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Autore: solemiosole    04/02/2018    2 recensioni
Dopo il termine della pena scontata su un pianeta ostile e inanimato, Loki figlio di Laufey non ha finito di pagare per i suoi crimini.
Il Padre di Tutto non perdona e non dimentica e la sua ira non ha pietà per nessuno.
Loki è cambiato, gli eventi l’hanno costretto a farlo, se voleva sopravvivere.
Ora non ha più nulla perché tutto gli è stato strappato con violenza.
Ma è tempo di tornare a vivere.
La storia partecipa al contest -La Melodia Segreta dei Sogni- indetto da E.Comper sul Forum
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La storia partecipa al contest -La Melodia Segreta dei Sogni- indetto da E.Comper sul Forum
Nickname autore: solemiosole
Titolo storia: Back To Live Again
Citazione scelta: citazione 6
I personaggi riportati qui sotto non appartengono all’autrice e questa storia non è stata scritta a scopo di lucro nè rivendica alcun diritto. Gli avvenimenti qui descritti sono invece di proprietà dell’autrice.

*/*

BACK TO LIVE AGAIN

 




-Non sono niente,
non sarò mai niente,
non posso volere d’essere niente.
A parte questo,
in me ho tutti i sogni del mondo-
Fernando Pessoa








Se qualcuno gli avesse detto, quattro mesi prima, all'alba dello sfacelo su New York, che avrebbe ospitato fino a data indefinita uno dei suoi più acerrimi nemici, avrebbe approfittato di una delle ambulanze lì intorno e avrebbe mandato quel qualcuno all'ospedale più vicino, citando una ferita alla testa con annesso trauma cerebrale.
Non che fosse un dottore da saperlo dire. O non che fosse vero.
Ma si sarebbe sbagliato.
Evento più unico che raro, perché Tony Stark non sbaglia. Mai.
Eppure ora è lì, al fianco di una creatura bellissima e oscura e intrigante che non vuole farsi leggere ma, inevitabilmente, è fin troppo facile da decifrare.
Alcuni dicono che i sogni siano la proiezione della realtà nella nostra mente.
Che siano qualcosa di incorporeo, una scialba aspettativa di migliorare ciò che è perduto. Un’illusione.
Tony Stark non è più dello stesso parere. Assolutamente.
I sogni sono qualcosa che hai sempre con te.
Se ne muore uno, ne nasce un altro. Come con i fiori. O le stelle. Per ogni stella che muore, centinaia nascono.
I sogni sono come le stelle. Solo, non si trovano nello spazio e non si possono vedere.
Li devi sentire.
Sentire veramente. 

*/*

-No, no, no, NO. Non esiste, cazzo, non esiste!
È un freddo pomeriggio di inizio inverno, quasi il crepuscolo. La vita di New York è, se possibile, ancora più frenetica e caotica. Una delle ore più confusionarie del giorno.
Avrebbe potuto essere una giornata perfetta.
Un caffè amaro al punto giusto, una manciata di telefonate a persone importanti nel governo e una capatina in laboratorio per ultimare i progetti in sviluppo.
Ma ovviamente sarebbe stato tutto troppo perfetto. E si sa, la perfezione è una prerogativa che la vita non può avere.
Ed ora, nel salone della sua torre, si trovava accerchiato su due lati da una responsabilità che lui non voleva.
Mai voluta, mai chiesta, ne avrebbe fatto volentieri a meno.
-Stark, devi capire…
-Monocolo, silenzio. Non è a te che vogliono scaricare un dio psicopatico, omicida e che ti ha buttato giù dalla finestra con l’intento di spappolarti al suolo come marmellata.
Gli sembra di leggere negli occhi verdi di Loki, perché è di lui che si sta parlando, un barlume di soddisfazione. Lo guarda con aria di sfida, come a dirgli “ammetti che è stata una bella mossa”.
Tony avrebbe voglia di cavarglieli, quegli occhi.
Punto primo perché anche se non vede la sua bocca, coperta da una museruola in ferro scintillante, sa che sta ghignando nel suo solito modo, e vede il riflesso di quel sadico sorriso nei suoi occhi d’apatite ed è un ghigno di scherno e di vittoria.
Punto secondo perché sono assolutamente di una bellezza più unica che rara e non ritiene giusto che una creatura così infida e voltafaccia possa avere occhi tanto belli e incantevoli; eppure non vede, o forse lo nota ma non ci presta più di tanto attenzione, quelle schegge di dolore e infelicità che fluttuano in quello sguardo.
-Giusto Stark. Non è a me che vogliono scaricarlo perché sanno per certo che non mi preoccuperei della sua salute. Lo lascerei morire di fame e non me ne importerebbe. Nemmeno Rogers, Banner, Romanoff o Barton sarebbero adatti: cercherebbero di ucciderlo e lo farebbero senza rimorsi. E non è questo ciò che vogliamo.
Loki abbassa lo sguardo –è volere della Vǫlva (1), non essere accettato-, colpito in quel cuore che, se mai lo possiede davvero, è troppo nascosto per capire se sta battendo. Ma Loki ha imparato, col tempo e le offese, a nasconderlo, come nasconde i suoi sogni, che nessuno capirebbe.
Nessuno l’ha mai fatto e ormai ha perso le speranze.
In un mondo di odio e di tempo è più facile essere temuti che amati e Loki, per ora, vuole essere temuto ma solo perché non sa cosa si prova ad essere amati, lui, che non è mai stato amato da nessuno.
-La punizione che Odino gli ha assegnato su Asgard si è conclusa per metà. Il suo periodo di reclusione su Jotunheim è terminato. Ora deve concluderla.
È stato Thor a parlare.
Regge il fratello – fratellastro, conoscente, rivale, amico, Tony non sa nemmeno come definirlo- per un braccio, in malo modo, una stretta rude e forte.
Tony riconosce un timbro di senso di colpa in quella voce scura, e si domanda perché.
Si domanda anche perché mai lo abbiano spedito su Jotunheim che, se la memoria non l’ingannava - e la sua non lo faceva mai - era il luogo in cui Odino l’aveva trovato e portato a casa come souvenir di guerra.
C’è chi riporta una gamba rotta, una frattura intercostale, un trauma uditivo.
Lui ha riportato illeso un bambino.
Thor comunque sembra non notare che le gambe di Loki tremano leggermente ma lui non cede.
Non davanti ad altri.
Aspetterà di essere da solo, nel buco in cui lo relegheranno, e poi potrà permettersi di cedere, di leccarsi le ferite, di piangere magari e prepararsi una nuova maschera di arroganza e superiorità.
-Il concetto mi è chiaro, Point Break. Ha scatenato un putiferio e papino l’ha punito. Ottimo, ma, desolato, non vedo come, in tutto questo, io c’entri qualcosa. Non sono una fottuta balia e di certo non ho intenzione di occuparmi di lui tutto il santo giorno.
Se Loki potesse parlare, o anche solo aprire la bocca – ma non può, c’è quella gabbia in ferro ad impedirlo -, esalerebbe un sospiro silenzioso e inconsistente.
Non lo vogliono neppure lì.
È muto ma non sordo e sente le parole dell’umano e può percepire tutto il rancore e la velata insofferenza che prova nei suoi confronti, per quanto cerchi di simularla.
Non puoi ingannare il Dio degli Inganni.
Ormai è buio e le luci della città sbrilluccicano come lucciole fatate.
Le auto corrono e corrono senza fermarsi e sembrano raggiungere velocità di curvatura immense.
Sono uno strano popolo, i midgardiani.
Corrono da ogni parte, preoccupandosi di molteplici cose al minuto e non pensano al tempo che stanno spendendo o ai sogni che stanno abbandonando, senza neppure rendersene conto, troppo occupati a raggiungere la cima della montagna del successo. 
Loki non vuole più sentire le sciocche e frivoli motivazioni dell’illuso mortale.
È stanco, perché in quattro mesi ha dormito poco e niente, ma se chiude gli occhi loro torneranno e lo picchieranno ancora senza motivo –non c’è mai bisogno di una vera ragione per picchiarlo -, quindi si fa forza e li tiene aperti.
Non può sedersi, Thor lo stringe, in una morsa cattiva, che forse nella mente del fratello – no, fratellastro. Lui non è un tuo consanguineo, ricordi? – vuole essere una presa gentile e rassicuratrice.
Eppure Loki non la sente così. È un’oppressione dura, crudele che gli intima di non provare a fuggire, o sarà peggio.
L’enorme mano di Thor è serrata intorno al suo esile, anche troppo, braccio e fa male. Brucia attraverso i vestiti perché la pelle del Dio del Tuono è calda, rovente, ma quella di Loki è fredda.
Il freddo è parte di lui, così come la solitudine.
Il prigioniero volge lo sguardo fuori dalla finestra.
Non è un gesto plateale o troppo visibile. Nulla che ostenti sicurezza.
È un piccolo movimento degli occhi, una torsione veloce del collo di pochi gradi rispetto all’angolazione precedente ed eccole, le luci della sera.
Danzano e si muovono sinuose, ballerine ad uno spettacolo su un palco di fronte ad un pubblico muto.
È una piccola distrazione per non pensare a tutto quello di cui stanno parlando. Per non pensare proprio a niente.
Del resto, cosa possono dire di nuovo che lui non sa già?
Stark non lo vuole, Fury non lo vuole, Thor non lo vuole.
Rifiutato da tre mondi, bandito dal luogo in cui è cresciuto, rinnegato dalla famiglia.
È un’amara verità, ma è la realtà. E non si può cambiare.
Tony lo vede.
Le braccia incrociate, una mano ad accarezzare il pizzetto curato, la mascella serrata e gli occhi scuri infastiditi, finge di ascoltare il direttore, lanciato in un monologo sulla responsabilità personale e sul dovere verso una patria che per sempre gli sarà riconoscente.
Come se adottare in casa tua un pazzo omicida ti renda al contempo eroe della patria.
Eppure lo vede.
Nota i suoi occhi affacciarsi titubanti sulla finestra della città di notte; li vede osservare, con contemplata ammirazione, quello spettacolo di luci.
E non sa cosa lo spinge a pronunciare quelle parole, forse la stanchezza che gli pesa sulle spalle, sfinito da quel colloquio che si è prolungato già fin troppo a lungo per i suoi gusti, forse la voglia e il bisogno impellente di far tacere Fury, forse la concretezza di essere stato troppo duro con le parole o forse sono proprio quegli occhi, usciti dal più meraviglioso dei sogni, ad indurlo a dire:
-D’accordo. Lo faccio.
Lo sguardo d’ammirazione e compiacimento di Monocolo o quello grato di Point Break valgono zero in confronto agli occhi che, a quelle parole, si sono puntati su di lui e lo hanno guardato con meraviglia, diffidenza, incredulità, devozione e l’universo, o chi per lui, sa cos’altro.
Loki lo guarda.
Non può parlare ma può comunicare con gli occhi.
È sospettoso, è vero, verso quel mortale che poco prima nemmeno voleva sentire il suo nome.
Non riesce a comprendere quale secondo fine si celi nelle sue parole. Perché, ormai l’ha imparato, c’è sempre un secondo fine.
Nessuno fa qualcosa per niente.
Eppure.
Eppure è anche vero che nessuno prima d’ora lo voleva con sé.
È una strana percezione perché dietro il sospetto si fa strada la riconoscenza, ed è qualcosa di inaspettato. Qualcosa deve essere successo; ci deve essere stato qualcosa, qualcosa che gli ha fatto cambiare idea.
Loki non sa dire cosa.
Non è stata magia, no, l’avrebbe sentita – perché anche se non ha più i suoi poteri, riesci ancora a sentirla, la magia- e non è stato nemmeno un miracolo, come i midgardiani amano soprannominare qualcosa che va al di là della loro comprensione.
Strano popolo, quello di Midgard. Vedono accadere qualcosa che non conoscono e lo catalogano come metafisico, trascendentale, senza cercare di comprendere di cosa si tratti.
Sente la mano di Thor lasciargli il braccio e poi la sua imponente e massiccia figura gli si pone dinanzi e si china quel tanto che basta ad armeggiare con i lacci dietro la sua nuca.
Li scioglie e poi tira delicatamente la maschera.
Gli uncini sono trascinati via dalla carne con un piccolo schiocco sordo.
È una sensazione dolente. Sembra come soffiare su una ferita fresca e non rimarginata del vento freddo. E soffiare, ancora, ancora, ancora. È fastidioso.
Loki non riesce a credere di poter di nuovo parlare, ma non apre bocca lo stesso. Non vuole.
E intorno alle labbra percepisce i tagli che quella gabbia gli ha inferto. Sono irregolari ed immagina anche che siano rossi di sangue. Sono un ricordo e un monito per quella sua bravura nel parlare che l’ha sempre contraddistinto.
Lingua d’argento lo chiamavano.
Ma ora di parlare non ne ha più voglia.
Le parole non escono da quelle labbra martoriate, nemmeno supplicandole.
Non ne ha più.
Non appena Thor si fa da parte, Stark si irrigidisce osservando le ferite intorno alla bocca del dio, e si inizia a domandare se gli hanno fatto di peggio e cosa, precisamente, gli hanno fatto.
Ma forse non lo vuole nemmeno sapere, perché la tortura è una pratica disumana e crudele che non dovrebbe esistere, perché ti distrugge e ti cambia.
Lui lo sa, l’ha vissuta, l’ha percepita sulla sua pelle, nei suoi polmoni.
E se non è caduto è solo grazie alla sua forza di volontà e a Pepper, donna meravigliosa che c’è stata e ci sarà. Non augurerebbe a nessuno, nemmeno a Loki, di viverla.
Si chiede se anche Loki, come lui, abbia una persona a cui potersi affidare, come lui con Pepper, e che lo possa aiutare.
Ma poi si ricorda che Loki è solo, immensamente ed irrimediabilmente solo.
Loki vorrebbe ghignare quando vede gli occhi sgranati del mortale.
Ma è troppo stanco anche per quello.
Si limita a pensare come reagirebbe se scoprisse le altre ferite, visibili e non, che ornano il suo corpo, la sua mente, il suo cuore, come gioielli vistosi per il re che non sarà mai.
Non volevo fare nulla di male. Cosa sono qualche centinaio di vite destinate in ogni caso alla morte, in confronto alla coronazione del sogno di un mondo migliore?”
Ma è un pensiero che non prende parola, nemmeno quando Fury se ne va, degnandolo di un’ultima occhiata sdegnata, nemmeno quando Thor sparisce, regalandogli uno sguardo di scuse – lui e le sue amorevoli scuse, che vadano ad Hel (2) e ci restino! -  e nemmeno quando Stark rimane lì, in silenzio a fissarlo. Loki può scorgere nei suoi occhi una scintilla di preoccupazione.
È nuovo che qualcuno si preoccupi per lui, ed è piacevole, perché lo fa sentire accettato, al sicuro, a casa.
Lui, che una casa non l’ha mai avuta.
Loki non sa spiegarlo, ma decide di fidarsi. È una scelta difficile, ma tanto, anche se lo tradisse, non sarebbe altro che un altro nome sulla lunga lista.
Non fa differenza.
Non c’è posto per lui, in qualsiasi dei nove mondi e tutti si stancano presto della sua presenza.
Non è niente, non sarà mai niente e quindi non può pretendere di essere qualcosa.
Lo sa, l’ha sempre saputo, in fondo.
Nelle vane rassicurazioni di Frigga, negli sguardi compassionevoli di Thor, nell’unico occhio, più freddo del bacio della morte, di Odino.
L’ha sempre saputo, prima ancora di sapere il suo nome, prima ancora di imparare a camminare, prima ancora di emettere il primo vagito.
Ed è un pensiero che dà i brividi.*
Tony se ne accorge, che trema e che ha gli occhi bassi e che la sua bocca è orribilmente sfregiata, e gli si stringe il cuore, in un accenno di pietà e tristezza e, perché no, colpa.
E allora si decide e gli fa cenno di seguirlo.
Loki rimane fermo, indeciso, ma puoi lo raggiunge.
A debita distanza.
Passano oltre il piano bar, traboccante di bottiglie giovani e vecchie, silenziose dame di compagnia in una corte settecentesca; svoltano l’angolo e si ritrovano in un corridoio illuminato. Seconda porta a sinistra. L’uomo la apre ed entra, aspettando che anche il suo ospite lo imiti.
-Forse sei abituato a stanze molto più sfarzose e forse non è il massimo, ma questa può essere tua, se vuoi.
Loki rimane basito.
Evidentemente Stark non è mai stato in una cella di Jotunheim, o si ricrederebbe sulla frase “forse non è il massimo”. La grande vetrata a parete, il letto nascosto da coperte di bianco cotone, odore di pulito e di libertà. Forse, è quello l’aspetto che ha una casa.
Il midgardiano ha definito quella stanza sua.
Loki sa che non gli è mai appartenuto niente.
Vedendo quella stanza e sentendo quella voce, pensa che sarebbe bello se gli appartenesse qualcosa. Qualcosa di diverso a sangue nero e incubi e freddo.
Per questo muove due passi, osservando con occhi da bambino quella stanza, agli estremi con la cella in cui ha vissuto per quattro mesi.
Centoventuno giorni e duemila novecento ore.
Sì, le ha contate tutte.
Un calcolo banale ma che gli si è impresso nella mente, fino a lasciare un calco indelebile.
Non è semplicemente un conteggio temporale, basato su numeri e addizioni: è il numero delle ore, dei giorni, dei secondi in cui ha lasciato un pezzo della sua anima, di sé stesso, in quella cella, a marcire in quel freddo ostico e imperituro; è il numero che gli conferma che ormai tutto è cambiato e nulla è come prima ed è il numero che gli ricorda ancora e ancora ogni cosa che ha passato, in memoria dei sogni perduti e delle speranze spezzate.
Stark lo guarda, lo studia, cerca di carpire i segreti di quell’animo rotto.
Loki cerca, per contro, di non fargli carpire proprio nulla.
Stark lo ammira per quella sua forza intrinseca in lui, ma perde pezzi, sta crollando.
È inevitabile, e si vede.
Quindi fa tre passi indietro, si ferma sulla soglia, gli dice che si cena tra mezz’ora e che può controllare quella sveglia, lì, sul comodino e che può cambiarsi quei ridicoli vestiti con qualcosa che troverà nell’armadio. Perché ora che è sulla Terra deve fingere di essere un terrestre. E andare in giro per la Tower vestito di pelle nera borchiata ridurrebbe drasticamente le possibilità di farcela.
Poi ordina a Jarvis di tirare le tapparelle, ormai è buio, e se ne va, chiudendo la porta.
Loki rimane solo, di nuovo.
Si guarda intorno.
È buio, perché le luci artificiali si accendono ad un comando vocale che non è stato dato, ma riesce a distinguere le figure dei mobili.
Quatto quatto, raggiunge la porta. La apre anzi, la spalanca.
Non vuole essere rinchiuso, non di nuovo.
Torna dentro e si cambia i vestiti, prendendo capi a casaccio dall’armadio e indossandoli velocemente, senza guardare troppo il suo corpo, che ormai suo non è più.
Poi si siede sul letto, e chiude gli occhi.
Nelle tenebre, tende una mano, in attesa.
Ma nessuno l’afferra, la stringe, ne bacia le dita. Quel nessuno non c’è mai stato.
Loki è sempre stato solo a contendere una partita persa dalla prima mossa, giocata anni prima.
Non ha dimenticato come si gioca, ma è solo troppo stanco per farlo e non vede uno scopo.
Non c’è ragione di nulla, se tutto ti viene tolto.

*/*


Non è andato a cena.
Stark sospira, lo aveva previsto.
Si alza dal tavolo e prende un piatto dove mette un po’ di tutto: carne, verdura, frutta, pane e formaggio. Non ha idea di cosa Loki voglia mangiare.
Ha avuto modo di pensare. Si è reso conto che anche se è suo nemico e ha ucciso molte persone, non merita un trattamento disumano, come quello che sembrerebbe abbia subito. No. Lo vuole trattare con gentilezza, se possibile, delicatezza –perché Loki va trattato con delicatezza, per quanto odi ammetterlo - e, sicuramente, umanità. Perché forse inizia a capirlo un po’.
Il dolore accomuna tutti, indiscriminatamente.
È una medaglia al valore dei soldati sopravvissuti alla guerra.
Uguale per tutti sul comò in bella vista.
Monito per ciò che si ha affrontato nella mente. Sangue nero delle vittime sulla coscienza.
Tony sa che Loki ha sofferto e che continua a soffrire.
E sono pietà e comprensione quelle che si insinuano sotto la pelle e gli artigliano le ossa.
Ha deciso. Vuole provare a parlare con Loki, facendo piccoli passi.
E forse sta iniziando a pensare di poter essere lui quella persona di cui Loki si potrebbe fidare e a cui potrebbe appoggiarsi. Non sa da dove gli nasce questo pensiero, proprio a lui, che del babysitter ha poco e niente e che non è mai stato abituato a sostenere moralmente. Non è il suo compito, ma può impararlo. 
Prende il piatto e un bicchiere d’acqua e va in camera.
Si stupisce che la porta sia aperta, lui l’aveva chiusa, ma non ha importanza.
Loki sta dormendo.
Si è finalmente cambiato quei vestiti in pelle che lo facevano assomigliare a un punk emo e ha messo un paio di pantaloni lucidi neri e una maglia larga verde. È raggomitolato con un gatto su un fianco, totalmente dimentico dell’uso del lenzuolo, che giace sotto il suo corpo, e a Stark offre la schiena. È pieno inverno, ma lui non sente freddo.
È la luce del corridoio la colpevole perché Tony le vede chiaramente.
Laggiù dove la stoffa lascia scoperta la pelle, sono indelebili segni rossi e chiazze viola.
Ed è pura fortuna che abbia lasciato pochi secondi prima piatto e bicchiere sul tavolo in mezzo alla stanza, o ora avrebbe frantumato il bicchiere.
Nella sua mente stanno volando i peggiori insulti verso un destinatario ignoto e sfocato, verso ogni pantheon della storia, verso ogni singola divinità o entità più potente di lui.
Perché quello è disumano e barbaro. E ingiusto.
Si volta, chiude la porta, così, per abitudine, e va in camera sua, prima a sinistra, con un passo da soldato. Sa che quella notte non dormirà più di tanto, ma c’è anche abituato.
Non ricorda esattamente l’ultima volta in cui ha dormito più di quattro ore.
Essere Iron Man e gestire multinazionali a tempo perso comportano sacrifici. Come rinunciare a dormire o accogliere un semidio sotto il tuo tetto.
Nel buio della stanza, un occhio bellissimo si è aperto, ed una lacrima, una sola, è scesa sulla guancia scarna.

*/*


Sono passati due giorni e l’inverno è sempre più intenso e ruggisce tra i palazzi, e la fa da padrone nell’emisfero boreale.
Pepper non è stata contenta quando ha saputo che Loki avrebbe vissuto lì fino a data indeterminata e ha usato parole crude per convincerlo del contrario.
L’ex-compagna non si faceva scrupoli a giudicare una persona e a ritenerla inaffidabile.
Loki era una di queste.
Virginia Pepper Potts non era cattiva.
Insistente, provocatrice, dedita al lavoro sì, ma non cattiva.
La cattiveria è soggettiva e non si sa mai bene cosa indichi.
È la mano di un bambino che ruba ad un altro una caramella a scuola.
È una pioggia di detriti e granate su una popolazione di indifesi.
È una risata nel buio e una bocca che morde la pelle e la lacera.
La cattiveria è soggettiva e Virginia Potts non si sentiva cattiva. Nessun avrebbe mai detto che fosse cattiva.
Aveva, come tutti, i suoi peccati e i suoi scheletri. Ma quelle parole che ora stava dicendo non le diceva per cattiveria. Era, semmai, autodifesa  .
Perché di Loki si poteva dire tutto e niente, ma di certo non aveva una buona reputazione e il suo nome era fin troppo temuto.
Di Tony Stark si poteva dire tutto e ogni cosa, ma di certo se si metteva in testa una cosa, non c’era verso di fargli cambiare idea.
“È meglio contattare Fury e dire di venirselo a riprendere, quello lì” aveva detto.
Non l’aveva chiamato per nome, perché un nome è potere e mette paura.
L’aveva chiamato come un oggetto, una cosa, un niente.
Loki è rimasto di sale quando l’amministratore delegato aveva pronunciato quelle parole, perché lui sì, era presente, e si era rannicchiato contro la parete e aveva chiuso gli occhi perché non ne poteva più.
Tony l’aveva visto e aveva zittito Pepper con un’occhiata ed un gesto della mano.
Lei l’aveva guardato scioccata e aveva sostenuto che lei c’aveva provato, a fargli cambiare idea.
Non ci era riuscita? Benissimo. Se la vedesse lui. Da solo.
Tony l’aveva lasciata andare, non senza rimpianti.
Perché Pepper era importante e in base a cosa decidi di separarti dalla tua ancora di salvezza?
Lei l’aveva salvato dagli incubi dell’Afghanistan.
Lei faceva gran parte del suo lavoro e tuttavia trovava il tempo per rassicurarlo quando era preoccupato.
Lei, semplicemente, c’era.
Ma il lieve respiro rapido del suo ospite l’aveva distolto dalle porte automatiche dell’ascensore. Si era avvicinato a Loki e l’aveva guardato.
Voleva vedere quegli occhi verdi o azzurri o blu, non lo sapeva ancora, e voleva vederli completi, non interrotti da lacrime o da ricordi dolorosi.
Ma Loki non l’aveva guardato, tremando e stringendosi le ginocchia.
Era spaventato e atterrito e Tony provò l’irrefrenabile impulso di abbracciarlo, nascondergli il viso tra le sue braccia e cullarlo e baciargli una ad una quelle lacrime che sarebbero scese a momenti.
Ma non lo fece.
Non lo fece perché sapeva che Loki non era pronto per un contatto del genere, che non era il tempo e che l’avrebbe solo spaventato e fatto fuggire. Avrebbe aspettato il tempo che ci voleva. L’avrebbe sentito, quando sarebbe stato il momento.
Per un’intera mattina erano stati lì, uno davanti all’altro, in silenzio.
Loki non capiva perché mai quell’umano singolare non avesse ancora chiamato lo S.H.I.E.L.D per farlo portare via. Chiunque l’avrebbe fatto.
Nessuno lo voleva, quindi perché non farlo portare via?
Gli occhi lo tradirono.
Lo guardò per un secondo, siccome era molto che erano in silenzio e voleva accertarsi che non se ne fosse andato.
Gli piaceva averlo vicino. Sentire il suo odore, il suo respiro, la sua presenza.
Quelli che vide erano occhi di una bestia arresa e sconfitta e Tony giurò che mai, mai, li avrebbe visti su di lui.
Era proprio vero.
Gli occhi sono lo specchio dell’anima.
-Ehi. Guardami. Loki. Guardami.
Andò avanti così finché non gli ubbidì, poi, in una mossa audace, gli prese il volto tra le mani.
Ecco.
Era quello il momento.
Il momento di un contatto più profondo e tuttavia cauto.
Perché se vuoi addomesticare una tigre selvaggia, procedi per gradi, non balzi subito ad accarezzarle il manto. O ti fai staccare la mano.
Pelle liscia di un bambino e occhi impauriti di un vecchio che ha visto la distruzione del mondo e di se stesso.
Loki sembrava non reagire ma Stark vedeva in quel riflesso di smeraldi un’intrinseca paura, un ancestrale timore.
-Non ti lascio andare, ok? Tranquillo. Resterai qui, con me. Ok?
Non rispose.
Non lo faceva quasi mai quando Tony gli poneva una domanda. Si limitava a cenni del capo.
-Loki. Dimmi che hai capito. Nessuno ti porterà via.
Ora piangeva.
Sì, Loki figlio di Laufey, dio degli inganni e signore del Seiðr (3) – epiteti che valevano quanto uno sputo – stava piangendo.
E se ne vergognava perché mai, mai, avrebbe dovuto piangere davanti a quel mortale.
Ma le sue parole erano così sincere, così dolci.
Voleva illudersi, per una volta.
Voleva rimanere preda di un inganno della sua mente.
Voleva sognare che poteva rimanere lì, che quella era la sua casa e che niente e nessuno l’avrebbe più ferito.
In un sogno, nessuno ti fa del male.
-Non vuoi mandarmi via?
Era forse la prima volta che non parlava per monosillabi. Ma non fu quello che sconvolse tanto Tony.
Erano i pezzi nella sua voce di un’identità vecchia di mille anni e più.
Erano i singhiozzi trattenuti a forza per mostrare ancora uno straccio di dignità.
Era l’incredibile e devastante umanità che Loki mostrava in quel momento.
Tony tolse le mani dal viso e si sedette al suo fianco. Le dita che sfioravano le sue. Non osò di più.
Quella voce, cristo quella voce!, avrebbe popolato i suoi incubi nelle molte notti insonni. Era già stampata nella sua memoria. Straziante e raggelante, era una prova di quanto Loki fosse cambiato.
Per colpa, o merito, di chi Tony non avrebbe saputo dirlo.
-No, non te ne vai. Rimani con me.
Chiaramente non era il suo, il ruolo del consolatore. Non perché non volesse farlo. Semplicemente non era nelle sue corde.
Sapeva come fare e cosa dire ma le parole alle sue orecchie sembravano sempre avere un suono falso e denigratorio.
Loki tuttavia apprezzò ugualmente.
E lasciò che le dita dell’umano vagassero vicino alle sue.

*/*


“Ad Asgard la città dorata, tutti sono i benvenuti.
Asgard è il centro di chiunque voglia riposarsi, fermarsi o continuare per la sua strada.
Ad Asgard, tutti quelli che hanno la polvere sotto i sandali e la stanchezza sulla pelle sono accolti e possono brindare con un boccale di sidro in compagnia di nuove persone.
Asgard è la città sulle nuvole che rallegra la vista di ognuno, che brilla di notte, che si innalza fino al cielo.
Ad Asgard, Loki lo sa bene, tutto è falso ed effimero.
Non è vero che tutti sono accolti, nella Città Dorata.
Lui lo sa, perché non è ancora stato accettato. E vive lì da diversi millenni. Ed è il secondogenito del re.
L’essere figlio di stirpe regale e fratello dell’erede al trono però non aiuta.
Girano voci, per le strade polverose e i vicoli di nicchia del mercato
.
Voci che vedono il principe come un praticante del Seiðr, l’antica magia.
Voci che lo presentano come infido e maligno, così piccolo eppure già sfacciato.
Voci che gli danno l’onorevole titolo di bastardo.
Perché è impossibile che quel bambino dalla pelle di neve e così minuscolo sia figlio del re.
Forse la regina, durante la guerra ha ceduto, dicevano.
Forse si è abbandonata ai piaceri del corpo e non ha resistito, dicevano.
È un viaggiatore del profondo sud, il vero padre, dicevano.
Perché Loki non ha nulla di simile al re. Ma nemmeno alla regina, a ben pensarci.
Ma quando si vuole credere ad un’idea, per quanto sbagliata, non si hanno occhi che per nient’altro, nemmeno la verità.

A Frigga, però, mai è importato.
Che parlino pure, a lei non interessa. È la regina e sa bene che il popolo vive anche di chiacchere, per quanto stupide.
Gli interessa del figlio, invece. Di quel piccolo e fragile bambino che la chiama “Mamma” anche se madre non è.
Gli importa di quelle lacrime che vede nei suoi occhi –già troppo stanchi per essere quelli di un bambino – ogni volta che qualcuno insinua cattiverie su di lui.
Frigga vuole strappare le carni ad ognuno di loro. Nessuno sa davvero com’è Loki, quanto può essere dolce.
Non è colpa sua se è stato rifiutato da un mondo di freddo ed odio che fin da subito gli sono entrati sotto la pelle.
Non è colpa sua.
Eppure, come fare a spiegarlo, ad un bambino così piccolo? Come fai a dirgli quello che vuoi dire senza rompere quel già fin troppo precario equilibrio di serenità che c’è in lui? Non puoi. Semplicemente.

E così l’ha iniziato al Seiðr.
Loki ha dieci anni ma è fin troppo dotato nell’uso dell’antica magia.
La gente non lo sa, o forse lo intuisce ma ognuno lo tiene per sé, ma certe volte supera anche Frigga o i suoi precettori.
E le malelingue non lo lasciano andare.
I sussurri delle voci lo cercano durante la notte e lo avvolgono e lo fanno star male.
Perché davvero non capisce cosa abbia fatto, per meritarsi tutto quello.
Lui, che si limita a studiare e leggere ogni giorno, rannicchiato in biblioteca o davanti ad una finestra. Perché è di lui che sparlano tutti? Perché non di Thor, che di errori ne commette ben più di lui?
L’ha capito solo molto tempo dopo, il motivo per cui tutti lo additavano.
Perché è diverso. E la diversità non è accettata ad Asgard.
Alle volte, si sveglia, nel cuore della notte, e va in camera di Thor. In punta di piedi.

Thor è il degno figlio di Odino.
Forte, orgoglioso, un portento con le armi, con capelli d’oro e occhi che sono pezzi di cielo.
Thor è quello forte, è lui a difenderlo da chi gli fa del male, è lui a volerlo con sé. Perché Loki è il suo piccolo fratello.
E sono quelle le sere in cui lo accoglie nel suo letto, e lo fa poggiare sul suo petto, nella speranza che si addormenti. Una mano calda sui capelli e l’altra sul fianco, a stringerlo ancora.
A volte però non ci riesce.
Quei volti coperti di un velo sono troppo impressi nella sua mente e le loro parole bruciano sulla pelle.
Quelle sono le notti in cui Loki, non appena chiude gli occhi, inizia a tremare, e allora Thor lo fa alzare e si siedono davanti al caminetto.
Le fiamme incoronano Thor come il re che è destinato ad essere.
Il fratello chiede piccole magie, e Loki si diverte sempre a mostrargliele. Per una volta è lui ad essere al centro dell’attenzione e non Thor. È lui ad essere quello importante.
Le fiamme baciano il viso di Thor ma non possono scaldare il corpo di Loki, che con il freddo ci è nato.
Il loro è un accordo segreto, stilato con i sorrisi che il minore gli rivolge ogni volta alla richiesta.
E Thor non potrebbe essere più felice.
Nessuno dei due ricorda come tutto quello sia finito.
Forse è successo perché Loki si era chiuso sempre di più in se stesso, troppo grande ormai per rifugiarsi tra le calde braccia del fratello.
Forse Thor non ha poi prestato più di tanta attenzione al minore, troppo preso dall’imparare come governare
.
Forse sono stati quei gemiti di donna che Loki ha sentito, una notte, mentre andava nella camera del maggiore per mostrargli una nuova magia.
 Aveva imparato a tramutare la materia di un oggetto a suo piacimento.
Era una bella magia, affascinante e complessa se non altro.
Non gli ha mai chiesto chi fosse, la ragazza. Non gli importava.
Loki ha capito di essere passato in secondo piano, da quel momento.
E fa male.

Perché fino ad un attimo prima sei al fianco di una persona, poi basta un nonnulla perché tu ti ritrovi scaraventato via.
Ora i suoi pomeriggi li passa a leggere ed aumentare le sue conoscenze fino a levarsi gli occhi, perché non può fare altro. Nel suo cuore cresce l’amarezza e la consapevolezza, ed è quella più di tutti che l’uccide lentamente.
Non ha mai mostrato a Thor quella magia.”

*/*


Loki ha ripreso, da quel momento, a parlare, leggermente.
Gli fa ancora male la bocca e ogni qualvolta che la muove sente la pelle tirare e le ferite sul punto di riaprirsi; si sono curate in fretta, la sua natura di dio lo permette per ferite non causate dalla magia, ma non è quello che gli fa più male: è la sua anima, il suo essere, che ormai è perso nelle memorie di un tempo che non vuole più rivivere.
Anche la schiena non è messa meglio.
Da quello che Stark ha potuto vedere, alcuni tagli sono ancora aperti e i lividi si sono scuriti.
Ipotizza che quei tagli siano anche nella parte superiore della schiena, coperta dalla maglietta sempre e rigorosamente larga. Ma vuole credere di sbagliarsi.
Quelle, anche se lui non lo sa, sono ferite magiche, inflitte da fruste di ghiaccio e sangue, morsi di bocche marcie e aguzze. Avranno bisogno del loro tempo per guarire.
Continua a tenere la porta aperta.
Quando il primo giorno si è svegliato, all’alba o poco dopo, e ha visto la porta chiusa, il suo cuore ha mancato un battito ed è rimasto due ore buone lì fino a rendersi conto che non era più in nessuna prigione e quella porta si può aprire senza essere puniti o massacrati di botte.
Stark l’ha capito, che vuole la porta aperta per motivi astratti, e ci sta attento. L’ha appuntato in un block-notes immaginario nel suo cervello.
Ha ricominciato a mangiare, ma è ancora troppo magro.
A Tony fa impressione, alle volte, che riesca a reggersi in piedi.
Ha scoperto che gli piace mangiare le cose dolci, quelle che sono proprio farcite di zuccheri e esplodono calorie da tutti gli angoli.
Gli piacciono, non le trova indigeste e Stark non l’avrebbe mai immaginato. Lo faceva più un tipo da spremute di limoni e sale. O da cicuta.
Le apparenze ingannano.
Loki però non dorme abbastanza.
Tony lo vede, non è stupido, e vede le occhiaie sotto quegli occhi ancora troppo belli e sofferenti, e lo sente, anche.
La notte, nel profondo ventre delle tenebre, lo sente svegliarsi, gridare quasi.
E sembra irreale e fantascientifico ma riesce anche a sentire il suo respiro affannato che rimbomba tra le mura, esce dalla porta sempre aperta e si insinua sotto la sua, di porta, e gli entra nelle orecchie e lo fa stare male.
Perché è un respiro spezzato, distrutto e affaticato di chi ha paura, paura di chiudere gli occhi, paura di respirare, paura di vivere.
Ogni volta che succede Tony si alza sempre e si affaccia alla sua camera, in canottiera e pantaloni del pigiama e lo osserva.
Ed è quasi tentato, ogni volta, di entrare e stringerlo tra le braccia per consolarlo, passere le mani tra quei capelli neri e sussurrargli parole che, lo sa bene, sono puri e semplici sogni, illusioni create per credere in un futuro migliore.
Ma ogni volta, Loki è nel suo letto, immobile, e dorme.
Chiunque, tra cui il direttore, la squadra al completo e forse anche Point Break, penserebbe che sia un suo inganno meschino per aggiogare la mente e farlo passare come vittima, perché sta chiaramente dormendo, guarda lì, come dorme. Ma Tony sa che non è così.
Perché lui riesce a scorgere, anche nel buio, il tremore che scuote quella diafana figura, segno che no, non è un inganno, che è tutto fottutamente vero.
Ed è orribile pensarlo, ma l’uomo ha seriamente preso in considerazione l’insana idea che lo abbiano lacerato nell’animo, nell’intimità e sulla pelle, lasciando tracce di sangue dentro e fuori.
Ed è orribile pensarlo, anche solo concepirlo come possibilità, ma non riesce a spiegarselo in un altro modo.
Perché la tortura sì, ti devasta. Ma per renderti così inerme, così vuoto, ci vuole dell’altro. Molto altro.
Tony, da umano qual è, ha bisogno di dati, di ipotesi, di prove.
Ha raccolto le informazioni, le ha analizzate, ha posto nell’equazione risolvente delle variabili e ha calcolato. Ma il risultato è sempre quello.
Le variabili cambiano ma non muta l’equazione.
Vuole davvero chiederlo a Loki e si vergogna quasi di questa sua curiosità, perché sa che lo farà soffrire, sa che non è producente far rivivere simili momenti al paziente, ma deve sapere, deve risolvere l’equazione. Deve sapere cosa gli hanno fatto o non potrà mai aiutarlo, e lui vuole aiutarlo, lo vuole davvero.
Però ogni volta si ferma, si blocca, analizza ancora la situazione ed arriva alla conclusione che potrà aspettare un miglioramento di Loki.
Perché si rende conto che non vuole essere come quei bastardi che l’hanno ridotto così ed approfittarne quando lui è debole.
Lui non è così.
Il terzo giorno, nel pomeriggio, dopo pranzo Stark gli si è avvicinato sul divano, mantenendo comunque una certa distanza.
Loki gli è grato di quello, perché non gli è facile, per niente, fidarsi delle persone e già farlo sedere vicino a lui è un grande passo in avanti.
-Non vuoi che ti curi?
Allude alla bocca.
La maggior parte dei tagli sono cicatrizzati – ad una velocità impressionante, peraltro – ma ne restano alcuni che, in alcuni punti, mostrano ancora la pelle fresca e nuova.
Loki sa, o almeno spera, che non sia a conoscenza delle altre ferite. Capisce inoltre che il tentativo è quello di iniziare una discussione, per distrarlo, farlo pensare ad altro.
Un tentativo scarno, insensato ma che il semidio apprezza ugualmente.
Un tentativo di trattarlo normalmente.
Scuote la testa e i capelli gli cadono dinanzi agli occhi e lo coprono come un sudario d’ossidiana.
Fu impulsivo e immotivato.
Tony gli va vicino, troppo vicino, e prende una ciocca corvina, sistemandola dietro l’orecchio. Loki non gli ha dato il permesso, perché fino a tre giorni prima era qualcun altro a toccare i suoi capelli, per ben altro motivo, e lo faceva in maniera diversa, con lo scopo unico di fargli male.
Perché aveva scoperto che i suoi capelli erano una ricchezza unica per loro ed un pretesto per farlo soffrire. Tutto di lui è stato usato senza il suo consenso ed ora ogni lembo di pelle è consunto e conserva il loro odore, in un tanfo che non vuole andarsene, rimane lì, per sempre.
Loki non si muove e sembra che nemmeno respiri.
-Perché?
Entrambi si domandano perché non abbia allontanato la mano da quei fili neri. La trattiene lì, in una carezza continua e rilassante.
È una carezza gentile e calda, ben diversa dagli altri tocchi che Loki ha provato per quattro mesi. Non vuole, in fin dei conti, che sposti la mano.
Ma indugiare troppo è da deboli e ti porta all’inferno e Loki non vuole tornarci, perché tutta la sua vita è stata un inferno. E ne ha abbastanza.
-Non voglio…farebbe male.
Sembra quasi una frase da bambino ma la voce è quella di un uomo.
Loki è sicuro che il mortale ha sentito quel timore nelle sue parole e si maledice da solo.
Perché non può permettersi di mostrare i suoi punti deboli.
Ma quel tocco sui suoi capelli, così leggero che sembra un sogno, lo aiuta a tranquillizzarsi.
È piacevole e ricorda quello di sua madre, Frigga.
No, non sua madre, della donna che l’ha cresciuto e che niente ha fatto per portarlo via da Jotunheim, lei che andava professando quel grande amore che li legava.
-Fa più male se non te li curi, sai?
Loki scuote ancora la testa, gli occhi rivolti nelle memorie del passato, dolorose lance nei fianchi che scarnificano la carne e macerano le ossa.
La mano è ancora tra i capelli, e Stark apprezza che riesca a farlo rilassare.
Nessuno dei due allude più alle ferite carnali, è evidente, ma a quelle dell’animo, troppo sanguinanti e infette per poter guarire con il tempo.
Perché il tempo è un bastardo figlio di menzogneri e ti gioca sempre, quando credi di essere tu a raggirarlo. E le ferite che Loki porta come scarabocchi su un quaderno sono troppe e troppo malandate da potersi concedere il lusso di aspettare che si risanino da sole.
Non è vero che il tempo cura le ferite.
È una stronzata che ti propinano per farti credere in un mondo migliore di quello che realmente è.
Esistono cose che rimangono bloccate in un eterno presente, senza possibilità di soluzione.**
No, Tony sa che ci vuole qualcuno che lo aiuti, o non ce la farà mai, la caduta lo spezzerà, prima o poi.
Le riesce già a vedere, le crepe sul guscio, che aspettano la fine del salto per scoppiare.
-Non voglio.
Vuole essere lui quella persona che lo aiuterà, lo vuole davvero.
Perché Loki gli fa tenerezza, lo impietosisce. Lo attrae inesorabilmente, come gli astri si attirano tra di loro fino a cozzare e lasciarsi ognuno la polvere e le nubi dell’altro.
Allontana la mano dai capelli e lo prende per le spalle –sottili, troppo sottili – e lo scuote piano.
Loki sussulta a quel tocco, perché è forte e istantaneo e non se lo aspettava.
Non pensava che Stark si sarebbe dimostrato viscido come loro, non ora che stava iniziando a fidarsi di lui, perché gli sembrava buono e diverso e comprensivo.
-Senti, ma che ti prende? Dov’è finito quel Loki bastardo e senza scrupoli che voleva conquistare il mondo? Non devi continuare a fare così. Sono qui per aiutarti, cristo santo, aiutarti. Capito? E voglio davvero farlo. Ma non posso se tu sei schivo e chiuso come un riccio. Non so che cazzo ti è successo e non sono nemmeno sicuro di volerlo sapere, ma posso capirlo. Anch’io ho vissuto la tortura e so che non è piacevole, ma devi riprenderti. Rimetterti in pista, tornare a vivere. Loki. Torna a vivere. Davvero, fallo.
Loki lo guarda.
Non vuole far caso alle ultime parole e alla paura – di cosa poi solo il cielo lo sa, forse di perderlo, ma è impossibile – che vede negli occhi di Stark.
Non pensa a nient’altro che quelle mani sulla sua pelle, mani untuose che gli scivolano addosso, lo toccano, lo scoprono.
I suoi occhi ora mandano stilettate di ghiaccio e bagliori di neve.
Ora fa paura, tanto che Stark deglutisce di fronte a lui, ma non lascia la presa.
Iron man non indietreggia di fronte al pericolo.
Peccato che ora l’armatura sia in una teca scintillante in laboratorio.
Una vocina interiore gli dice però che Loki non gli farà del male. Non ancora almeno e non in quelle condizioni.
Loki non ha alcuna intenzione di subire ancora, anche se sa di essere debole e il mortale è ben più allenato.
E decide di contrattaccare, come farebbe un lupo con una zampa chiusa in una tagliola: scopre i denti bianchi e ringhia, per intimidire l’avversario ma per convincersi di potercela fare, a sopravvivere.
Guarda, sembra dire, non ti avvicinare troppo, sono pericoloso e ti posso fare male.
Ma quel lupo ha dimenticato di avere una zampa in una trappola acuminata e tutto quello che riesce a fare è azzannare l’aria e mostrare i canini.
Tony ora è il cacciatore della tagliola e le sue mani sono la tagliola e Loki ora è quel lupo e usa la migliore arma di cui dispone in quel momento: le parole.
Le soppesa, le cataloga, sceglie le più adatte e balza all’attacco, veloce, netto, preciso.
Azzanna l’aria e fende il niente.
La bocca gli farà male, forse, ma sarà un dolore che potrà sopportare.
-Cosa ne sai tu della tortura e del tormento? La tortura è quando qualcuno ti piomba addosso nella notte e ti uccide pezzo per pezzo; è quando la tua pelle è talmente ricoperta di sangue e lividi che non sai nemmeno più riconoscerti o quando fruste di ghiaccio ti strappano lembi dalla schiena e ti infliggono ferite fino agli organi. Non venirmi a dire che sai cosa ho passato. Posso accettare ogni cosa da te, ma questa bugia è troppo grande anche per il grande Anthony Howard Stark, colui che si nasconde dietro un’armatura di latta dorata. Non sei più coraggioso del resto dei mortali. Non sei un eroe, Stark. Non hai niente e non avrai mai niente, se non le briciole di un ricordo che dopo due decenni dalla tua morte nessuno conoscerà ancora. Non sai cosa ho passato, nemmeno lontanamente lo immagini. C’è un’ombra qui, ora, intorno a me, e non mi lascia andare e mi toglie l’aria. Quello che hai passato è solo una microscopica parte di ciò che ho subito io. Non credere di conoscermi: tornare a vivere, quando non senti nemmeno di avere l’aria per respirare, non è facile.
Tony se lo aspetta, ma fa male lo stesso.
Fa male e Tony serra la mascella nell’ombra di un sorriso denso di memorie.
Fa male e Tony lo sente, tutto, il peso di quelle prime parole soppesate con cura che gli scavano solchi nel cuore e lo portano dinanzi all’inesorabile verità della sua esistenza.
Lui non è un eroe, gioca solo a farlo, ed essere Anthony Howard Stark non ti aiuta nel crearti una vita tua, lui, che ha tutto e niente, che non ha principi, non ha morale e non ha più nemmeno un padre, anzi forse, non l’ha mai avuto.
Tony sa che Loki lancia quelle parole per ferire e per proteggersi, perché la migliore arma di difesa è l’attacco, ma fanno male.
Gli ricordano ancora una volta che lui non è perfetto, è umano, e sa di sbagliare, di commettere errori, di non essere all’altezza del ruolo che ha scelto.
Fa male, ma non si lascia abbattere, perché non è poi così peggio di altri dirupi in cui è precipitato. E perché ora Loki è sull’orlo di un buco nero ben più profondo del suo.
Non ha urlato o sussurrato.
Il tono è rimasto costante e forse è questo che metteva più in soggezione.
Le parole si sono susseguite sibilate e strascicate, serpenti nel deserto caldo delle memorie.
Un taglio, al lato del labbro superiore, si riapre e sangue cola giù, come striscia di una pittura su una tela usata milioni di volte.
Visto così sembra un mostro e se gli dicessero che una volta era cresciuto nel sogno di essere un principe asgardiano, ora riderebbe, ammesso e non concesso che ricordi come si faccia, perché tutto di lui altro non è che la consapevolezza di non essere più lo stesso.
Tony si vede, suo malgrado, costretto a lasciarlo e non appena lo fa, Loki si alza e va – corre – in camera sua.
Si sente uno schifo e non può non fissare il punto in cui attimi, secondi, prima era seduto Loki.
Tornare a vivere, quando non senti nemmeno di avere l’aria per respirare, non è facile.
Forse può essere lui una parte dell’aria che gli permette di respirare. Altrimenti gli darà un po’ della sua, di aria.
Sì, lo farà.

*/*


È buio e la Stark Tower riposa nel silenzio di un giorno finito e perso nei meandri del tempo.
Le luci di New York balzano senza sosta, numeri bipolari su uno schermo digitale e luminoso che ti acceca e ti stordisce.
È bella New York, ma è finta ed effimera, ed è granelli di polvere che prima o poi scivolano via e si perdono.
Loki sta dormendo, porta aperta e ombre vuote intorno a lui.
È immobile come sempre e sembra che nemmeno respiri, avvolto in quelle coperte.
Ha freddo la notte, ha sempre freddo, perché gli si è insinuato dentro, è sotto la pelle, il freddo, e non lo lascia andare.
È immobile e sembra morto, ma la morte non arriva mai quando la invoca.
Lo fa attendere, senza vergognarsi di quell’agonia a cui lo sottopone.
Anzi, più la chiama, più i giorni si allungano e lo inghiottono e finisce per dimenticarsi di tutto.
Loki è rassegnato perché il Padre di Tutto non vuole evidentemente concedergli il privilegio di una morte veloce.
No.
Lui deve soffrire, quale il cane che è, per i crimini commessi.
Il Padre di Tutto non perdona e non dimentica.
E sei uno stolto se credi nel contrario.
Loki mica ci credeva. Era la speranza che gli suggeriva in una fine migliore.
Speranza. La droga di ogni essere, colei che insinua vermi come metastasi nelle viscere e che non si ferma mai.
È sempre così. È sorella del tempo e della morte e vanno a braccetto.
Ti avvolgono in coperte di aspettative in filigrane dorate, per poi strapparti tutto. Pelle, muscoli, occhi. Tutto. E ti fanno dimenticare.
E ti fanno dimenticare di te, del luogo in cui sei, dei tuoi sogni. Ogni cosa.
Il Padre di Tutto non perdona e non dimentica.
Stark no, non sta dormendo.
È in camera e pensa.
Il suo cervello, come quello di ogni umano, non si ferma mai e ragiona, elabora, cataloga. Non può permettersi di fermarsi.
Jarvis gli ha suggerito almeno tre volte di dormire – Jarvis fa le veci di Pepper, quando non c’è – ma lui non vuole, non ci riesce.
Perché ogni volta che chiude gli occhi, rimbombi di risate crudeli gli trapassano le orecchie e immagini sfocate di scene orribili gli si parano davanti.
Non ha idea del perché veda tutto questo e forse è solo suggestione, forse è solo un sogno passeggero che il giorno dopo non ci sarebbe stato più.
Però Tony in qualche modo sa che non è così. In qualche modo quelle risate, quegli occhi ciechi che vede, sono veri.
Non sa a chi appartengano ma è come se li conoscesse.
Ricordano quelli scuri e d’ossidiana dei terroristi che l’hanno preso e l’hanno immerso in nell’acqua, fino a cavargli il cuore; ricordano gli occhi del padre che ha sempre odiato perché l’ha reso chi non voleva e gli ha fatto odiare sé stesso, salvo poi scoprire di essere importante per lui; gli ricordano gli incubi che faceva e che, a volte, fa ancora adesso e che lo svegliano nel mezzo della notte e non lo lasciano più andare.
E succede tutto all’improvviso.
Così, senza preavviso. Uno sparo di una pistola, diritto al petto, e sei morto.
Così, all’improvviso.
Un grido, acuto, perforante, tangibile. Distruttivo.
Uno schianto di oggetti su un pavimento, il sonoro crash di un vetro che si rompe, il rumore sordo di qualcosa che cade, anzi, atterra senza peso, il grottesco roccambolare di un corpo a terra ed il respiro affannato di un animo spezzato.
Così, all’improvviso.
Stark si alza dal letto e corre nella stanza affianco.
Prima ancora di vedere, la sente, la risata ghignante di un dolore incancellabile, il sogghigno di un volto ripugnante che li guarda e li schernisce e si lecca le dita con ingordigia e lussuria.
E poi lo vede.
Nel buio, il nulla di un essere e il peso dei ricordi.
Loki è raggomitolato su sé stesso, sotto la finestra.
Gratta il vetro con forza, lo vuole rompere, vuole scappare. Il vetro dal canto suo rifiuta di scheggiarsi e le sue unghie stridono sul vetro, ma non lo riescono a corrompere. 
Loki trema e ha gli occhi rossi dal pianto e neri dal Male.
Il Male con la maiuscola, perché quello è il Male che ti riduce in quello stato, così profondo che non ti lascia andare, respirare, vivere.
Loki deve vivere, perché Stark ha deciso così.
Quando vede Tony, si raggomitola ancora di più, e la testa scompare tra le braccia, ancora artigliate al vetro freddo. Trema e piange e mormora parole sconnesse, parole di supplica.
Accanto al letto vi sono i resti morti di quella che un tempo era la sveglia, la cui unica colpa è quella di aver ricordato troppo bene il tempo che è passato, inesorabilmente.
Il lenzuolo, trascinato fino ad un certo punto, giace scomposto, e sembra volerlo toccare con le sue pallide dita di cotone. Come a infondergli sicurezza.
Ma Loki si ritrae.
Trema e si dimena, legato da invisibili catene, così forti, così tenaci.
Le lacrime sono gocce di fuoco ardente e i suoi occhi sono pozzi neri di pazzia e a Tony si stringe il cuore nel vederlo così.
Attacco di panico.
Tony sa cosa si prova, perché li ha vissuti anche lui. Nemmeno troppo tempo fa.
Chiaramente un attacco di panico.
Le sue mani cercano una libertà che a lungo gli è stata negata e affermano la certezza della sua solitudine.
È la carezza del vuoto quella che sente.
Un vuoto che ha nel cuore e che gli è stato lasciato fin da quando era nato e che forse, in fondo, nessuno potrà mai riempire.
È il tocco dei ricordi che non sono ancora spariti, perché dopo quattro mesi di torture e di abusi, tre giorni sono troppo pochi per cancellarli.
Tony si fa vicino. Piccoli passi. Senza fretta.
Loki non lo guarda e continua a tremare.
Ha paura ed è indifeso. L’uomo si inginocchia alla sua altezza e tende una mano.
Piano, senza fretta.
Tocca la sua gamba nella maniera più gentile che conosca.
Riporta alla memoria i tocchi di sua madre, o del suo maggiordomo, o di Pepper. Ombre di velluto su di una pelle salata di lacrime.
Ma nessuno di questi è adatto. Perché erano tocchi che sapevano dove iniziare e dove finire e ottenevano qualcosa, in cambio. Un sorriso, un abbraccio, un barlume negli occhi.
Stark non è certo che toccando Loki ottenga qualcosa.
Quindi improvvisa, perché non ha idea di cosa fare. Poggia le dita sulla gamba coperta dalla stoffa del pigiama e le lascia lì. In un tocco che quasi non si avverte eppure c’è.
Come toccare la reliquia sacra di un’antica religione.
Come toccare una stella di luce e polvere.
Con la referenza di chi tocca un morto amato o la statuaria icona di un bianco messia.
Loki è rigido e piange e mormora scuse e suppliche spezzate.
Le dita di Tony disegnano sulla stoffa cerchi lungo la coscia, senza mai spostarsi troppo. Si mette al suo fianco e una mano tocca i capelli corvini. Piano, senza fretta.
Un tocco già sperimentato e su cui Tony si sente sicuro. Come uno scolaretto all’interrogazione di cui conosce gli argomenti a mena dito.
Tony non sa dire cos’è quel senso d’impotenza che lo circonda, perché lui è Iron Man e Iron Man può tutto. Se vuole fare qualcosa, la fa. E basta.
Ma ora, ora non sa cosa fare. Perché con lui c’era Pepper a calmarlo, a dirgli che andava tutto bene quando no, niente andava bene. Ora, però, lì c’è solo lui.
Potrebbe semplicemente chiedere a Loki “Cosa è successo”, ma sarebbe da stronzi, e lo sa.
Non può semplicemente pretendere che Loki gli racconti ogni cosa. Perché non funziona così. Ad ognuno ci vuole il proprio tempo.
Non sposta la mano dai suoi capelli corvini. Loki ora si è girato con la schiena alla parete e ha gli occhi chiusi.
Tutto ciò che Stark può fare è sussurrare al silenzio delle tenebre delle parole, non pensate, su ogni cosa, intervallate ogni tanto da sussurri amorevoli.
Poi, all’improvviso, gli occhi meravigliosamente verdi di Loki si spalancano.
E finisce tutto. Così, all’improvviso.
Realizza di non essere più in una cella, che nessuno è lì eccetto Tony, che non c’è nessuno attorno a lui. Che va tutto, relativamente, bene.
Si concede di guardare un’ultima volta intorno, per poi riprendere un contegno decoroso ai limiti del possibile.
Cerca di alzarsi in piedi –la mano aggrappata al muro però non la toglie – e muove due passi verso il bagno.
E poi, semplicemente, crolla.
Perché la natura non l’ha ancora abbastanza preso in giro. E così lo fa crollare sulle sue stesse gambe, davanti a quel mortale che ora inizierà a sbeffeggiarlo, facendolo odiare ancora di più per quella inezia. Memore di precedenti cadute, si alza. O almeno, ci prova.
Perché ormai è legge che il suo corpo non gli obbedisca.
Non si stupisce di fallire. Quindi aspetta.
Meglio attendere che il mortale se ne vada e poi strisciare verso il bagno.
Ma Tony lo sorprende, piazzandosi davanti e offrendogli una mano.
La sfiora titubante, quasi fosse cosciente che non riuscirà ad afferrarla perché è così che è scritto. Nessuno lo aiuterà mai.
Invece quella mano c’è, è lì, pronta per essere presa, non si allontana, rimane. Lì, in attesa, fiduciosa.
Non appena è in piedi, Stark si sbriga a passargli il braccio intorno alla vita.
È fin troppo leggero e non è un problema sollevarlo.
Lo porta in bagno e lo fa sedere sulla cesta chiusa per i vestiti sporchi. Poi riempie la vasca.
Acqua calda. Rigorosamente calda.
Perché Loki sta tremando e non ha mai smesso. Quindi acqua calda. Almeno lo riscalderà un po’.
Sotto il getto, quel corpo esile scompare.
Ha opposto resistenza quando gli ha tolto i vestiti.
Sotto il getto dell’acqua, Loki si stringe le gambe al petto, e Tony le vede.
Non poteva essere altrimenti.
Per la prima volta le vede, in tutta la loro interezza.
E fanno paura.
La schiena bianca del dio è attraversata da strisce, tagli, lividi, macchie.
Tutto ciò che Dio, l’universo o chi per lui ha creato di male, veramente Male, è passato su quella pelle. Ha pestato i piedi su quella pelle, ha morso quella pelle, ha tagliato quella pelle.
Squarci orizzontali e bruciature circolari come stelle esplose nel profondo dello spazio.
Alcuni sono vecchi e cicatrizzati in spessi cordoli biancastri, come vermi che strisciano ad ogni movimento. Altri sono nuovi e neri di pus e infezioni e l’acqua li bagna con disgusto.
Sono rossi e fanno paura; sono rossi e sono segni di unghiate attorno ai fianchi o di una frusta in diagonale. Sono lividi lungo la spina dorsale, nello spazio tra ogni vertebra, lividi bluastri e freddi.
Sono bruciature scarlatte a croce sulla pelle, buchi dove il muscolo è carbonizzato, dove bolle di aria si sono create.
Sono troppe e fanno paura.
Anche sul petto ce ne sono. Ricordano disegni tribali –nella confusione del momento, è un pensiero disassociato dagli altri - solchi che seguono la forma del torace, o unghiate che accerchiano l’ombelico.
A Tony cade con un secco Sciaff la saponetta che aveva in mano.
Cade dentro la vasca piena d’acqua ma non importa a nessuno.
Tutto quello che può fare è stringersi quel corpo sottile e nudo al petto, con forza e disperazione. Non sa dove mettere le mani per non fargli altro male quindi una la intreccia nei suoi capelli neri. Loki si accoccola contro di lui, inerme e indifeso, e gli allaccia le braccia alla vita e continua a piangere sulla sua maglia – o forse sono solo gocce d’acqua calda – ma non importa. Non importa se gli bagna la maglia, non gli importa se non sembra nemmeno più lui, non gli importa di quello che penseranno tutti.
Fanculo.
Che andassero tutti a fanculo.
Ora importa di quelle cicatrici su quella pelle, di quei segni così netti da fare spavento, di quell’uomo che ora gli si struscia contro, in cerca di calore, affetto, sicurezza.
E Tony lo stringe ancora, di più, e gli accarezza i capelli con la dolcezza che nessuno ha mai avuto grazia di riservagli. Più dolce di Frigga, regina di sole e miele, più amorevole di Thor, dio di luce e oro.
Ed è un tocco che ama, sente di amare, vuole amare.
Perché è bello, è sicuro, è casa. È, semplicemente è.
I cordoli sulla schiena tirano e sembrano sull’orlo di strapparsi. Le ferite nuove stanno sanguinando e la pelle intorno è rossa. Le ustioni bruciano a contatto con l’acqua calda.
Ma non gli importa.
C’è Tony, ora, a volerlo curare.
E la bellissima certezza, derivata dalla melodia di quell’abbraccio, che quell’umano sarà lì, ad aiutarlo e a curarlo, è tutto quello che importa.
Il pezzo di saponetta ora ha toccato il fondo in ceramica della vasca. E resta lì, dimenticato da tutti, a sciogliersi nelle mani del tempo e dell’acqua.
Un sogno che si perde nei granelli di sabbia della vita.


*/*


“Il freddo di Jotunheim è famoso a tutti ed infido.
Ti entra dentro, ti scava i muscoli, ti spezza. Corrode, divora, mastica e sputa senza pietà. Non ha rispetto e non ha onore.
Solo pochi riescono a sopportarlo, eccetto i suoi abitanti, ovvio. Mostri dalla pelle blu, occhi che sono il fuoco dell’inferno e cuspidi di ghiaccio aguzze e taglienti.
Loki è stato portato qui da Lady Sif in persona. Forse la stolta guerriera crede di poter, così facendo, guadagnare uno sguardo di riconoscenza da parte di Thor. Illusa.
È in catene, perché non sia mai che gli concedano un minimo di quella dignità che a tutti i costi gli vogliono togliere; con la bocca cucita da questa museruola e la sua magia requisita. Il Padre degli Dei vuole fare le cose a modo e non vuole rischiare un’altra guerra tra i mondi.
Ad attenderli c’è un drappello di Jǫtnar, avvolti solo nel gelo del loro pianeta e nella loro crudeltà.
Alcuni ghignano, leccandosi le labbra bluastre, alla vista di colui che ha ucciso il loro re in catene, peggio di una vacca; altri invece ringhiano, perché il traditore è lì con loro e vedono l’offerta di Odino come un affronto; altri sono semplicemente eccitati come cani in calore, quando il principe caduto si palesa di fronte a loro, così remissivo, così appetitoso, così loro.
Le parole di Sif sferzano l’aria e convincono il capo di Útgarða, che il destino vuole aver chiamato come il prigioniero che ora gli sta dinanzi. Lampi di cupidigia attraversano i tizzoni ardenti del signore di Útgarða e Loki viene attraversato da brividi di orrore. Sif consegna la catena nelle sue mani, attenta a non toccarlo, e sparisce in una nuvola di luce dorata.
Loki rimane solo, con tutti loro.
Viene trascinato in una caverna di ghiaccio, dove lo buttano a terra e legano la catena al muro. Per essere sicuro che non scappi. Come se avesse un luogo in cui andare.
Ridono, nel vederlo schiacciarsi contro la parete. Trema, ma non piange. Non concederà anche questo, no.
Útgarða-Loki (4) lo afferra per i capelli e lo fa voltare. Lecca la pelle del suo viso, fin dove la maschera glielo consente, mentre altre mani lo spogliano dei vestiti che la neve ha reso fradici. Il freddo lo attacca da ogni parte e inizia a scalciare, ma sa di non poter nulla contro di loro. Quelle stesse mani lo graffiano, lo toccano, lo esplorano, mentre Utgarða-Loki lo monta senza pietà; lo lecca languidamente lungo la schiena e la sua lingua è fredda e ispida da lasciargli bruciature; gli lacera la pelle a furia di morsi e non finisce fino a che l’orgasmo non lo fa gemere nel silenzio della notte. Gli altri suoi compagni ridono, lo applaudono, aspettano il loro turno. Loki non può urlare e gli manca il respiro. Dopo di lui, tocca ad un altro, che lo sbatte contro il muro freddo e ghiacciato e lo prende con ancora più forza, tirandogli i capelli. Ora Loki sta piangendo, ed è quasi una fortuna che il suo viso sia schiacciato contro la parete.
Almeno così, loro non possono vedere le sue lacrime.
Ogni notte -ammesso che nel buio in cui quel dannato posto è immerso perennemente lui riconosca il dì e la notte- si dice che sarà l’ultima.
Ogni notte invoca con tutto sé stesso quella morte che Odino non ha avuto la pietà di concedergli. Perché dopo sarà tutto, davvero, finito.
Ma la morte non arriva mai quando la chiama.
Ha cercato anche di convincersi che fosse tutto un sogno, un orribile sogno che l’ha trascinato nella sua ragnatela e quindi basterà chiudere gli occhi forte e sperare. Sperare di tornare.
“Tornare dove, Loki?” Gli chiede una voce nella sua mente “Non hai casa, non hai famiglia, non hai appartenenza. Dove vorresti andare?”
Ovunque. Ma non qui.
Non succede mai. Si risveglia sempre lì, con il sangue addosso e il dolore come compagno.
Non sente quasi più niente ormai.
In quei quattro mesi lo hanno usato quanto più hanno potuto. In quei quattro mesi gli hanno inflitto frustate, calci, morsi, pugni da renderlo irriconoscibile. In quei quattro mesi l’hanno chiamato vacca, l’hanno usato a loro piacimento. A quei quattro mesi, è sopravvissuto a malapena.
A tutti loro piaceva sperimentare. Squarciare, azzannare, strappare la pelle per vedere quanto sangue poteva versare; lasciarlo nudo in mezzo alla neve per osservarlo diventare blu –reazione involontaria, per proteggersi dal freddo- solo per poi prenderlo a calci, insultandolo –perché gli insulti c’erano sempre-; privarlo del cibo per costringerlo a inginocchiarsi per le briciole, farlo strisciare per leccare il pavimento sotto la tavola su cui mangiavano: un principe in ginocchio di fronte a loro li faceva eccitare e la lussuria prendeva il sopravvento.
Quando i quattro mesi finiscono, Loki non sa se ringraziare le Norne o maledirle, anche se la forza per fare una delle due cose non ce l’ha più.
Il signore di Útgarða lo trascina al luogo dell’incontro, buttandolo nella neve. Si macchia di nero, la neve. Sangue cola dalle sue cosce, come ultimo regalo da parte di quel pianeta che l’ha rifiutato e sempre lo farà. Viene a riprenderlo Sif.
Loki non può vederla in volto, troppo stanco anche solo per ricordarsi di respirare. Ma se l’avesse fatto, avrebbe visto un lampo di rimorso e colpa negli occhi della guerriera di ferro. Ed è quasi un eufemismo che sia proprio lei, la Lady di ferro di Asgard a sollevarlo dal suolo, con la scusa di volerlo tenere sotto controllo, mentre sente chiaramente le dita sulla sua schiena per un secondo di troppo, in un taciturno cenno che non lascia tracce nel passato.
Ad Asgard viene curato il minimo indispensabile.
Viene usato il Seiðr per guarirlo ma per ordine di Odino le sue ferite vengono lasciate così, sanguinanti e aperte. Vengono curate solo quelle sul viso, di modo da renderlo più presentabile, e gli viene ripulito dalle gambe il sangue. Per il resto, tutto rimane uguale.
Il Padre di Tutto non perdona e non dimentica e la sua ira è spietata e sadica contro chi lo ha tradito.
Loki, nudo nel silenzio dello stanzino in cui è confinato, osserva il suo corpo martoriato.
Ad Asgard non appartiene, su Jotunheim non vuole tornare. Non avrà più una casa, qualora venga decisa una sentenza diversa dalla morte.
Ora, come da sempre, è un profugo in fuga, in cerca di un posto dove fermarsi per riprendere fiato.
Con dita pallide e fredde sfiora una ferita sulla coscia, con aria quasi meditabonda.
Una lacrima cade dal suo capo chino e si adagia sulla piaga, e brucia. Brucia come il veleno; brucia come l’ira del padre degli dei; brucia come le porte di Hel. Ma non gli importa.
Si odia per quello che è.
Per metà asgardiano e per metà Jotun. La combinazione perfetta per una vita d’inferno ed errori.
Non doveva nemmeno nascere, alla fin fine. Sarebbe stato meglio. È venuto al mondo per uno scherzo del fato, un errore nel corso del tempo, un imprevisto. Ecco che cos’è lui.
Un imprevisto.
Non è niente e non sarà mai niente. Quello che vuole non importa a nessuno, i suoi sogni non importano a nessuno.
Il non voluto; il non amato; colui che sempre sarà odiato.
Troppo gracile per meritare il titolo di principe degli Jǫtnar. Troppo studioso ed elegante per essere secondo erede al trono di Asgard e anche solo per competere con il rozzo e guerriero Thor.
L’hanno chiamato
Vacca e Cagna. Una puttana, ecco che cosa è stato per loro: un passatempo, uno sfizio.
Gli hanno strappato la dignità a poco a poco, pezzo per pezzo, facendolo sanguinare.
Del Dio degli Inganni è rimasto poco e nulla. Al suo posto c’è un estraneo.
Volta il viso alla finestra. Almeno quella gliel’hanno concessa, oltre ad una brandina su cui dormire, anche solo provarci.
Nel rosso del tramonto si specchia Asgard dai palazzi dorati e nelle nuvole aranciate il sole scompare.
Non vedeva un tramonto così da chissà quanto.
La calda luce del sole gli accarezza il viso, come nessuno faceva da tempo. E anche se è una carezza inconsistente, a Loki piace ugualmente. Perché è un affetto che, anche se lo immagina lui solamente, non riceveva da tanti anni.
Sospira e si adagia su un fianco. Non può permettersi altro o il dolore lo assalirà maggiormente. Si stringe quell’unico lenzuolo che non può fare molto, se non concedergli una parvenza di caldo. Loki ha freddo, da sempre. Ed ora ne ha di più.
Ma non c’è nessuno a scaldarlo. Non c’è mai stato.
Loki ora è solo, solo come le vette innevate di Jotunheim, che spiccano per altezza nel cielo terso; solo come quell’unica foglia di un ramo d’autunno; solo come solo la voglia di morire assale il petto di un’anima sconquassata.
Non ci sarà per lui un nuovo giorno. No, quello che ora è, lo sarà per sempre.
L’ingannatore, lingua d’argento, l’infido bastardo voltafaccia. Eppure nessuno ha mai capito chi è veramente.
Chiude gli occhi, meravigliosamente verdi, e si addormenta.
Non lo aspetta il regno dei sogni. No.
Al contrario, lo attende il regno dei ricordi, dove urla e dolore si confondono in una melodia segreta del cuore.”

*/*


Si sono ritrovati a parlare quasi per caso.
È passata una settimana da quella sera.
Sette giorni in cui Tony si è praticamente trasferito nella stanza dell’ospite. Sì, perché durante le notti, entrambi hanno scoperto di non voler rimanere soli: Loki perché fin troppo è stato solo e gli riesce difficile ora rinunciare alla presenza di un corpo caldo e sicuro; Stark per un’inspiegabile senso di protezione che l’ha colto e non lo lascia. Non che gli dispiaccia, anzi.
È strano, ma bellissimo.
Tony entra nel letto ogni sera, quando lo sente agitarsi o anche solo quando gli manca il suo profumo. È davvero bizzarro ammetterlo, ma sì, a Tony Stark, a distanza di 5 metri nemmeno, manca Loki. Forse perché il suo stupido cuore di umano si è affezionato fin troppo velocemente a quel dio oppure perché semplicemente deve andare così.
Fatto è che lo raggiunge sotto le coperte e lo stringe contro il suo petto ed è lì che si addormentano, anche se lui pensa che in realtà Loki finga solo, e rimanga sveglio nel buio, a pensare a chissà cosa.
È Stark ad andare da Loki e non viceversa perché l’abitudine è dura a morire e prima che il dio ammetta di aver bisogno di aiuto, gelerà l’inferno.
Non ci sono stati attacchi di panico. Non più.
In un certo senso, Tony ne è grato, perché non si sente di fare nuovamente la parte del consolatore. Continua a pensare che non sia nelle sue corde, non fa per lui.
Sono sotto la finestra del salone, seduti, a contemplare New York di primo mattino, quando tutti si svegliano e iniziano a vivere, ringraziando qualcuno di invisibile per essere ancora lì.
E stanno parlando.
Loki ha ripreso del tutto l’uso delle parole, anche se fin troppo spesso si chiude in un silenzio denso di pensieri che non è ancora pronto a condividere con l’umano. Ma Tony ha scoperto di poter aspettare. E ha anche scoperto, al contrario di quanto entrambi pensavano, che Loki non ha abbandonato il suo cinismo e le sue parole velenose. Solo che adesso le ammanta con meno dose di veleno e perfidia. È un nuovo Loki e a Tony non dispiace.
-Dimmi la verità –anche se lui per primo sa che al Dio degli Inganni non puoi chiedere verità assoluta –Cosa avevi intenzione di fare, conquistando la Terra? Se non ci fossimo stati noi a fermarti, avresti distrutto tutto? Per cosa poi?
Loki ha la pelle baciata da quel giovane sole, che fa brillare gli occhi assolutamente troppo belli, e gli sfiora il viso affilato con dita ardenti e silenziose.
Divino.”
È il primo pensiero che Tony elabora al vederlo così.
E non c’entra la divinità intesa come immortalità.
Non intende la divinità di un fantomatico dio, uno di quelli che non vedi e raramente senti al quale però affidi insulti e preghiere di una vita migliore.
No, questa è divinità intesa come bellezza, concetto troppo personale per dare una definizione inequivocabile e unica.
Come la paura. Cos’è la paura?
È quella che ti tiene sveglio la notte?
È quella sensazione di sbagliato, di erroneo che ti si infila sotto la pelle e punge?
O è qualcosa di più astratto, qualcosa con un colore, un sapore, un odore ben definito, qualcosa che ti corrode dentro fino a farti un buco nello stomaco?
La morte fa paura. La malattia fa paura. La solitudine fa paura.
La bellezza è forse ancora più astratta e soggettiva.
Ma Loki è bello, incommensurabilmente bello. Sarebbe da stupidi negarlo.
-No. Era più un sogno da esaudire. Ma non capiresti, non importa.
Una cosa negativa –una delle tante- in cui Loki continua a perseverare, è lo sminuirsi completamente.
Glielo ha chiesto Tony, perché lo fa. E lui ha risposto che dopo aver vissuto tutto quello, non puoi pretendere di volere qualcosa, tantomeno di essere capiti.
Tony l’aveva abbracciato con delicatezza.
-Non sono di porcellana Stark, non devi avere paura di farmi male.
Era questo quello che Loki aveva detto, stretto in quell’abbraccio.
Si sbagliava. Tony aveva una paura fottuta di fargli male. Per contro l’aveva stretto con più forza –non troppa- e Loki si era accucciato contro la sua spalla.
-Non sottovalutare il mio cervello. Rimango uno degli uomini più intelligenti di questo pianeta.
Gli pare di vedere l’ombra di un sorriso. Non sorride spesso. È un peccato, perché lo farebbe sembrare ancora più stupendo.
-Lo sei solo perché i parametri d’intelletto di questo mondo sono illogici e banali. -
Tony se ne accorge, che vuole svicolare. È molto bravo a svicolare, Loki, ma Stark è ancora più bravo a mantenere la sua rotta.
-Quindi? Cosa avresti fatto una volta conquistatici tutti? Ci avresti sterminato o obbligati ad inginocchiarci?
-Un re ha bisogno di un popolo per comandare. Per quanto io possa essere crudele, non vi avrei ucciso. Solo chi avesse opposto resistenza sarebbe stato soppresso, una volta rifiutata la possibilità di sottomettersi. Ma non era mia intenzione distruggere questo pianeta. L’avrei rimodernato, ricostruendolo daccapo. Sarebbe stato un nuovo inizio per un mondo nuovo. – Tony lo incita con gli occhi a continuare. È curioso, perché è un essere umano. – Voi non ve ne rendete conto, ma state avvelenando la vostra stessa casa. Ci sono tante cose marce su Midgard e io avrei posto rimedio. Avrei eliminato e sostituito le centrali nucleari con nuove tecniche asgardiane. Avete un concetto di uguaglianza e equità molto astratto e la vostra idea di Stato concerne solo l’aspetto urbanistico e geografico, non sociale: voi non ve ne rendete conto, ma la vostra democrazia è totalmente sbagliata. Avrei cambiato tutto questo. Era mia intenzione eliminare ogni forma di governo e togliere i poteri alle varie istituzioni religiose, permettendo, però, libertà di culto. Ognuno avrebbe avuto una dimora stabile, lavoro e sanità, abbattendo le varie case farmaceutiche: è a dir poco assurdo che i vostri scienziati stiano scoprendo nuove malattie invece di curare quelle che già esistono. - si interrompe, chiudendo gli occhi e sospirando. Le dita del sole gli baciano i capelli corvini. –Avrei reso Midgard un posto migliore. Ma non ha più importanza ormai. Era solo un sogno.
Tony si ritrova a pensare che le sue idee non erano poi così sbagliate ed insensate. C’è un fondo di verità, più di uno forse. Ma non può fare a meno di sorridere, ed avvicinarsi a lui, sfiorando con i polpastrelli la guancia e poi il collo e la spalla.
-Come avresti cambiato tutto? Voglio dire, in che modo, per esempio, importare la tecnologia asgardiana?
-Avevo il Tesseract, tutto mi era possibile e nulla mi era precluso.
Tony lo guarda e scuote la testa.
-E poi? Dopo, cosa sarebbe successo, dopo?
-Dopo, dopo me ne sarei andato. O sarei morto. Non lo so. Sareste stati in grado di continuare da soli.
L’uomo si avvicina ancora di più. Loki può sentire il suo profumo ed è buono, davvero buono.
-Non avrebbe mai funzionato. – Loki lo guarda apatico e sospira, chinando il viso. Tony lo alza di poco con la mano. –Non avrebbe funzionato perché noi esseri umani siamo volubili. Non ci fidiamo di qualcuno che minaccia la nostra integrità e sicurezza col pugno di ferro, e anche se ti avessero giurato fedeltà, non sarebbe passato poi molto da una possibile rivolta. Non conosci questo mondo così bene Loki. Le tue idee sono buone ma gli manca la concretezza che caratterizza ogni nostra azione: noi crediamo in ciò che vediamo e tocchiamo materialmente. I tuoi sogni, le tue aspettative, sarebbero state viste solo come una visione futuristica di ciò c’è oggi. Hai una visione erronea del genere umano: ciò che siamo oggi è il frutto di millenni di storia e fatica. Sono certo che tra qualche altro secolo raggiungeremo la vostra tecnologia, e lo faremo con i nostri tempi. Avrebbe funzionato solo se fossi rimasto a guidarli per sempre. Ma al primo accenno di cambiamento, tutto sarebbe scoppiato, come una bolla di sapone. Era un bel sogno, ma in quanto tale era anche difficile.
Loki annuisce piano, abbandonando la testa su quella spalla lì vicino.
Era un aspetto che aveva sempre saputo, in qualche modo. Ma fa male sapere che una delle cose che più volevi fare nella vita in realtà altro non è che un mucchio di polvere, pronta a disperdersi al vento.
Chiude gli occhi e sospira, piano. Si prede tra i suoi pensieri. E lì nessuno riesce a tirarlo più fuori.
Prima o poi Tony si stancherà di lui, perché è sempre così. E allora, cosa succederà? Dove lo manderanno?
Il Padre di Tutto vorrà forse concedergli quel perdono che sembra essere divenuto più prezioso dell’aria? No, impossibile.
Odino non è incline alla pietà verso una serpe allevata in seno.
Vorrebbe piangere, per motivi che nemmeno lui conosce.
Forse ha realizzato solo ora chi è veramente.
Ed è strano che l’abbia capito proprio in quella che dovrebbe essere una prigione di giustizia per lui, voluta dalla punizione di un fato beffardo.
Eccolo lì.
Loki, figlio di Laufey, adottato da Odino, fratellastro di Thor, bastardo per la casata del padre, reietto per quella società in cui è cresciuto, Signore degli Inganni, lingua d’argento e puttana di Jotunheim, profugo e superstite, Signore del Seiðr.
Forse è ora che avverte concretamente la mancanza della sua magia.
Prima l’aveva voluta, ovviamente.
Avrebbe potuto scappare prima che quegli inetti degli amici di suo fratello –no, fratellastro – lo prendessero; avrebbe potuto fuggire dal pianeta di ghiaccio con uno schiocco di dita; avrebbe potuto fare morire quei bastardi nelle peggiori sofferenze degne di Hel. Se solo avesse avuto la sua magia.
Ma no, avevano preferito privarlo anche di quella, rendendolo un niente.
Ma la magia, il Seiðr di Loki gli scorreva nelle vene, era parte del suo stesso sangue, e nessuno, nemmeno Odino, avrebbe potuto estirparlo, a meno di ucciderlo.
Però non si può usare.
Ed è questa la cosa frustrante.
Come se tu avessi entrambe le mani, ma ti venissero legate e tu non potessi usarle. Mai più.
Da impazzire.
Non è come non averle, le mani, perché se tu ci nasci senza o le perdi in un incidente, realizzi la cosa e amen, non se ne parla più.
Certo, continuerai a porti le solite domande sul perché, perchi e percome, ma hai realizzato la questione. Prima o dopo non cambia. L’hai fatto.
Ma se tu le mani le hai, le vedi e le senti e sai di non poterle usare mai più, beh, allora questo sì che è demoralizzante.
Per Loki è la stessa cosa.
Ora non ne ha bisogno, perché sta bene lì, è al sicuro, c’è Tony, ma un domani, chi lo sa? E se l’umano si svegliasse al suo fianco con il dirompente e primordiale sentore di odio? Quando ci metterebbe a cacciarlo fuori?
Due giorni, forse tre o anche meno.
Ora non gli serve la magia, ma quando si ritroverà fuori, buttato in un luogo umido e buio, come farà? Se lo mandassero di nuovo su quel pianeta, chi lo verrà a salvare?
Non ci sarà lo scontare una pena questa volta.
No, questa volta non avrà nulla.
Perso nella sua mente, non sente Stark che lo chiama. Perché da troppo tempo è in silenzio. 
-Loki? Sei ancora con noi? Terra chiama Loki.
Sbatte veloce le palpebre e sembra, per giochi dispettosi della luce lasciva, che il verde sia più chiaro e brillante.
-Stavo pensando.
-Per questo ti ho chiamato. Non mi piace quando pensi troppo.
-E perché mai?
-Quando pensi troppo ti isoli e non posso aiutarti. E io voglio aiutarti. Ma se tu pensi troppo, e lo fai spesso, pensi a cose solo tue, che io non posso sapere e neppure immaginare e tu mi tagli fuori. Ogni volta, ogni volta che hai qualcosa per la testa o rivivi il passato, mi tagli fuori.
-È così che voglio.
Sta svicolando. È dannatamente troppo bravo, decisamente.
-A cosa pensavi?
Passano alcuni momenti prima che si senta la risposta. Evidentemente Loki stava soppesando se dirlo o meno. Considera vari aspetti positivi e negativi. Ma sono quegli occhi scuri come le nuvole di tempesta a convincerlo.
-A te.
Accarezza i capelli e poi la guancia liscia e magra. Dovrebbe mangiare di più.
-Uh, sono lusingato di essere nei tuoi pensieri. E perché, di grazia, mi pensavi, Piccolo Cervo?
Si becca una fulminea occhiata a quel soprannome, che si sperava essere stato dimenticato in qualche angolo del tempo. E invece nulla. È ancora lì.
Loki non ha più speranze di toglierselo. Tony ridacchia e continua a delimitare i contorni di quel meraviglioso viso.
-Pensavo a quando mi avrai mandato via, dove andrò, con chi. –
Nel silenzio della Tower le sue parole rimbombano.
Tony si ferma di colpo. Loki, in un certo senso, sente subito la mancanza delle sue dita calde.
-Alt. Chi ti ha detto che ti manderò via?
Loki non lo guarda. Ha gli occhi puntati sul pavimento bianco e i capelli gli cadono davanti.
Si ricorda di sfuggita che quei capelli erano l’unica cosa che gli riconoscevano come appartenenza alla stirpe di Odino.
“Ha i capelli neri come i corvi del re” dicevano.
L’unico dettaglio infido di una vita di bugie.
Loki ha scoperto solo dopo che i corvi sono messaggeri di sventura.
-Succederà. Prima o poi.
-E perché mai?
-Tu ti stancherai di me e mi manderai via. E allora verranno a prendermi e mi riporteranno su Asgard e lì, forse, Odino mi chiuderà in una cella se sarà clemente ma dubito fortemente in questa sua generosità. O forse mi manderà di nuovo là, per restarci, e non voglio, non voglio. – una lacrima scende, una sola. Di più non si permette, il principe caduto. La guarda posarsi sul pavimento. Plick. Cade e resta lì.
Tony gli fa voltare il viso, e lo guarda con gli occhi scuri seri ma amorevoli.
-Ora ascoltami bene, perché non mi ripeterò. Tu non ti muovi da qui.
-Ma…
-No. Niente “ma”. Se Fury o Point Break o il re dei re o chi per lui verrà qui a reclamarti, li manderò via a calci in culo. Non tornerai ad Asgard, e di certo non tornerai là. Tu starai qui, con me. Non lascerò che nessuno, ripeto nessuno ti porti via, ok? Resti qui, a meno che tu non voglia andartene di tua spontanea volontà. In quel caso, non posso obbligarti nel contrario. Ma togliti dalla testa che io ti faccia andare via. Tu, tu sei una delle cose più assurde che mi siano capitate, sei un sogno, davvero un sogno, e non permetterò che qualcuno ti porti via da me.
Gli occhi smeraldini ora sono increduli e l’ombra di un sorriso riecheggia sulle labbra.
Loki annuisce. E si lascia abbracciare.
Avrà anche perso ogni cosa, ma si sente al sicuro. È al sicuro.
Ora ha una casa e una persona al suo fianco. Che lo tranquillizza la notte, asciuga le lacrime e bacia le ferite.
Forse non deve più scappare.
Ha trovato una casa, e poco importa che non sia stata quella fin dalla sua nascita.
Le persone si spostano e viaggiano.
Le ferite rimarranno, o meglio, rimarranno le cicatrici, di questo ne è sicuro. I
l tempo non può fare miracoli e per quanto ne sa nemmeno la medicina midgardiana è portentosa.
Ma forse potranno essere un ricordo felice, anche, perché ognuna di esse, ogni singolo lembo di carne martoriato, ricorderà i baci roventi che Tony ha posato su ciascuno, nella speranza di alleviare il suo dolore.
Non ha più nulla, Loki di Asgard.
Non ha più una casa, una famiglia, un popolo, la sua magia, i suoi sogni.
Anzi no.
Ora ha un nuovo sogno.
Il sogno di essere qualcuno.
Hanno distrutto tutto quello in cui credeva, tutto ciò che era, tutto ciò che sognava. Eppure.
Dicono che i sogni siano una banale inventiva di coloro che non vogliono crescere, un eterno girovagare nel mondo dell’infantile fanciullezza.
Dicono che siano blocchi per coloro che non hanno le palle per affrontare la realtà.
E dicono anche che siano incorporei, che non si vedano e non si tocchino, perché sono tutti un inganno della mente.
Stronzate.
Tony lo sa. Loki, ora, lo sa.
Perché l’umano è stata l’unica persona ad averli visti, i suoi sogni e ad averli capiti sulle onde di una melodia che si chiama comprensione. Tony ha visto, ascoltato, immaginato i sogni di Loki.
Non è successo il contrario, ma c’è sempre tempo.
Arriverà il momento di condividere qualcosa di più intimo di ricordi ed un letto. Si arriverà a condividere ognuno un pezzo di anima, fino a donarla tutta, interamente.
Loki riuscirà ad avere nuovi sogni.
Può farlo perché stretta a lui c’è la persona che potrà permettere tutto questo. Forse potrà sognare d’essere qualcosa, un qualcuno di diverso.
E per Tony giungerà il momento di condividere e creare nuovi sogni.
Non ne ha mai avuti molti, perché lui ha sempre potuto tutto. I suoi sogni si sono estinti con la morte del padre. Il suo universo ruotava attorno al compiacerlo, e con la morte del vecchio, ognuno di essi è sfumato, piano. In silenzio.
Ma arriverà il momento di crearne di nuovi. Perché la vita non è nulla senza sogni.
E poco importa che tu sia vecchio, adulto o bambino.
Per realizzare i sogni c’è sempre tempo.
È tempo di tornare a vivere.





 

*Frase da Oceano Mare, di Alessandro Baricco
**Frase da Le Guerre del Mondo Emerso: Un Nuovo Regno, di Licia Troisi.
(1) Vǫlva: nella mitologia norrena è una maga esperta di divinazione; veniva consultata anche dagli dei per conoscere il futuro.
(2) Hel: è uno dei nove mondi, connessi dall'albero Yggdrasill: è il regno dei morti e la sua sovrana è Hel, da cui esso prende il nome.
(3) Seiðr: è la forma più alta di magia, conosciuta anche come “il più grande dei poteri”; spesso praticato da individui femminili, ha un uso antico e si narra che sia stata insegnata a Odino da Freyja, Signora della Fertilità. Praticare il Seiðr permette di prevedere il futuro, dispensare morte, sventura e malattia e privare un individuo della sua forza.
(4)Útgarða-Loki: è il re del castello di Jotunheim e il suo nome significa “Loki dell’esterno”, per distinguerlo dal Loki, compagno e avversario di Thor. 

 

   
 
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