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Autore: AintAfraidToDie    06/02/2018    5 recensioni
A volte mi interrogo a proposito di quel che ho perso. Sono attimi fugaci ma frequenti; piccoli sprazzi quasi quotidiani all'interno dei quali mi isolo e navigo nel passato, nel presente e pure nel futuro.
Ma quando ho perso te, Sherlock, è semplicemente stato troppo.
[Johnlock]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Lost and Found.

 

“Because I wanna touch you baby
I wanna feel it, too
I wanna see the sunrise
On your sins, just me and you
Light it up, on the run
Let’s make love tonight
Make it up, try, fall in love, try.


But you’ll never be alone
I’ll be with you from dusk till dawn
I’ll be with you from dusk till dawn
Baby, I am right here.”

 

 

A volte mi interrogo a proposito di quel che ho perso. Sono attimi fugaci ma frequenti; piccoli sprazzi quasi quotidiani all’interno dei quali mi isolo e navigo nel passato, nel presente e pure nel futuro.

Se penso al tempo trascorso rimembro subito mio padre: l’ho perso un giorno di settembre di tanti anni fa; quasi un quarto di secolo, oramai. Eppure tuttora ricordo alla perfezione il suo volto e le profonde rughe che adesso vedo riflesse nello specchio quando  di sfuggita mi rimiro in esso. Ci assomigliamo tanto, io ed il mio papà.

Ho perso tante battaglie, poi. L’offensiva al villaggio di Barikju: venti civili rimasti uccisi, tre soldati caduti e dodici feriti dall’esplosione di un’autobomba manovrata da un bambino. L’attacco alla roccaforte talebana nella provincia di Helmand: cinque commilitoni morti, ma ho dimenticato il numero preciso di feriti. Era quasi a tre cifre, comunque. L’imboscata che i ribelli fecero al nostro campo base durante una nottata particolarmente fredda, infine: un morto ed un ferito grave; me medesimo, in realtà.

Quindi ho quasi perso un braccio; sicuramente una piccola parte della mia anima è rimasta lì, intrappolata in un groviglio denso di sangue raggrumato, polvere da sparo e sabbia. Conseguentemente a ciò ho perso il lavoro che mi sentivo cucito addosso; l’unico ruolo che oramai mi ritenevo in grado di rivestire. Dopo tutte quelle vite tolte non potevo tornare ad essere un semplice medico, mi sono sempre ripetuto. Lo credo ancora, onestamente.

Quindi ho perso uno stipendio fisso e regolare, la mia posizione sociale e pure la salute mentale. Ho abbandonato con freddezza la maggior parte dei miei amici; ho perso anche loro, poi, perché così funzionano quasi tutti i rapporti umani: niente si riceve senza dare qualcosa in cambio.

Riflettendoci su in maniera metodica e seria, credo di non aver mai perso il portafoglio. In compenso sono stato capace di smarrire le chiavi della macchina di mia madre per ben tre volte; questa costante dei miei sabati sera universitari riesce tuttora a sortirmi un certo senso di nostalgica ilarità.

Ho perso tante, veramente troppe donne; neanche ricordo i loro nomi, né le loro facce. So solo che le ho perdute e che la maggior parte delle volte tali perdite sono avvenute solamente per colpa mia. Credo di non aver mai amato nessuna di loro, in fondo. Forse in fin dei conti devo aver perso anche il mio cuore, in qualche luogo ed in qualche tempo; ma non riesco a rimembrarmi il come ed il quando.

Magari ho davvero perduto troppe cose, durante tutta la mia esistenza, ecco. Quando ho perso pure te, Sherlock, è semplicemente stato troppo: insieme al tuo corpo, giù da quel tetto, ho visto planare anche il mio braccio martoriato. Alla tua sinistra c’era mio padre, mentre sul lato opposto tutti i miei commilitoni caduti in battaglia. Nel bel mezzo del tuo fisico maciullato sono riuscito a vedere me stesso ed una moltitudine di cose che oramai, grazie a te, mi appartenevano.

Con te ho perso il mio migliore amico, in primis. La donna della mia vita; l’amore della mia vita, anzi. C’era anche un figlio, nascosto in quel macello di sangue ed organi fuoriusciti. Puoi forse comprendere il sentimento di un padre che vede il proprio bambino morirgli davanti agli occhi? Non credo. Con te ho perso la mia stessa vita, già; proprio durante quel maledetto momento.

Mi chiedo cosa ho perso, spesso e volentieri. Ma forse sarebbe meglio parlare di quel che tu mi hai tragicamente tolto, e di quel che poi mi hai ridato. Affogando questi miei tormenti con l’ausilio di un the molto zuccherato, ti guardo mentre tu mi osservi di rimando.

So cosa pensi, sai? Il cervello, almeno quello, non l’ho mai smarrito.

 

***

 

Adesso siamo distesi sul letto, completamente nudi ed ancora sudaticci. Hai terminato i tuoi usuali metodi di manipolazione: chiedere educatamente, aggiungere un po’ di sfacciataggine; il ricatto emotivo, infine. Ma tutto ciò con me non funziona più, dovresti saperlo. Ecco quindi che ritorni alla vecchia e amata logica.

“Se adibissimo la tua stanza a laboratorio non occuperei più la cucina con i miei esperimenti, John.” articoli piano, strusciandomi leggermente la mano sul petto, in prossimità della mia cicatrice. Ti accoccoli a ridosso della spalla, poi; beh, una bella dose di ruffianaggine non può proprio mancare, alla fine

“Dubito che la cucina potrà mai tornare ad essere un luogo decoroso.” è la mia istantanea e sincera risposta, ma da almeno dieci minuti la mia bocca non emette alcun suono e per tale motivo la voce mi esce un po’ roca.

Tu sbuffi in maniera tragica ed in mezzo secondo ti giri, porgendomi la tua schiena in modo stizzito. Ecco, è a questo che mi riferisco, quando parlo di te come del figlio che non ho mai avuto; sei un bambino viziato, Sherlock. Un infante particolarmente incline al capriccio che soventemente sono costretto ad assecondare.

Ma stavolta no, Holmes. Non tramuterai mai la mia camera, seppur oramai inutilizzata, in un nuovo laboratorio costituito da sostante pericolose e gas tossici di dubbia provenienza.

Ti abbraccio da dietro, quindi, facendo scivolare il mio braccio nell’incavo presente tra la tua ascella e l’avambraccio: le tue costole sono sporgenti e quasi m’impediscono il passaggio, ma esercitando un po’ di forza sconfiggo la tua naturale armatura anatomica.

Sei freddo. Quel tipo di freddo glaciale che proprio non sopporto; non riesco mai a dominarlo: finisce sempre con te che mi raffreddi. Due ghiaccioli viventi insieme; possibile non esser riusciti ad installare una caldaia nuova in dieci anni di convivenza? Ma in fondo è una costante caratterizzante i bambini, quella di non preoccuparsi mai di niente: patisci tragicamente la temperatura bassa, ma non t’importa affatto. Non mangi per giorni, sicuramente il tuo stomaco brontola, ma tu lo ignori bellamente. Ti lavi i capelli e li lasci umidi per ore intere; infine accusi un inevitabile torcicollo, ma l’unico atto che ti concedi è quello di venire a piagnucolare da me.

Comunque, al di là di tutto, sei un essere coerente. Non so se questa sia un’altra caratteristica dei fanciulli; in fondo ho avuto a che fare solamente con te. Non ho altri metodi di comparazione; so solo che mi piace consolarti, in ogni caso.

Anche adesso ti consolo. Ti dico un inflessibile ‘no’, ma poi mi prendo cura della tua cocente delusione. “Non si può giocare sempre e con qualunque cosa.”, mi verrebbe quasi da dirti, mentre odoro la tua nuca umidiccia da distanza praticamente nulla. So che ti arrabbieresti, in risposta, e quindi non sillabo alcunché.

La tattica migliore è il silenzio. Coccolarti, idolatrarti con baci e carezze, lasciandoti portare avanti il tuo personale e capriccioso mutismo fin quando ne avrai voglia; fin quando non  ti sarà passata.

Allora, a quel punto, un’altra assurda idea si creerà all’interno del tuo cervello. Magari la prossima volta vorrai trasformare la mia camera in un obitorio artigianale; non la puoi proprio sopportare, quella stanza inutilizzata da anni. Oppure mi chiederai di riempirla con farfalle provenienti da ogni dove, così da poter studiare le varie specie e le differenze cromatiche osservabili dopo giorni interi di oscurità.

Io ti dirò di no, ovviamente. E tu mi pregherai, ti arrabbierai, mi minaccerai e poi mi volterai le spalle. Io mi avvicinerò ancora, stringendoti e perdonandoti, consolandoti e coccolandoti. Esattamente come si fa con i bambini, Sherlock.

Ma tutto ciò, in fondo, tu non puoi proprio saperlo.

 

***

 

“Mi amerai ancora quando non sarò più bello?”

Me lo dici mentre mi sto annodando la cravatta maldestramente e frettolosamente poiché siamo in ritardo. Siamo sempre in ritardo, io e te.

Sei già pronto da mezzora, comunque; stavolta è solamente colpa mia, non posso articolare giustificazioni infondate: ho impiegato veramente troppo tempo nel ricercare qualche cosa di decente da indossare.

Tu sei magnifico, davvero. Glorioso, quasi: il completo che Mycroft ti ha fatto arrivare stamani è caratterizzato da una classicità deliziosa e pare esserti stato cucito addosso. Ammetto internamente che è stato tutto ciò a rendermi insicuro sui vestiti che avevo già prontamente scelto ieri sera: accanto a te sfiguro irrimediabilmente, non c’è alternativa possibile. Però ci provo e mi impegno, eh.

Potresti tranquillamente essere scambiato per lo sposo; questa constatazione mi fa provare una stilettata di gelosia profonda ed alquanto inopportuna. Forse Molly apprezzerebbe l’avere te al posto di Tom, accanto a lei sull’altare. Magari sei ancora il suo sogno proibito, ecco. Spero sinceramente di no, per lei e per il suo altalenante benessere psicologico: tu sei mio. Punto.

Sei appoggiato in prossimità dello stipite della porta, mentre mi osservi con sguardo fermo e serio. La mise total black che indossi ti fa sembrare ancor più filiforme del solito, ma allo stesso tempo mette in evidenza i muscoli tonici del tuo corpo. Sei sicuramente dimagrito, ultimamente, quindi mi appunto in testa un bel monito sul farti mangiare di più.

“Allora, John?” m’incalzi, quasi spazientito.

Ecco la mia primadonna, penso di sfuggita. È in momenti come questo che mi rendo realmente conto di quanto poco io sia omosessuale, ma soltanto innamorato follemente di te. So che è un pensiero ridicolo e magari anche un po’ paraculo; rideresti sicuramente, se te lo esplicassi. Quindi mi mantengo in silenzio.

Come vuoi che ti risponda, Sherlock? Vuoi solamente essere rassicurato, in fondo.

Ma quella camicia nera, terribilmente stretta ed ornata di bottoni in madreperla, non ti starà mai più bene di quanto ti stia adesso. Quei pantaloni attillati e perfettamente stirati non rivestiranno a dovere il tuo corpo come una seconda pelle, fra venti anni o anche meno. I tuoi capelli neri diventeranno grigi, oppure bianchi, e le rughe profaneranno il tuo levigato e statuario volto.

Molto probabilmente ti verrà l’artrosi poiché non hai consumato molti cibi ricchi di calcio e non hai mai preso in considerazione il mio invito ad assumere qualche integratore. Perderai la tua postura impeccabile e le tue mani, così lunghe ed affusolate, diverranno inevitabilmente tozze. Il tempo passa, Sherlock. Anche per te, anche per noi.

“Tu sarai sempre bello.” ti dico, però, perché io sono qui per fare questo: dirti la mia personale verità, in fondo. “Come armi particolarmente costose e fiere carnivore in via d’estinzione.” aggiungo, poiché è d’obbligo fornirti un metro di comparazione.

Sorridi. Quel sorriso che, anche su un volto ormai vecchio e segnato dal tempo, sono certo non perderà mai la sua strabiliante bellezza.

“Sono tutte cose che fanno del male, John.” mormori dopo esserti avvicinato, ponendo le tue mani intorno al mio collo ed iniziando ad armeggiare con la cravatta ancora penzolante.

Annuisco debolmente, sapendo quanto ti piaccia accomunarti a simboli funesti ed adrenalinici; tu in fondo sei il pericolo fatto persona, in tal senso non mento, né ometto.

Ma no, Sherlock, vorrei dirti. Non fanno alcun male, se sai come gestirle ed addomesticarle.

 

***

 

Non è facile sostenere l’eterogeneità assurda che caratterizza te e tutto quello che ti circonda; ecco ciò che potrebbe pensare chiunque, conoscendoti almeno un poco. Comprensibile, dunque, il fatto che tu abbia passato gran parte delle tua esistenza avvolto da una profonda solitudine. Ma io, beh. Quanto avrei voluto esserci, Sherlock. 

Avrei adorato osservarti da bambino, un bimbo sicuramente molto ingenuo e privo di qualsiasi tipo di malizia; non posso fare a meno d’immaginarti così. Ti vedo concretamente mentre corri a perdifiato attraverso i rigogliosi campi intorno alla villa della tua famiglia; in testa porti una scintillante bandana rossa e fra le mani stringi un lungo bastone di legno secco. Sbraiti qualcosa che non comprendo; ma la natura ti capisce ed il prato si trasforma all’improvviso in un oceano infinito: tu sei il Re dei mari ed io sono il tuo fidato braccio destro. Solchiamo le acque in burrasca saltando sopra massi scoscesi; i nostri visi vengono sferzati da vento e pioggia gelida ma a noi non importa. Noi ridiamo e basta.

“Dobbiamo ammainare le vele, generale Watson!” urli a pieni polmoni, mentre il nostro galeone sfreccia sulla densa schiuma provocata da onde immaginarie.

“Ai suoi ordini, capitano.” oh, sei sempre stato l’egocentrico comandante della mia personale nave alla deriva. Navighiamo per sempre, Sherlock; vorrei semplicemente dirti.

Ma quanto avrei voluto esserci, esserci davvero. Magari riuscire anche nell’intento di venire a svegliarti ogni mattina, sentendoti borbottare lamenti e toccando il tuo corpo caldo, ancora protetto da lenzuola in flanella e grossi piumini d’oca.

“Mettimi i calzini.” ti sento adesso mormorare fiocamente dal tuo accogliente nascondiglio. “Per favore.” aggiungi con un tono ancora più fievole, quasi un sussurro. Non mi sforzo affatto, nell’immaginarmi ciò: quando sei particolarmente svogliato non ti fai remore nel chiedermelo tutt’oggi.

Ed allora, senza obbiettare alcunché, cerco nell’oscurità quel determinato cassetto; tu non ti muovi, né mi aiuti nella ricerca. Te ne stai fermo lì, a crogiolarti nel calore del risveglio, finché non mi siedo sul materasso ed il tuo piede destro spunta fuori automaticamente dal groviglio di lenzuola. Ne sfioro inconsapevolmente la pianta, ma la mia mano è fredda, ed il tuo corpo per una volta è veramente a bollore: mi costringo a non toccarti, mentre velocemente ti infilo il calzino, poggiandomi il tuo arto sul ginocchio e facendo in seguito esattamente lo stesso con l’altro.

“Buongiorno, Sherlock.” ti dico, poi.

“Buongiorno.” sorridi; anche se è buio, so che lo fai. Sorridi e basta.

Fra calzini inevitabilmente spaiati e pirati leggendari avrei quindi voluto vederti crescere; lentamente sbocci, ed io non posso fare meno di ammirare la tua innaturale bellezza ed il tuo egoismo crescere di pari passo, fino a renderti una viziata puttana drogata. Un rosa che cresce, fiorisce ed infine marcisce, riducendosi ad essere una poltiglia densa e maleodorante.

Anche se fa male è necessario, credo. Non so perché, ma in questo istante ti immagino - ti vedo - truccato: un bellissimo fuscello d’uomo, o forse sarebbe meglio usare il termine ragazzo; sei in piedi, nel bel mezzo di una stanza estremamente vuota e buia. I tuoi capelli sono incredibilmente lunghi e scompigliati, la tua bocca è rossa, i tuoi occhi neri. Mi avvicino e ti faccio scivolare di dosso la leggera vestaglia di seta che indossi; il fruscio è fievole, mentre il tuo corpo è nudo. Ai tuoi piedi non porti i calzini.

Ed io ti amo, ti amo anche se in questo momento ti odio; ti amo così tanto che il mio cuore sembra scoppiarmi nel petto. Forse è esattamente questo, l’istante in cui l’ho perso: anche se non lo sapevo, anche se non me ne sono mai reso conto. Come potevo, in fondo?

Tu caschi all’improvviso; ti pieghi su te stesso, un movimento quasi inquietante nella sua innaturale scompostezza. I tuoi occhi si chiudono e questo è quanto: sei morto; sei morto per la prima volta ed il mio cuore sta scomparendo insieme a te. Sei morto, sì, e forse muoio anch’io. Sono deceduto per colpa della morte di una fragile drogata viziata.

Ma io sono un dottore; l’hai forse dimenticato, Sherlock? Un medico che forse ha spezzato troppe vite per ritenersi ancora tale. Ma se è vero che ho spesso messo in gioco la mia stessa esistenza per dimostrare al mondo il mio coraggio e la mia forza, allo stesso modo stanotte rischierò e perderò il mio cuore senza remore pur di dimostrarti il mio amore.

Quindi stendo il tuo corpo etereo e mortalmente bianco; spaventosamente leggero e glabro, pure. Sei tutto ossa, pelle e cervello, in fondo. Inizio poi a comprimere il tuo petto nudo, inginocchiandomi vicino al torace. Spingo cento volte al minuto, chiudo il tuo naso e pratico due insufflazioni in prossimità della tua bocca; ma le tue guance sanno di lacrime, quando mi stacco da te, ed i tuoi occhi spalancati mi fissano. Sei vivo e piangi di tristezza, oppure di gioia; beh, non lo so. Non lo posso proprio sapere.

So solo che a grazie a te ho scoperto il sapore della vita: è salato, sa di lacrime. Un po’ come il mare dentro il quale ci siamo persi da bambini, con il nostro vascello indistruttibile. Quell’oceano che tanto hai sempre amato, senza mai averlo detto a nessuno; nemmeno a me, Sherlock.

Avrei voluto esserci anche quando hai deciso di saltare giù da quel maledetto tetto. Essere lì sopra, proprio davanti a te, intento nel guardare la strada sottostante e nel respirare quel vento gelido composto principalmente da mestizia e sacrificio.

“Non devi farlo.” ti avrei detto. Te lo dico.

Tu guardi ancora giù; non mi osservi, non riesci a farlo: non vuoi ascoltarmi.

“Non posso fallire.” ti limiti a dire.

“Tutti sbagliamo, Sherlock.” insisto ancora, ma oramai sto parlando alla tua schiena appena un po’ ricurva. Il giubbotto che indossi ondeggia sinuoso ed io vorrei - dovrei - afferrarlo, strattonarlo e trascinarti via con forza. Ma non lo faccio.

“Non mi è permesso, John.” mormori, una pronunziazione che si disperde nel vento. “Perché quando io fallisco..” mi doni uno sguardo ed io so perfettamente che è l’ultimo. L’ultimo, l’ultimo. “Le cose esplodono.”

Ti butti. Ti lanci dal cornicione e scompari dalla mia vita e dalla tua esistenza senza alcun rimorso, perché il punto è che tu non hai mai voluto far esplodere niente; non hai mai voluto ferire veramente nessuno. Hai sempre preferito sacrificare te stesso, in fondo.

Mentre guardo il tuo cadavere posticcio maciullato per terra; mentre osservo me stesso accorrere in soccorso, ignaro e completamente sconvolto da tale scena, capisco finalmente che io, tutto ciò, non ero mai stato in grado di comprenderlo. È una consapevolezza che potrebbe atterrirmi; è un plausibile rimpianto eterno. Potrebbe esserlo, se tu fossi davvero morto quel giorno.

Ma ti vedo ancora, adesso. Ora sei il mio amante e non esiste al mondo cosa più viva del tuo corpo. Il mio non è più un viaggio mentale nei tuoi ricordi fittizi creati a dovere dal mio cervello. A volte mi domando chi sia realmente il più pazzo, tra noi due: la maggior parte della gente non esiterebbe un attimo nell’indicarti, ma io oramai ho forti dubbi. Dubbi che non ti esplicherò mai, comunque.

Ma non è il bambino iperattivo e creativo, colui che adesso esige le mie attenzioni. Non è neanche la donna tossica e completamente a pezzi, né il martire moderno più famoso d’Inghilterra. Sei semplicemente tu. Il mio Sherlock.

Così bello, così reale. Un essere materiale che mi sovrasta, prendendo possesso della mia anima e del mio corpo in maniera inaudita. E mi colpisci, mi colpisci ripetutamente, mentre annaspi ansiti pronunciati sulla mia bocca e mi spingi ad attorcigliare le gambe intorno ai tuoi fianchi. 

In questo istante di completa unione penso che non mi hai mai detto che mi ami, né che non potresti mai vivere senza di me. Eppure noi siamo due morti che camminano tenendosi per mano da tempo immemore; sembra quasi un’eternità intera. È paradossale, non credi? D’altronde sono proprio io, l’uomo che ha fatto del paradosso l’essenza stessa della propria vita.

Ma anche se tu la lasciassi, Sherlock. Anche se tu mollassi all’improvviso la stretta della mia mano come già hai fatto in passato, io ormai sono certo del fatto che non cambierebbe assolutamente nulla.

Il cuore che mi è scomparso dal petto saresti sempre e comunque tu.

 

***

 

Quando mi sveglio la mattina, soventemente rifletto su quel che ho perso. “È stupido farlo.”, mi esclameresti, se solo tu sapessi. “Quel che è perduto è perduto e non si potrà mai riavere indietro.”

Non mi dispiacerebbe affatto risponderti pacatamente che per una volta ti sbagli, Sherlock. Molto probabilmente ti annoieresti e basta, durante l’ascolto di quel che avrei da esplicarti.

Quindi anche stamani mi limito a fissarti; recentemente faccio sempre così, so che l’hai notato. Stai sorseggiando svogliatamente un po’ di the, raccolto nella tua usuale seduta scomposta. La nostra nottata di sesso selvaggio ti ha donato un’acconciatura catastrofica ma sei come sempre bellissimo, credimi. Ai piedi porti i calzini di lana verdi che ti ho infilato prima di recarmi al bagno; ridacchio leggermente, osservandoli.

Dopo qualche minuto di rimirazione mi avvicino, senza però dar voce ad alcuna parola.

“A cosa pensi ultimamente, John?” me lo dici dopo qualche secondo, aggrottando un po’ le sopracciglia. Io sorrido appena di rimando.

Penso a quante cose ho perso, vorrei dirti, poiché sono un malinconico uomo senza speranza, dotato di una memoria sicuramente non eccelsa come la tua, ma obbiettivamente buona o addirittura superiore alla media nazionale. Penso a quanto poi ho ritrovato, solo ed esclusivamente grazie a te.

Un amico fidato, a volte insopportabile, altre fin troppo saggio. Un figlio di cui prendermi cura e con il quale viaggiare ancora attraverso universi fittizi: con te io gioco ogni giorno; in fondo riesci a farmi sentire l’uomo più importante del mondo senza neanche rendertene conto, esattamente come un bimbo fa con il proprio padre.

Una donna fragile e malmessa, poi, incredibilmente bella seppur avvolta dalla più completa oscurità; quel fascino del degrado che non tutti sanno apprezzare, ma che io adoro inevitabilmente poiché lo posso curare. Sono il suo - tuo - dottore, alla fine.

Un amante ingordo ed insaziabile, osceno e dolce, adorabile e meschino. Egocentrico ed altruista; Dio, quante fottute dicotomie. Quante cazzo di personalità.

Ma il punto è che io amo tutto questo, Sherlock. Anzi, io ti amo disperatamente proprio per questo.

Quindi ti guardo, mentre tu mi guardi, mentre m’inginocchio, mentre tu sussulti, mentre io sorrido e penso.

Penso che da oggi sarai altro, ancora. Un altro Sherlock per me; sempre e soltanto per me.

“Vuoi sposarmi, Sherlock Holmes?”

 

“We were shut like a jacket
So do your zip
We would roll down the rapids
To find a wave that fits
Can you feel where the wind is?
Can you feel it through
All of the windows, inside this room

I’ll hold you in these forearms
I’ll be with you from dusk till dawn
I’ll be with you from dusk till dawn
Baby, I am right here

 

I’ll hold you when things go wrong
I’ll be with you from dusk till dawn.”

 

THE END

 

Note:

 

Eccomi! Non sono morta, ma quasi: il blocco mi ha raggiunta di nuovo, ed ho pensato veramente di essere fottuta. Non sono riuscita a leggere niente per un mese o più, ed inforcare la penna con la mano mi donava quasi un senso di riluttanza. Un ‘blank space’ grosso come una casa si è impadronito del mio cervello finché non ho udito la canzone che ho inserito nella storia, ovvero “Dusk Till Dawn” di ZAYN ft Sia; il fatto è quasi spassoso, poiché l’ho sentita per la prima volta in sottofondo della pubblicità dell’Intervista di Maurizio Costanzo. Paradossale; commenterebbe così il John Watson di questa mia fan fiction, ed io lo quoterei alquanto. :)

Al di là di Maurizio ‘senza collo’ Costanzo, la visione della quarta stagione su Paramount Channel ha fatto la sua bella fetta di parte nel compito di rianimare i miei sopiti spiriti; anche se quelle puntate mi fanno davvero incazzare. Comunque nel giro di tre giorni ho scritto questa serie di riflessioni romantiche ed oniriche; mi piaceva l’idea di tornare a scrivere su John e sulla visione che ha di Sherlock. In effetti, ad oggi, ho voglia di scrivere altro, ma dopo la visione del pestaggio in TLD mi sento l’anima infuocata da una vena cattiva che preme per esplodere. Chi vivrà poi vedrà; credo che possiate capirmi, comunque.

Non credo di aver altro da dire; sulla storia non ho molti dubbi e mi piace il modo in cui ho raggiunto il finale: non avevo mai scritto di possibili matrimoni, quindi sono anche contenta di aver toccato tale argomento, che ad essere sincera è venuto fuori senza alcun tipo di riflessione. Spero vi possa essere piaciuta e che nell’insieme risulti capibile e ben articolata; fatemi sapere il vostro pensiero, mi renderebbe molto felice.

Grazie di aver letto,

 

AintAfraidToDie

 

  
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