- Va meglio, non è vero?
Adesso eravamo ferme in una piazzola di sosta, a meno di un isolato dall’hotel dal quale eravamo scappate.
- Si, va molto meglio in effetti. Ti ringrazio.
- Hai spesso degli attacchi di panico così devastanti?
- Di solito riesco a gestirle. - risposi timidamente.
- Assumi psicofarmaci per combattere queste crisi?
- Credevo che conoscessi la mia cartella clinica, dottoressa.
- Si…
- Sei stata in gamba prima con Mahone. - le dissi all’improvviso, cercando di sviare l’argomento su altro.
Sapevo che la sua voleva essere una battuta simpatica, un tentativo per strapparmi un sorriso visto che entrambe eravamo appena scampate da una situazione ad alto rischio, ma nonostante avessi rischiato di beccarmi un foro di proiettile in testa ed era mancato poco che smettessi di respirare, non riuscivo a dimenticare quello che mi aveva confidato prima in hotel. Lei aveva baciato Michael, lei era innamorata dell’uomo che amavo e questa non era una cosa che potevo perdonarle, pur salvandomi la vita altre cento volte.
- Perché non mi hai lasciata in hotel? - le chiesi costernata. - Avresti potuto metterti in salvo e lasciarmi con Mahone, e non ti avrei biasimata visto il modo odioso in cui mi sono comportata con te fino adesso.
- Lo so. So che sei una brava persona… lo sei davvero Sara, per questo forse mi sentirò in colpa per quello che sto per dirti. Sinceramente, quello che hai fatto non cambia le cose, non diventeremo amiche per questo. Michael è molto importante per me, io lo amo e tu hai cercato di portarmelo via. So che c’è qualcosa che vi lega. Tu gli hai volontariamente lasciato la porta aperta per evadere e lui si è sentito in colpa nei tuoi confronti per averti coinvolta ed è venuto ad incontrarti a Gila. - Per un attimo parve sorpresa che io fossi a conoscenza dei fatti, ma non disse nulla. - Non so da chi dei due sia partito quel bacio, né tantomeno ho intenzione di chiedertelo, ma… ti posso assicurare che non intendo rinunciare a lui per nessun motivo quindi, prova di nuovo ad avvicinarti al mio Michael e ti farò rimpiangere di non avermi lasciata in quella stanza d’albergo insieme a Mahone.
Non era mia intenzione minacciarla, non ero un killer, non facevo fuori la gente per uno stupido bacio, ma potevo diventare terribilmente vendicativa quando si mirava a ciò che, di fatto, era mio. E Michael era mio. Era ora che se ne rendesse conto.
Per diversi minuti nessuna delle due fiatò. Probabilmente saremmo rimaste in quelle stesse posizioni per ore se improvvisamente il cellulare di Sara non avesse ricominciato a squillare all’impazzata.
Ovviamente era Michael. Avevo quasi dimenticato che, mentre noi venivamo quasi aggredite e tenute come ostaggi dal poliziotto corrotto, anche Michael era andato a rischiare la vita per riuscire ad incontrare il presidente.
Sara aveva risposto al secondo squillo, aveva atteso qualche secondo, dopodiché la bocca le si era distorta in una smorfia di sorpresa.
- Dici davvero? Oh Michael, è fantastico! - All’altro capo era seguita la risposta che io non potevo sentire. - Certo, è qui con me… d’accordo, arriviamo subito.
- Era Michael, vero? Che cos’è successo? - le chiesi, senza lasciarle il tempo di terminare la comunicazione.
- Michael e Lincoln hanno ottenuto la grazia presidenziale. La Reynolds lo comunicherà a breve, in diretta televisiva. Ce l’hanno fatta. Torneranno ad essere liberi!
- Non ci posso credere… ce l’hanno fatta davvero.
- Davvero.
Non vedevo l’ora di riabbracciare i miei due amici e togliere il fiato a Michael con un bacio della vittoria, e a quel punto poco sarebbe importato che Sara fosse stata presente e ci avesse visti.
Ripartimmo subito mentre accendevo la radio, sintonizzandola sul canale in cui trasmettevano la conferenza al Grand Carlyles Hotel dove a breve il presidente degli Stati Uniti sarebbe salito sul podio per fare il suo discorso. Valeva la pena ascoltare con le proprie orecchie la disfatta della Reynolds ed esultare del grande trionfo.
- Dove stiamo andando adesso? - chiesi, non riconoscendo la strada.
- Michael ci aspetta ad Hiland, in un deposito dell’arsenale che costeggia la costa.
Ero molto felice che tutto si fosse concluso per il meglio.
Finalmente il momento tanto atteso arrivò. Alla radio, l’inconfondibile voce melodiosa e sicura della Reynolds esordì, salutando i presenti tra giornalisti, politici e ascoltatori, esibendosi in un’interminabile sfilza di convenevoli che riuscirono solo a rendere più incandescente l’attesa. Poi, di colpo, il tono divenne serio e ci rendemmo conto che eravamo vicini al dunque.
- “E’ appena venuta alla luce una faccenda della quale sento di dovermi occupare con urgenza, ed è mio preciso compito come Presidente di questa grande nazione prendere delle decisioni razionali quando mi si presentano dei fatti, decisioni che non sono a vantaggio mio, ma della gente.”
Mentre ascoltavo quelle parole, non potevo fare a meno di pensare che quel momento avrebbe rappresentato una vittoria non soltanto per Michael e Lincoln, ma anche per me. Avevo dichiarato guerra a quella donna, accusandola pubblicamente sul mio blog, ero finita in carcere per questo e a Fox River avevo meditato a lungo la mia vendetta. Finalmente era arrivato il momento di riscuotere.
Non aspettavo altro che sentirle pronunciare quelle poche parole, solo poche parole che attestassero la sconfitta della Reynolds e la nostra vittoria.
Ma quelle parole non arrivarono mai.
- “Signori, dopo averci riflettuto a lungo, mi rincresce informarvi che mi è stata appena diagnosticata una forma tumorale estremamente maligna… ed è per questo motivo… che non sono più nella condizione di poter ricoprire l’incarico di capo dello stato. Nel miglior interesse di questo paese e con effetto immediato, io mi dimetto dalla carica di Presidente degli Stati Uniti d’America”.
- Il presidente… non è… non è più il presidente… - mormorai con voce strozzata.
- Si è dimessa.
- Merda! Merda, merda, merda!! - imprecai rabbiosa, sbattendo i pugni contro il cruscotto. - Che cosa abbiamo rischiato a fare la vita fino ad ora? Per niente!
Constatare di aver fallito, di aver rischiato tanto e soprattutto di aver perso delle persone care per niente, lasciava un senso di vuoto e un’indescrivibile amarezza. Non riuscivo nemmeno ad immaginare come avessero preso la notizia delle dimissioni della Reynolds Michael e Lincoln.
Eravamo di nuovo punto e a capo. I due fratelli, e adesso anche Sara, sarebbero tornati ad essere dei fuggitivi e se Mahone avesse deciso di liberarsi la coscienza e informare l’FBI del mio coinvolgimento, al trio ben presto si sarebbe aggiunto un altro elemento. Adesso più che mai, urgeva sparire dagli Stati Uniti e raggiungere il Messico. Raggiunta Panama avremmo potuto riflettere sul da farsi. Il problema però era riuscire ad arrivarci a Panama.
- Guarda quell’auto blu dietro di noi, Gwyneth. - mi disse Sara qualche minuto dopo aver lasciato il centro di Chicago. - Ho l’impressione che è da quando ci siamo allontanate dalla piazzola che non ci molla.
- Pensi che ci stiano pedinando?
Ripartimmo. Sara ingranò la seconda e svoltò verso sinistra diretta ad Hiland.
- Non lo so. Chi può essere? I poliziotti? - azzardò.
- O la Compagnia. Entrambe ipotesi poco incoraggianti. Prova a girare a destra, vediamo come si comporta.
- Merda! - imprecai per la seconda volta. Ormai non c’erano più dubbi. - Vogliono che li portiamo da Michael e Lincoln, ecco perché non ci hanno ancora intimato di accostare. Ci hanno seguite per tutto il tempo, ma come…? - Prima ancora di formulare la domanda, avevo già pronta l’unica spiegazione plausibile. - Ma certo. Mahone.
- Che c’entra Mahone?
- Ci ha prese in giro come due pivelle e noi ci siamo cascate in pieno. - Sara continuava a non capire. - Prima in albergo quel farabutto ha solo finto di farsi soffiare la pistola. Voleva che noi ce ne andassimo indisturbate, che ci sentissimo tranquille di averla fatta franca, così lo avremmo portato dritto dritto dai suoi veri obiettivi.
- Non sappiamo se sia andata veramente così. Avrei potuto sparargli.
- Sono quasi certa che abbia tolto il caricatore alla pistola assicurandosi che non potessimo vederlo. Fattene una ragione Sara, ci ha solo usate. Quell’uomo è scaltro come una volpe, aveva già pianificato tutto. Ha finto di aver commesso un errore, permettendoti di appropriarti dell’arma. Dovevo capirlo subito che si trattava di una messa in scena. Quello è un agente speciale, un uomo abituato a pianificare anche come soffiarsi il naso. Neanche se fosse stato totalmente sbronzo saresti riuscita a prenderlo di sorpresa.
- Mi dispiace. E’ tutta colpa mia. - mormorò, sinceramente mortificata, continuando a guidare.
- La colpa è anche mia, avrei dovuto accorgermene.
- Già, ma tu stavi male. Che cosa facciamo adesso?
L’auto blu accelerò, recuperando terreno. Non c’era più motivo che si tenesse a distanza. Dentro di me sentivo nuovamente insorgere il panico, veloce e dirompente.
- Non lo so… io non lo so, non sono come Michael, non riesco a pensare lucidamente quando sono sotto pressione, non sono capace di pianificare strategie vincenti e tirarle fuori dal cilindro come nulla fosse. Abbiamo i poliziotti alle calcagna, quando capiranno che ci siamo accorti di loro ci intimeranno di fermarci e…
- D’accordo Gwyneth, però calmati. - sospirò. - Andrà tutto bene, ok? Fidati per una volta.
- Sara…
- Che stai facendo? - chiesi con la gola secca.
- So che non mi crederai, ma mi dispiace davvero di essermi innamorata di Michael. Capisco che mi odi per averlo baciato, eppure se devo essere sincera tu mi sei stata subito molto simpatica. A Fox River ammiravo la tua forza di volontà e il tuo coraggio, ma non te l’ho mai detto.
- Tu andrai in quel deposito ad incontrare Michael e Lincoln.
- E come facciamo con i poliziotti?
- A loro penserò io, tu preoccupati solo di arrivare al deposito e non farti seguire.
- Certo, come no… - sbuffai.
- Arrivati in prossimità di quell’incrocio laggiù farò una rapida svolta a sinistra, così avrai il tempo di scendere e di nasconderti. Loro seguiranno me.
- Non se ne parla nemmeno, non faremo gesti eroici. O andiamo tutte e due o nessuna.
- Non voglio farlo! - mi opposi fermamente.
- Gwyneth…
- No, no, noo… ti prego non farlo! Ti sbatteranno in cella quando ti prenderanno e… ti prego Sara, è terribile vivere dietro le sbarre.
- No, aspetta… aspetta!! - gridai invano.
- Forza scendi! - gridò, fermandosi e allungandosi su di me per aprire la portiera e costringermi a fare come diceva.
- Grazie. - riuscii a dirle mentre scendevo al volo dall’auto e correvo a nascondermi dietro un cassonetto, prima che l’auto ripartisse.