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Autore: Will P    05/02/2018    3 recensioni
Inizia tutto con un insistente prurito in fondo alla gola.
All Might ha affrontato innumerevoli nemici, ma non ha mai avuto a che fare con la stagione dell'influenza in una scuola.
[Erasermight + hurt/comfort]
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: All Might, Shōta Aizawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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★ Questa storia partecipa al “Flu&Fluff” a cura di Fanwriter.it! ★

Disclaimer: Non sono miei ma se volete farmi una colletta per comprarmeli non dirò di no.
Avvertimenti: sick fic, hurt/comfort, pre-relationship.
Note: Scritta per il prompt #24. A si ammala sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. Per fortuna c’è B del Flu&Fluff + il prompt debolezza del COWT #8 @ Lande Di Fandom. Mi porto dietro questo plot da quando ho preso la peste lo scorso novembre, dopo nemmeno un mese di supplenza, e ho dovuto passare la settimana a riempirmi di pasticche come una piñata. Nessuno scampa al raffreddore stagionale, dentro una scuola. Nessuno.




Fever dreams

Inizia tutto con un insistente prurito in fondo alla gola.

Il punto è che quando non ha qualche problema alla gola, ormai? Fastidio più, fastidio meno, è un giorno come un altro nella vita di Toshinori. Si schiarisce la voce un po’ più spesso del solito, se ne pente ogni volta perché finisce puntualmente per strozzarsi e tossire sangue in giro, abbonda con il miele nel tè di metà pomeriggio e il mondo va avanti.

Non pensa nemmeno più alla gola, perché ci così tante altre cose più importanti a cui pensare - il quiz a sorpresa che deve preparare da zero per la prossima lezione, la valanga di mail dai fan a cui deve ancora rispondere, tutte le ossa che gli fanno male come se gli fosse passato sopra un tram, quando lo sforzo più grande fatto negli ultimi giorni è stato spostare uno scatolone mezzo vuoto da una scrivania all’altra… Faccende di ogni giorno, insomma. Niente che un pizzicorino fastidioso possa battere.

Almeno finché non va a letto, membra pesanti e testa che gira dalla stanchezza, e quando si sveglia il giorno dopo il pizzicorino fastidioso è diventato un rastrello infuocato che gli raschia la gola a ogni respiro.

E ha il naso completamente chiuso, quindi deve respirare dalla bocca.

E sembra che qualcuno abbia passato la notte a prenderlo a martellate, perché gli fa male qualsiasi muscolo, anche un paio che si era scordato di avere.

E forse ha anche le allucinazioni, perché sente questo rumore strano, un ticchettio frenetico, e non capisce da dove - ah, no, sta solo battendo i denti dal freddo.

La fortuna (la cosa triste) è che non è la situazione peggiore in cui si sia mai svegliato. Non è nemmeno nella top ten, in realtà.

Perciò si fa forza, stringe i denti finché non si fermano e si alza, riempiendo l’aria di una sinfonia rauca di shit shit shit shit shiiiit che non serve a molto, a parte distrarlo dai brividi che gli fanno inforcare le ciabatte solo al terzo colpo. Fa un lungo, doloroso respiro profondo e poi va, deciso e sicuro, pronto ad affrontare un nuovo giorno e tutte le sue faccende.

Mette un filtro di caffè dentro la tazza al posto del tè e rischia di addormentarsi contro il muro della doccia, ma almeno una volta vestito, lavato e mangiato si sente un po’ più lucido e un po’ meno zombie. Forse arrivare fino a sera non sarà la tortura che temeva, si dice, uscendo di casa con un sorriso.

Arrivato a scuola ha già avuto tre crisi violente di tosse, e una vecchietta con deambulatore e bombola d’ossigeno al seguito si è fermata a chiedergli se dovesse chiamare un’ambulanza.

È un inizio… non ottimale.

Ma ora finalmente è a scuola! Il peggio - trascinarsi fino al portone d’ingresso - è passato, adesso non gli resta che sistemarsi in sala insegnanti, ammazzare le ore buche leggendo qualcosa o schiacciando un pisolino, somministrare la sua verifica di valutazione scritta a sorpresa (“Nessuno parla così, All Might, smettila di leggere quei manuali ridicoli”) e poi una piccola riunione col preside. Tutte cose che può fare da seduto! Una giornata leggera, per i suoi standard.

Il primo passo, dunque, è raggiungere un divano. E magari passare a salutare la I - A, visto che questa è mattinata di esercitazione pratica e la palestra in cui si tiene è proprio per strada. I ragazzi sono sempre così contenti di vederlo, dopotutto, e quale modo migliore per dimostrare che va tutto a meraviglia se non affacciarsi a dispensare qualche consiglio come sempre?

Gli sembra di metterci ore a fare la strada, e quando raggiunge alla palestra ha il fiato corto e la vista annebbiata. Sente una strana stretta al petto, diversa dalle fitte che prova di solito nelle giornate peggiori, e per la prima volta da quando ha aperto gli occhi si rende conto che forrrse presentarsi al lavoro in queste condizioni non è stata poi una grande idea, ma le voci entusiaste dei ragazzi che rimbombano oltre la porta gli danno forza. Non può deluderli così, sconfitto da un banale raffreddore.

Raddrizza la schiena, trasforma la sua smorfia di denti digrignati in un sorriso smagliante, strizza più volte le palpebre contro le lucine che hanno preso a formicolargli davanti agli occhi, poi apre vigorosamente la porta.

“Passavo di qui e quindi eccomi, sono…!”

La prima cosa che sente è qualcosa che esplode, perché nella classe I - A c’è sempre qualcosa che esplode.

La seconda cosa che sente, mentre gli cedono le ginocchia, è la voce di Aizawa che sbotta “Ma che c-”

La terza cosa che sente, mentre la vista gli diventa nera, sono le urla alte e confuse dei suoi ragazzi.

Poi un tonfo pesante, come di qualcosa che cade a terra.

Poi non sente più niente.

*

Riprende coscienza per gradi, come un orso che emerge dal letargo contro voglia. Prima è il dolore, un vecchio amico che non lo abbandona mai, ma che ora sembra quasi lontano, ovattato, nascosto nella familiare foschia delle medicine. Poi è il peso confortevole delle coperte addosso, il ronzio dei macchinari dell'infermeria, la gola che gli duole come se avesse passato una settimana di fila a urlare, il poter respirare solo da mezza narice.

Fa - cautamente - un sospiro affranto, e tenta di rimettere insieme i pezzi confusi della mattinata.

Più l’immagine si fa nitida, più vorrebbe sprofondare dentro il materasso e sparire per sempre.

È svenuto a scuola. Lui, Yagi Toshinori, All Might, è svenuto, a scuola, per un raffreddore. Non poteva essere più patetico nemmeno se ci si fosse messo d’impegno.

Cosa penseranno di lui ora? Come faranno a rispettarlo? Con che faccia si farà vedere di nuovo dai suoi ragazzi? Dai suoi colleghi?

“Oh, sei sveglio. Finalmente.”

Toshinori spalanca gli occhi, raggelato.

Seduto scompostamente su una delle scomode sedie di plastica per i visitatori, a fissarlo a braccia incrociate, c’è Aizawa.

La sua presenza sarebbe già un fatto preoccupante di per sé - non ricorda di averlo mai visto restare al capezzale di qualcuno per più di cinque minuti, figuriamoci prendere una sedia e mettersi comodo -, se non ci fosse anche tutto il resto a cui pensare. Prima gli sviene davanti, terrorizza la sua classe e gli rovina la lezione, poi si dimostra così patetico da costringerlo a restare a controllare che non soffochi nel sonno o altro, non c’è da stupirsi se ora lo stia guardando in quel modo, cipiglio severo e labbra strette in una linea arrabbiata.

Aizawa è scocciato, e al momento Toshinori non ha neanche la metà delle capacità mentali necessarie per gestire la situazione.

Prova a mettersi a sedere, per affrontare qualunque cosa lo aspetti con un minimo di forza, non steso sul letto docile e inerte come una bambola di pezza, ma riesce appena a puntarsi sui gomiti prima che un attacco di tosse e un capogiro minaccino di metterlo KO. Per la seconda volta in mezza giornata, grandioso.

Ma stavolta - o forse anche stavolta, gli piacerebbe poterlo ricordare - Aizawa si muove subito per aiutarlo. Lo tira su di peso, gli sistema i cuscini dietro le spalle, lo fa stendere con la schiena ben dritta e lo guida nei respiri tra un colpo di tosse e l’altro, finché non si è ripreso abbastanza da potergli mettere un bicchiere d’acqua tra le mani e intimargli: “Bevi, ecco - piano.”

Nonostante l’abbia sballottato un po’ come un sacco di patate, è un gesto inaspettatamente premuroso. Toshinori beve - piano - e lo studia di sottecchi, incerto. Non sa mai come comportarsi con Aizawa, e avere la testa piena di muco sicuramente non aiuta.

Quando poi si volta per posare il bicchiere e scopre il comodino quasi sommerso di mazzi di fiori, biglietti, piccoli peluche e una piccola piramide di pacchetti di succo d’arancia, Toshinori si può definire ufficialmente, completamente confuso.

Tanto vale partire dalle cose ovvie, prima di tutto. “Grazie,” dice, la voce flebile e roca. La schiarisce piano. “Come stanno i ragazzi? Devo averli spaventati.”

Aizawa lo fulmina con lo sguardo e prende fiato come per dirgli qualcosa, ma poi stringe le labbra, sembra cambiare idea, si rimette a sedere e inizia a frugare nella borsa ai suoi piedi. “Si sono calmati,” dice, alla fine, in tono civile ma teso. “Anche se c’è voluto un po’.”

Gli lancia una busta in grembo e poi incrocia di nuovo le braccia, appoggiandosi allo schienale della sedia.

Toshinori sbatte le palpebre un paio di volte, ma quel X ALL MIGHT-SENSEI scritto in inchiostro glitterato sul retro della busta continua a brillare senza dargli magicamente ulteriori spiegazioni.

Dentro c’è un biglietto piegato a metà. Toshinori lo apre e lo fissa, lo fissa e lo fissa, e poi fissa il soffitto, e le tende alle finestre, e qualsiasi altra cosa possa aiutarlo a non scoppiare a piangere come un bambino. Fa già fatica a respirare così, non peggioriamo la situazione con fiumi di lacrime.

Anche se i suoi ragazzi gli hanno fatto un bigliettino.

Ci sono le firme di ognuno di loro, sotto un Con i nostri più sentiti auguri di pronta guarigione nella calligrafia impeccabile di Yaoyorozu, persino quella di Bakugou, schiacciata in un angolo con tratti calzati. Riesce quasi a vederli, tutti stretti attorno a un banco durante la pausa pranzo, a litigarsi il biglietto per scrivere prima di qualcun altro o per aggiungere qualcosa, e il pensiero lo fa sentire... così incredibilmente in colpa.

“Mi dispiace così tanto di averli fatti preoccupare,” dice, quando è sicuro che non gli tremi la voce. Aizawa fa una piccola smorfia strana, ma dura appena un istante; quando si gira a guardarlo per bene, è già tornato alla sua espressione piatta. “Ti prego, rassicurali che domani tornerò in-”

“Sei in malattia, All Might,” dice Aizawa, alzando un sopracciglio. “Ordini del preside e di Recovery Girl. Te ne starai qui finché -”

“Ma casa mia -”

“Questa mattina eri a casa tua e non ci sei rimasto, quindi è chiaro che non puoi essere lasciato da solo,” lo fulmina Aizawa. “Starai qui finché la febbre non si sarà abbassata per bene, poi tornerai a casa tua, e starai finché non sarai guarito del tutto.”

Toshinori si fa un po’ più piccolo, e chiude la bocca mentre Aizawa prosegue a spiegargli quello che lo aspetta, tutto ciò che potrà e non potrà fare, le medicine da prendere, la dieta da seguire, cosa ne sarà delle sue lezioni per il resto della settimana.

È tutto molto preciso e impersonale, come la recita annoiata di un copione, e quando Aizawa conclude le ultime raccomandazioni è chiaro che non ha davvero finito. Rimane rigido sulla sua sedia in silenzio, a fissarlo con uno sguardo che lo passa da parte a parte, così anche Toshinori resta immobile sotto le coperte, senza fiatare, lanciandogli occhiate fugaci di tanto in tanto.

(Non ha intenzione di aspettare guardandolo dritto negli occhi per vedere chi cederà per primo. Non è un gioco che si può vincere, contro Aizawa.)

Finalmente, dopo minuti trascorsi come ere geologiche, Aizawa prende fiato.

“Sei un irresponsabile,” attacca, con una calma letale che fa rabbrividire Toshinori un pochino. “Pensavo che almeno per qualcosa di così stupido come un raffreddore potessi comportarti come un adulto razionale, ma evidentemente ti davo troppa fiducia. Avevi quasi trentanove di febbre quando ti ho trascinato qui. Trentanove, All Might. Come ti è anche solo potuto venire in mente di uscire di casa?”

“... non mi ero misurato la febbre?”

L’occhiata che gli merita quell’uscita non si può rendere a parole. “Ho cambiato idea,” dice Aizawa, dopo un silenzio pregnante. “Non sei un irresponsabile, sei un idiota.”

Toshinori si passa una mano sul collo, sperando di sembrare abbastanza contrito, ma Aizawa non ha ancora finito.

Perché non sei rimasto a casa?”

“Perché non volevo…” Non volevo ammettere di essermi ridotto così per un cazzo di raffreddore. Non volevo ammettere di essere così debole. Non volevo essere più inutile di quello che sono, così, ora. “Non volevo deludere ness- ohi, Aizawa! Sono malato!”

“Se sai di essere malato,” dice Aizawa, irritato, dandogli un altro scappellotto. “Sai che ti devi curare. Chi dovresti deludere stando a casa? Il tuo delirio di onnipotenza?”

“Non sei molto gentile, come infermiere,” dice Toshinori, flebile, tentando un mezzo sorriso.

“Perché mi stai facendo perdere un sacco di tempo,” sbotta, e Toshinori sussulta come se si fosse scottato.

“Oh, io non…” Si morde le labbra, secche e spezzate, evitando l’espressione furiosa di Aizawa. L’ultima cosa che voleva era essere un peso, soprattutto per lui. “Mi dispiace.”

“Smettila di scusarti e comincia a pensare agli altri, piuttosto,” risponde, il tono improvvisamente sommesso, e Toshinori alza lo sguardo sorpreso quando all’improvviso Aizawa si sporge a rimboccargli le coperte, le dita precise e gentili sulla stoffa candida. C’è sempre quella piega scura tra le sue sopracciglia, ma - è preoccupazione, realizza Toshinori, guardandolo finalmente negli occhi. “Hai una responsabilità verso i ragazzi, ora, perciò devi stare bene. E riguardarti - che significa anche non correre in giro con la febbre, non soltanto non correre a salvare gente dai palazzi in fiamme. È meglio stare qualche giorno a riposo piuttosto che venire a scuola e svenire di fronte a tutta la classe. Hai idea di quanto ci è voluto a calmare Midoriya, dopo il tuo scherzo?”

Toshinori fa una smorfia colpevole. Già solo immaginare quel livello di isteria lo lascia esausto, non osa pensare a come dev’essere stato doverla gestire. Anche così, però, non riesce a togliersi dalla testa una cosa…

“Tu sei venuto a scuola con entrambe le braccia rotte.”

Aizawa sbatte le palpebre, come se non capisse nemmeno a cosa si riferisca, poi scrolla una spalla. “Non sono mai crollato a terra come un imbecille, però, no?”

“... entrambe le braccia rotte, Aizawa.”

“C’erano ragioni contingenti per il mio ritorno a scuola,” prosegue a voce appena più alta, come se Toshinori non avesse parlato. “Che fretta avevi tu stamattina? Un quiz a sorpresa? Era a sorpresa, non lo sapeva nessuno che sarebbe saltato.”

“Aspetta, tu come - ?”

“Borbotti da solo mentre prepari i compiti. È irritante.”

“Oh. Mi dispiace?”

“Mmh,” fa Aizawa, appoggiandosi allo schienale della sua sedia in plastica, e sprofonda un po’ tra le volutte della sua arma come se il discorso fosse concluso. Poi però, guardando fisso da qualche parte fuori dalla finestra, mormora: “Non sei una delusione, sei un essere umano. Se sei davvero preoccupato di deludere qualcuno, smettila di comportarti come se la tua salute non valesse nulla.”

Toshinori resta a fissarlo in silenzio, bloccato a bocca aperta. Non è la prima volta che sente un discorso del genere - non è nemmeno la centesima - e non sarà di certo l’ultima, ma è la prima volta che è così semplice, o così diretto.

Forse perché è la prima volta che lo sente da Aizawa.

Vorrebbe avere un po’ di tempo per sé, per rimuginare da solo su tutto quello che si sono detti, ma appena apre bocca - non sa bene nemmeno lui per dire cosa - un respiro storto gli si incastra in gola, e si ritrova piegato in due scosso dai colpi di tosse, l’unico polmone rimasto in fiamme e lacrime di sforzo agli angoli degli occhi.

Aizawa scatta al suo fianco, una mano a sorreggerlo per la spalla, l’altra premuta contro la schiena a massaggiarlo tra gli spasmi, la sua voce bassa nelle orecchie a mormorare incoraggiamenti. Toshinori chiude gli occhi, si concentra su di lui - il movimento della sua mano tra le scapole, solida e grande, il calore della sua presenza al suo fianco, il tono gentile con cui ripete shh, così, respira, va tutto bene come se tutto potesse andare bene davvero - e piano, lentamente, ritrova il respiro e infine la voce.

Anche se è Aizawa a parlare per primo.

“Okay, ho capito. Scorri.”

“Aah?”

Scorri. Vai avanti, fammi spazio.”

Toshinori esegue, esterrefatto, trascinandosi un po’ più avanti nel letto finché non c’è abbastanza spazio alle sue spalle per - per farci infilare Aizawa, a quanto pare.

Sì, okay. Certo. Tutto regolare.

Aizawa si accomoda contro la testata del letto e comincia a raddrizzare cuscini come se fosse perfettamente normale infilarsi a letto con un collega, anche se ha le gambe che ciondolano fuori dal materasso e il collega in questione è pietrificato dalla confusione. Aizawa continua a lavorare alle sue spalle come se niente fosse, mentre Toshinori fissa con gli occhi sbarrati dritto di fronte a sé senza avere il coraggio di controllare cosa stia succedendo, poi quando tutto dev’essere sistemato a suo piacimento fa un verso soddisfatto e… si tira Toshinori addosso di peso.

La sua febbre è alle stelle e questa è un’allucinazione, non c’è altra spiegazione.

Quando prova a rilassarsi appena, però, è davvero il petto di Aizawa che sente sotto la sua schiena, e viene scosso da un brivido al contatto con i suoi vestiti, che sembrano quasi freddi rispetto al calore del bozzolo di coperte dentro cui stava sudando, perciò no, non può essere la febbre. Forse è un effetto collaterale delle medicine, si dice, dice quando Aizawa allunga un braccio per tirargli su le coperte e poi lo lascia attorno alla sua vita, come se se lo fosse dimenticato lì.

Come se fosse una cosa che fanno tutti i giorni, questa. Stare a letto insieme, abbracciati.

Toshinori si sente la faccia in fiamme e quella, decisamente, non è la febbre.

“Così è più pratico. Respira insieme a me,” dice Aizawa, in una maniera così ovvia da farlo sembrare ragionevole, e va bene, okay, ha senso. Forse.

In dubbio, Toshinori lo asseconda, e ci rimane quasi male quando respirare è davvero più facile in quella posizione. Aizawa gli dà il ritmo con respiri lenti e profondi, guidandolo col proprio corpo, finché Toshinori non torna a poter inspirare da solo senza - troppi - problemi, e lui potrebbe anche andarsene dal suo letto e tornare ai suoi impegni, lontano da questa stanza e da Toshinori.

Aizawa non se ne va.

Lo stringe un po’ più forte, invece, e continua a inspirare ed espirare e non muovere un muscolo in direzione della porta. Toshinori non ha il coraggio di guardare l’orologio per sapere quanto tempo sia passato, quando alla fine Aizawa rompe il silenzio.

“Non pensavo potessi ammalarti, comunque.”

“Mh?”

“Gli stupidi non prendono mai il raffreddore, no?”

Ora che Toshinori non si sta più strozzando, sentire l’altro sussurrargli all’orecchio con quella sua dannata voce profonda fa tutto un altro effetto. Sarà un po’ per quello o un po’ per la stanchezza che, vagamente nel panico, pur di non restare zitto butta fuori la prima cosa che gli passi per la mente.

“Sarà per questo che non ti ho mai visto starnutire.”

Poi il cervello si risintonizza con la bocca e Toshinori orripila, immediatamente, ma proprio mentre s’inceppa in cerca di un modo per scusarsi Aizawa scoppia a ridere, rauco e deliziato.

Un po’ gli dispiace di essere girato e di non poterlo vedere, ma d’altra parte ora sa che cosa si prova a sentire la risata di Aizawa addosso, nel petto che trema contro la sua schiena, nello sbuffo d’aria che gli muove i capelli sulla nuca.

(Non sa bene come farà a vivere con questa consapevolezza, ma è un problema per un altro momento. Un momento in cui sarà più lucido, e in una posizione meno compromettente.)

“Tutto quel succo d’arancia servirà pure a qualcosa,” dice poi Aizawa, e Toshinori ha bisogno di qualche secondo per ricordare di cosa stessero parlando. “Sono le vitamine. E il vaccino per l’influenza, ovviamente. La scuola è il posto peggiore in fatto di germi.”

“Sono sicuro che non è -”

“Posto. Peggiore.”

Toshinori sorride, poi si morde un labbro. “E anche così sono io a farti perdere tempo con il mio raffreddore,” mormora, non sapendo se scusarsi di nuovo o no.

Sente Aizawa fare spallucce. “Heh, sapevo che sarebbe finita così,” dice, e poi materializza dal nulla un pacco di compiti da correggere.

“Da dove - !?”

“Oh, per terra,” spiega, rovistando sul comodino in cerca di una penna rossa. “Li stavo correggendo, prima, non è che ho passato tutto il pomeriggio a guardarti dormire.”

Toshinori ride debolmente, perché Aizawa è rimasto con lui tutto il pomeriggio?, ma si offre subito di tenere dritto il pacco di fogli per farli leggere meglio.

È un po’ imbarazzante, stare fermo tra le braccia di Aizawa senza avere niente da fare, ma Aizawa sembra perfettamente contento di lavorargli attorno e chiedergli un parere ogni tanto.

Ben presto si rende conto che, più che cercare consigli, Aizawa sta cercando i passaggi più ambigui per insegnargli a correggere, e non sa bene se sentirsi indignato o divertito (o, soprattutto, grato per l’aiuto). Si limita a posare il capo sulla sua spalla e a discutere con lui, sorridendo appena mentre insiste per un mezzo voto in più anche per i casi persi e Aizawa lo insulta allegramente, finché le sue obiezioni non iniziano a perdere il filo e le sue palpebre si fanno pesanti.

Cerca di resistere, ma gli fa male un po’ tutto ed è così stanco. Chiude gli occhi e si lascia andare contro il petto di Aizawa, caldo e al sicuro tra le sue braccia, e dopo un poco sente una guancia appoggiarsi esitante in cima alla sua testa.

“Sei comodo, ‘zawa,” mormora con un sorriso sulle labbra, a metà tra lucidità e sonno, e oh, ecco cosa dev’essere - un sogno, non un’allucinazione, perché non è possibile che una giornata iniziata come la sua possa concludersi così bene.

“Mmh,” sente, come in lontananza, insieme a un fruscio di penna su carta. “La prossima volta allora chiedimi un appuntamento, invece di fare tutte queste storie.”

"Okay," risponde, mettendosi più comodo.

Tanto è solo un sogno, che male c’è ad accettare?






Note bis: No, Aizawa non ha detto davvero 'cazzo' davanti a tutta la classe. C'è andato vicino, però.

   
 
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