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Autore: CHAOSevangeline    27/01/2018    1 recensioni
{ Another Story | Ray/MC }
Poi accadde una cosa.
Qualcosa che Ray avrebbe mai immaginato, in cui non avrebbe osato sperare.
Lo avevano sempre convinto che non meritasse nulla e quello era davvero troppo.
La ragazza si era voltata verso di lui. Lo stava guardando, l’espressione sorpresa e le labbra schiuse.
Ray non riuscì a distogliere lo sguardo.
Poi la vide sorridere.
Il paradiso a cui tanto ambiva si era appena fatto di un passo più vicino.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: MC, Unknown
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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My first and last love
 
 
 
“It’s you, it’s you, it’s all for you
Everything I do
I tell you all the time
Heaven is a place on earth with you
Only worth living if somebody is loving you”

 
–– Lana Del Rey
Videogames
 
 


I. First and last encounter

 
La prima volta in cui l’aveva vista lei non si era nemmeno accorta della sua esistenza.
Quasi come fosse un fantasma Ray si stava aggirando per la strada. Questo era: un’ombra che passava inosservata agli occhi dei più.
L’aveva incrociata su un marciapiede poco affollato, i lunghi capelli lasciati sciolti sulle spalle. Il suo profumo l’aveva inebriato mentre gli passava accanto.
Stava parlando al telefono.
Rideva.
Ray si sentì sciocco, ma per un istante desiderò essere lui il motivo di quella risata. Desiderò camminare al suo fianco e provocare tutta quella felicità con qualche parola che però temeva di non conoscere.
Era così che l’aveva scelta.
Aveva avuto la sensazione che fosse la persona giusta. Era una consapevolezza che l’aveva colpito senza che nemmeno potesse realizzare come fosse possibile.
Con il passare dei giorni era divenuta solo una scusa per poterla rivedere.
Così l’aveva seguita e poi l’aveva cercata.
C’era un bar che le piaceva e frequentava, un locale dove non gli sarebbe dispiaciuto bere una cioccolata insieme, prima o poi.
Era strano che il Ray tanto diligente che era di solito gli stesse permettendo di lasciarsi distrarre e coinvolgere in quel modo.
Seduto fuori dalla caffetteria, davanti alla vetrata, a bere un caffè che non era nemmeno certo di volere, la stava osservando: una ciocca di capelli dietro l’orecchio e il volto chino su un libro; le sopracciglia aggrottate e i denti che stuzzicavano il labbro inferiore per la concentrazione. La tazza di cioccolata calda mezza vuota era lì, accanto alle sue mani.
Mancava ancora poco. Poco perché potesse finalmente parlarle; anche se solo per iscritto o per telefono non vedeva l’ora di sentirla rispondere finalmente e solo a lui.
Poi accadde una cosa.
Qualcosa che Ray avrebbe mai immaginato, in cui non avrebbe osato sperare.
Lo avevano sempre convinto che non meritasse nulla e quello era davvero troppo.
La ragazza si era voltata verso di lui. Lo stava guardando, l’espressione sorpresa e le labbra schiuse.
Ray non riuscì a distogliere lo sguardo.
Poi la vide sorridere.
Il paradiso a cui tanto ambiva si era appena fatto di un passo più vicino.
 


 
Spesso si ritrovava a chiedersi come sarebbero stati dei particolari momenti della propria vita. Li dipingeva nella propria testa quasi ad essere pronto alle evenienze peggiori, o rischiando di illudersi quando il suo cuore era un poco più leggero.
Eppure quello non lo aveva immaginato. Aveva deciso di essere ottimista, di lasciare le cose al loro corso.
Forse il suo continuo bisogno di domandare alla ragazza di non abbandonarlo sarebbe dovuto essere un monito da cogliere per sé, quasi si stesse suggerendo da solo che c’era una ragione per tutta quell’insicurezza e quei timori.
Non aveva immaginato il vetro della finestra a dividerli insieme a tutti quei metri di distanza.
Non aveva immaginato le proprie gambe incapaci di muoversi per correre e raggiungerla, mentre gliela portavano via.
Ray non riusciva a credere che proprio lei se ne stesse andando di propria spontanea volontà, non riusciva a credere che non la stessero trascinando lontana da lui solo per fare del male a lui, per fare del male a lei.
Quelle persone non potevano volerle bene, era lui a sapere cos’era meglio.
Voleva proteggerla, farle provare la vera felicità e perché no, raggiungerla insieme. Era l’unica persona con la quale si fosse concesso di sognare almeno in parte.
Non poteva pensare davvero che quel rosso o l’uomo che aveva distrutto lui con mille bugie potessero aiutarla davvero. No, dovevano averla sedotta con delle belle parole e poi, proprio come avevano fatto con lui, l’avrebbero abbandonata.
Doveva impedirlo.
Così corse a perdi fiato, corse al piano inferiore e poi nel giardino. Il roseto che costeggiava il sentiero non era mai stato tanto irrilevante ai suoi occhi.
Vide la ragazza ferma di fronte alla macchina mentre aiutava V a sdraiarsi sui sedili posteriori. Era così dolce anche con chi non lo meritava.
Si voltò e lo vide mentre correva verso di lei.
Rimase in silenzio, non gli sorrise e non si mosse, se non per salire a propria volta.
La portiera si richiuse, nascondendola, e il motore spiacesse. Le gambe di Ray, invece, smisero di lottare per portarlo da lei.
Era deluso, amareggiato.
Non aveva un piano, non sapeva cosa avrebbe fatto per affrontare Seven.
Il fiato corto gli pugnalava i polmoni doloranti.
Lei lo aveva visto. L’aveva guardato.
Ma aveva scelto.
Aveva scelto loro.
Di lasciarlo lì.
Aveva rinunciato al loro paradiso.
Eppure Ray non riusciva a pensare che odiarla potesse essere giusto.
L’amava troppo perché fosse così.
 


 
II. First and last word

 
Ray avrebbe tanto voluto poter manipolare i ricordi, sostituire a ciò che vedeva sempre nella propria mente qualcosa di più piacevole, di meno doloroso. Era certo che a quel punto della propria vita sarebbe stato una persona migliore con molta più facilità.
Invece non poteva perché il dolore gli serviva, gli serviva perché senza quello non era nulla.
Se voleva darsi una spiegazione logica riusciva solamente a dire a se stesso che con troppa felicità, con totale gioia incondizionata dentro di sé non sarebbe più stato in grado di apprezzarla.
Lui non poteva vivere senza dolore, non poteva vivere senza tornare ad essere il bambino spaventato che correva a rannicchiarsi nell’angolo della stanza buia in cui era costretto a vivere. L’abbraccio delle due pareti che si congiungevano era l’unica cosa che pensava di poter chiedere.
Ma da quando era arrivata lei era diventato più egoista.
Non molto, non si notava.
Solo un po’.
Sapeva che era lì, che non lo stava abbandonando e si era convinto che, forse, non lo avrebbe mai fatto. Non lei.
Non lei che portava via ogni briciolo di tristezza e di dolore dal suo corpo ogni volta che la vedeva, mentre attendeva con pazienza una sua visita, una sua chiamata, un suo messaggio o una spiegazione nella propria stanza.
Che fosse seduta a leggere su una delle poltroncine o alla finestra, l’espressione corrucciata mentre i suoi occhi si perdevano su chissà quale elemento del paesaggio. Il suo effetto era sempre uguale.
Ogni volta che si voltava verso di lui il cuore di Ray perdeva un battito.
Non poteva manipolare i propri ricordi. Avrebbe voluto farlo per alcuni, ma dalla prima volta che le aveva parlato aveva smesso di volerli cancellare tutti.
Il dorso della mano picchiettò con delicatezza sulla porta.
« Avanti. »
Non era la prima volta che la raggiungeva nella sua stanza, che trovava un attimo di tempo per andare da lei. Ogni secondo della sua vita, in quel periodo, era votata a lei.
Forse non lo riusciva a dimostrare, ma era così.
La maniglia dorata si abbassò e Ray entrò nella stanza, la giacca purpurea come sempre ordinata e un maestoso fiore blu appuntato al petto.
« Buongiorno, Ray. »
Le prime parole che udiva ogni giorno, le uniche da lui desiderate e di cui sentiva il bisogno.
La vide sorridere e la sua mente già limpida e serena parve promettergli che non una nuvola avrebbe oscurato il suo cuore, per quel giorno.
Ray si sciolse in un sorriso luminoso, uno dei più onesti che avesse mai dedicato a qualcuno.
Il bambino spaventato dentro di lui sembrava non esistere più.
Gli bastavano quelle due parole perché ogni giornata iniziasse con la promessa che andasse tutto bene.
 


 

Qualcosa non andava.
Una sensazione, un brivido che continuava a scuotere il suo cuore come ad avvertirlo.
“Non lasciarla andare”.
Sembrava suggerirgli che lasciarsi voltare le spalle proprio da lei avrebbe significato solo lacrime. Tante, calde lacrime sulle proprie guance.
Proprio come quando era ancora solo, a casa di sua madre.
Proprio come quando si trovava solo con lui e non sapeva come controllarlo o scacciarlo.
Se solo la paura, no, anzi, il terrore non avessero attanagliato il suo petto come delle pesanti catene, se non ne avesse sentito il peso intorno alle caviglie quasi ogni passo fosse greve, se solo nella sua mente non gli fosse parso di sentir risuonare il tintinnio roco dell’acciaio a ricordargli quella costrittiva preoccupazione, allora forse Ray avrebbe anche potuto trovare buffo il modo in cui, dopo aver tentato di allontanare dalla propria vita e di cancellare qualsiasi cosa gli avesse fatto male, ora non volesse proprio lasciar andare lei.
La sua unica fonte di gioia e di serenità.
« Mi piacerebbe trascorrere qualche giorno con lei, Ray », aveva detto la sua Salvatrice. « Abbiamo bisogno di parlare. Spero che non ti dispiaccia. »
Ray sorrideva sempre di fronte a quegli occhi verdi, a quei lunghi capelli color del grano. Di fronte a quel volto rassicurante, dell’unica persona che avesse mai osato amarlo e aiutarlo.
Eppure quella volta qualcosa era cambiato.
Non era del tutto tranquillo di fronte alla sua Salvatrice, non riusciva ad esserlo.
« Potrò comunque vederla? » aveva domandato lui, un filo di voce, gli occhi che saltavano dal pavimento a quelli della donna di fronte a lui.
Conosceva la risposta: un no.
Un tagliente, freddo, doloroso no, ma accompagnato da un sorriso.
Le labbra della sua Salvatrice si incurvarono in quel maledetto sorriso.
Sapeva cosa voleva dire.
« Abbiamo bisogno di parlare da sole, Ray. »
Quelle parole erano state sufficienti a non farlo ribattere più.
Cosa poteva dire lui, dopotutto? Cosa era stato in grado di fare fino a quell’istante della propria vita, se non sottostare alle scelte degli altri?
Non aveva mai provato rabbia nei confronti di quella donna. Non aveva mai osato, non ne aveva il diritto, ma solo per un secondo Ray se ne rese conto: qualsiasi cosa stesse facendo dipendeva da lei. Dipendeva da lei perché non avrebbe saputo cos’altro fare della propria esistenza, altrimenti.
La sua Salvatrice gli aveva dato uno scopo, ma non riusciva a gioirne come in passato.
Non riusciva a convivere con l’idea di doverle portare proprio lei, di dover rinunciare al poco tempo che tra un compito e l’altro, tra un sorso di elisir e un mal di testa riusciva a donarle.
Non riusciva a smettere di pensare a cosa avrebbe potuto fare se solo si fosse concesso di essere egoista.
« Ray? »
Ancora qualche passo e avrebbe dovuto aprire la porta della stanza in cui si trovava la sua Salvatrice.
Ancora qualche passo e non avrebbe più saputo che cosa le sarebbe accaduto.
Lo logorava, ma la sua voce calma lo riportò alla realtà, alla calma.
« Sì? »
Sulle labbra di Ray, quando si voltò, solo l’ombra di un sorriso stanco e tirato. La ragazza non sembrava credere davvero all’espressione che le stava rivolgendo.
Anche lei pareva preoccupata, ma a differenza di lui che nemmeno avrebbe dovuto osare dubitare, lei era la povera ragazza che ancora necessitava di conferme, di prove che la sua Salvatrice fosse buona, che l’elisir non le avrebbe fatto alcun male.
Le dita calde della ragazza raggiunsero le sue e mai come allora Ray si pentì di avere indosso dei guanti. Desiderò poterle sentire contro la propria pelle.
« Sono sicura che andrà tutto bene. »
Un sorriso.
Anche lei aveva paura, non sapeva in contro a chi o a che cosa stesse camminando, ma era fiduciosa e a differenza di lui riusciva a nascondere ogni timore.
Ancora una volta doveva lasciare che fosse qualcun altro ad essere forte per lui.
La porta si aprì e ben presto Ray la vide sparire.
Le aveva creduto, ma svanita la sua figura, svanì anche ogni certezza.



 
III. First and last kiss


Era notte, la testa gli faceva male e gli occhi bruciavano.
Per la prima volta dopo molto tempo Ray non sapeva che cosa fare, non sapeva come comportarsi.
Conosceva la prassi: si sarebbe dovuto alzare, prendere l’elisir e tornare a dormire nella speranza che quegli incubi, quel dolore e tutti i suoi demoni si mettessero a dormire. Insieme a lui, perché non se ne sarebbero mai andati.
Sapeva il modo in cui si sarebbe dovuto comportare e il modo che, invece, avrebbe dovuto evitare.
Avrebbe dovuto ignorare ciò che il suo egoismo gli stava suggerendo per molteplici motivi: non doveva svegliarla, doveva lasciarla riposare e soprattutto non doveva e non voleva spaventarla; temeva cosa avrebbe potuto pensare di lui vedendolo in quelle condizioni, le guance arrossate e rigate di lacrime come un bambino, singhiozzante per la paura e per il dolore.
Trascinarsi fino alla sua porta, indosso ancora la camicia di quello stesso pomeriggio, ma sgualcita per il maldestro tentativo di riposarsi sul letto, gli risultò spontaneo.
Bussò flebilmente.
Chiamò il suo nome, ma non udì nessuna risposta.
Attese qualche istante, poi decise di entrare.
Lei dormiva, avvolta tra le lenzuola.
Si chiese come avrebbe dovuto svegliarla e per un momento concentrarsi su di lei gli diede la pace che gli serviva per fare un altro passo.
Bastò il rumore dei suoi passi contro il pavimento a farle aprire gli occhi, costringendola ad alzarsi.
« Ray? » chiamò, la voce impastata per il sonno.
Era sorpresa, ma non spaventata.
Lui non parlava.
Fu questo a preoccuparla davvero.
« Che cosa succede? » chiese nel rendersi davvero conto delle sue condizioni.
« Mi dispiace… » sussurrò lui. « Non è nulla. »
Una volta accanto al letto le sue gambe cedettero. Senza le braccia di lei avrebbe davvero rischiato di rovinare a terra, quando invece riuscì a rimanere per metà sul letto.
« Questo non è vero », ribatté la ragazza.
In qualche modo, con le ultime briciole di forza e di volontà rimastegli in corpo si accoccolò contro di lei, guancia contro spalle e braccia arpionate alla sua schiena.
« Ho avuto un incubo », si rassegnò lui.
Rimase con il volto nascosto, rigido. Non voleva parlarne, non voleva che gli chiedesse nulla.
Il suo passato non dipendeva da lui, come avrebbe potuto dipendere da un bambino il cui unico desiderio era essere amato e sentirsi in diritto di agognare ad un briciolo di felicità?
Ray si era sempre rimproverato anche la sola possibilità di averla.
La ragazza non chiese, quasi avesse letto con chiarezza i suoi pensieri. Era una cosa che le veniva naturale.
Non aveva insistito non per disinteresse, ma perché le sembrava di stringere tra le braccia un insieme di cocci tenuti insieme in modo precario; un soffio di vento o quella domanda avrebbero mandato Ray in frantumi.
Non poteva esserne certa, ma sperava che quel ragazzo a cui si era indissolubilmente legata nell’arco di pochi giorni sapesse. Sapesse che avrebbe potuto riversarle addosso un fiume di parole, se fosse servito, o condividere il silenzio con lei per placare qualsiasi pensiero.
Si era sentita in sintonia con lui da subito, aveva compreso le sue paure e i suoi timori e forse in modo presuntuoso voleva essere la prima ad occuparsi di lui per davvero. La prima a fargli capire che non voleva ferirlo, ma che se fosse accaduto si sarebbe fatta perdonare, perché non era ciò che voleva.
Era certa che sarebbe successo, sapeva di non poterlo tirare fuori da quella prigione in cui lui stesso voleva rimanere, forse spaventato dal mondo esterno, senza fargli del male.
Lo avrebbe dovuto trascinare fuori con la forza per il suo bene.
Lo guardò, incontrando con gli occhi solo le ciocche stinte dei suoi capelli.
Mentre ascoltava il suo respiro stridulo, quasi dolorante e sentiva il suo corpo tremare, le dita convulsamente strette intorno alla stoffa della sua camicia da notte, capì che a costo di fargli del male doveva salvarlo.
« È passato adesso, Ray », mormorò. « Qualsiasi cosa sia stata non verrà da te. »
Il suo collo venne solleticato. Una goccia, un’altra.
Scivolarono lungo la sua pelle e si addensarono vicino alla clavicola.
Perché sapeva sempre cosa dire? Per quale sortilegio ogni sua debolezza era così chiara ed esposta di fronte agli occhi di quella ragazza?
« Scusa », farfugliò lui. « Mi dispiace. »
Cosa doveva dire perché non lo odiasse lui, perché non odiasse ogni sua debolezza?
« Io… »
Una giustificazione, ecco cosa serviva. Una scusante, una promessa che dall’indomani sarebbe stato più bravo.
Le avrebbe dimostrato che valeva la pena stare al suo fianco, anche solo per la felicità che non poteva darle lui, ma il luogo che avrebbero raggiunto.
Si gettava su di lei alla ricerca di conforto, ma si sentiva come se non dovesse nemmeno provare a chiederlo.
Osò fare una cosa che sempre temeva: allontanarsi. In quel modo avrebbe rischiato di doverla guardare negli occhi ed era l’ultima cosa che voleva.
Desiderava solo scappare.
Le dita della ragazza lo fermarono, posandosi sulle sue guance. Asciugarono le sue lacrime.
Non aveva fatto una piega di fronte ai suoi occhi lucidi, non era rimasta scossa dai suoi singhiozzi.
Segnata sì, però, perché il suo sguardo sembrava ferito e amareggiato.
« Resta qui. »
« Cosa? »
« Resta qui con me », insistette. « Sono sicura che così andrà meglio. »
Ray gettò uno sguardo alla porta, le gote arrossate.
« Non dovrei… »
« Ma vorresti? »
Annuì, non riuscendo ad esitare, a fare finta che non fosse così.
C’era qualcosa di rilassante nel semplice trovarsi sulle lenzuola, sotto le quali non aveva osato infilarsi, mentre lei avvolgeva le braccia intorno al suo busto e lo attirava a sé.
Era imbarazzato, ma felice.
Sentì le sue labbra calde sulla fronte.
Era più di quello che si sarebbe aspettato.
Era meno di ciò che entrambi avrebbero voluto.
 
 

 

 
Aveva aperto gli occhi su una parete bianca.
Le palpebre erano pesanti, la vista annebbiata.
“È il paradiso?”
Se lo era chiesto senza usare la voce, con la mente, ma l’idea non troppo pallida che fosse la verità aveva fatto sussultare il suo cuore per il terrore: non ci sarebbe stato da sorprendersi.
Sempre ammesso che se lo fosse guadagnato. Improvvisamente, in quel luogo sconosciuto, Ray si convinse che forse ciò che fino a quel momento la sua Salvatrice gli aveva detto non corrispondesse alla verità.
Forse non sarebbe andato in paradiso, in terra o in cielo che fosse. Forse non lo meritava.
Forse se per tanti anni la vita era stata cattiva con lui, se per tanti anni le persone lo avevano ferito e abbandonato era perché non meritava nulla.
Prese coscienza di quella possibilità freddamente, ma man mano che la digeriva pensava a quanto non fosse giusto e gli angoli degli occhi presero a pizzicare.
Nel torpore si accorse di poter muovere la testa.
Era una sensazione strana, quasi come se si trovasse in un corpo che non era suo, quasi ne fosse stato lontano per ore, magari giorni. Si sentiva un po’ come quando Saeran prendeva il sopravvento e poi lui doveva raccogliere i pezzi; si chiese se Saeran lo avesse aiutato, se fosse vivo per quello.
Perché sì, aveva capito di esserlo dall’emicrania lancinante e dai colori sbiaditi con cui vedeva qualsiasi cosa.
Ricordò la puzza di fumo, l’esplosione e l’onda d’urto che lo aveva sbalzato sul pavimento.
Non ricordava il dopo, ma ricordava il prima.
Ricordava di aver risposto al telefono e di averla sentita preoccupata per i suoi lamenti, per i suoi singhiozzi. Ma era andata via e lui non aveva più uno scopo, ora.
Se n’erano andati tutti.
Le aveva confessato i propri sentimenti e poi, esausto, aveva riattaccato.
Mosse le dita e le trovò costrette in una presa.
Capì di non essere solo e si voltò.
Lei era lì
« Ray! » esclamò la ragazza.
Aveva due profonde occhiaie a cerchiare il suo sguardo spento. Era così per lui? Era colpa sua?
« Che cosa fai qui…? »
« Ti sono tornata a prendere. »
Avrebbe dovuto farsi raccontare ogni cosa, lo sapeva, ma era troppo confuso e stanco. Dentro di lui cozzavano troppe emozioni: da un lato la gioia di saperla lì, di saperla lì per lui; ma dall’altro c’era la totale convinzione che non fosse possibile, che si trattasse di un sogno.
Si sarebbe strappato l’ago della flebo dal braccio pur di infliggersi un dolore sufficiente a comprendere se si trattasse di un sogno o della realtà, ma sapeva che non sarebbe servito: tutti i suoi sogni o incubi facevano male come se fossero veri.
« Non ha senso », rispose solo.
La ragazza non si sarebbe aspettata che Ray fosse tanto lucido da parlare subito, non era preparata a ciò che avrebbe potuto chiederle.
« Perché no? »
« Sei scappata », sussurrò. « Tu… mi hai lasciato per andare con loro. »
Silenzio.
« È vero. »
Quella frase colpì Ray come una pugnalata.
« Ma solo perché non avrei potuto aiutarti, altrimenti », spiegò. « Non ho mai pensato di lasciarti, Ray. »
Era confuso. Non sapeva se fidarsi, non sapeva se crederle o se convincersi che fosse tutta una bugia.
Sarebbe bastato pensare che anche lei lo avesse tradito dopo aver tentato di essere tanto cortese e migliore. Con Saeyoung gli riusciva così bene, dopotutto: ogni sua parola letta sullo schermo del telefono lo faceva ridere, sarcastico, convinto che nelle sue frasi non ci fosse sincerità alcuna. Se il ragazzo avesse saputo chi era, Ray ne era certo, non avrebbe esitato a distruggerlo.
Perché era così, lui: preferiva salvare sé stesso piuttosto che gli altri.
L’aveva vista andare via con loro, con lui e con V, ma non riusciva a convincersi che fosse uguale a quelle persone.
« Stai mentendo… so che stai mentendo. »
Ma non poteva darle della bugiarda.
Se avesse continuato a ripeterlo, però, magari se ne sarebbe convinto.
« Sai che non è vero, Ray. »
« Non hai nessun motivo per essere tornata! » ribatté. « Nessuno si ricorderebbe di me, nessuno… »
« Io mi ricordavo di te quando ti ho seguito. »
Ray si zittì, quasi avesse parlato troppo.
« Eri il ragazzo con il bel sorriso che ho visto fuori dalla caffetteria mentre leggevo. »
La sua voce era ferma, risoluta.
Ray sapeva di non poter più ribattere.
Il suo corpo tremava, proprio come la sera in cui si era intrufolato nella sua stanza per avere un po’ di conforto.
Stringeva il lenzuolo tra le dita, lo sguardo puntato verso il basso.
« Non ho intenzione di andare via, Ray. »
Due baci, uno per guancia, fermarono le lacrime di Ray, ma solo per un istante.
Il ragazzo si strinse nelle spalle e all’idea di aver perso tutto ciò per cui aveva lottato e di ritrovarsi in un luogo sconosciuto dove si sentiva smarrito, lo fecero crollare.
Pianse come un bambino, aggrappandosi alla ragazza al suo fianco e solo quanto fu troppo esausto per piangere ancora riuscì a calmarsi.
Le sue parole di conforto accarezzavano le sue orecchie.
Dopo secondi, minuti, forse ore era ancora lì con lui.
Malgrado le se paure, malgrado i demoni che aveva dimostrato di avere intorno.
Il luogo che si era abituato a chiamare casa non c’era più, ma forse avrebbe potuto cominciare a credere che fosse dove c’era lei.
Perché ci sarebbe sempre stata.



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Finalmente riesco ad approdare nel fandom di Mystic Messenger con questa storia rimasta in cantiere per mesi, da poco dopo aver concluso la route di V.
Diventerà datata già mercoledì prossimo con l'uscita della route di Ray, che mi ha motivata a concluderla quando è stata annunciata. Ci tenevo a pubblicarla prima un po' anche nella speranza che la Cheritz doni meno angst e più gioie a quel povero ragazzo che è Saeran.
Per scrivere la storia ho seguito un prompt trovato su internet che suggeriva appunto di parlare del primo e ultimo incontro della coppia, del primo e ultimo bacio e della prima e ultima parola. Mi sono presa un po' di licenze poetiche sul come farlo, ma comunque!
Spero davvero che questa piccola What If? vi sia piaciuta e che vi vada di dirmi cosa ne pensate <3
   
 
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