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Autore: Fonissa    05/02/2018    0 recensioni
{Questa Fanfiction partecipa all'iniziativa "Artist Meet Artist" a cura di Fanwriter.it}
[OttavianoxRachel] [AU|Highschool] [Accenni: Percabeth, Jasper, Frazel, Solangelo, Tratie, ClarissexChris, Charlena, Thaluke, Caleo]
Tutta la scuola sa che ci sono due gruppi che si disprezzano. Il primo è formato dai classici amici che amano ridere e scherzare, il secondo da quelli che per un motivo o per un altro non sono simpatici agli altri.
Nel primo c'è Rachel, nel secondo c'è Ottaviano.
Ma per uno strano scherzo del destino, si ritroveranno a dover passare del tempo insieme.
Dal testo:
Il professore iniziò ad annunciare le coppie che avrebbero collaborato.
“Ottaviano e Rachel” disse all’improvviso.
Il ragazzo per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. Poteva andargli bene chiunque, ma non proprio una di loro.
Del canto suo, di certo Rachel non stava gioendo. Tra tutti i ragazzi di quel gruppo, lui era quello che sopportava di meno.
Non sapevano che quello era solo l’inizio.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Octavian, Quasi tutti, Rachel Elizabeth Dare
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Annabeth fu l'unica a incontrare lo sguardo della donna, asciugandosi immediatamente le lacrime con la manica della felpa.

"Mi scusi, le serve qualcosa?" chiese, osservando la sconosciuta di fronte a lei. Portava un giubbotto azzurro e i capelli erano legati e nascosti sotto un cappello di lana. Gli occhi castano scuro esprimevano preoccupazione, così come il suo viso macchiato di lentiggini. 

"Mi stavo solo chiedendo se posso portarvi qualcosa per farvi sentire più a vostro agio, magari del thè o della cioccolata calda."

"Chi è lei?"

"Una volontaria dell'ospedale. Di solito mi occupo di stare con i bambini più piccoli, ma non potevano ignorare dei ragazzi così giovani e così tristi."

Annabeth osservò i suoi amici, per poi decidere che aveva bisogno di un cambio di atmosfera. Lei era quella razionale e a sangue freddo del gruppo, se anche lei si faceva trasportare dalla situazione, sarebbe stato difficile uscirne. 

"Io accetterei volentieri un thè caldo." disse, alzandosi. La donna le sorrise, guidando la verso il piccolo bar dell'ospedale. Ordinò due thè, che le furono portati poco dopo. Entrambe iniziarono a bere lentamente.

"Non mi sono ancora presentata. Mi chiamo Amber." esclamò la volontaria tendendo la mano. Annabeth la strinse sorridendo.

"Annabeth."

"Allora Annabeth, pensi di riuscire a raccontarmi cos'è successo?" 

La bionda prese un lungo sorso dalla sua tazza, per poi sospirare. 

"Una nostra amica, Rachel Dare, è stata trovata in coma etilico."

Amber sembrò sul punto di far cadere il thè dalle mani. Diventò rigida, ingoiando a vuoto.

"Una bravata finita male? O altro?"

"Sicuramente altro... È ormai un mese che stava chiusa in camera, non usciva mai, non la vedevamo e non veniva nemmeno a scuola."

"Cosa mai può averla ridotta così?"

"Non lo sappiamo... Si è rifiutata di parlare. Io non ne ho la minima idea." 

Annabeth stava iniziando ad agitarsi. Non era abituata a non sapere niente riguardo le sue amiche. Avrebbe dovuto essere più insistente, entrare a forza se necessario. Amber le posò una mano sul braccio, con un sorriso rassicurante.

"Non è colpa di nessuno di voi. Piuttosto, il padre non ha preso provvedimenti dall'inizio?"

"Non è mai stato molto presente... Ma lei come fa a sapere che Rachel ha solo il padre?" 

"Oh cara, i Dare sono una famiglia importante qui in città. Penso che tutti sappiano che la ragazza vive sola con il padre."

"Si, hai ragione..."

"Sono sicura che si riprenderà. Non la conosco, ma sembra una ragazza forte."

"Anch'io lo credevo, ma poi si è ridotta così..."

"Anche le persone più buone e forti possono avere dei punti deboli. Magari è stato toccato proprio il suo. Fidati di chi è più grande di te e ha avuto esperienza su questo."

Annabeth avrebbe voluto rispondere, anche solo per ringraziare, ma fu interrotta da alcune urla che arrivavano dalla sala di attesa. 

Il signor Christopher Dare entrò di corsa nell'ospedale, la cravatta allentata e i capelli in completo disordine. Di certo non l'uomo di tutto rispetto che ognuno era abituato a vedere. Cercò di andare verso la reception per chiedere della figlia, ma la voce di Chrystal lo fece fermare.

"Signor Dare!" esclamò la cameriera, andando verso di lui. L'uomo restò dove si trovava, aspettando che Chrystal gli spiegasse cos'era successo. Ma appena questa fu a mezzo metro di distanza iniziò a osservarlo con uno sguardo che Christopher non aveva mai visto a nessuna delle sue cameriere. In un'altra occasione, l'avrebbe rimproverata per l'insolenza. 

"Chrystal! Mi vuoi spiegare cosa succede?" 

"Succede... -la donna si fermò per qualche secondo. Era come se stesse decidendo se esplodere o tenere, ancora, tutto dentro. Ma alla fine, la rabbia e la preoccupazione presero il sopravvento.- succede che lei è un padre degenere!" 

L'aveva detto. Dopo vent'anni di servizio per quell'uomo, dopo che Rachel aveva praticamente raggiunto i diciotto, era riuscita a dire la verità al suo capo. 

"Chry..."

"No, mi lasci parlare! Erano settimane che cercavamo di avvertirla dello stato di Rachel, ma lei, signore, non se ne è importante minimamente! O peggio, ha fatto finta di non vedere. Partire per lavoro proprio in questo periodo poi, lasciando sua figlia in queste condizioni, quando magari proprio in questo momento avrebbe avuto bisogno di lei!"

"Io..."

"Il lavoro è più importante della salute della sua unica figlia?! Davvero?! Saltare un incontro fuori sede le avrebbe fatto perdere tutto?! Non credo proprio!"

Chrystal ormai aveva le lacrime agli occhi. Non poteva più trattenersi, non dopo quello che era successo a Rachel. Strinse i pugni, pronta a continuare.

"E adesso, dopo questa, mi licenzi pure! Mi mandi via, non mi interessa! Non potevo più non dire niente dopo aver visto Rachel dannarsi per ricevere le sue attenzioni e non riceverle nemmeno sul punto di morte."

La cameriera si sedette con un lungo sospiro. Aveva cacciato tutto quello che aveva covato nel suo animo per troppo tempo. Non le sarebbe importato per nulla delle conseguenze, voleva solo che Christopher Dare capisse di non poter essere considerato un padre. 

"Non voglio licenziarti."

Chrystal alzò gli occhia al cielo. Di certo non era quello il punto del suo discorso.

"Hai ragione, non sono stato un buon padre."

"Ma non mi dica..." rispose, usando per la prima volta il sarcasmo con un suo superiore.

"Ma giuro, che appena ho saputo che Rachel era andata in coma, ho preso il primo treno disponibile e sono corso qui."

"Tutto questo si poteva evitare, se solo lei avesse passato cinque minuti con sua figlia."

"Si, me ne rendo conto. Me ne sto pentendo come non mai."

"Questo è il minimo." 

"Io voglio essere più presente, voglio recuperare tutti questi anni. Ti prego, dimmi che non è troppo tardi."

"Non è mai troppo tardi... Mi dispiace solo che Rachel sia dovuta quasi morire per attirare davvero la sua attenzione."

E con questo, Chrystal se ne andò più lontano, appoggiandosi al muro nell'attesa di ricevere notizie di Rachel. 

La prima cosa che Rachel sentì quando si svegliò, fu un mal di testa così acuto che emise un piccolo urlo, stendendosi nuovamente. Dopo qualche minuto trovò la forza di aprire di nuovo gli occhi, osservando l'orologio che si trovava in quella stanza. Le undici e venti del mattino. Lentamente si mise a sedere, reggendo si sulle mani. Le bruciava completamente la bocca e lo stomaco, e la sensazione di vomito non accennava a volersene andare. Cos'era successo il giorno prima? I suoi ricordi erano totalmente sfocati, così come la sua vista. Riusciva a capire di trovarsi in una stanza bianca, di avere un qualche tipo di macchinario collegato al braccio e di essere completamente sola, ancora. Si portò le ginocchia al petto, cercando di collegare il tutto, fino a quando non sentì la porta aprirsi. Alzò gli occhi, ma ancora non vedeva bene. Fu la voce che sentì, a lei fin troppo familiare, a farle sobbalzare il cuore:

"È proprio vero che hai bisogno di me..."

  
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