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Autore: SparkingJester    01/02/2018    5 recensioni
Storia per il Contest "The Dark Side of Fantasy" di Haykaleen:
Pacchetto Ariete:
Creatura: Fauno
Obbligo: Guerra
Bonus: Slash
Citazione: “Se vogliamo godere della pace, bisogna fare la guerra.” (Cicerone)
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Un comandante ed il suo piccolo manipolo di soldati sono in missione per prendere possesso di un piccolo, abbandonato e maledetto reame ma in un mondo dove la magia è strettamente legata a Spiriti e Demoni, ci si può aspettare solo follia e bramosia di potere.
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1 – Il Caldo Condottiero
Sotto il mite sole pomeridiano e in silenzio, una lunga fila di carri cigolanti e soldati appiedati marciava verso Nord. Mancavano poche ore al tramonto e finalmente, dopo un noioso viaggio di tre settimane attraverso vaste pianure e subdole giungle, il loro obiettivo si mostrò all’orizzonte: la foresta di confine con la Tetra Nazione.
Il Capitano Qerqewil, avvolto in un mantello giallo, alzò il pugno per fermare la carovana. Rimase immobile e serio, scrutando l’orizzonte e la foresta che avevano di fronte da sotto il suo particolare elmo. Senza muoversi ulteriormente, chiamò uno dei suoi ufficiali e ordinò che fosse montato l’accampamento.
Intorno a lui, soldati con armature arancioni ed esotiche si mossero in sincronia e pacatezza: spostarono i cavalli, posizionarono i carri e montarono delle tende coniche e semplici. Un fuoco venne acceso alle sue spalle ma niente poté turbare la concentrazione del Caldo Condottiero: era una leggenda, un misterioso uomo dal volto sempre coperto da un bavaglio rosso, dal naso a metà del collo; la sua tenacia e abilità con la spada lo portarono presto a ricoprire posizioni di comando nell’esercito di Zerin, una vasta e prospera nazione del Sud.
Potenti militarmente e ricchi, mantennero una pace stabile e duratura per anni, ma la noia e le manie di grandezza generarono un piano di conquista per l’intero continente. Niente attacchi combinati ne alleanze di favore, nemmeno una dichiarazione di guerra ma una sola e furtiva missione: millequattrocento uomini ben armati e addestrati avevano il compito di penetrare nell’isolato e debole regno dal nome sconosciuto: per tutti era “La Tetra Nazione”, “Netew” nella lingua Zerin. All’estremo Nord, incastonata tra le rocce e collegata al mare per metà, Netew possedeva un piccolo arcipelago di chissà quante isole minori e si connetteva a quattro reami, più allettanti e fiorenti ma difficili da ottenere. Ritenuta maledetta e abbandonata a se stessa, quella fetta di terra sarebbe stata un buon punto di partenza nel quale insediarsi per conquistarne i regni adiacenti e poi riconnettersi al Sud, sottomettendo ogni centimetro disponibile di tutto il continente, da Sud a Nord e viceversa, tutti sotto il comando del Saggio Imperatore.
Il Capitano Qerqewil era a comando dell’intera spedizione: dovevano essere veloci e viaggiare in gruppi separati, camuffati da viandanti e mercanti per non dare troppo nell’occhio o i regni vicini avrebbero sospettato qualcosa. La compagnia fu divisa in quattro squadre ed ognuna avrebbe attraversato i confini di Netew in zone differenti: una sull’oceano dell’Ovest, risalendo un lieve crinale roccioso e invadendo l’entroterra; una a Est, sul confine col Mare Azzurro, per catturare villaggi di pescatori e allevatori al fine di rinfoltire le loro scorte di cibo; altre due, a buona distanza l’una dall’altra, sarebbero entrate invece da Sud-Est, attraverso una vasta e semicircolare foresta che ne delimitava i confini terrestri. Si preannunciava una dura sfida; un’incursione, un ricongiungimento ed infine un attacco concentrato alla loro capitale: Galdere, la Città dei Pazzi.
Al crepuscolo qualcosa si mosse, gli occhi del capitano saettarono su due piccoli punti luminosi nascosti tra gli alberi. La foresta trasudava una lieve nebbia, una sagoma protetta dal buio fissò di rimando il capitano.
Un ufficiale gli si avvicinò ed osò, deglutendo: «Capitano ha visto qualcosa con quei suoi occhi? Dovreste riposare anche voi.»
Il Caldo Condottiero gracchiò pacato senza battere ciglio o muovere muscolo: «Ci osservano, continueranno a farlo. Incidete le rune filtranti sugli scudi. Portate con voi anche le lame benedette.» Fece una pausa, inclinando leggermente la testa di lato, per poi chiudere finalmente i suoi gialli occhi e voltarsi: «Riposate, domani all’alba andremo e moriremo per Zerin.»
«Che Zerin risplenda, signore!» Rispose l’ufficiale, battendo il pugno sul petto gonfio d’orgoglio.
Qerqewil entrò nella sua spaziosa e poco illuminata tenda, si tolse il mantello giallo rivelando una elegante ma solida corazza rossa, esotica ed ornata da una cappa blu fino a metà schiena; il suo elmo, conico a segmenti neri e gialli, possedeva una larga e lunga cresta dorata che partiva dal centro degli occhi, come due piume affiancate, elegante ed affusolata fin dietro le spalle. Si spogliò ed andò a sedersi di fronte ad uno specchio, dando le spalle all’entrata. Mise la mano sotto al suo immancabile bavaglio e iniziò a grattarsi, una sorta di conato ne uscì e poi lievi colpi di tosse.
«Capitano, capitano!» un soldato urlò facendo irruzione nella tenda. Qerqewil lo fulminò con lo sguardo, voltandosi ma mantenendo le spalle allo scortese visitatore.
«Oh, domando pietà ma abbiamo un messaggio urgente dal Capo Squadra Forste.»
Il Caldo Condottiero comandava tutti i membri della spedizione ma era supportato da quattro capi squadra che facevano rapporto solo a lui. Forste era l’incaricato di guidare la seconda spedizione nella foresta, più a nord, mentre Qerqewil era accompagnato dal capo squadra Jerde.
«Parla e vieni al punto!» Gridò il capitano, rauco.
«I-Il Capo Squadra ha attraversato la foresta a metà mattinata ma ha… ha avuto difficoltà. Ci incontrerà come previsto dal piano ma…»
«Due “ma” sono già troppi, soldato.» lo interruppe serio.
«Ma hanno subito ingenti perdite. Dimezzati dicono, arcieri inclusi.»
Il capitano replicò solo dopo una decina di secondi: «Hai finito? Fate come vi ho detto e non osate disturbarmi ancora.» Finì di rimproverarlo ed il soldato deglutì e scappò; Qerqewil invece si spostò verso la sua brandina ma andando oltre, all’angolo tra due grosse casse di legno, e si sedette a gambe conserte e braccia incrociate, poggiò la testa sulla propria spalla e si addormentò senza indugio, strusciandovi sopra le guance.
Il sole sorse e la foresta si trovò di fronte una schiera di minacciosi soldati, dagli elmi sobri e conici. Il Caldo Condottiero iniziò ad avanzare, a passo svelto ma sicuro, una mano alla cintola ed una ciondolante di lato. La truppa lo seguì seguendolo in formazione a cuneo, compattandosi sempre più, attraversando il confine terrestre della foresta: dense nuvole grigie sembravano sovrastare solo le cime degli alberi, dividendosi dal cielo limpido che invece aveva di fronte.
Una volta dentro solo circospezione e silenzio. Nessuno in vista, sporadici scoiattoli e rapaci, qualche roditore impaurito. Un rumore improvviso destò la loro attenzione, un frusciare di rovi rivelò una volpe nascosta dentro un annerito cespuglio. In preda al panico, la volpe fuggì dietro ad un albero poco vicino, dove un piccolo e morbido orsetto tentava goffamente di arrampicarsi, probabilmente in fuga dagli intrusi.
Qerqewil bloccò l’avanzata, si avvicinò lento all’orsetto: «Attenti, può esserci la madre. Ma c’è qualcosa che non va, posso sentirlo. In guardia o morirete.»
L’orsetto era a portata di mano, lo afferrò per la collottola e se lo mise davanti agli occhi. Ma l’orso, con grande sorpresa di tutti, iniziò a piangere come un bambino: «Mamma, mamma!» ripeté, agitandosi e piagnucolando. Lo sguardo e lo stato d’animo del capitano non mutarono, nemmeno dopo aver notato, con la coda dell’occhio, la testa della volpe sghignazzante che faceva capolino da dietro l’albero: «Che c’è, soldatini, vi siete persi?»
«Voglio la mamma! Mamma, mamma!»
«Volete che vi dica dov’è l’uscita? -ridacchiò la volpe, mostrando i denti sporchi- Forse me lo sono appena dimenticato! Dov’è!?» per poi esplodere in una fragorosa risata.
La voce del capitano risuonò bassa ma potente nella testa dei suoi uomini: «Calmi! Ammazzate qualunque cosa si avvicini.»
La spada del Caldo Condottiero venne finalmente sguainata dopo tanto tempo: con un veloce fendente colpì volpe e orsacchiotto tagliandoli a metà e tranciando di netto anche l’albero di fronte a sé, lasciando lievi fiamme e nere ustioni al suo passaggio. La carne degli animali si sciolse, cambiò colore e forma divenendo nera e putrescente; risate e lenti ululati mostruosi risuonarono nella foresta, invasa da un alone di ombra e nebbia sempre più fitto e opprimente. La visibilità iniziò a ridursi: cervi, orsi, gufi, aquile, capre, cavalli, volpi e conigli, silenziose le loro ombre circondarono il cuneo di invasori e mutarono forma in modo osceno di fronte ai loro occhi increduli ma pronti.
Qerqewil si voltò tenendo davanti a sé Varm, la Spada Bollente, un artefatto Zerin di pregiata fattura degno di un vero condottiero, e puntò la sua arma verso una gigantesca creatura bavosa: tutti gli animali mutarono in mostri neri opachi, glabri e privi di occhi, armati di lunghi artigli, con robuste corna e zanne, dove prima non c’erano, tutti sghignazzanti; maiali e capre zannute iniziarono a parlare con voci umane seguiti presto da tutti gli altri: alcuni gufi provocarono i soldati, i cervi li insultarono e i cinghiali bestemmiarono, altri piansero e implorarono pietà, qualcuno iniziò a pregare o a cantare riti funebri, tutti quanti emanando della sottile nebbia luminescente dalle fauci.
Un cavallo cornuto, un cervo e tre orribili conigli caricarono per primi simultaneamente; le prime vittime vennero colte di sorpresa e il massacro ebbe inizio: contro le rapide e feroci bestie, i soldati controllarono la situazione senza spezzare la formazione, tagliando e infilzando qualsiasi creatura gli si parasse davanti; erano addestrati e ben armati, sebbene alcuni di loro vennero sopraffatti da innumerevoli piccoli mostri dentati o sollevati e spezzati a metà da giganteschi orsi neri. Qerqewil non mosse un passo, falciò con movimenti sinuosi e precisi ogni animale avesse provato ad attaccarlo, lasciando solo cenere e sangue ribollente dietro la sua raffinata Varm. Si concesse dei secondi per pensare ed osservare la situazione ma non c’era segno di organizzazione, non attaccavano con criterio o cooperazione nonostante potessero parlare. Lo scontro durò poco, erano pronti a difendersi e lo fecero, corazzati e con armi affilate e protette da rune magiche. Qualcuno perse del tempo con colpi di grazia ai pochi mostri in agonia, immersi in sangue e poltiglia nera fumante; un lontano e basso balbettio iniziò a rimbombare nelle loro teste ma il capitano lo trovò subito: dietro ad un albero ed abbracciato ad esso vi era una figura indistinta e avvolta dall’ombra che svanì poco dopo.
«Poche vittime e qualche ferito, signore. Abbiamo retto bene.» Intervennero per aggiornare il capitano.
«Continuiamo, come da programma.»
La formazione si ricompose e la compagnia guadagnò terreno all’interno della foresta. Un balbettio li accompagnò lungo il tragitto, mantenendosi quasi impercettibile ma costante; il sole iniziò a svanire: il clima cambiò furtivamente, mostrando le solite nuvole e luce crepuscolare dietro di esse, immobili e mantenendo l’intera area nella penombra.
Un urlo spezzò l’atmosfera, una risata isterica breve ed acuta accompagnò l’arrivo, dal fondo della foresta, di due strani oggetti in movimento: due fauci zannute e bianche, come teschi di serpente, con code lunghe e sinuose di un denso fumo nero sibilarono velocemente verso di loro.
«In posizione, scudi in alto, attenti alle gambe.»
Fu un attimo e le fauci morsero i primi soldati ai lati del capitano, proseguirono attraversandoli come fantasmi eterei, curvandosi, cambiando direzione e scontrandosi con la superficie di altri quattro scudi prima di dissolversi come vapore; l’impatto fu impercettibile ma qualcuno fu attraversato alla spalla da una parte dei neri serpenti non filtrata dalle rune, un altro invece alla caviglia. Le parti attraversate dal fumo nero erano evidenti: annerite, l’armatura coinvolta arrugginita, essiccate, rinsecchite.
«Tutto bene?» Chiese un soldato, chinatosi al fianco del dolorante ma silenzioso compagno; poggiò la mano sulla spalla ferita, leggero e attento, ma al contatto la superficie iniziò a incresparsi e a staccarsi in grosse scaglie di cenere e carne: il braccio si stacco dalla spalla e il ferito urlò dal terrore, aumentando il panico del soldato con la caviglia compromessa, candidato alla stessa fine.
«Fermiamoci adesso. Mettete le rune anche sulle armature -fece Qerqewil, calmo- e attenti a non rovinarle. Le lame benedette non serviranno contro questi sortilegi. Ci aspettano, ma non sono altro che folli e stregoni da quattro soldi.»
Detto questo, mosse rapidamente Varm, decapitando il soldato privo di braccio, per poi voltarsi e puntarla contro lo zoppo, prostratosi per ricevere pietà; del vapore scaturì violentemente dal filo della lama, si fece più intenso e visibile avvolgendo la lama larga e lunga finché un rapido fendente non sprigionò tutto quel vapore ad alta pressione verso il condannato, recidendo via testa e braccio come una calda lama taglia il burro.
Il capo squadra Jerde non batté ciglio e i soldati iniziarono ad incidere con pennelli e coltelli le rune sulle loro armature con normalità e concentrazione.
Di Netew, la Tetra Nazione, si sapeva poco. Sembrò che, di punto in bianco, trent’anni fa l’intero continente avesse dimenticato il suo nome; fu questo il mistero che incuriosì molti studiosi ed avventurieri. Persino nei documenti, l’inchiostro svanì da ogni reperto possibile; si vociferava non vi fosse un esercito o un apparato governativo, sono pochi gli avvistamenti di attività umana e nessuno uscì mai dai confini, nemmeno animali o uccelli migratori o intraprendenti avventurieri.
Con armature decorate con rune ripetute continuamente ad anelli concentrici, il numeroso cuneo di soldati fu pronto a ripartire e il quieto Qerqewil finalmente sollevò la spada e incitò: «Proseguiamo».
  
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