivamente come faceva sempre, in maniera un po’ falsa - e subito se ne dispiacque, ma ormai era troppo tardi. Fece cenno di sì, poi si chinò a recuperare la propria borsa da terra.

«Hai ragione, devo ancora pagare.»

L’altro fece un cenno in aria come a dire che non era quello il punto. «In realtà mi dispiace che sia rimasto così poco. Ma prego, mi aspetti alla cassa, sarò lì tra un momento,» così dicendo si allontanò per dedicarsi all’ordinazione. Voltandosi verso Ohya, Goro tirò fuori il proprio telefono dalla tasca della giacca.

«Credo sia il caso di scambiarci i contatti e i nostri ID.»

«Ah, ma certo,» fece lei affrettandosi a prendere il cellulare. Impiegarono poco tempo a compiere l’operazione e fecero anche un tentativo di chiamata per assicurarsi che fosse tutto a posto. Poi si diedero un appuntamento telefonico per il giorno dopo e finalmente Goro si sentì libero di andarsene.

Raggiunta la cassa, che si trovava all’estremità del bancone più vicina alla porta di uscita, vide che era ancora vuota e si appoggiò al tavolo. Per ingannare l’attesa, diede un’occhiata in giro. La musica che proveniva dal giradischi era più forte qui, perché vi si era fatto più vicino. Era una melodia jazz che Goro non avrebbe saputo datare, ma che gli stava piacendo molto. Per un attimo pensò di usare shazam per individuare il brano, poi ricordò di aver disinstallato l’app poco tempo addietro e non aveva voglia di andare a cercare Lala-chan in quel momento.

Sulla parete alle spalle della cassa, un po’ spostata verso destra, per la prima volta da quando era entrato notò la presenza di una scritta al neon che doveva essere di nuovo acquisto. Difficilmente avrebbe dimenticato una scritta simile, che recitava in inglese, su quattro righe diverse: “Find what you love and let it kill you”.

«Trova ciò che ami e lascia che ti uccida,» tradusse a bassa voce nella propria lingua, curioso di sentire in che modo una frase simile gli sarebbe scivolata in bocca. Per qualche motivo, non gli dispiacque, ma non provò nemmeno un grande turbamento. Quando il cameriere lo raggiunse, lo trovò intento a rileggerla.

«Le piace la scritta?» domandò mentre premeva i primi tasti sulla cassa. Goro si chiese se il ragazzo avesse il passo felpato di un gatto o se fosse lui ad essere troppo distratto quella sera. Senza dubbio doveva trattarsi una persona socievole, se riusciva ad attaccare bottone con quasi tutti i clienti del Crossroads. O forse, una persona molto intuitiva e brava ad osservare. Così su due piedi, Goro non era in grado di giudicare.

«Sì, la trovo interessante, e il colore si intona bene al locale.»

Il ragazzo annuì. «E cosa vi trova di interessante?»

«Credo che sia un po’ estrema… Ma l’amore può essere estremo, a volte.» Nel momento in cui la macchinetta iniziò a stampare il foglio dello scontrino, Goro si domandò quale fosse il nome del ragazzo di fronte a lui. Ricordava Ohya che l’aveva salutato chiamandolo per nome prima, ma lui non vi aveva prestato attenzione. Forse era qualcosa di simile ad Akira, che sembrava combaciare col suo ricordo sfumato, tuttavia non poteva rischiare di fare brutta figura. Per non parlare del fatto che non conosceva il suo cognome.

«Ecco a lei,» disse il ragazzo porgendogli lo scontrino.

«Non c’è bisogno che mi dai del lei,» trovò finalmente il coraggio di dire. Comprendeva l’educazione necessaria al rapporto tra impiegato e cliente, ma loro due erano probabilmente coetanei e tanta formalità l’aveva messo in imbarazzo fin dall’inizio.

«Oh, va bene,» esclamò l’altro in maniera spontanea, poggiando i gomiti al bancone e la testa sulle mani chiuse. Dondolava un po’ sul posto. «Mi presento come si deve. Il mio nome è Akira Kurusu, solo Akira va bene. Piacere mio.»

Goro non fece nemmeno in tempo a sorprendersi dell’improvviso salto di confidenza che molte delle monete che aveva in mano gli caddero a terra per la distrazione. «Ah, accidenti… Tranquillo, faccio io.»

Ma il ragazzo - Akira, ricordava bene! - si era già mosso e si era chinato a terra al suo fianco. Quando le ebbero raccolte tutte, Goro contò le monete che mancavano e le lasciò nelle mani dell’altro. Questi sorrise e tornò dietro la cassa, premendo qualche pulsante e aprendo il cassetto, dove fece scivolare il ricavato.

«Il mio nome è Goro Akechi, comunque.»

«Sì, mi sembrava di aver sentito così, prima.»

Improvvisamente un pensiero gelido gli scivolò nella mente. Cercando di nascondere il nervosismo, si fece più vicino alla cassa e il tono della sua voce si abbassò notevolmente. «Scusami se te lo domando, ma… quant’è esattamente che hai sentito della conversazione tra Ohya-san e me?»

Akira evitò il suo sguardo per la prima volta, «Abbastanza, ma non è stato intenzionale.» Goro pensò che avrebbe voluto dare una capocciata al muro, svenire e ritrovarsi in ospedale con un’amnesia permanente piuttosto che dover affrontare la situazione. Un sospiro gli sfuggì. Akira tornò a guardarlo e sorrise, stavolta era un sorriso molto più timido di quelli precedenti.

«So che la mia parola non vale molto, ma prometto che manterrò il segreto.»

Goro si morse il labbro inferiore, non sapendo che pesci prendere. Al contrario di Ohya, con questo ragazzo non aveva uno straccio di idea per poterlo convincere a non dire niente in giro. Al tempo stesso, sebbene sembrasse sincero, niente poteva assicurargli che avrebbe mantenuto la promessa. Come Akira stesso aveva detto, la sua parola valeva molto poco, dato che erano pressoché estranei l’uno all’altro. Goro si sentì vulnerabile e incapace di difendersi e un lieve accenno di panico iniziò a montargli in fondo allo stomaco.

«Come posso essere sicuro che non appena me ne andrò non tirerai fuori il telefono per raccontarlo, che so, a qualche tuo caro amico, che lo dirà al suo migliore amico e via dicendo?»

«Non puoi saperlo,» rispose l’altro come se fosse la cosa più ovvia del mondo e, in un certo senso, lo era. «Puoi soltanto fidarti di me.»

«Ma non so niente di te. Soltanto che frequenti il primo anno di università studiando, ah, cos’era… sociologia? Che lavori in un bar nel quartiere a luci rosse più frequentato di Tokyo, che il tuo nome è Akira Kurusu e sei bravo a fare il caffè. Tutte cose utili a stilare un profilo solo approssimativo del tuo carattere.»

Akira non disse niente per un poco e Goro si ritrovò a fissare il sorriso a trentadue denti che si era dipinto sul suo viso, domandandosi perché sentisse così caldo tutto d’un tratto. «Sono felice che ti sia piaciuto il caffè.»

Goro sospirò, esasperato. «Forse dovrei aggiungere al tuo profilo che sei dotato di un peculiare senso dell’umorismo.» Akira fece spallucce senza smettere di sorridere e in quel momento arrivò un richiamo verso di lui da Lala-chan. Entrambi colsero i fulmini e le saette nei suoi occhi e non erano indirizzati unicamente al giovane cameriere. Dimostrando coraggio da vendere, Akira fece un cenno per chiedere un minuto in più e gli fu miracolosamente accordato.

«Scusami, devo tornare al mio posto.»

Così dicendo, prese una penna e un post it, scribacchiandovi qualcosa sopra molto velocemente. Lo porse a Goro, che lo prese e lesse a mente i simboli senza davvero memorizzarli. «Il tuo numero, suppongo?»

«Sì. Così se vuoi puoi stalkerarmi liberamente o chiedermi di portarti un caffè in facoltà la mattina.» Goro dovette lanciargli uno sguardo talmente incredulo che Akira si sciolse in una mezza risata. «Stavo scherzando. Quando torni qui per lavorare con Ohya-san, scrivimi e vedrò di riservarvi il tavolo più appartato del locale. È tutto ciò che posso fare, per darti una mano.»

Goro non sapeva davvero come affrontare la piega che stava prendendo la situazione, ma il tempo stava scadendo. Non era nemmeno detto che i due si sarebbero incontrati proprio lì per lavorare ai futuri articoli, si chiese come mai il ragazzo ne fosse tanto certo. Poi pensò che avere il suo numero di telefono sarebbe potuto tornare realmente utile anche per il cosiddetto stalking, inteso in termini di rintracciabilità nel caso avesse davvero provato a diffondere informazioni su di lui.

«Adesso devo andare.»

«Sì,» rispose finalmente, ripiegando il foglietto e infilandolo nella tasca sinistra della giacca. «Scusami per la diffidenza, spero di potermi fidare di te.»

L’altro scosse la testa, «È più che comprensibile. Buon ritorno a casa.»

Così dicendo, fece un cenno di saluto e si allontanò. Goro si prese un attimo per sospirare e processare quello che era appena successo. Di fronte a lui, la scritta al neon rosa continuava a comunicargli messaggi contrastanti che non avevano proprio niente a che fare con la sua vita. Non in quel momento, non quella sera. Probabilmente mai nemmeno in futuro. Sebbene non si sentisse tranquillo, si impose la calma e di ripensarci più tardi una volta rientrato a casa o magari l’indomani mattina. D’altro canto, iniziava a sentire addosso il peso di quella giornata che non voleva saperne di finire. Era stanco di pensare, analizzare, ragionare, trovare una soluzione al prossimo problema, almeno per quella sera.

Dopo un ultimo breve istante in cui si voltò a guardare Akira, Ohya e tutti i presenti nel locale, si mosse, spalancando la porta con il suo tintinnio argentato, e immettendosi nelle fredde strade di Shinjuku.

   
 
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