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Autore: MadAka    21/01/2018    1 recensioni
Audrey è solita prendere la District line a Tower Hill station ogni giorno. Pianista di professione, amante di musica jazz e cinema, trascorre il tempo in attesa ripercorrendo mentalmente note e partiture, allontanandosi totalmente dal mondo reale.
Tower Hill è anche la fermata metropolitana di Peter, in cui prende la Circle line, la linea gialla. Illustratore dalla fantasia contagiosa, divoratore di musica e consumatore di matite, il ragazzo trascorre il tempo alla stazione con gli auricolari inforcati, riempiendo con le note di Bastille, Coldplay e OneRepublic il mondo intorno a sé.
Proprio la musica o, in questo caso, la sua assenza, sarà causa dell'incrociarsi delle loro strade in quella sconfinata metropoli che è Londra.
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"La vita è un viaggio solitario. Ma con un po' di fortuna trascorri gran parte di essa con la giusta compagnia."
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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C’era un inspiegabile profumo di vaniglia fuori dal Menier Chocolate Factory. Audrey se ne accorse appena mise il primo piede oltre l’ingresso laterale del teatro, quello che consentiva l’accesso direttamente alle quinte. La ragazza inspirò quell’odore, lo sentì solleticare la sua fantasia e la sua memoria – la moltitudine di ricordi racchiusa nel profumo della vaniglia – infine si avviò a passo sicuro lungo Southwark St. in direzione del London Bridge.

In quell’inizio di marzo la ragazza, una giovane di quasi ventisette anni, una crocchia di capelli castani chiarissimi e perennemente spettinati, camminava stringendosi nelle spalle, nella speranza di riuscire a sfidare al meglio la fredda brezza che saliva dalle acque del Tamigi. Sotto il cappotto rosso, le forme del suo corpo scomparivano, nascondendo a tutti le braccia lunghe e il seno piccolo.

Mentre camminava verso la fermata della metropolitana, Audrey ricominciò a ripetere mentalmente i passaggi della canzone che stava imparando. Ripassò con attenzione ogni singola nota, mentre le dita si muovevano istintivamente a ripercorrere la superficie dello strumento.

Le piaceva quella canzone, moltissimo. Le fu inevitabile sperare che il giorno dello spettacolo arrivasse presto, sebbene fosse consapevole mancassero ancora alcuni mesi alla prima.

Audrey lavorava come pianista nell’orchestra del Menier Chocolate Factory, un teatro storico vicino al London Bridge. Suonare in quell’orchestra non era come suonare per la London Symphony Orchestra, ma a lei piaceva ugualmente moltissimo. La ragazza amava suonare il pianoforte e bastava quello a renderla felice: il luogo in cui si esibiva passava sempre in secondo piano. Inoltre le piaceva particolarmente il Menier, così come le strade che doveva percorrere per andare alla fermata della metropolitana.

Ogni giorno, alle diciassette, Audrey usciva dal teatro, al termine delle prove, si incamminava per raggiungere la Tube, alla stazione di Tower Hill e prendere la metro verde, la District line, per tornare a casa. Ciò significava percorrere a piedi un tragitto di venticinque minuti ogni sera, che la ragazza si sarebbe potuta tranquillamente evitare servendosi della fermata di Monumets, che era a metà strada. Per svariato tempo, quest’ultimo era il tragitto che aveva compiuto ogni giorno, tuttavia, da ormai un mese, Audrey preferiva i venticinque minuti a piedi per salire sulla metro a Tower Hill station.

Il motivo era uno soltanto e, dopo che esso aveva fatto la sua comparsa, nulla sarebbe stato un grado di far cambiare il nuovo percorso della ragazza.

All’ingresso della stazione metropolitana di Tower Hill, subito dopo i tornelli di accesso, nell’ampia sala che si apriva sulle diramazioni dei corridoi sotterranei, era stato collocato un pianoforte, accessibile a chiunque avesse voluto suonarlo.

Era uno splendido pianoforte verticale, laccato di nero, trattato con cura dai frequentatori della stazione metropolitana, inclusi quelli che ci si sedevano solo per suonare melodie improvvisate. A differenza di questi ultimi, Audrey sapeva bene cosa comporre sui tasti di quello strumento e ogni giorno, prima di prendere il treno e tornare a casa, si fermava al piano a suonare la stessa canzone di sempre.

City of Stars, dal film La La Land. La ragazza aveva studiato una sua personale versione da pianoforte, particolarmente fedele all’originale – a detta delle sue amiche. Aveva composto il brano ascoltando e riascoltando la canzone sui video di YouTube, scrivendo le note e gli accordi su fogli pentagrammati. L’aveva corretta un’infinità di volte, fino a che non aveva ottenuto il risultato più soddisfacente, quello che suonava ogni sera alla fermata di Tower Hill.

Quella canzone non la stancava mai. Si era innamorata della pellicola dopo la prima visione e la colonna sonora l’aveva totalmente stregata, al punto che la conosceva a memoria. C’era qualcosa di unico in quel film, qualcosa che la ragazza riusciva solo marginalmente a spiegare. Si rivedeva in entrambi i personaggi, nell’amore per la musica di Sebastian e nel velato umorismo di Mia, così come si era rivista in entrambi nel loro inseguire la propria passione.

Forse anche per tutti quei motivi diversi le risultava tanto semplice sedersi al piano di Tower Hill station e suonare City of Stars ogni giorno, senza che quella canzone la staccasse.

Superò il London Bridge sovrappensiero, ancora ripetendo nella propria testa le note dell’ultima canzone che stava imparando. Si infilò nello sciame continuo di persone, londinesi e non, che proseguiva a passo spedito in direzione della Tube con la disinvoltura di chi si muove continuamente in quell’ambiente.

Audrey paragonava spesso la metropolitana di Londra a un gigantesco formicaio. Centinaia di persone entravano o uscivano dagli accessi con totale sicurezza, in fretta, senza neanche badare a quello che dovevano fare. Strisciavano le loro Oyster card sui lettori e superavano i tornelli senza neanche rallentare.

Anche la ragazza era una di queste persone, specie quando ripeteva mentalmente i passaggi di una canzone. Non si fermava neanche per cercare la tessera, la estraeva dalla tasca pochi istanti prima di arrivare all’ingresso della metropolitana e superava i controlli d’accesso mantenendo il passo stabile. Poi, dopo aver sceso le scale mobili mantenendosi sulla destra, intravedeva finalmente il pianoforte nella sala e, subito, accelerava.

Come aveva la fortuna di capitarle spesso, anche quel pomeriggio a sedere al piano non vi era nessuno. Di rado Audrey aveva dovuto aspettare per poter suonare. Dal momento che, secondo quanto riportato dai giornali, l’idea di posizionare quello strumento alla fermata della metro aveva riscosso notevole successo, era probabile che l’assenza di persone a suonare fosse legata più all’orario. Tuttavia, la ragazza non si era mai interrogata più del dovuto a riguardo e non iniziò a farlo quel giorno.

Raggiunse con passo deciso il pianoforte verticale, facendo scorrere rapido lo sguardo sul cartello che era apposto sopra la cassa da sempre: "Play me. I’m yours".

Si sedette allo sgabello, posò in grembo la borsa, fece scivolare le dita agili sui tasti fino alle note giuste e si isolò.

Si isolava sempre dal mondo esterno quando suonava, era così da che la ragazza ne aveva memoria. Quando si concentrava e iniziava a comporre le prime note su una tastiera, qualsiasi essa fosse, il mondo intorno scompariva e restavano solo lei, il suo strumento e la musica. Nulla era in grado di catturarla più della musica.

Sebbene fosse stata alle prove dell’orchestra – esattamente come ogni altro giorno precedente a quello – aveva ancora voglia di suonare e niente le avrebbe impedito di farlo.

In mezzo al via vai di persone, al rumore di passi concitati, chiacchiere, risate, dello sferragliare dei treni metropolitani, Audrey compose le prime note di City of Stars e lasciò che le altre le seguissero.

Suonò il pezzo come sempre, senza sbagliare una nota, senza temporeggiare un momento. Si lasciò trasportare dalla musica e cantò nella sua mente le parole della canzone.

Appena ebbe finito attese che le ultime note venissero assorbite totalmente dallo spazio circostante, dopodiché si alzò dal pianoforte, si rimise in spalla la borsa e, senza prestare attenzione a chi aveva intorno, si avviò verso la banchina della fermata, in attesa del suo treno della District line.

Il resto del viaggio trascorse esattamente come ogni giorno precedente a quello. Sul mezzo Audrey riuscì a trovare un posto a sedere e attese le otto fermate che la separavano dalla sua. Durante il viaggio ripassò più volte la canzone che stava imparando nella sua mente, osservando distratta le persone intorno a lei che salivano e scendevano a ogni stazione. Quando arrivò il suo turno di scendere, si avviò fuori dalla metropolitana, arrivando in Plaistow Rd., a pochi minuti da casa sua.

Frugò nella borsa in cerca del telefono appena lo sentì suonare, accorgendosi di aver ricevuto alcuni messaggi su WhatsApp da parte di Gwen, una delle violiniste del Menier Chocolate Factory. Appena Audrey si accorse che si trattava di un messaggio vocale di più di tre minuti, sollevò gli occhi al cielo e si lasciò sfuggire un lungo sbuffo. Odiava le note vocali, specie quelle che duravano più di dieci secondi. Se qualcuno aveva tanta fretta di parlarle allora perché non le telefonava?

Ascoltò l’audio, corrugando sempre di più la fronte, infine decise che non avrebbe risposto subito all’amica – più o meno, amica – ma che lo avrebbe fatto con calma dopo, appena fosse riuscita a trovare le parole migliori per non mandarla al diavolo. Rispose con un audio a sua volta, avvicinò il cellulare alle labbra e disse: «Gwen, scusami ma ho proprio dovuto fare una deviazione e adesso non riesco a rispondenti. Appena arrivo a casa lo faccio subito.»

Dopodiché infilò nuovamente il telefono in borsa, lasciandosi sfuggire una leggera imprecazione.

Era arrivata a Chadd Green, un quartiere che non l’aveva mai emozionata più di tanto, ma in cui aveva trovato un appartamento carino, da dividere con il suo migliore amico di sempre: Oliver.

Loro due erano cresciuti insieme e insieme si erano trasferiti a Londra per studiare, finendo poi con il rimanere nella città. Oliver si occupava di comunicazione, lavorava da casa e studiava strategie di marketing per chiunque ne avesse bisogno. Per quanto Audrey non si spiegasse il motivo, il lavoro del coinquilino era particolarmente richiesto e la cosa la sorprendeva sempre molto, soprattutto perché di pubblicità non si era mai interessata.

La compagnia del ragazzo le era sempre piaciuta molto ed era certa che fosse merito suo se lei si trovasse tanto bene in quella casa. Tuttavia, Oliver era prossimo al matrimonio e, Audrey lo sapeva, ciò avrebbe significato separarsi. Mancavano ancora alcuni mesi alla celebrazione, ma lo scorrere del tempo era inesorabile.

La ragazza entrò in casa, l’appartamento al secondo piano, interno cinque e salutò il coinquilino con un rapido saluto, per poi dirigersi in camera sua. Una volta dentro si cambiò i vestiti e si accoccolò sul letto a gambe incrociate, il telefono in mano. Riascoltò l’audio di Gwen e, esattamente come al primo ascolto, le parole della ragazza riuscirono a irritarla. Pensò a cosa rispondere ma non le venne in mente nulla di neutrale, nonostante ci avesse pensato su un po’.

A un tratto sentì bussare alla porta e subito quella si aprì per introdurre Oliver.

«Non vieni a cena?» le chiese.

«Sì, arrivo» replicò lei, distrattamente.

Al ragazzo bastò poco per capire che qualcosa stava irritando l’amica. Conosceva il modo in cui arricciava le labbra e anche la linea che le si formava sulla fronte era piuttosto caratteristica. Si avvicinò a lei, prese la sedia della scrivania e vi si sedette sopra, guardando Audrey.

«Chi ha fatto cosa, questa volta?»

Lei alzò lo sguardo dal telefono. «Gwen» borbottò. «Si sta costruendo mille castelli in aria su cose senza fondamento. E viene da me a sfogarsi. Voglio dire, perché da me? Non siamo neanche così tanto amiche e-»

Oliver la fermò, sollevando una mano prima che lei potesse continuare. «Ci sono buone possibilità che io non abbia la minima idea di ciò di cui stai parlando» le fece notare.

Audrey aggrottò ulteriormente la fronte a quelle parole, allargando le braccia.

«Penso proprio di avertene parlato.»

I due si guardarono.

«Beh, per farla breve,» attaccò lei, «Gwen si sta frequentando con un ragazzo da qualche settimana. Credo che a lei piaccia veramente e ci sono buone possibilità che lui la ricambi. No anzi, ne sono sicura» esclamò. Attese il cenno di assenso dell’amico e ricominciò a parlare: «Il punto è che lei si sta convincendo del fatto che lui ci stia provando con un’altra solo perché lui e questa ipotetica ragazza tornano a casa dal lavoro insieme. Mi ha detto "scommetto che fa così con tutte, ci prova con una e se lei non gliela dà subito passa a un’altra". Ti rendi conto?»

Il ragazzo aprì bocca per parlare, ma si zittì, consapevole di essersi cacciato in un vicolo cieco. Si chiese per quale motivo avesse deciso di fare domande poco prima.

«Ho conosciuto anche io questo ragazzo e sono pronta a scommettere che non è affatto così. Riempie Gwen di attenzioni. Se volesse solo portarsela a letto non si comporterebbe così. E poi lui è uno a cui piace conoscere persone nuove, dialogare, stare in compagnia. Da uno così non ci vedrei niente di strano se tornasse a casa con i colleghi di lavoro. La cosa che mi esaspera di più è il fatto che lei ha incontrato un Sebastian e sta mandando tutto a monte da sola. Se io fossi al suo posto non me lo farei scappare per nulla al mondo.»

Allargò le braccia con fare irritato, dopodiché si disse di darsi una calmata. Davanti a lei, Oliver sorrise divertito.

«La storia del Sebastian» disse lui, iniziando a ridere. Anche Audrey si mise a ridere subito dopo.

La ragazza aveva coniato il termine “Sebastian” dopo aver visto La La Land e aveva cominciato a usarlo in riferimento a quei ragazzi, a quegli uomini, mossi da sani principi, che credevano ancora in cose come l’amicizia, l’onestà e l’amore. Audrey sapeva che la stragrande maggioranza di Sebastian esisteva solo nei film e sapeva che i pochi presenti in natura erano, il più delle volte, già impegnati. Nonostante ciò lei continuava a sperare di riuscire a trovare il suo, l’uomo con cui avrebbe trascorso buona parte della vita. Da inguaribile romanticona qual era, quel suo desiderio non ne voleva sapere di abbattersi di fronte alla realtà.

«Comunque,» prese parola Oliver dopo aver smesso di ridere, «non penso che ti serva a molto farti venire la bile acida per una storia del genere. Di’ alla tua amica quello che pensi» le suggerì.

«Come se non lo avessi mai fatto» replicò lei con ovvietà.

Il ragazzo si alzò dalla sedia e si strinse nelle spalle.

«Allora mandala al diavolo. Se vuole complicarsi da sola la sua non-storia, faccia pure. Per colpa sua i nostri toast si stanno raffreddando.»

«Ci sono i toast?» scattò subito Audrey, che adorava i toast doppio formaggio del suo migliore amico.

Oliver annuì, inarcando il sopracciglio destro, in un’espressione sagace che lo caratterizzava particolarmente; il suo sorriso, poi, contribuì a rendere più luminosi gli occhi celesti.

«Arrivo subito, allora. Dammi il tempo di dire qualcosa di convincente a Gwen» disse Audrey, aprendo la chat di WhatsApp con la ragazza.

Non era tanto il fatto che Gwen chiedesse costantemente consiglio a lei su come comportarsi nella sua frequentazione – nonostante le due ragazze non fossero così unite – ma a infastidire Audrey era il fatto che, nonostante i consigli che continuamente dava, Gwen li ignorasse tutti.

Cominciò a pensare a cosa poter dire, davanti a lei Oliver si avviò per tornare nel soggiorno con angolo cottura. Sulla porta, però, si fermò.

«A proposito di Sebastian» esordì, ricevendo subito l’attenzione della ragazza. «Era un po’ che volevo dirtelo, ma il poster di La La Land vicino a quello di Star Wars, non ci sta molto bene.»

Uscì dalla stanza, senza aspettare una replica. Audrey si voltò verso la parete alle sue spalle, quella contro cui toccava il letto, analizzando i poster in questione. Aveva attaccato le due grandi locandine dei film una accanto all’altra e le adorava entrambe indistintamente. Fece una smorfia in direzione di Oliver, anche se era consapevole che lui non avrebbe potuto vederla. Era camera sua, dopotutto e, inoltre, per lei quei due film uno accanto all’altro ci stavano incredibilmente bene.

 

 

 

__________________

Torno alla carica con una nuova long inedita!

Ciao a tutti e grazie per aver letto questo, nuovo, primo capitolo, che spero vivamente vi sia piaciuto.

Come anticipato, dopo una serie di fanfiction – che non sempre sono andate a buon fine, ahimè – mi ripresento su Efp con un’originale, nella speranza di aver scritto qualcosa che possa essere di vostro gradimento.

Alla prossima.

MadAka

 

 

 

 

 

 

  
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