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Autore: rora02L    26/01/2018    6 recensioni
Margret è una giovane e ambiziosa pasticcera di Berlino, così devota al suo lavoro da lavorare persino la notte della vigilia di Natale, finché un black out elettrico la costringe ad uscire dal suo laboratorio.
Jak si aggira per le strade addobbate a festa di Berlino, chiedendosi quale significato abbia questa festa chiamata Natale.
I due si incontrano in un bar che, stranamente, è ancora aperto ed in cui gli avventori festeggiano. E sentiranno l'odore della Felicità.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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L’odore della Felicità




La storia è stata scritta per il contest “ Sfida di Natale - ti regalo una storia”, indetto da Principe Dracula sul gruppo face book “EFP famiglia: recensioni, consigli e discussioni”.
Prompt di Joey Tre, numero 3: “THE NIGHT BEFORE CHRISTMAS” A è una giovane pasticcera di Berlino. Le sue torte sono famose in tutto il mondo, e la ragazza lavora senza sosta, senza mai prendersi un giorno di riposo. Anche la notte prima di Natale è chiusa nel suo laboratorio, in preda ai mille ordini per le feste. Qualcosa però decide di interromperla. Un black out elettrico manda in tilt l´intero lavoro. Disperata, A. vaga per le strade di una Berlino deserta. Le vetrine piene di addobbi la riporteranno al Natale di diversi anni prima, quando ancora suo padre era in vita, e la famiglia con lei. Anche B. Passeggia per le strade, ma non ha una meta. I due si incontreranno in un piccolo Cafe, i loro sguardi si incroceranno sulle note di una vecchia canzone di Natale che la Radio trasmette in un loop ossessivo, e inizieranno a raccontarsi del perché la vita abbia deciso di regalargli una Vigilia di Natale così.

I mostri non ci sono e gli incubi mai più
e tutto sembra bello come un cielo sempre blu.
Io sento il dolce suono di canzoni intorno a me,
profumo di biscotti, odore di felicità!



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“Cos’è” dal film “Nightmare Before Christmas”, canzone cantata da Renato Zero.

Margret sfornò in fretta gli omini di pan di zenzero, pronti ad essere glassati e decorati con bottoni gommosi e fiocchetti. Inspirò il loro odore, a conferma della loro qualità. Non erano ammessi errori, specie la vigilia di Natale.
Li appoggiò sul banco di lavoro, per poi passare in fretta a controllare gli Stollen* nel forno più grande: erano pronti per essere ricoperti di zucchero a velo ed impacchettati per i clienti. La ragazza sospirò al pensiero del marasma che la aspettava il giorno dopo, motivo per cui aveva preferito restare lei sola alla pasticceria per ultimare gli ordini: i clienti, il giorno di Natale, si presentavano alle 5 del mattino davanti al negozio e si mettevano in coda per accaparrarsi i dolci migliori o per ritirare quanto prima le proprie ordinazioni, sorprendendo così i figli che dormivano ancora a casa o il marito con una dolce sorpresa.
A Margret il lavoro in pasticceria piaceva moltissimo, tra canditi, aromi e spezie, con le mani sempre piene di farina o zucchero a velo. Per tutti gli altri dipendenti della pasticceria Süßigkeiten und Streicheleinheiten ** , lei era una stacanovista che pensava unicamente al lavoro e che non era interessata né a crearsi una famiglia tutta sua né a coltivare le proprie amicizie.
Per Margret, esisteva solo il suo lavoro che, seppur dolce, era sempre un lavoro. Si rimboccò le maniche della divisa candida, che portava il nome della pasticceria scritto in eleganti caratteri oro sul petto, verso la sinistra. Sistemò i boccoli ramati sotto la cuffia che usava per non far finire qualche capello dentro i dolci e per non essere infastidita durante il lavoro e proseguì con la costruzione di una casa di marzapane, mentre attendeva che i panettoni si raffreddassero per essere imbustati.
Sorrise soddisfatta quando la costruzione di biscotti fu ultimata, alzando poi lo sguardo all’orologio a muro sopra di sé: erano le 23.45 della vigilia. Si disse che aveva ancora il tempo per finire di impastare gli ultimi Vanillekipferl * e ultimare i cioccolatini a forma di Babbo Natale per i bambini. Ma proprio mentre stava facendo sciogliere il cioccolato fondente a bagnomaria, il lampadario sopra la sua testa si spense irrimediabilmente ed insieme a lui tutti i forni e le luci di emergenza furono le uniche a farle compagnia. La pasticcera fece un verso di disappunto, snervata per quell’imprevisto e con il pensiero che avrebbe deluso molti clienti se non fosse riuscita ad ultimare i dolci. Lasciò la cioccolata nella ciotola di vetro, pregando di riuscire a riportare la corrente prima che tornasse solida.
Corse fuori dal laboratorio, mettendosi frettolosamente la giacca verde lungo il tragitto, incurante della neve che placida le cadeva sulla cuffia e tra i capelli ramati che, ribelli, erano usciti allo scoperto. Andò al pannello del circuito elettrico della pasticceria e notò, con enorme disappunto, che era andato completamente in tilt.
Chiamare un elettricista era una idea impensabile, sia per via dell’orario che per il fatto che era ormai la vigilia di Natale: nessuno lavorava. Tranne lei. La giovane maledisse il pannello, dandogli perfino qualche colpo con le mani e sbuffando irritata. Decise allora che non c’era nulla da fare, l’universo per quella sera aveva vinto. Ritornò nel laboratorio per togliersi l’uniforme e liberare la chioma ramata. Quando prese la borsetta nera con i suoi effetti personali, decise che era un peccato sprecare quella cioccolata: l’avrebbe portata con sé, ci avrebbe fatto dei cioccolatini più semplici, ma almeno non sarebbe stata da buttare. Lei odiava gli sprechi. Così travasò la cioccolata liquida dentro un contenitore più piccolo, lo chiuse con un coperchio e lo infilò in un sacchetto del negozio.
Sospirando, tornò nuovamente fuori: Berlino era deserta, ma addobbata a festa e luminosa.
Margret sorrise, ripensando improvvisamente alle parole del padre, morto di cancro qualche anno prima, lasciandola sola. Non aveva mai conosciuto la madre, morta di parto. Ricordò che il genitore, nel periodo natalizio, la invitava a chiudere gli occhi per sentire meglio l’odore della felicità. La giovane, ferma sotto la neve e davanti alla soglia della pasticceria, chiuse gli occhi.

΅

Con il naso all’insù, un ragazzo cammina per la via della città tedesca. Il suo sguardo si perde tra le luminarie luccicanti e multi colori, per poi inseguire i fiocchi di neve che bagnano le sue mani pallide ed il suo cappotto corvino. Jakob non aveva mai visto la neve prima di allora, da dove veniva lui non nevicava più ormai. E non aveva mai festeggiato il Natale, entrambi i suoi genitori erano atei.
Fin da piccolo, si era chiesto quale fosse il significato di quella festa che tutti gli altri bambini attendevano con tanta gioia e clamore. Ma i suoi genitori gli avevano sempre detto che quei bambini erano corrotti dai doni: giocattoli, dolcetti e altro.
Rintontiti dalle luci stroboscopiche e da quella gioia per la nascita di qualcuno che non conoscevano e l’arrivo di un uomo panciuto che, per oscure ragioni, portava loro dei regali impacchettati con nastri e fiocchi.
Ma Jak, nonostante avesse ormai venti tre anni, sentiva che quella festa celava un tesoro prezioso, qualcosa che però gli sfuggiva ancora. Vagava per le strade deserte di Berlino, dove le famiglie restavano rintanate nel caldo delle loro case a cantare canzoni natalizie, mangiare davanti ad una tavola addobbata e pregare per il Cristo bambino. La verità era che, ora che non aveva più una famiglia, era deprimente vedere tutte quelle persone contente e strette nelle case, con il calore dei loro cari a scaldare i loro cuori.
I suoi genitori, banchieri come lo era diventato lui, erano morti qualche anno prima a causa di un incidente stradale, messi sotto da un tir guidato da un uomo ubriaco.
A Jak sarebbe piaciuto dire loro addio, ma non sapeva nemmeno se fossero in cielo o ormai fossero semplicemente diventati cibo per i vermi e null’altro.
Il giovane vagava senza meta, scompigliandosi ogni tanto i capelli mori, che si bagnavano sempre più con i fiocchi candidi che cadevano su di lui. Rimase perplesso quando, improvvisamente, vide la prima insegna di un negozio aperto, per la precisione un piccolo caffè, che emanava una luce d’oro.
Si avvicinò alla caffetteria, incuriosito, e guardò dalla vetrina l’interno: al centro della sala troneggiava un albero di Natale addobbato con sfere di vetro e stelle d’oro a cinque punte, circondato da piccoli tavolini circolari con tovaglie bianche ricamate con motivi floreali d’oro e con sedie imbottite bianche. Notò con stupore che c’erano pochi clienti, per poi ricordarsi che quella era la vigilia.
Decise di entrare, anche solo per scaldarsi le mani scoperte ed ormai gelate, che iniziavano ad intorpidirsi. Tornò allora verso l’entrata, senza staccare gli occhi dalla sala calda ed illuminata che lo stava aspettando. Sentì sotto il palmo gelato il metallo del pomello tozzo della porta, quando urtò contro qualcuno, che si lamentò e fece cadere una busta di plastica. Jak notò allora la ragazza accanto a sé, che aveva appoggiato la mano guantata sopra la sua e che aveva, erroneamente, spinto. La aiutò a riprendere la borsa, scusandosi: “Oh mi scusi, ero distratto e… non l’ho vista.”
La giovane gli sorrise bonaria, riprendendosi la borsa: “Non si preoccupi, sono cose che capitano…. Emh, voleva entrare lei?”
I due ridacchiarono, imbarazzati per la situazione. Jak notò gli occhi smeraldini ed i boccoli rossi di lei. Aveva un viso dolce e buono, odorava di biscotti alla cannella… ma aveva un’aria triste e persa. Sentì empatia per quella giovane e le sorrise dolcemente. Margret rimase incantata dagli occhi di quello straniero, così azzurri da fare invidia al cielo e penetranti come una lancia al cuore. Sobbalzò quando sentì nuovamente la voce di lui: “Magari, per scusarmi come si deve della mia sbadataggine, posso offrirle una cioccolata calda… se non ha altre cose da fare, capisco che essendo la vigilia magari è impegnata…”
La ragazza scosse la testa, facendo danzare i boccoli ramati: “No. Ed ho proprio bisogno di scaldarmi, ma se permette preferirei prendere un tè… di cioccolata, per oggi, ne ho abbastanza.”
Jak non capì subito di cosa lei stesse parlando, ma lo incuriosiva molto il suo modo di fare. Era come se, nel suo cuore, quella bellissima ragazza nascondesse un segreto. Ed a Jak erano sempre piaciuti i segreti, soprattutto svelarli. La face entrare aprendole cavallerescamente la porta, sentendo già il calore della caffetteria scaldargli le membra ed una canzone natalizia diffondersi nell’aria. Riconobbe la voce calda di Frank Sinatra e quel “Have your self… a merry little christmas…” ***decisamente inconfondibile. Chiuse la porta del caffè e seguì la ragazza dai capelli rossi ed il cappotto verde.

΅

Margret soffiò dolcemente sopra la tazza di porcellana, facendo vagare la nuvoletta di aroma alla cannella e arancia del tè che aveva ordinato. Sentiva su di sé lo sguardo incuriosito di Jak, che a stento badava alla tazza di cioccolata calda con granella di nocciola che aveva preso.
La voce di Frank Sinatra continuava a suonare lo stesso, intramontabile, pezzo natalizio. Gli occhi smeraldini di lei guardavano la giacca elegante e nera del giovane seduto davanti, la camicia bianca abbottonata e la cravatta blu scuro elegante. Si sentì in imbarazzo per come era vestita: aveva un maglioncino color carta da zucchero, un paio di jeans e degli stivali grigi in pelle. Non era vestita da straccione, ma decisamente era meno tirata a lucido dell’uomo che le aveva appena offerto il tè. “Allora… - la voce di Jak la distrasse dai suoi pensieri- potresti dirmi il tuo nome, visto che ho intenzione di passare qua la vigilia ancora per un po’ e mi piacerebbe compagnia.”
Le sorrise in modo ammiccante e, finalmente, bevve un sorso della sua cioccolata. Margret sentì le guance scaldarsi, ma diede la colpa al suo tè caldo: “Io sono Margret. Lei invece?”
L’uomo ridacchio, appoggiando poi la tazza al suo piattino: “Dammi del tu, dai.. – le fece l’occhiolino – io invece sono Jakob. Per gli amici Jak, spero che lo diventeremo.”
Margret non capiva quale fossero le intenzioni di quello straniero stravagante, dall’accento americano che però parlava perfettamente il tedesco. Si chiese se avesse intenzione di rimorchiarla, portarla a letto e buttarla come una qualsiasi roba usa e getta. “Jakob, mettiamo in chiaro le cose. Io non sono interessata a te in quel senso, chiaro?! Perciò, se vuoi rimorchiare, vai ad urtare ed offrire da bere ad un’altra.”
Lui la guardò sconcertato, per poi riprendere a ridere: “Certo che sei una con un bel caratterino, guarda che non intendevo provarci con te e portarti a letto, nemmeno ti conosco… e non sono così disperato, mi hai guardato bene?”
Alzò un sopracciglio, quasi a sottolineare la sua evidente avvenenza. Certo che lo aveva visto bene, Margret aveva passato tutto il tempo ad ammirare la sua chioma nera, il suo mento scolpito, la sua pelle quasi diafana, il suo profumo muschiato simile al vischio e alla menta, le sue spalle forti e quelle labbra sottili e perfette. Ma la cosa che di lui la incatenava di più era il suo sguardo di ghiaccio, con quegli occhi di un azzurro intenso da toglierle il fiato e così in contrasto con lo scuro dei suoi capelli. “Comunque – riprese a parlare lui – mi stavo chiedendo, cosa porta in quella busta che costudisce così gelosamente, se posso?”
I suoi occhi scintillavano di curiosità e Margret la accontentò: “Oh, solo della cioccolata che ho preso dal mio laboratorio… pensavo di tornare a casa ed utilizzarla per fare delle praline o qualcosa di simile, ma…”
Non sapeva bene come spiegarlo. Quando aveva visto quella caffetteria, aperta ed illuminata così dolcemente, la prospettiva di tornare al suo monolocale e riprendere a lavorare non le era più sembrata così allettante. Non aveva resistito al richiamo di quel locale, come i marinai al canto della sirena. Quel posto… aveva l’odore della felicità. Jak le sorrise, per poi chiederle: “Quindi fai la pasticcera, che splendido lavoro! Ma come mai non sei a casa a festeggiare con i tuoi cari?”
Margret abbassò il viso: “Non ho più una famiglia.”
Non aggiunse altro e riprese a bere il suo tè, alla ricerca di quell’odore che l’aveva attirata in quel buffo posto e che ora si faceva sempre più intenso. Cercava di comprenderne l’origine, lo aveva già sentito da qualche parte ma non riusciva a ricordare né dove né quando. “Nemmeno io… sono qua per lavoro in trasferta. Nessuno dei miei colleghi voleva partire durante le feste, ma io non avevo alcun problema a farlo.”
Jak guardò pensieroso fuori dalla finestra, dove la neve ancora scendeva sulle strade di Berlino e le luci ancora splendevano per le strade. Il rintocco di un orologio a cucù segnò l’arrivo della attesa mezzanotte. I pochi clienti del locale si alzarono per esultare e farsi gli auguri, mentre il proprietario era corso a prendere la bottiglia di spumante che aveva tenuto da parte per quella notte e ne versava alla moglie per prima, per poi passare da ogni persona con un bicchiere pronto per festeggiare.
Margret sorrise a quella vista, pensando a come mai quello strano ometto vestito alla tirolese avesse deciso di restare a lavoro con la moglie il giorno di Natale. Forse perché il Natale è una festa che non va festeggiata, se si è da soli.
Jak ridacchiò quando vide il proprietario del caffè avvicinarsi a loro tutto felice, seguito dalla moglie con i bicchieri per il brindisi. Versò ad entrambi dello champagne e, facendo ballare i baffi rossicci, esclamò gaio: “Buon Natale ad entrambi, siete davvero una bella coppia!”
Prima che Margret potesse correggerlo, era già andato al tavolo seguente, distribuendo la sua allegria e la gioia per quel giorno speciale. La ragazza sorrise nuovamente, ricordando con nostalgia quando anche lei e suo padre festeggiavano insieme bevendo un bicchiere di spumante: “Buon Natale, topina mia!” Suo padre chiamava sempre così Margret, la sua piccola topina dolce. Era lui che le aveva dato la sua prima lezione di pasticceria, perché volevano fare dei cuori di cioccolato nero per San Valentino: Margret aveva sei anni.
Da allora, la pasticceria era diventata la sua passione e l’aveva fatta sentire più vicina al suo papà, anche dopo che era morto.
Quasi non si accorse che Jak si era alzato per abbracciarla e darle un semplice bacio sulla guancia, sussurrandole poi: “ Buon Natale anche a te, Margret.”
Lei sobbalzò, sentendo le guance andarle in fiamme quando lui la invitò allora a ballare, dato che i proprietari del bar avevano iniziato le danze. E ancora la voce di Frank Sinatra echeggiava per la stanza. Margret appoggiò la sua mano su quella dell’uomo, che sorrise felice. Da quanto tempo non si concedeva di festeggiare, stare con un ragazzo o soltanto andare a ballare con le amiche? Margret non si ricordava più l’ultima volta in cui si era divertita e concessa un momento per sé. La pasticceria, quella che aveva tirato su facendo due lavori per cinque anni e dormendo circa due ore a notte, era diventata la sua unica ragione di vita. Ma c’era di più, molto di più.
Jak la portò con sé al centro della sala illuminata, dove già un paio di coppie ballavano abbracciate. La pasticcera iniziò a sentire sia l’imbarazzo per la situazione che un po’ di panico: non sapeva ballare. Quando lo ammise, Jak rise nuovamente: la sua risata sembrava il suono di campane argentate.
“Ti guido io, non preoccuparti!” la strinse gentilmente a sé, piano piano la ragazza si iniziò a rilassare e appoggiò il viso sulla spalla del ragazzo. Aveva le mani calde ore, di qualcuno che non ha mai lavorato in vita sua. I due si studiavano a vicenda, incatenati da qualcosa che era nato spontaneo e cresciuto piano, era bastato così poco tempo che spaventava entrambi. Eppure avevano la sensazione che quel momento non avesse nemmeno una sbavatura o qualcosa di strano e anomalo.
Margret si lasciava cullare al ritmo della musica, cercando di ricordare tutti i natali passati in pasticceria a lavorare o a pregare per i suoi genitori, sentendosi sola come non mai ed in colpa per essere ancora viva, mentre loro non lo erano più. Non doveva sentirsi in colpa perché poteva ancora respirare, ma vivere ed amare come avrebbero voluto loro. Strinse più forte Jak, che sobbalzò per quella strana reazione di lei.
Ma non disse nulla, anche lui pensava. Si chiedeva ancora quale fosse il significato di quella festa bizzarra, dove si addobbava un albero senza alcuna ragione apparente e si venerava la nascita di un semplice bambino. Guardava le altre coppie danzare, ridere, scherzare ed ogni tanto scambiarsi dei timidi baci, girando intorno all’albero di Natale. Erano tutti così felici, eppure non avevano scartato doni, mangiato in modo opulento o fatto qualcosa di sfarzoso. Erano solo accanto alla persona che amavano, stretti ed innamorati.
Jak guardò Margret, domandandosi se fosse lei il suo dono di Natale, il primo della sua vita. Era bellissima e c’era qualcosa in lei che lo faceva sentire… felice. Margret sentì gli occhi azzurri di Jak su di sé, sentendoli arrivare fino in fondo alla sua anima. Eppure non riusciva a liberarsi dalla loro morsa, una dolce e agognata trappola. Le sembrò naturale quanto respirare quando Jak la baciò dolcemente, per poi continuare sempre più con passione e stringerla a sé. Chiuse gli occhi.
Vide il sorriso di suo padre e sentì nuovamente quell’odore, che le era mancato tantissimo e che quasi aveva dimenticato. Tra le braccia e le labbra di quel ragazzo strano e smarrito, si era ritrovata lei.
Ed aveva sentito nuovamente l’odore della Felicità.


Note autrice: 

*http://ricette.giallozafferano.it/Stollen.html; http://blog.giallozafferano.it/basticook/biscotti-austriaci/

** Dolci e Coccole, in tedesco

*** https://www.youtube.com/watch?v=sHVIVNoIPVM

  
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