Salve a tutti^^!! Mi sono accorta che, rileggendola, c’erano un
po’ troppi errori e non era ben leggibile, così ho deciso di ripostarla. Ancora
un caloroso grazie a tutti coloro che l’hanno letta, recensita e messa tra i
“da ricordare” e/o “preferiti”.
Bisogno
di parlare
Era una mattina di novembre … e una macchina stava
tranquillamente andando sul freddo cemento della strada per andare al lavoro.
Dentro di essa, c’era una certa Allison Cameron. Per chi non la conoscesse, era
una dottoressa di quasi trent’anni, laureata in immunologia e che
lavorava al Princeton Plainsboro Teaching Hospital nel rinomato reparto di
Diagnostica.
Stanca di tutto quel silenzio che l’avvolgeva, accese la radio e mise un
cd. Sorrise mestamente, quando sentì le note di una canzone che in quel
periodo ascoltava parecchio …
… I never really knew how to move you
So I tried to intrude through the little holes in your veins
And I saw you
But that’s not an invitation
That’s all I get
If this is communication
I disconnect
I’ve seen you, I know you
But I don’t know
How to connect, so I disconnect…*
Era una canzone bellissima, ma anche malinconica … eppure le
piaceva così tanto da identificarsi con quelle parole: sembrava che quella
musica fosse stata scritta su di lei, e sul suo difficile rapporto con il
suo capo, per cui lei sente di provare qualcosa di molto profondo …
lavorava per lui già da un anno, però non riusciva ancora a comunicare con
quell’uomo , non riusciva a capire cosa lui provasse veramente, quali fossero i
suoi pensieri … più ci provava, più House la allontanava … quando lei avrebbe
solo voluto dargli tutta se stessa …
Senza neanche volerlo, i suoi pensieri vagarono sui fatti che erano
accaduti ultimamente : il pericolo dell’Hiv, la notte passata con Chase, il ritorno
di Stacy … già, Stacy … Allison pensò per un momento che avrebbe dovuto odiare
quella donna, per aver fatto frantumare la sua speranza di poter stare con
House, per averlo fatto allontanare da lei ulteriormente; ma in fondo, le era
anche grata. Grata a Stacy per il fatto di aver visto per la prima volta House
sereno. Di aver visto per la prima House innamorato di qualcuno. Molti forse –
tra cui House e se stessa- riterrebbero un paradosso essere riconoscente
alla propria rivale in amore, ma era la pura e semplice la verità. Non c’erano
nozioni logiche per spiegarlo. Se lei poteva renderlo davvero felice, si disse,
non poteva far altro che esserlo per lui.
Come al solito, arrivò puntuale al parcheggio dell’ospedale. Spense il motore,
scese dalla macchina, la chiuse e si avviò tranquilla verso l’entrata,
canticchiando piano e mesta quella canzone.
Fu allora che la sua attenzione venne colpita da un moto nera e arancione di
sua conoscenza. Si fermò e la guardò, sgranando gli occhi. Prese il cellulare e
controllò l’ora: com’era possibile che House si trovasse già al lavoro per le
otto, quando si sapeva che a lui piaceva arrivare due ore più tardi?!?
Alzando le spalle, rimise il telefonino in tasca.
Nonostante lei non volesse ammetterlo, Cameron era preoccupata per l’arrivo in
anticipo di House. Di solito, lui si fermava in ospedale di notte solo per
trovare una difficile diagnosi, ma l’ultimo caso che avevano era stato risolto
brillantemente. Se ce ne fosse stata una di notte, di sicuro House non si
sarebbe fatto scrupoli di chiamarla nel cuore della notte per trovare la
diagnosi … ma quella notte non aveva ricevuto nessuna telefonata.
“Dev’ essere successo qualcosa ad House!” ritenne con se stessa
“ma d’altronde, perché dovrei preoccuparmene? Non è più affar mio, ora
che c’è Stacy!”.
Tuttavia, senza neanche pensarci veramente, fece l’esatto contrario: si diresse
verso il reparto di Oncologia per parlare con Wilson: di sicuro lui sapeva
cos’era successo! Ad un tratto, fermò spaventata e pensò: “ e se poi trovo
House? Che cavolo racconto come scusa? Di sicuro mi prenderebbe in giro per
tutto il giorno per essermi preoccupata per lui! Ma sii, ti inventerai
qualcosa, Allison!”, e più sicura, prese l’ascensore.
Davanti alla porta di Wilson, prese un bel respiro e bussò. Sentendo il
cordiale ‘avanti’ dell’oncologo, aprì e lentamente entrò.
Fu sollevata di trovare
solo Wilson. Egli era chinato su delle analisi, e quando sentì Allison chiedere
se poteva entrare, alzò gli occhi sulla collega. “Ah, Cameron! Siediti! Che
cosa ha combinato House questa volta?” chiese ridendo. “Niente, solo che House
oggi è in anticipo e questa non è una cosa da tutti i giorni!”. Cameron
rispose, sedendosi su una sedia davanti alla scrivania.
James, continuando a guardare le analisi, disse sovrappensiero: “Da quello che
so, è stato qui tutta la notte!”.
A quelle parole, Cameron
non poté fare a meno di allarmarsi. Wilson, capendolo, cercò di
tranquillizzarla: “Ma non preoccuparti: non è successo nulla di grave!” e le
sorrise. Ella, non ancora tranquilla, chiese: “Che è successo?”.
Lui sospirò. Sapeva benissimo cosa lei provasse per il suo
migliore amico, come sapeva bene che House si sarebbe vendicato in qualche modo
per quello che stava per fare. Tuttavia disse: “In teoria, non dovrei dirtelo,
ma di te mi posso fidare. House ha lasciato Stacy.”
Cameron non riusciva a credere alle proprie orecchie: “Co-come?” balbettò.
Lasciando perdere le analisi, Wilson le disse: “L’ha lasciata andare con
Mark.”. Lei continuava a non capire: “House ha lasciato Stacy? Ma perché?
Perché vuole continuare a farsi del male?” si chiese. Wilson parve capire
quello che lei stava pensando, poiché esclamò: “Non chiedermi il motivo per cui
continua a farsi del male, perché, anche se sono suo amico, non riesco a capirlo.
Ieri sera, mentre stavo andando via, ho visto Stacy che radunava le sue cose.
Poi, avendo capito quello che lui aveva fatto, l’ho raggiunto sulla terrazza e
lassù ci siamo scontrati. Ho provato a dirgli che continuare a soffrire lo
rende solo infelice, ma lui non vuole comprendere da quanto è testardo!” egli
sospirò: “non capisco proprio che gli passa per la testa …” “…Pensava
di non poter cambiare abbastanza per renderla felice. Ecco perché l’ha
lasciata.” Continuò lei, tristemente. Adesso capiva: in fondo, lui non era
insensibile come voleva far sembrare! “Già, ma ora? Chissà quanto si sentirà
solo, in questo momento!” pensò.
Wilson la guardò: “Ti prego, Cameron: fa’ finta di non sapere
niente!” “Non preoccuparti: da me non partirà una parola!” lo rassicurò e,
ringraziandolo, se ne andò.
o0o
“Da quanto tempo sto quassù?” si chiese House, appoggiato sul
bordo della terrazza con lo sguardo fisso sul fondo, dove la vita sembrava
riprendere il suo continuo e frenetico corso. “Forse tutta la notte … eppure
non sono stanco!”.
Rabbrividì per il freddo e si strinse nella leggera giacca del
completo. La gamba gli faceva male da sembrar che urlasse dal dolore, ma lui
non ci badò. Non aveva voglia di prendere il Vicodin, anche se il suo corpo ne
aveva bisogno disperatamente in quel momento; non aveva voglia di niente …
L’aveva lasciata andare. Aveva lasciato andare Stacy … il suo unico amore, il
suo unico appiglio, che già una volta lo aveva tradito, ma di cui continuava a
sentire il bisogno. Sospirò e chiuse gli occhi. Che cosa provava in quel
momento? Non lo sapeva neanche lui, lui che di solito sa sempre tutto. Forse
desolazione, non come quella di tutti i giorni che lo rendeva quello che era …
un bastardo e solo .forse un senso di solitudine più forte di quello che
di solito provava … ma in fondo che importanza aveva cercar di capire cosa
stesse provando? Tanto, lei non era lì con lui, sebbene lei sarebbe
rimasta, se non fosse stato per lui stesso.
Se fosse stato egoista come il suo solito, non l’avrebbe fatto. L’avrebbe
tenuta con sé, anche se solo per pochi mesi … tuttavia, quando vide Mark così
disposto a tutto, pur di restare con Stacy, non si era più sentito di pregarla
di rimanere. Perché lui sarebbe rimasto lo stesso e alla fine l’avrebbe fatta
solo soffrire … e lei questo non se lo meritava. Invece Mark sarebbe cambiato,
si sarebbe sforzato maggiormente nella riabilitazione, e solo per lei. Perciò
aveva deciso di rinunciare a lei, andando contro i suoi stessi desideri.
Sentì gli occhi pungere: che stesse per piangere? Si stropicciò gli occhi e
pensò che fosse il freddo.
Voleva stare solo … non desiderava altro che stare da solo …
Sennonché, sentì qualcuno aprire la porta. Senza neanche guardare chi
fosse, gridò rabbiosamente : “Wilson, la tua ramanzina me l’hai già fatta ieri
notte! Vai a sgridare qualcun altro! Lasciami in pace!” “Non sono Wilson …” gli
rispose una voce pacata.
Al suono di quella voce,
sobbalzò e girò lo sguardo verso la porta, sbalordito. Esattamente davanti a
lui, a qualche metro di distanza, c’era Cameron, la sua più giovane dipendente,
con in mano la sua tazza rossa e un sorriso dolce. Dannazione! Quanto odiava
quel sorriso , in questo momento! Così in antitesi con il suo stato d’animo …
Cercando di non apparire stupito, le parlò sgarbatamente: “ Che cosa ci
fai qui?”. Cameron, per nulla spaventata o arrabbiata, rispose: “Wilson mi ha
detto che sei stato qui tutta la notte. Ho pensato che avessi bisogno di un
caffè per riscaldarti, e così ho pensato di portartelo!”.
House sospirò: per prima cosa, diede mentalmente del bastardo a
Wilson: come al solito non si era fatto i suoi! Distogliendo lo sguardo da
lei, guardò di nuovo in giù e disse: “ E scommetto che ti ha già raccontato
tutto, non è vero?”.
Lei gli si avvicinò lentamente: “Mi dispiace …”. E quella fu la
goccia che fece traboccare il vaso. Non aveva certo bisogno di sentirla
dire che le dispiaceva per lui! Senza rendersene conto, la investì
riversando su di lei la propria rabbia e amarezza: “Non ho certo bisogno di un
‘mi dispiace’! Tieniti per te il tuo spirito da crocerossina”. Cameron capì di
aver fatto una mossa assai sbagliata; senza scoraggiarsi, continuò: “Avanti,
bevi … se no, tra poco morirai assiderato!” e gli porse la tazza che stava
diventando tiepida a causa della temperatura bassa.
House guardò la tazza: il
fumo che usciva dal bordo era troppo invitante per il suo corpo intirizzito;
tuttavia, non la prese.
Allison sorrise rassegnata,
poi fissò gli occhi in basso, come per sperare che il pavimento le desse il
coraggio di dirgli ciò che lei in quel momento aveva nel cuore. Trovando
finalmente il coraggio, esclamò: “. Io … so come ti senti.” “No. Tu non lo
sai.” Le rispose con tono categoricamente triste, continuando a non guardarla
negli occhi.
Lei continuò: “Prima che tu dica o faccia qualcosa, ti prego,
ascolta quello che ho da dirti. Poi, dì pure tutto quello che vuoi: che sono
una crocerossina rompiscatole che non si fa mai i fatti suoi! Ma per favore,
ascoltami!”.
Vedendo il timido sorriso
abbozzato di lui, si appoggiò anch’ella sul bordo un po’ sollevata e guardò
anche lei in giù:” Capisco come ti senti: ti senti profondamente solo e
totalmente distrutto, perché l’hai lasciata andare, andando contro i tuoi
desideri. Pensavi di non poterla rendere felice, e hai preferito farle del male
prima in modo che poi sarebbe stata felice con Mark”.
Sentendosi addosso lo sguardo attento di lui, non ci badò: “ Tu
dici che io e te siamo profondamente diversi, ma in fondo … non lo siamo”
e finalmente incontrò il suo sguardo:”Anch’io ho fatto lo stesso per te. Vedendoti
così sereno, ho preferito mettere da parte i miei sentimenti per te. Perché?
Perché tutto ciò che voglio, è vederti felice House! Se non vuoi me, a me
sta bene, anche se mi fa male … però, per la tua felicità, ero, sono e
sarò sempre disposta anche a vederti stare con qualcun’altra.” House rimase
colpito da quel discorso: come faceva lei a capirlo così profondamente? si
chiedeva.
Si scostò dal bordo. Lei fece lo stesso. “Ora, ciò che voglio è darti
un consiglio disinteressato: parlane con qualcuno. So quanto è difficile per
te, ma finiresti per distruggerti dai tuoi troppi pensieri. Parlane con Wilson,
con
House sussultò a quella carezza, ma non gli dispiacque: quel
contatto, non sapeva come spiegarselo, gli dava conforto.
La fissò negli occhi; lei, sentendosi quegli occhi su di sé, arrossì e lasciò
andare la mano.
Sorridendo, disse: “Sarà meglio che scenda. Foreman e Chase
saranno già arrivati da un pezzo!”. E lo lasciò da solo, il quale
istintivamente, sorrise.
o0o
Erano quasi le undici di sera, e Cameron stava tranquillamente
leggendo un libro distesa sul divano, col caminetto acceso e bello
scoppiettante. Le venne voglia di prepararsi una tazza di cioccolata calda e si
alzò.
Quando fu in piedi, sentì qualcuno bussare alla porta d’entrata.
Lei sorrise. Nessuno
avrebbe bussato alla porta, se non qualcuno con un bastone. Sicura, andò alla
porta e l’aprì.
Aveva visto giusto: davanti
a lei c’era un House un po’ stanco e un po’ imbarazzato, che disse: “Ciao.”
“Ciao” lo salutò lei di rimando.
Lui abbassò gli occhi come
per tentare di trovare le parole, come per tentare di lottare contro il suo
istinto di rimanere da solo ad affondare nel suo dolore come aveva sempre fatto.
E finalmente, dopo pochi minuti che parvero ad entrambi un
eternità, le trovò: “Avevi detto che potevo parlare con te, e così ho pensato
…”.
Questo bastò ad Allison. Con gli occhi scintillanti e un sorriso rassicurante,
esclamò: “Vieni. Entra!”.
………
* i versi sono della canzone
“Communication” di The Cardigans. È stata questa canzone che mi ha ispirato
questa one-shot, perché credo che rispecchi perfettamente il tentativo di
Cameron di riuscire a comunicare con il suo cinico e misantropo e terribilmente
affascinante capo^^.