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Autore: Cici_Ce    30/01/2018    3 recensioni
Dopo la rinascita del Nemeton e la possessione da parte del Nogitsune, Stiles si scopre più turbato e ferito di quanto pensava di essere. Quando il branco scopre che ogni notte sogna una strana figura che cerca di affogarlo e che al mattino si sveglia completamente fradicio, Stiles decide che è il momento di risolvere qualsiasi trauma gli sia rimasto. Nota così che in tutti gli eventi importanti della sua vita, l'acqua è sempre presente. (Questa storia ha partecipato al Teen Wolf Big Bang Italia del 2014)
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cora Hale, Derek Hale, Sceriffo Stilinsky, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 1 

In This River - Black Label Society e I Need To Wake Up - Melissa Etheridge

 

Fluttua?

Stiles apre gli occhi e si rende conto che sì, non è solo una sua impressione, sta davvero fluttuando. È una sensazione incredibilmente strana che lo fa ridacchiare tra sé e sé; effetto collaterale che non fa che peggiorare nel momento in cui prova a dimenare le braccia a patetica imitazione di una rana, per vedere cosa succede. Metodo scientifico, diceva Harris; sarebbe orgoglioso di lui. Stiles riesce nel suo intento: raggiunge la posizione prona ma, a quanto pare, il movimento semi-scoordinato di braccia e gambe non sembra essere utile a eventuali spostamenti. Oh beh, non che ci siano molti punti di riferimento, lì dove si trova, quindi forse si sta davvero muovendo. Magari in circolo, come le barchette dei cartoni animati. Sicuramente, riflette, non ha la minima idea di dove potrebbe andare, quindi è tutta fatica sprecata. Guadagna di nuovo la posizione seduta e si guarda attorno.

C'è, per così dire, una specie di bagliore che illumina quella che potrebbe definire come stanza. Non è nulla di paragonabile a una reale stanza, ma come altro dovrebbe descriverla? Non che questo gli dia modo di capire dove si trovi, semplicemente non è un grande buco nero.

E quella che sente attorno a sé è decisamente acqua.

Sposta lo sguardo qua e là come se, ora che ha avuto quella rivelazione, il resto possa spiegarsi da solo, ma non cambia nulla. I pantaloncini che indossa, e che solitamente usa per dormire, si muovono attorno alle sue gambe come stuzzicati da onde invisibili, ondeggiano lenti, e così anche i suoi corti capelli. Eppure non sta annegando. E nemmeno affondando.

Decisamente bizzarro.

Certo non meno bizzarro di tutto quello che gli è successo fino a quel momento: dal perdersi tra sogno e veglia all'essere posseduto da creature alquanto discutibili, il ritrovarsi sospeso in un liquido non ben definito come un comune cetriolino sottaceto non sembra essere così fuori dall'ordinario. Piuttosto lo è quella strana tranquillità che lo domina al momento.

Stiles allunga una mano avanti a sé, allarga le dita e le chiude lentamente a pugno. L'acqua, se di acqua si tratta, è... densa. Non vischiosa, o gelatinosa, solo diversa. Non abbastanza da farlo inquietare, ma abbastanza per farlo sentire leggermente a disagio.

Se ora riuscisse anche a intuire come uscire da quest'imbarazzante situazione sarebbe perfetto, perché comincia a sentire un certo freschino a sud dell'equatore. Il primo passo potrebbe essere capire come sia finito lì dentro.

La risposta arriva nel momento stesso in cui il suo cervello formula la domanda, e Stiles scuote la testa dandosi mentalmente dell'idiota. Non può che essere un sogno. È una di quelle considerazioni che sono ovvie ma che nei sogni non cogli immediatamente. Dondolando un piede nel nulla analizza i dati a sua disposizione contandoli sulle dita come di fronte a un interlocutore immaginario, uno che non è in grado di seguire il filo dei suoi pensieri. Uno Scott.

Uno: acqua. Acqua ovunque, niente pareti, niente fondo, niente superficie. Solo acqua. Decisamente irrealistico.

Due: in quest'acqua ci sta respirando e, considerato che non sta morendo in cerca di ossigeno e non sta andando a fondo, la questione si fa decisamente onirica. A meno che nottetempo non sia diventato una specie di carpa mannara – cosa che potrebbe sempre succedere, e non è mica detto che esistano solo lupi (o coyote), giusto? Che poi questa è discriminazione verso le altre specie e – interrompe quei pensieri prima che lo trascinino lontano dal suo obiettivo.

Tre…

Si ferma con le dita sollevate davanti al viso. Dita. Scuote la testa incredulo di se stesso. Dita. Apre entrambe le mani e le conta una a una, finché non arriva a quota undici. Sbatte due volte le palpebre e si gratta la nuca mordendosi un labbro, ancora a disagio.

Un sogno.

Come poteva essere altrimenti? In quel luogo non ci sono lupi, Kanima, Oni, Nogitsune assassini o qualsivoglia creatura a cercare di fargli venire una crisi di nervi. O di panico. Solo il nulla e la pace assoluta.

Decisamente un sogno. Grazie al cielo non un incubo, ne ha davvero avuto abbastanza.

Ma la realizzazione di quello che ha pensato lo fa afflosciare su se stesso come una piantina assetata. Stiles fissa il nulla sotto di sé, negli occhi un velo di tristezza, e tutta la frenesia che da sempre lo contraddistingue pare come essersi spenta. È questo che vuole davvero? La pace assoluta? Una mano corre istintivamente a massaggiare il petto come a voler placare la familiare sensazione di non riuscire a respirare.

È vero. Non può non ammettere con sé stesso che ci sono stati momenti in cui ha desiderato essere solo. O al massimo con suo padre,in un mondo perfetto dove tutto va bene e i dolori del passato sono solo flebili ricordi. Momenti in cui ha desiderato, pregato di poter scappare da tutto e da tutti. Ma poi sono arrivati un abbraccio di suo padre, l'amicizia di Scott, il sorriso di Lydia, i lividi degli allenamenti, e tutto lo ha fatto sentire, se non bene, quantomeno a posto. Diviso tra il desiderio di non provare più quel terrore inaspettato e la voglia di aggrapparsi strenuamente al calore di quei rapporti, a posto andava più che bene.

Poi è successo tutto quello che è successo e, per quanto assurdo, gli è sembrato che quel terrore si fosse come assopito, assorbito, vinto dal turbine degli eventi. Da quando è iniziata la questione mannara non ha più avuto attacchi di panico. Nemmeno uno, fino a che non è sorto il problema Nemeton. Non sa perché siano ritornati, è vero che ha visto alcune delle persone a lui più care rischiare di morire – per notti intere non ha fatto altro che sognare suo padre, bloccato là sotto dove lui non riusciva a raggiungerlo – ma era davvero convinto di poter affrontare quel peso. Il suo corpo purtroppo non era della sua stessa opinione.

Solo ora si rende conto di quanto si fosse illuso. Con la fluidità che hanno solo i sogni, quella realizzazione diventa chiara come se fosse sempre stata lì: la paura non se ne è mai andata, lo ha lasciato andare avanti ma nel frattempo ha preso in affitto un bel quadrilocale dentro di lui, lo ha arredato e ci si è sistemata dentro. Quel terrore che gli attanaglia sempre il cuore, che vive nei suoi muscoli, nelle sue ossa, nella sua mente, non se ne è mai andato. È rimasto indietro, distratto dalla frenesia di un cervello iperattivo impegnato a seguire tante, troppe cose per accorgersi che il nemico era ancora lì.

L'acqua diventa improvvisamente fredda, come se la temperatura si fosse abbassata di decine di gradi. Stiles si stringe nelle braccia per proteggere il petto nudo, ma non è abbastanza ed è come se il gelo, il ghiaccio, gli penetrasse nelle ossa alla ricerca di una via verso il suo cuore.

Prende fiato nel gesto istintivo di scaldarsi le mani con un po' di calore e improvvisamente l'acqua gli invade la bocca bloccandogli il respiro. Il suo corpo si ribella, cerca di tossire, di respirare, ma non può. Ora l'acqua è vera e il peso di quelle tonnellate lo schiaccia verso il fondo, sempre più giù.

Stiles si dimena, allunga le braccia verso l'alto e nuota per cercare di emergere e contemporaneamente tenta di non lasciarsi prendere dal panico, i polmoni in fiamme, ma quella che ora sembra la superficie è sempre più lontana, così come la luce che prima lo circondava.

È un sogno, solo un sogno, si ripete.

Poi è ciò che accade solo nei sogni. Qualcosa gli sfiora la caviglia, qualcosa di liscio, leggero, che non può vedere perché ormai non ha più ossigeno nei polmoni e attorno a lui c'è solo il buio. Ma lui sa che quelle sono dita. Dita lunghe, bianche, magre come ramoscelli gli avvolgono la caviglia e tirano.

Giù.

 

 

Siles scattò a sedere, improvvisamente sveglio, con un urlo bloccato in gola e il petto che si sollevava e si abbassava frenetico per il disperato bisogno d'aria.

Per i primi, interminabili minuti non riuscì a fare altro che cercare di respirare, stritolando le lenzuola con le mani come se fosse ancora alla ricerca di una via di fuga. La sensazione di quelle dita non era scomparsa, al suo risveglio, ma era impressa sulla sua pelle come se le  stesse dita fossero ancora avvolte attorno alla sua caviglia. Strette.

Il suo corpo cedette a quel sovraccarico di sensazioni ed emozioni e Stiles si afflosciò sul letto come uno straccio usato. Una piccola parte del suo cervello riuscì a comprendere la realtà delle cose: i polmoni non collaboravano, e nemmeno la sua mente. Non ci si abitua mai a un attacco di panico. Cercò disperatamente di recuperare un po' di lucidità, ripetendosi che si trovava nella sua camera, nel suo letto, niente acqua, niente dita che lo tiravano verso il buio. Ma non funzionò. Raggomitolarsi in posizione fetale e abbandonarsi a quel terrore in attesa che passasse fu come distruggere sé stesso, lui che gli attacchi li aveva sempre affrontati.

Spalancò la bocca e annaspò, stringendosi un pugno al petto. Sarebbe passato, passava sempre. Anche quell'attacco sarebbe passato e Stiles non avrebbe lasciato solo suo padre. O Scott. O quell'idiota di Derek Hale.

Per quelle che sembrarono delle ore, Stiles si impegnò a cercare di respirare. Fu uno sforzo titanico non lasciare che quel terrore lo distraesse da un compito tanto semplice, e quando finalmente il respiro si calmò tutto ciò che il ragazzo riuscì a fare fu liberare un sospiro tremante.

Non si accorse delle membra congelate, dei polmoni in fiamme, dei muscoli che dolevano come se fossero rimasti per giorni sotto sforzo. Né si accorse dei singhiozzi che scuotevano il suo corpo esausto e delle lacrime che gli rigavano il volto. Crollò addormentato in un sonno senza sogni, infreddolito e stanco, e perfettamente inconsapevole dell'acqua che gli inzuppava i pantaloncini e il letto.

 

 

 

 

«Non dirlo.»

Stavano camminando verso gli spogliatoi a passo di marcia quando Stiles si fermò e puntò un dito contro il petto di Scott in quella che sperava vivamente fosse una minaccia vera e propria, e non soltanto un pallido tentativo.

«Non osare dirlo.»

«Ultimamente sei strano.»

Stiles gli ringhiò contro e cambiò immediatamente direzione, prendendo a marciare dalla parte opposta.

«Stiles, fermati!»

Tutto il suo impegno, anni di allenamenti, muscoli rinforzati e pronti a partecipare a maratone, triathlon e corse nudenei boschi durante le notti di luna piena non servirono a nulla. Chi voleva prendere in giro? In due secondi netti Scott lo affiancò di nuovo come se niente fosse, con quella sua aria preoccupata e al momento decisamente poco gradita.

Non che non se lo apprezzasse, davvero. Stiles aveva sempre saputo dare un valore alla preoccupazione che gli altri provavano per lui in quanto dimostrazione del bene che gli volevano, ma a volte qualcuno avrebbe dovuto imparare a farsi gli affari suoi. O a capire quando lasciarlo in pace. Non che accadesse spesso, ma quella era una di quelle volte.

Una mano gli si piantò sul petto e interruppe la sua corsa, non solo fisica ma anche mentale, così che Stiles finì quasi col sedere per terra.

«Dannazione Scott!» imprecò barcollando un passo indietro.

Scott lo fissava con quegli occhi così profondi da scavargli dentro, e Stiles si sentì a disagio, come se un attimo di troppo di quello sguardo su di sé potesse riportare a galla ogni suo maledettissimo timore. Usò ogni dote che aveva per incrociare le braccia e assumere quella che sperava fosse la migliore delle espressioni indifferenti.

«Non capisco di cosa parli. E stai perdendo gli allenamenti.»

«Anche tu.»

«Stiles, l'ultima volta che ti ho visto così eri...»

Oh, riusciva a vederla a chiare lettere: l'indecisione di Scott su come affrontare l'argomento. Era dipinta sul suo viso a grandi pennellate e illuminata da enormi luci al neon.

«L'ultima volta che ero così mi sono fatto chiudere in un manicomio e sono stato posseduto da un essere con manie omicide? Si, grazie per avermelo ricordato.»

Scott si adombrò. Per quanto entrambi desiderassero ardentemente di poter dimenticare quegli avvenimenti, non era proprio possibile. Negarlo sarebbe stato inutile e dannoso. Ne avevano parlato proprio per quel motivo: esorcizzare il passato. Ma Stiles si era sentito morire quando Scott gli aveva raccontato di come lui stesso si svegliasse nel bel mezzo della notte a un passo dall’urlare, con ancora negli occhi il viso sadico del suo migliore amico e la sensazione di una spada che gli trapassava lentamente lo stomaco.

«Ehi,» mormorò Scott, afferrandogli le spalle e scuotendolo delicatamente. Stiles si sentì fragile sotto le sue mani, in un modo mai sperimentato prima e, dall’accentuarsi della preoccupazione sul viso dell’amico, sospettò che stesse provando la stessa cosa. «Abbiamo affrontato di tutto e con la fortuna che ci troviamo succederà anche di peggio, credi davvero di potermi spaventare?»

Scott cercava di smorzare la tensione, Stiles riusciva a capirlo ma non a fare suoi quei tentativi, perciò tutto quello che Scott ottenne fu una smorfia nemmeno lontanamente paragonabile a un sorriso. «E se ti dicessi che gli incubi sono ricominciati?»

Era stato solo un sussurro, ma Scott sgranò gli occhi. «Intendi come prima? Gli stessi incubi?»

«Se con stessi incubi intendi che non so più se sono sveglio o se dormo allora no, non gli stessi. Ora almeno riesco a svegliarmi. No, solo... acqua.»

Scott corrugò la fronte in evidente confusione e Stiles si arrese definitivamente. Abbandonò la schiena contro il muro di armadietti dietro di sé e si passò una mano sugli occhi stanchi.

«Sogno tanta acqua. Non sono sempre incubi,» spiegò, «di solito cominciano in modo neutro, niente di che. Poi mi rendo conto che è un sogno e allora peggiora.»

«Cosa vuoi dire?»

«Che diventa un incubo.» Lo disse alzando le spalle, come a cercare di mostrarsi indifferente, di minimizzare il problema. Ma Scott riusciva a capire quando qualcosa lo preoccupava. «C'è sempre qualcosa che in qualche modo mi fa affogare, compreso qualcuno che mi tira sul fondo. E poi mi sveglio.» Meglio tralasciare il dettaglio dei costanti attacchi di panico post-risveglio. O del ritrovarsi completamente fradicio.

Forse era solo sonnambulo, e sapeva tanto di deja-vu.

Scott si passò una mano tra i capelli, pensieroso, e il suo sguardo non abbandonò un istante il suo, tanto che Stiles cominciò a sentirsi a disagio.

«Senti, l'avevo messo in conto, ok? Essere posseduti, affrontare killer soprannaturali, non capire più se sei sveglio o dormi e rischiare la morte, diciamo, sempre? Ce n'è abbastanza per riempire un centinaio di libri di psichiatria, doveva lasciarmi un minimo turbato, no?»

Ma Scott non sembrava convinto. «E se non fossero solo incubi? Hai provato a parlarne con-»

«Sono incubi. Solo incubi» lo interruppe. Stiles non intendeva cedere su questo punto. Non si accorse di quanto aveva stretto i pugni finché le sue stesse unghie non gli ferirono i palmi. «Non deve per forza essere tutto fuori dal normale. Sono solo incubi Scott, non preoccuparti. Passeranno.»

Se ne andò pregando intensamente che Scott non lo seguisse ancora, e questa volta fu esaudito. Se non altro, per quello che riguardava Scott.Riuscì a uscire dall'edificio e a chiudersi nella sua jeep prima che qualcun altro lo trovasse.

Con gli occhi chiusi e la testa appoggiata al sedile sentì la portiera del passeggero spalancarsi e poi sbattere, mentre apriva e chiudeva le mani per alleviare il dolore che si era autoinflitto poco prima. Quello che invase l'abitacolo era un buon profumo, che lui conosceva bene. «No, davvero. Se potessi tornare in un altro momento sarebbe fantastico. Tipo, che ne so, tra un mesetto o due?»

Cora si limitò ad alzare un sopracciglio. «E ti troverei ancora qui? La prospettiva non è particolarmente allettante, dopo due mesi qua dentro cominceresti a puzzare. Più di ora.»

Stiles aprì gli occhi e girò la testa verso di lei. Era decisamente una Hale. «Se con questo stai insinuando che puzzo-»

«Puzzi. Di paura, a voler essere precisi.»

Stiles si chiese perché non avesse il potere di fulminare la gente con un solo sguardo. «Grazie per l'informazione, ora se volessi scendere...»

Cora rimase dov'era. Stiles maledisse mentalmente gli Hale e tutta la loro discendenza. «Non te ne eri andata da qualche parte con Derek?»

«Derek è tornato. Mesi fa.»

«Tu no.»

«Odo una nota di dispiacere, o mi sbaglio?» Cora ridacchiò vedendo il nervosismo che lo animava, ma decise di non infierire oltre. «Sono tornata per un po'. Per Derek. Ho deciso di passare di qui a salutare voi poppanti e il tuo odore mi ha colpita in pieno. Davvero i tuoi amichetti non si sono accorti di nulla?»

Stiles voltò la testa e si mise a fissare il tettuccio con sguardo perso. «Credo abbiano mandato Scott a sondare il terreno.»

Cora annuì. «Saggia decisione, sempre meglio lasciar fare all'alpha.» Stette un attimo in silenzio. «Cos'è che ti spaventa tanto?»

Stiles si morse la lingua per non risponderle qualcosa come “e allora perché non lasci fare all'alpha e te ne vai?” «No, davvero, quand'è che riparti?»

La sentì sghignazzare piano e voltò la testa di scatto per fissarla. Non ricordava di averla mai vista così, ed era un peccato perché aveva una risata stupenda. «Dovresti ridere più spesso,» gli sfuggì.

Cora ghignò. «E non hai visto Derek.»

«Quando accadrà ci saranno alluvioni, terremoti, maremoti, la terra si spaccherà in due e il mondo finirà.»

Stranamente, immaginare Derek sorridere allo stesso modo di Cora fu incredibilmente facile e Stiles si sentì quasi... rincuorato.

«Lo farà. Ci stiamo lavorando. Sei bravo a sviare i discorsi, se non sbaglio stavamo parlando di te. E tu, Stiles, perché non sorridi più?»

Calò il silenzio. Era così difficile da capire perché non sorridesse più? Non era che non lo volesse, era semplicemente difficile. Come desiderare di stare bene quando hai l'influenza. Solo che non basta desiderarlo, devi prendere l'antibiotico. Tornare a casa la sera e cercare di essere normale per suo padre gli toglieva ogni energia, e quelli che donava a lui erano solamente un pallido riflesso dei sorrisi di un tempo. Lo sguardo gli cadde sul pupazzo appeso allo specchietto - una specie di palla di pelo rosa con due occhioni tondi seppelliti in mezzo, un regalo di Malia. Lo colpì con l'indice e lasciò che dondolasse. «Perché Derek non sorride più?»

«Non si risponde a una domanda con un'altra domanda.»

«Ma è la risposta più adatta.»

Se Cora non aveva apprezzato non lo diede a vedere. Si limitò a sporgersi e a baciargli una guancia, gesto che lo lasciò alquanto interdetto. «Se ne vuoi parlare sarò in città ancora per un po', poi ripartirò e non avrò modo di raccontare a nessuno quello che mi hai detto.»

Scese dall'auto così com'era entrata e lui restò lì, con una mano premuta sulla guancia e il cervello che analizzava frenetico quelle parole. Erano un invito così giusto che per un attimo pensò di correrle dietro, fermarla e riversare su di lei tutte le sue preoccupazioni.

Poi mise in moto la jeep e tornò a casa.

 

 

 

«L'hai visto?»

«L'ho visto e ho anche provato a parlarci, se è per questo.»

«E...?»

«E... lui non ha parlato. Il che è strano, conoscendolo.» Cora fece leva con le braccia e si sedette sul tavolo davanti alla finestra. Suo fratello le dava le spalle ma era sicura di conoscere l'espressione sul suo viso. A volte riusciva a leggere piccole sfumature di emozioni celate in quel volto che per tutti restava impenetrabile, sfumature che le davano la speranza di riuscire, un giorno, a rivedere il fratello del quale conservava gelosamente il ricordo.

Derek restò in silenzio, lo sguardo fisso oltre i vetri sporchi.

«Se sei preoccupato per lui, forse dovresti andare a parlargli.»

«Non sono preoccupato per Stiles.»

Cora non sembrò essere d'accordo con quell'affermazione detta in tono tanto burbero, perché allungò un piede e gli punzecchiò il sedere così insistentemente che dopo pochi istanti il fratello si voltò ringhiando un ammonimento. Lei scrollò le spalle.

«Ma ti senti? Mi hai chiesto di andare a dargli una controllata, perché lo avresti fatto? Smettila di cercare di nascondere l'evidenza, Derek, o almeno non farlo con me.»

La sua voce era suonata assolutamente tranquilla, ma il rimprovero in essa era evidente. Un rimprovero che portò Derek a darle di nuovo le spalle. A Cora venne una gran voglia di prenderlo a calci.

«In questo momento vi somigliate molto. Non credo che dirà a nessuno che cosa lo sta tormentando davvero, probabilmente nemmeno lo sa, ma forse se tu provassi a parlargli... Derek, credo che dovresti farlo. E che servirebbe anche a te.»

Non insistette oltre. Si alzò con un movimento così leggero da sembrare danza classica e si avvicinò a lui per poi stringerlo in un abbraccio. Durò un istante soltanto, giusto il tempo di farsi sentire vicina, poi salì al piano di sopra lasciandolo solo con i suoi pensieri.

 

 

 

 

Ciao a tutti, è un bel po' che non pubblico qualcosa, ma sistemando un problema di immagini in un altro archivio mi sono resa conto di non aver mai pubblicato qui questa storia! Quindi vi pongo rimedio. Con questa piccola creatura, come già anticipato, ho partecipato al Big Bang italiano di Teen wolf nel 2014, le immagini sono della bravissima, fantasmagorica Eloriee, la playlist (che vi consiglio caldamente di ascoltare durante la lettura) è di Nykyo! se vi va di trovare altre belle storie magari vi do il link, ma questo significa anche che la storia è già bella che pronta. Si compone di sette capitoli che cercherò di postare con regolarità una volta a settimana. Bene, detto questo, spero tanto che vi piaccia.

 

   
 
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