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Autore: cartacciabianca    28/06/2009    2 recensioni
L'epilogo ufficiale della mia fan fiction "Dea tra gli Angeli". Si tratta di una storia a sé perché ne ho voluto deliberatamente parlare con distacco dal resto della storia, sia perché mi è venuta in mente troppo dopo rispetto alla conclusione della fiction stessa. Spero solo che Erika e l'EFP team non mi ammazzino per questo! XD Detto ciò, spero che vi piaccia! Ovviamente una delle mie solite cavolate, ma vivamente spero che qualcuno la legga! ^^'
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC, Lemon, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli'
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Dea tra gli Angeli
<< Epilogo >>

Respiri nella notte



Il canto di un vecchio gufo risuonava nella notte. La brezza estiva traversava le coperte smosse e le lenzuola candide del suo letto sfatto andando a soffiarle tra i capelli castano chiaro tenuti legati in una coda alta, che si apprestò a sistemare al meglio. Si ammirò allo specchio, cogliendo il barlume dei suoi occhi color zaffiro, di un azzurro quasi grigio. Era una ragazza col viso tondo e le guance arrossate per cosa solo aveva in mente di fare quella sera. La veste bianca e leggera, corta sino a metà coscia, aveva delle larghe maniche che si stringevano attorno ai suoi polsi. Un’aggraziata scollatura ne abbelliva il petto poco formoso, ove sul collo si rampicava la catenella di un ciondolo tenuto nascosto tra i seni.
Prese un respiro profondo e si voltò verso l’uscita della sua camera.
Sorpassò le porte di altre stanza senza mai fermarsi e giunse alle scale oltre il salottino adornato di colorati cuscini; alcuni raggi di luna penetravano dalle ampie vetrate e lasciavan luccicare le tende come il tessuto fosse imperlato d’argento.
La sua ombra nuova traversò la stanza e sgattaiolò giù dalle scale con leggerezza.
I corridoi della fortezza erano avvolti dalla luce soffusa dei bracieri lungo il soffitto. L’androne e le varie stanze degli assassini che affacciavano in quell’ala della roccaforte tacevano del silenzio della notte, mentre sopra Masyaf si stagliava un cielo immenso abbondante di stelle.
Un tappeto scuro percorreva il pavimento in pietra e si perdeva nel buio e, una volta giunta al piano inferiore, la ragazza s’incamminò dritta davanti a sé facendo il meno rumore possibile.
I suoi piedi scalzi lambivano il tessuto morbido del tappeto e la sua ombra solcava le pareti del corridoio scontrandosi con le porte schiuse delle stanze degli assassini che riposavano beati.
Dopotutto, erano trascorse poche ore dalla fine della festa ad allora, perciò erano tutti molto stanchi dopo i preparativi e la manifestazione.
Ripensò ai colori sgargianti dei fuochi artificiali, all’oro del Tesoro dell’Eden che si era messo a balenare nel mezzo dello spettacolo senza che nessuno glielo avesse chiesto.
-Elena-.
Fu una voce che davvero la spiazzò di ogni sua difesa, lasciandola priva di auto controllo. Sobbalzò voltandosi, appiccicandosi alla prete e tentando il vano tentativo di… nascondersi.
-Elena, vieni fuori- ripeté la stessa voce.
La ragazza si allontanò dall’ombra dell’arazzo e mosse solo un passo verso la figura retta e scura che, non appena la vide avvicinarsi, si mostrò anch’essa.
Altaïr aveva le braccia conserte, lo sguardo nero perso nel vuoto alle sue spalle, e d’un tratto Elena ebbe paura di ciò che potesse solo intuire cogliendola così in fragrante.
L’assassino indossava delle vesti comuni, semplici che sembrava avesse tenuto addosso durante tutta la cerimonia. Si trattava di una camicia di seta dalle maniche larghe e che ricadeva alla perfezione sulla solidità dei suoi muscoli; assieme ad un pantalone lungo ma scuro, su una tonalità di grigio piuttosto corvina.
-Cosa ci fai in giro a quest’ora?- le chiese serio in viso, per metà celato nell’ombra.
La ragazza tentò di indietreggiare, ma il suo maestro accorciò svelto la distanza. –Io…- balbettò lei.
-Elena, non mentirmi- intervenne lui. –Stavi dirigendoti da Marhim, è così?- insistette.
-No!- si apprestò a ribattere lei.
-Abbassa la voce- la rimproverò.
-No…- mormorò più docile. –Non stavo andando da Marhim, io volevo solo…-.
-Avanti, su, parla!-.
-Uffa, non avete più motivo di essere geloso!-.
-Credi che sia per gelosia che faccio questo?- gli scappò una risata isterica. –Ti sbagli. È nel bene della tua salute. Le ultime ore così come i giorni passati ti hanno affaticata. Lo vedo nei tuoi occhi-.
La ragazza sbuffò sonoramente. –Smettetela di prendere in giro voi stessi…-.
L’uomo parve irrigidirsi. –Avanti, torna subito nelle tue stanze- ordinò.
-No-.
-E’ un ordine, non un suggerimento!- digrignò lui.
-Ho detto di no!-.
-Sono tuo maestro, non ti è concesso né replicare né mettere in discussione ciò che ti dico!-.
-Ah!- sghignazzò la ragazza. –Qui vi sbagliate: non siete più il mio maestro!- lo punzecchiò indicandolo con un dito, avvicinandoglisi. –Fu ciò che diceste durante il nostro viaggio per Gerusalemme, rammentate? Mi urlaste contro che non appena fossimo tornati a Masyaf dopo la riuscita dell’incarico, vi sareste auto sollevato dall’incarico di mio mentore! Ebbene, mantenete le vostre promesse, assassino!-.
Altaïr fece schioccare la lingua. -Serpe…-.
-Voi!- sibilò la ragazza. –Come mi avete chiamata?!-.
-Hai sentito benissimo!-.
-Uh, uh! Ve le cercate, allora!- la distanza tra loro diminuì a tal punto che Elena poté quasi percepire la sua aura di egoismo e cattiveria, che mai aveva visto rilucere nel suo maestro.
L’uomo la fissò allungo con sghembo. –Va’ nella tua stanza, adesso- ribadì freddamente.
-Non era da Marhim che mi dirigevo- la Dea distolse lo sguardo.
Altaïr inarcò un sopracciglio. –Ah no?- schernì.
-No- lo fulminò con un’occhiataccia. –Io… volevo recarmi da mio padre, per questa notte-.
-Ti aspetti davvero che me la beva?!- l’assassino le afferrò il mento con una mano facendola voltare verso di sé.
-Ovvio che no!- sbottò lei.
-Perché?! Tuo padre è stanco, reduce come te da un lungo viaggio e appesantito dall’alcol di questa sera. Gli faresti solamente un torto recandoti da lui così inaspettatamente. Non puoi aspettare domani mattina per chiedergli di tua madre?!- digrignò.
Elena scosse composta la testa. –No. Voglio stargli vicino, adesso- ribadì fredda.
L’assassino liberò il viso della ragazza dalla sua presa con uno strattone. –Come vuoi, ma sappi che se qualcun altro ti coglie in giro non sarò dalla tua parte-.
-Nessuno vi ha chiesto di scomodarvi…- la Dea lo sorpassò proseguendo nel corridoio, ma prima che potesse allontanarsi troppo, il suo maestro la chiamò di nuovo:
-Elena, aspetta…-.
Si girò di mala voglia, con una smorfia sulle labbra. –Sì?- eruppe.
Altaïr si massaggiò il collo. –Perdonami- disse solo.
La ragazza si tirò in un affabile sorriso. –Siete stanco, e lo capisco… ma perché aggredirmi così?- domandò stupita.
-Sei stata tu ad aggredire me! E quelle cose che ho detto in viaggio, io…- si avvicinò di pochi passi. –Mi spiace averle solo pensate, mi spiace davvero…- fece affranto.
La Dea incrociò le braccia al petto. –Va bene, siete perdonato. Ma ora ditemi: cosa ci fate voi in giro a quest’ora?-.
Sull’immediato, Altaïr la fulminò con un’occhiataccia. –Questo non ti riguarda- sorrise malizioso.
-Non so perché, ma qualcosa stimola la mia curiosità- ridacchiò la giovane tornando sulla sua strada.
-Elena-.
-Ancora!?- sbottò voltandosi.
Il suo maestro sfociò nel primo vero e sincero sorriso della serata. –Va’ da lui; non ne farò parola con il Maestro, promesso…- mormorò.
Gli occhi di lei luccicarono di gioia. –Grazie…- ansimò. –Grazie- ripeté fuggendo via quasi di corsa.

Raggiunse leggiadra il quarto piano della fortezza e scivolò lungo la parete del corridoio, avvicinandosi alla porta della stanza che più conosceva di quell’ala.
Si guardò attorno circospetta e bussò tre colpi ben scanditi.
Dall’interno vennero alcuni lamenti, poi un parlottare confuso tra due persone e in fine il suono della maniglia che veniva girata.
-Chiunque tu sia- fece una voce dall’interno. –Rimpiangerai di essere venuto fin qui a rompere a quest’ora della notte!-.
Sull’ingresso comparve un ragazzo di sedici anni; i capelli scuri scompigliati e davvero disordinati, gli occhi color legna, con solo i pantaloni del pigiama indosso.
Il giovane dovette sgranare gli occhi un paio di volte prima di realizzare chi avesse davanti.
-Elena?!- esultò sotto tono Halef, uscendo del tutto dalla stanza e richiudendosi la porta alle spalle. –Cosa ci fai qui?!- chiese sbigottito stringendola per le spalle e accompagnandola altrove.
-Volevo…- esitò, ma si diede della stupida. –Volevo parlare con Marhim di una cosa…- disse sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Il fratello minore si posizionò per bene di fronte a lei e la squadrò da capo a piedi. –Per “parlare” intendi dire quello che… che sto pensando?- aggrottò la fronte, facendo una faccia così buffa che Elena non riuscì a trattenere una risata.
-Sì, hai capito bene…- arrossì la ragazza.
Halef si mise a braccia conserte un istante, lanciandosi un’occhiata attorno. –Va bene, va bene… ragioniamo un attimo: io posso restare?- chiese.
-No- rispose ridendo la Dea, e le sue guance assunsero un colorito ancor più roseo.
-Capisco… ok, allora mi levo dai piedi. Giusto qualche oretta, non di più…- disse tornano verso la sua stanza. –Prendo alcune cose e poi… vi lascio- aggiunse entrando nella camera.
-Chi era?- domandò Marhim con voce stanca dall’interno.
-Ah, non preoccuparti! Il solito assassino ubriaco che rompe le così dette. Lo riaccompagno in stanza, torno subito fratello- Elena ascoltò nascosta nell’ombra e, quando Halef rinvenne dalla stanza chiudendo la porta, gli si avvicinò.
-E’ tutto tuo, ma aspetta che si sia riassopito prima di entrare, va bene? Fa’ più scena…- le fece l’occhiolino. In mano aveva un maglione più pesante e alcuni libri.
-Tu dove vai?!- gli chiese sotto sono guardandolo allontanarsi.
Halef si voltò all’ultimo. –Ho famuccia!- ridacchiò, ed Elena con lui.
Non appena la ragazza fu completamente sola, attese qualche decina di minuti e, prendendo un gran respiro profondo, fu finalmente pronta.
Entrò quatta quatta nella camera di Halef e Marhim, richiudendosi subito la porta alle spalle senza fare troppo rumore.
Dalle finestre aperte entrava una leggera brezza estiva, accompagnata dal suono delle fronde degli alberi nel vento. C’erano due letti: uno vuoto e sfatto a sinistra, e un altro nel quale riposava il giovane Marhim, disteso su un fianco con un braccio nascosto sotto il cuscino.
Elena gli si accostò lentamente, chinandosi al fianco del materasso e gustandosi una prima svista al corpo del suo amato.
Marhim indossava una leggera canottiera a coprigli il petto esile ma muscoloso, la coperta lo copriva sino ai fianchi ed era rivolto verso il muro, dandole le spalle. Respirava tranquillo, avvolto dalla nube ellittica del dormi veglia semi-cosciente.
Elena sollevò una mano e gli carezzò il viso, pizzicandosi le dita di quel suo sottile strato di giovane barba. Percorse delicatamente il filo del suo mento sino al collo, e con la mano carezzò la pelle sensibile della nuca.
A quel punto gli occhi del ragazzo si schiusero lentamente, fulminandola con uno sguardo inizialmente vuoto, ma che gradualmente si avvalse di tutto lo stupore che Elena desiderava vedergli insorgere.
-Elena…- mormorò incredulo Marhim.
La ragazza sorrise tristemente. –Ciao- disse solo.
-Cosa ci fai qui?- domandò scansando la coperta e mettendosi a sedere sul materasso, ed Elena lo lasciò fare sollevandosi in piedi. –D-d-d-dov’è Halef?- chiese anche guardandosi attorno.
La Dea lo ammirò dall’alto al basso. –Adesso non pensare a lui, ti prego…- sussurrò carezzandogli i capelli, e Marhim restò del tutto alienato da quel suo comportamento.
-Elena…- intervenne. –Che ti prende? Sembri… diversa- constatò.
L’assassina si chinò leggermente alla sua altezza. –No, sono sempre io, te lo posso garantire- ridacchiò sotto tono; e poco più tardi Elena tornò ad accarezzarlo alla base del collo, solleticando la pelle di quel punto con i polpastrelli, avvertendo il calore di Marhim sulla sua mano.
-Che cosa stai facendo?- balbettò lui irrigidendosi. –Cosa vuoi fare?- domandò pure.
-Ssssh- fu la risposta di lei che si mise a cavalcioni sulle sue ginocchia, respirandogli sul viso e lambendogli alcuni punti del volto con le labbra, cominciando a lasciare una sottile scia di piccoli baci dai suoi occhi schiusi sino a dietro l’orecchio.
Marhim sollevò le braccia e le cinse dolcemente i fianchi, diventando preda delle emozioni che lo travolsero solo in quel momento; completamente schiavo del piacere che il calore dell’incarnato di Elena, così vicino al suo, gli trasmetteva. Le sue mani presero ad accarezzarle la schiena delicatamente, mentre la ragazza spostava le proprie più in basso, precisamente sul margine della canottiera di lui, che ella gli sfilò di dosso in una frazione di secondo.
L’assassino si lasciò accarezzare da lei che nel frattempo aveva ulteriormente addossato il proprio corpo al suo, percependo i le sue morbidezze comprimersi contro i muscoli del ragazzo.
Marhim fu altrettanto svelto, ormai nel totale oblio, ad infilare le dita sotto la tunica bianco leggera della ragazza, potendo saggiare con le proprie mani la morbidezza della schiena di lei. Spogliandola di quell’indumento, il giovane lasciò ricadere il vestito a terra con delicatezza, dopo di che poggiò entrambe le mani sui fianchi della ragazza avvicinandola con violenza a sé.
Il metallo del ciondolo di Alice che pendeva tra i seni della Dea gli procurò un brivido che lo traversò lungo tutta la spina dorsale, e Marhim abbassò appena lo sguardo per poter mirare la lucentezza della catenella che adornava il collo della sua amata. Avvicinò il viso a quel punto, soffiando aria bollente sulla pelle di Elena che, a tale gesto, rispose poggiando una mano sulla sua nuca e attirandolo verso di sé.
Piegò la testa di lato la ragazza, permettendo all’assassino di risalire con la punta del naso sino al suo mento, fin quando le loro labbra non si scontrarono per la prima volta durante tutta la serata.
Marhim si lasciò scivolare giù, stendendosi totalmente sul letto, sovrastato dal corpo di Elena sopra di sé. La ragazza mosse abile la lingua che penetrò la difesa dei suoi denti, e al giovane scappò allora un leggero lamento.
Proprio in quell’istante fu un gesto deliberato per lui voler chiedere di più. Riscese la curva dei fianchi della Dea sino ad accarezzarle la coscia, stringendola sotto il ginocchio e irrobustendo la presa.
Elena sciolse le braccia da attorno il suo collo e carezzò con malizia ogni centimetro del suo petto caldo, sino a giungere all’elastico dei pantaloncini corti che Marhim indossava come pezzo inferiore del pigiama.
-Aspetta- mormorò il ragazzo interrompendo il bacio.
-Scordatelo- ridacchiò lei ad occhi chiusi. –Questa volta non ti darò il tempo di capire cosa sta succedendo…- fece sorridente riaccollando le loro bocche in una nuova danza mista tra passione e desiderio.
Si trattò di un attimo, ed Elena riuscì a spogliarlo di quell’ultimo indumento che rendeva ancora incompleto il loro amore. I pantaloncini gli scivolarono via dalle gambe, e Marhim, con un colpo di anche, riuscì a ribaltare la situazione accompagnando con dolcezza il corpo di Elena sotto di sé.
Scivolò lentamente tra le sue gambe, annullandosi dentro di lei e avvertendola fremere di piacere ad ogni sua spinta; e nel frattempo, ognuno soffocò i gemiti nella bocca dell’altra.

Altaïr tornò nella sua stanza che era quasi l’alba, ma durante la sua passeggiata non aveva minimamente intravisto l’ombra della sua allieva. Nella sala mensa, ricordava bene di avervi incontrato il giovane Halef, che senza pensarci due volte gli aveva raccontato la vera versione dei fatti.
Una volta che ebbe richiuso la porta dietro di sé, il mastro assassino della confraternita si avvicinò all’ampia vetrata che dava sullo strapiombo sul lago e ammirò la notte consumarsi nel canto delle cicale e di un vecchio gufo.
Rashy dormiva profondamente, appollaiata sullo schienale della sedia dietro la scrivania, ben infagottata tra le sue piume. Il vento estivo che entrava dalla finestra gli scompigliava alcuni ciuffi di giovane piumaggio sulla testa, mentre i suoi occhi erano chiusi dal sonno e le sue ali strette al petto.
L’assassino prese un gran respiro e andò a sedersi accanto alla falchetta, la quale non mostrò il minimo disturbo non appena il suo padrone si fu avvicinato.
Altaïr si sistemò comodo a guardare fuori dalla vetrata; con una mano accarezzò la testolina della sua fedele compagna, e l’altra la tenne appoggiata al bracciolo della sedia.
Improvvisamente un suono indistinto, leggero e di passi attirò la sua attenzione.
Pochi istanti dopo, la porta della sua stanza si aprì con lentezza, e ne emerse una figura allungata che Altaïr vedeva bene, ma che questa non poteva vedere lui poiché l’assassino fosse metà celato nell’ombra.
Era vestita di un lungo abito blu scuro, sicuramente da notte perché ricamato di leggeri pizzi dorati. Era signorile, d’alta nobile famiglia, ed era una donna. Non impiegò troppo tempo per riconoscerla.
La ragazza si guardò attorno, finché i suoi occhi verdi non si soffermarono sul letto vuoto nel quale sarebbe dovuto essere Altaïr in quel momento, che invece stava cercando di capire cosa avesse spinto la moglie di Corrado a venire nella sua stanza nel cuore della notte…
-Isabella- chiamò grave.
La Regina trattenne lo stupore voltandosi verso di lui. Mosse alcuni passi nella sua direzione portando con sé una candela accesa che successivamente poggiò sul tavolo.
-Sapevo di trovarvi sveglio, Altaïr- disse.
-Cosa ci fate qui? E dov’è vostra figlia Maria?- la tempestò di domande serio in viso.
Isabella sospirò affranta e sorrise triste distogliendo lo sguardo. –Ella riposa adesso; ha avuto una giornata impegnativa, ha aiutato nei preparativi alla festa e si è molto divertita. I fuochi le sono piaciuti tanto- ammise.
-Ha fatto un buon lavoro- parve rallegrarsi l’assassino, ma senza perdere la sua compostezza. –L’ho ammirata mentre aiutava Tharidl con le ghirlande e le lanterne- aggiunse.
-Sì…- ridacchiò la donna. –Si è data da fare-.
-E’ una bambina molto solare-.
-Ma delle volte testarda- concluse lei.
-Come sua madre, dopo tutto- commentò l’uomo sistemandosi meglio sulla sedia. La falchetta alle sue spalle sbatté due volte le ali prima di richiuderle. –Suvvia, ditemi cosa andate cercare qui, dunque-.
Isabella si strinse nelle spalle. –Nulla di concreto, mio Signore Altaïr…-.
L’assassino si sollevò in piedi di colpo. –Non vi do il diritto di chiamarmi così. Solo perché vi sentite in debito con me, non dovete assolutamente chiamarmi in quel vile modo!- ringhiò.
La donna chinò la testa afflitta, indietreggiando appena. –Perdonatemi, ma…-.
-Ma cosa, Isabella? Come devo ripetervelo che non avete alcun motivo per rispettarmi a questo modo? È vero, contributi all’assassinio di vostro marito e di suo padre, ma…- cominciò lui aggirando la scrivania e sistemandosi di fronte a lei. –Ma non c’è… non c’è logica nel perché state facendo tutto questo. Non vedo perché dovreste…-.
Le parole gli morirono in gola non appena la Regina, con uno scatto fulmineo, si fu protesa in avanti ed ebbe sfiorato non poco le labbra dell’uomo.
Fu un flebile contatto che durò il tempo necessario perché le spalle del giovane perdessero ogni briciolo di compostezza e rigidità ma, con una presa ferrea, Altaïr l’agguantò per il gomito respingendola.
-No!- digrignò lui.
Isabella restò immobile, con il proprio viso molto vicino a quello di lui. –Perché?- gemette ella.
-Sono io che devo chiedervi il perché, e non il contrario…- sussurrò lui d’un tratto più cauto.
-Siete umano, Altaïr, non respingete adesso ciò che provate o desiderate provare…- mormorò maliziosa sulle sue labbra, che quasi sfiorò… “quasi”.
-Perché lo state facendo? Per la mia fama, per il mio sostegno? Cosa volete da me!?- sibilò lui.
Alla Regina sfuggì una risata isterica. –Io non voglio nulla, vi sto solo manifestando il mio interesse per voi, che invece, sembrate non ricambiarlo…- si allontanò da lui con uno strattone, ma la presa dell’uomo sul gomito della donna persisteva, e con la stessa violenza con la quale l’aveva allontanata, Altaïr la fece tornare tra le sue braccia.
-Troppo tardi per i ripensamenti, mia Regina…- ridacchiò. –Avete svegliato il cane che dorme…- batté i denti chinandosi alla sua altezza e travolgendola in un bacio colmo di passione, desiderio e immenso trasporto.




Questa one-shot, che rappresenta l’epilogo successivo all’ultimo capitolo della fan fiction originale Dea tra gli Angeli, la dedico ai miei più grandi compagni e sostenitori ^^’, che mi hanno accompagnato la mia e l'avventura di Elena fin dall'inizio.
Solo loro, i soli ed unici....... Saphira87 e goku94
Un medesimo sfogo della mia fantasia architettato dalla mia mente contorta. Spero sia stato di vostro gradimento, ma suppongo che senza le conoscenze della fan fiction intera non si possa capire molto <.< perciò… vi consiglio di leggere la versione intera! XD
A presto!
Elik.
   
 
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