Ed ecco
quel suono, continuo e regolare come i rintocchi di un orologio, ma forte e
deciso come un martello che batte su pietra. Sembrano proclamare una muta
sentenza questi battiti furiosi, ma questa è ancora celata alla mente,
intorpidita dal sonno, sfiancata dal risveglio.
Le palpebre
si alzano, improvvisamente leggere, come tirate da una cordicella invisibile.
Ma la fine di tira e improvvisamente rilascia che gli occhi si richiudano di
fronte a quel faro nel buio.
Lentamente
gli occhi tentano di aprirsi, faticosamente e, per quanto la loro crudele
malattia permette, tentano di render nitide le immagini proiettate sulla
retina.
Ed eccole
le pareti famigliari, l’odore affettuoso della camera della ragazza.
Ma proprio
là dove termina l’incrocio di piastrelle, una luce potente si irradia con
prepotenza. La curiosità è femmina, ma la prudenza anche quella.
Volge lo
sguardo all’indietro a veder la placida figura che pacificamente riposa,
indisturbata da quel curioso bagliore. Non c’è tempo ormai, è ora di scoprire.
Lentamente
i piedi poggiano sul pavimento, né freddo né caldo, né pavimento. Fluttuando
giunge vicina e sempre la luce più prepotente si fa, come una muta sfida
all’avanzar della figura.
Vi è uno
scalino, là dove doveva esserci pietra e cemento. Un rialzo a separar questo
mondo dall’altro. Il piede avanza fedele e ben presto tutto viene avvolto,
tutto scompare.
Non vi è
più un faro, una torcia vi è solo bianco, bianco e ancora bianco. Mattonelle di
marmo lisce e lucide come specchi ricoprono il pavimento, le pareti, tutta una
stanza di medie dimensioni. Tutte incredibilmente bianche come quelle camere
dei reparti psichiatrici.
Confusione
e stordimento. I vetri scagliosi guizzano attorno, girando una giostra che
sembra non doversi fermare mai. E ad un tratto tutto svanisce, solo vuoto,
svuotata dell’anima, svuotata dei pensieri…
…profondo
vuoto di chi precipita senza confini.
Non vedo,
non tocco, non sento…solo dentro rimbomba questo vuoto che sfreccia su e giù
nel petto.
Poi
all’improvviso 4 pareti compaiono, a Sud, a Est, a Ovest, a Nord…sono grigie di
cemento, irte come spine, si uniscono con uno sonoro clank da porte
antincendio.
Che sia una
possibilità per fermare? Che sia una chance che mi viene data?
I muri
iniziano a muoversi verso l’interno, diventando un canale sempre più piccolo.
L’aria manca e soffoca tutto, ed ecco che i palmi si spalancano e si portano a
posarsi delicatamente sulle due pareti, Est e Ovest. Mai errore più grande fu
questo, esse scivolano come se il cemento fosse burro ma si sfregiano come se
il cemento fosse roccia appuntita. Dolore fisico ora colpisce, uccide la carne,
uccide la vita.
Le mani con
i palmi aperti porta al petto a guardar la situazione subita: rosso passione,
rosso amore, rosso odio sgorga dai solchi appena visibili sotto quella massa
sanguinea.
E poi
eccoli quei filetti di zucchero filato fini come carta, bianchi come neve, sono
parte di me, che mi viene sventolata, che brama di abbandonarmi.
Inaspettatamente
un senso di oppressione cala sul capo, mentre appena si fa udire un cigolio
meccanico. Lo sguardo si alza verso il cielo ed ecco un enorme quadrato
perfettamente incastonato fra quelle 4 pareti, che cala veloce. La mente
rielabora automaticamente e presto proclama il verdetto: ascensore. Voglia di
scendere, di giungere alla fine di quel tunnel.
Sangue
ghiacciato scorre nelle vene fredde come iceberg, i muscoli irrigiditi di un
cadavere senza fiato. Ecco la risata matrigna nel cuore, pugnala l’anima di
odio e rancore. Di divertimento sadico come un killer spietato. Ed ecco la
paura di una preda nello sguardo bianco di terrore.
Tutto si
annulla, tutto si chiude intorno a quella storta figura.
Affanno
scontato, dolore volato.
Vuoto nel
cuore, vuoto terrore…
…vuoto e solo vuoto…