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Autore: Connie Burton    31/01/2018    0 recensioni
[Long-fic. Nuova generazione. Clace, Sizzy, Malec, Jessa]
Alexandra Herondale si sente condannata, Kasih Lightwood-Bane dannata, William Carstairs una vergogna e un ibrido, Christopher Herondale un'ombra, qualcosa di alieno da sé, come un ospite nella sua stessa anima. Sono tutti figli di eroi, ma si sa che dove c'è molta luce, l'ombra è più scura e il male aspetta tutti loro sulla soglia dell'abisso.
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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Disclaimer: Questa fanfiction è stata scritta senza scopo di lucro. Tutti i personaggi sono di proprietà di Cassandra Clare, così come le fan art dei rispettivi autori. Tratta di ipotetici figli delle coppie principali (Clace, Sizzy, Malec) e i miei OCs mi appartengono.
 
Prologo

                                      
Ossidiana nelle iridi, ebano tra i capelli. Quando la guarda, le prudono i polpastrelli per la brama di disegnare quei tratti cesellati, zigomi alti da regina e pelle alabastrina come se si facesse il bagno nel latte d'asina come Cleopatra e Poppea per preservarne lo splendore e la morbidezza. Non può impedirsi di afferrare il primo carboncino che trova in quella borsa troppo grande, che incide sulla spalla destra come un seghetto sibilante, per catturare l'esatta piega del suo sorriso, quelle labbra rosse e tumide, l'inferiore più pieno e quello superiore leggermente arcuato, un cuore perfetto che fa battere il suo come un tamburo da guerra, come un araldo che annuncia l'avanzare di un esercito imperioso. E Alexandra si sente inerme e minuscola, indifesa dinanzi a quel battaglione d'esecuzione che è la bellezza di Leila. Si detesta per quei sentimenti impuri, per quei desideri che non potrà mai rivelare se non alle stelle, lontana da tutti, isolata come un'anima dannata rigettata persino dall'Inferno più cupo. Perché chi ama il proprio parabatai è già dannato, è un fuorilegge, un derelitto, qualcuno da cui guardarsi, una minaccia di distruzione per il sacro sangue dell'Angelo, per il Conclave e l'Alleanza, per la propria stessa famiglia. Se qualcuno sapesse, morirebbe nella vergogna, in una cella lontana dal cielo, nel buio dell'oblio e della dimenticanza, una macchia che non lascia neanche l'alone.
« Alec?»
Sa che è suo padre prima ancora che finisca di articolare quel soprannome carico di affetto e ricordi, di amore fraterno e speranze. Per tutti gli altri lei è Alexa, ma non per lui. Jace l'ha chiamata così in onore del suo parabatai, dello zio Alec che la ragazza adora con tutta se stessa, il parente cui si sente più vicina e che è un secondo padre per lei.
Forse ha anche bussato, ma Alexandra, persa nel proprio mondo, non l'ha neanche sentito. Suo padre la guarda preoccupato, gli occhi ambrati, che lei sola ha ereditato, carichi di angoscia. Non ha sfoderato il sarcasmo, la lingua tagliente che è la loro arma prediletta, segno che deve avere un'aria tanto disperata e infelice da turbare persino Jace.
« Tutto bene, papà?» domanda con la voce meno spezzata che riesce a tirar fuori, stringendosi le gambe al petto e portandosi il viso sulle ginocchia per nascondere l'album da disegno che le sta comprimendo il ventre.
« Dovresti dirmelo tu, nanerottola,» esclama sardonico, avanzando per la stanza e sedendosi accanto a lei sul letto. Le scompiglia i ricci biondi, le dita che si incastrano in quegli anelli dorati districandoli senza farle male per poi carezzarle la guancia abbronzata, pelle mielata che si fonde e che la fa sentire al sicuro.
Non può mentire a suo padre, non c'è mai riuscita.
« Io... è solo che... cosa c'è di sbagliato in me, papà?» chiede infine in un impeto di coraggio non indifferente, decidendosi a formulare l'unica domanda che le attraversa la mente da anni, da quando i sogni sono arrivati a tormentarla, scenari di distruzioni che vede dall'alto di un trono, una corona a gravarle sul capo e gli occhi distanti e freddi di una Regina.
Suo padre sobbalza al suo fianco, gli occhi grandi resi immensi da quelle parole venate di disperazione, di quella stessa angoscia che ha sicuramente provato anche lui quando ha scoperto che Clary l'unica donna che abbia mai amato, era sua sorella.
Le prende il viso tra le mani, circondandolo con quelle palme callose per le lunghe ore di allenamento, mani da guerriero, grandi e dalle dita affusolate, piene di cicatrici bianche di vecchi Marchi e vecchie ferite.
« Alexandra Imogen Herondale, mio Sole e mia gioia, non c'è niente di sbagliato in te,» mormora con affetto infinito. Non c'è niente dell'antica arroganza in lui in quel momento, soltanto amore, « Niente,» ripete come per imprimerle meglio quel concetto nella testa. Alexandra gli sorride timida, gli occhi carichi di riconoscenza, ma il male è sempre lì e il fuoco non l'abbandona così come quelle visioni di morte che le danzano sulle palpebre serrate.
E allora perché mi sento condannata, papà?


     
                                                        
Kasih Lightwood-Bane è abituata a svegliarsi all'alba, quando il Sole ancora non si vede, mentre di nascosto gioca con la Luna in un'armonia di colori tenui che tingono d'oro la volta celeste.
Schiude gli occhi cangianti al primo accenno di luce e si disfa delle poche coperte che si concede in Inverno, il pavimento tiepido che le accarezza le spalle candide e il soffitto sopra di lei che sembra un cielo stello, attraversato da quei punti candidi che sono la sua ossessione da sempre.
Non ha mai usato il letto accanto al quale si addormenta ogni notte, un giaciglio troppo comodo per una fata come lei. Il Piccolo Popolo riposa sull'erba, a diretto contatto con la Natura che preserva e protegge dall'incuria degli uomini e del tempo.
Una volta suo padre Magnus ha tentato di ricreare un piccolo parco nella sua stanza, ma gli effetti sono stati disastrosi e da allora s'è dovuta accontentare delle lenzuola verdi e delle pareti dipinte con alberi, scoiattoli e pettirossi.
Passeggia senza far rumore in quella casa ancora addormentata, i suoi fratelli non sono mai stati mattinieri quanto lei, non Max che lavora meglio di notte né Rafe ancora tormentato dagli incubi.
La porta dei suoi genitori è appannata, osserva con piacere. Suo padre Alexander dev'essere tornato da una ronda sul tardi e deve averla lasciata così per non rischiare di svegliare Magnus.
La sfiora appena e nota che sono entrambi addormentati. Alec riposa sul fianco, il volto sepolto nel collo mielato dell'altro, la mano inanellata di Magnus che si posa protettiva sul fianco del compagno, un sorriso sereno ad arcuare le labbra di entrambi.
Le labbra si distendono senza che Kasih se ne accorga mentre tamburella le dita contro la superficie lignea della porta, la gamba destra sollevata e il ginocchio che sfiora l'infisso.
C'è una parte di lei che vorrebbe irrompere nella stanza dopo aver preparato un vassoio di leccornie e un'altra che, invece, vorrebbe scomparire, risucchiata in un vortice.
Ha bisogno di correre. Ha bisogno di scappare, fuggire da se stessa e rifugiarsi in qualcosa di estraneo, alieno, qualcosa di tanto distante da sé da risultarle familiare.
Kasih è grata a entrambi i suoi genitori, ma lei lo sa. Sa da dove proviene e sa a chi appartiene. È un'onta che la macchia dalla nascita, come una voglia sulla pelle, che non può essere strappata via, una parte di sé che è oscuro subconscio e non luminosa consapevolezza. E Kasih lo odia, si odia, per quello, per non essere come i suoi fratelli, perché non potrà essere che un peso per i suoi genitori, una minaccia e una disgrazia.
Sciocco è chi cerca di sfuggire al proprio destino ineluttabile.
Dannata, è così che si sente perché l'Inferno reclama a sé che le anime che gli appartengono.


 
                                                       
Le note si rincorrono prima timide e poi sempre più veloci, sicure, esperte.
William chiude gli occhi e percepisce la musica fluire sotto l'archetto che modella le corde, le accarezza sino a strappare loro gemiti languidi e note armoniche, una sinfonia senza tempo che canta del suo amore, che canta di lei.
Céline.
Persino il suo nome sembra una carezza dolce sulla pelle, fresca come un balsamo e pura come acqua di fonte. La gentilezza del suono che si accompagna allo splendore del suo viso angelico, ai capelli biondi come il grano e gli occhi verdi come le foglie di quercia, iridi grandi e sincere, piene di luce e magnificenza.
William continua a suonare, abile come solo i grandi artisti sanno essere, seguendo uno spartito che è solo mentale, accostamenti che nascono dalla sua Musa, movimenti che seguono un pentagramma tutto loro, improvvisato ma non per questo meno sublime.
Un grattare leggero alla porta lo distrae, ma non gli fa perdere la concentrazione necessaria. Quando suona, si isola dal mondo. È lui, William Carstairs, con la sua arte, la sua anima messa a nudo dinanzi alla musica, quella somma dea al cui altare si prostra e offre libagioni, note che raccontano la storia del suo cuore.
Church gli fa le fusa, ronfando contro i suoi jeans, ammaliato anche lui dal violino, per una volta non voglioso di cibo. Will si china ad accarezzargli il pelo folto e morbido, l'archetto e il violino stretti nella mancina e la destra che scompare nel mare sulla schiena del gatto. Gli sorride amabile, gli occhi a mandorla che ha ereditato da suo padre che si illuminano dinanzi a quella richiesta di affetto.
« Sei bravo come tuo padre,» mormora Tessa dietro la soglia, il viso serio disteso da un sorriso commosso e gli occhi grigi che brillano di lacrime di gioia appena trattenute. È bella, sua madre, giovane e immortale come una statua, la donna più dolce che abbia mai conosciuto, premurosa e sempre attenta. Will la ama con tutto se stesso, ma non può impedirsi di essere triste ogni volta che incontra il suo sguardo.
« Molto di più,» replica l'uomo al suo fianco, gli occhi scuri che lo osservano con affetto infinito, come se fosse il più grande orgoglio della sua esistenza.
Will non risponde, non può, un groppo alla gola glielo impedisce. È da quando è tornato dall'Accademia, fresco di diploma ottenuto a pieni voti e desideroso di cominciare gli studi da Centurione, che non riesce a guardare i suoi genitori senza ricordare tutte le offese che è stato costretto a subire negli anni.
Mostro, ibrido, vergogna.
Gli bruciano il cuore e gli soffocano l'anima, pesi di piombo che gravano sul capo come una spada di Damocle.
Come potrebbe Céline desiderare lui, un essere imperfetto, un meticcio che non è né uno Stregone né un Nephilim, qualcosa di impuro, sbagliato, qualcosa che non dovrebbe nemmeno esistere?
          
                                                                                    
Nietzsche sosteneva che se scruterai a lungo nell'abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te e che chi combatte i mostri deve guardarsi dal divenirlo egli stesso.
Christopher Herondale si sente così. Si sente nichilista, ma non l'attivo, non l'oltreuomo che si libera delle catene della morale comune per affermare se stesso, bensì il passivo, Apollo e non Dioniso, un uomo tra gli uomini, non diverso da tutti quelli che lo circondano. E si sente patetico, lui che potrebbe avere il mondo a suoi piedi, che potrebbe essere l'eroe della sua storia e che invece non è nessuno, neanche un personaggio marginale, soltanto una nota a pie' pagina neanche troppo estesa.
Si sente ombra, un doppio da sé, il riflesso dell'orma luminosa che dovrebbe essere la sua anima.
Ombra.
Ombra per sua scelta, per sua stessa debolezza, mancanza per la quale può che disprezzare se stesso.
La sua anima dilaniata è ghermita in ogni momento da artigli invisibili che la graffiano e la costringono a raggiungere l'abisso, ad accogliere dentro di sé un'oscurità che non dovrebbe appartenergli.
« Cosa mi sta succedendo?» domanda a se stesso, nel chiuso della propria stanza, gli occhi verdi celati da palpebre calate e labbra tremanti, boccioli di rosa schermiti da un vento impetuoso.
Christopher, lo chiama l'ombra nera con cui condivide il cuore, vieni da me, Chris. Vieni a giocare.




Angolo autrice
Salve a tutti e benvenuti in “Innuendo”. Oltre che una meravigliosa canzone dei Queen, questo termine può essere tradotto come “insinuazione” o “doppio senso” e questo caratterizzerà un po' tutta la storia perché c'è un'ambiguità di fondo che permea tutti i personaggi.
  • Questa è una storia corale, in cui si alterneranno questi 4 pov (Alexandra, Kasih, William e Christopher);
  • C'è l'avvertimento incest, quindi lettore avvisato mezzo salvato;
  • Non ci sono spoiler tratti da TDA perché ho deciso di non considerarla visto che non è ancora finita e la mia storia si concentra principalmente sugli avvenimenti descritti in TMI.
Spero che il prologo vi sia piaciuto tanto da commentarlo.  A presto e grazie per aver letto.
   
 
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