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Autore: Echocide    08/02/2018    0 recensioni
Dai lombi fatali di questi due nemici
toglie vita una coppia d'amanti avventurati,
nati sotto maligna stella,
le cui pietose vicende seppelliscono,
mediante la lor morte...

Agreste e Dupain sono due famiglie nobili di Paris, una città ricca di mistero e magia.
Una notte, il patriarca degli Agreste condanna i Dupain alla morte e dalla strage della famiglia, una bambina si salva: il suo nome è Marinette.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Inori
Personaggi: Adrien Agreste, Marinette Dupain-Cheng, Altri
Genere: fantasy, romantico, drammatico
Rating: PG
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 2.215 (Fidipù)
Note: Con questo capitolo cominciano, ufficialmente, gli ultimi momenti della storia e...beh, fazzoletti alla mano. Credo. Suppongo. Sì, insomma, non è un capitolo allegrissimo questo. Non dico altro e vi lascio subito alle classiche informazioni di rito,ricordandovi la pagina facebook, l'account instagram e quello twitter dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri, trovare i link delle playlist delle storie e tanto altro ancora. E il gruppo Two Miraculous Writers gestito con kiaretta_ scrittrice92.
Per concludere, un grazie grosso quanto una montagna a tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste!
Grazie tantissimo!

 

 

Fu storse il naso, solleticato dall'odore del fumo che si stava diffondendo per le strade di Paris: sembrava che il delirio avesse colto chiunque in quella città e il bisogno di distruggere era esploso. L'uomo marciava spedito, ignorando gli sciacalli che si gettavano nelle case altrui e ne uscivano trionfanti con qualche tesoro fra le mani.
Non era di suo interesse fermare tutto ciò.
Alzò il mento, tirando avanti e ascoltando distrattamente l'ansito dell'uomo e il rumore delle scarpe della giovane che lo seguivano: «Dovevi dirmelo» ringhiò, voltando appena la testa verso questa e fissandola da sopra la spalla: «Sono due incoscienti.»
«Di Adrien ho saputo troppo tardi anche io» commentò Alya, affiancando l'anziano e fissandolo: «Mentre per Marinette» si fermò, storcendo la bocca e tornando a guardare avanti a sé: «Ero certa che avreste voluto fermarla e lei era così decisa ad andare…»
«Ovvio che l'avrei fermata» Fu sbottò, sistemandosi meglio il mantello attorno alle spalle e continuando a marciare spedito: «Non dovrebbe essere lì, dovrebbe essere al sicuro e…»
«E cosa? Attendere che tutto sia finito? Che Adrien possa non tornare da lei?»
«Questo…»
Alya si fermò, posando una mano sulla spalla dell'uomo e costringendolo a bloccarsi: «Lei non è una vostra pedina, non lo è mai stata: ha agito seguendo ciò che le ha detto il suo cuore, anche se questo ha significato seguire suo marito nel posto più pericoloso di tutta Paris.»
«Marito?» Otis si fermò, osservando i due e passandosi una mano sulla fronte stempiata e portandosi indietro le ciocche corte: «Alya, cosa significa che la principessa Marinette ha seguito suo marito?»
«Marinette si è sposata qualche giorno fa» decretò Alya, continuando a tenere lo sguardo in quello di Fu: «Con il principe Adrien» continuò, voltandosi verso il padre e abbozzando un sorriso: «Loro…loro si sono conosciuti poco prima che Marinette scoprisse chi era veramente e si sono innamorati, Adrien ha rinnegato ogni cosa per stare con lei e…»
«E la loro unione è stata il frutto di un gesto d'amore e non un meccanismo politico» concluse Fu, chinando la testa e inspirando profondamente: «Un qualcosa di totalmente ignaro a tutti noi.»
«Sua altezza…» mormorò Otis, fermandosi e portandosi una mano alla bocca, abbassandola e negando con la testa: «Sabine non sa niente, vero?»
«Ovviamente no» Fu si voltò verso l'uomo, portandosi una mano alla gola e stringendo appena i lacci del mantello: «Se le avessi detto che ospitavo il figlio di Gabriel, avrebbe voluto uccidere il ragazzo subito. O peggio. L'ho tenuto nascosto e ho lasciato che loro due si avvicinassero: non c'era niente di male, alla fin fine, e prima che tutto questo scoppiasse, prima che Gabriel impazzisse dal dolore, loro due erano promessi.»
«Amore…» Otis biascicò quella parola, lasciandola andare poi nell'aria: «Mi sembra di essere in una di quelle ballate che ogni tanto recitano durante le feste.»
«Le vecchie storie hanno sempre un qualche collegamento con la realtà» commentò Fu, voltandosi in avanti e riprendendo a marciare spedito, lo sguardo rivolto verso la parte alta della città: «E spero veramente di esser in una di quelle commedie che finiscono bene, piuttosto che in una tragedia.»



Si addossò contro la porta, piegando verso il basso la maniglia e sgusciando all'interno della stanza, chiudendo dietro di sé l'uscio e addossandosi contro di esso, portandosi poi una mano al petto e sentendo i battiti del cuore che gli rimbombavano nelle orecchie; le gambe tremavano e quasi non sostenevano il peso del suo corpo, mentre lo sferragliare di armature si avvicinava sempre di più, facendole elevare una preghiera e sperare che nessuno l'avesse vista entrare in quella camera.
Socchiuse gli occhi, portandosi una mano alla bocca e trattenendola lì, quasi timorosa che il solo respirare potesse smascherarla: non sapeva in che parte del castello era finita, si era mossa evitando le aree più caotiche e a rischio, infilandosi nei corridoi più vuoti e silenziosi, giungendo fino a lì.
Dove fosse quel lì però non lo sapeva.
Rimase immobile, ascoltando le guardie del palazzo superare la porta dove si era nascosta e continuare lungo il corridoio, lasciando dietro di loro solo il silenzio: Marinette rimase in ascolto, aspettando da un momento all'altro che qualcuno tornasse indietro e lasciando andare un sospiro, quando questo non avvenne.
Si portò la mano al cuore, stringendo la blusa e dando una prima occhiata alla stanza nella quale si era nascosta: era grande e dai soffitti alti, completamente spoglia di ogni mobilia e con alcune panche addossate ai lati. Un sorriso le piegò le labbra, mentre faceva alcuni passi in quella che, a tutti gli effetti, gli ricordava l'ampio giardino dove Theo l'allenava all'uso della spada.
Forse era nel luogo dove Adrien si era allenato lì al castello.
Forse…
Un movimento la mise in allerta, facendole portare la mano all'elsa della spada che teneva appesa alla vita, mentre osservava le ombre muoversi e Gabriel Agreste uscire da queste: l'uomo la fissava, quasi stupito di trovare qualcuno lì e si fermò a pochi passi da lei, osservandola e quasi studiando il suo comportamento.
«Io…»
«Non mi serve che tu mi dica chi sei» mormorò Gabriel, alzando una mano e interrompendola: «Riconosco il tuo sguardo, è quello fiero dei Dupain. Immagino sei la figlia di Tom. Sì, il tuo sguardo è proprio uguale al suo, anche se il colore…beh, quello lo hai preso da tua madre.»
«Sì.»
Gabriel assentì, piegando le labbra in un sorriso e annuendo con la testa: «Immagino che sei qui per compiere la vendetta della tua famiglia, non è vero?»
«Sono qui per discutere i termini di un accordo, in verità.»
«Io non faccio accordi con i Dupain» dichiarò Gabriel, avvicinandosi a una delle rastrelliere e prendendo una spada: «Non parlo con gli assassini di mia moglie.»
«Io non sono un'assassina» esclamò Marinette, alzando il mento e fissando l'uomo: «E neanche i miei. Non so cosa è accaduto in passato, ma…»
«Lei è morta per mano vostra ed io non avrò pace finché tutti i Dupain non saranno morti» dichiarò Gabriel, caricando verso di lei con la spada alzata e Marinette si costrinse a sguainare la propria, usandola per proteggersi dall'assalto dell'uomo.
Il rumore delle lame che cozzarono ferì le orecchie di Marinette e il riverbero del colpo le scivolò lungo i muscoli delle braccia: tutto l'allenamento fatto con Theo se n'era andato in fumo, mentre cercava di combattere con l'uomo che la voleva morta. Parò un nuovo assalto, stringendo maggiormente la presa sull'elsa della spada e sentendola quasi cadere: senza un'arma sarebbe morta. Gabriel Agreste non avrebbe avuto pietà di lei e l'avrebbe uccisa non appena avesse abbassato la guardia.
Doveva sopravvivere. Doveva ritrovare Adrien e andarsene da quel luogo con lui
Strinse la presa sulla guardia, mettendosi in posizione e cercando di ricordare ogni oncia delle sue ore di allenamento con Theo, bloccando un affondo di Gabriel e scivolando all'indietro e quasi cadendo ma recuperando veloce l'equilibrio, storcendo la bocca quando una fitta di dolore le giunse dalla caviglia destra: doveva aver messo male un piede nel momento in cui aveva impedito a se stessa di cadere.
Gabriel Agreste avanzò, portando la mano armata sopra la testa e cercando di colpirla con un fendente dall'alto: alzò la sua lama, usandola quasi come uno scudo e ascoltò il suo delle due lame che s'incontravano nuovamente, serrando la presa sull'elsa e stringendo i denti agli spasmi che si riversarono lungo le sue braccia.
Se fosse stato un allenamento avrebbe chiesto a Theo una tregua, ma quello non era una di quella sessioni e l'uomo davanti a lei era intenzionato ad avere la sua vita; si riportò in posizione, osservando il suo avversario e respirando con lentezza, ponderando bene l'attacco da fare mentre Gabriel la fissava come se fosse un gatto con il topo e quasi sembrava assaporare il sapore della vittoria sulla sua bocca.
Non sarebbe morta lì.
Mise un piede in avanti, affondando la stoccata e osservando Gabriel pararsi troppo in ritardo per evitare appieno il colpo, facendola sorridere quando lo ferì al polso e lo vide perdere la presa sulla spada che cadde a terra: il rumore dell'acciaio risuonò nella stanza vuota e Marinette sfruttò il vantaggio appena ricevuto, calciando lontano la spada dell'avversario, trovandolo completamente alla sua mercé.
Si avvicinò, alzando la spada verso l'alto e bloccandosi a metà del gesto, sentendosi totalmente inadatta a sferrare quel colpo: se sua madre fosse stata lì, fosse stata al suo posto, avrebbe abbassato senza indugio la lama.
Ma lei…
Lei…
Marinette osservò l'uomo davanti a lei, incapace di calare la sua spada: era il padre di Adrien, era un uomo distrutto dal proprio dolore e, nonostante tutto quello che le aveva, tutto quello che le aveva portato via, non riusciva a ucciderlo.
Non voleva essere come lui.
Abbassò il braccio armato, chinando la testa e socchiudendo gli occhi: «Fu mi ha sempre detto che la giustizia è un qualcosa di collettivo, che diventa vendetta quando la si attua da soli» mormorò, ricordando uno dei primi insegnamenti dell'uomo: «Ecco, perché io vi risparmierò oggi: non per pietà, ma perché voglio che siate giudicato dal popolo di Paris e…»
Marinette si fermò, osservando la figura uscire dalle ombre della stanza e avvicinarsi lentamente, la lama che teneva in mano rifulgeva alla luce delle candele: «Una principessa davvero inutile» dichiarò l'uomo, accucciandosi alle spalle di Gabriel Agreste e portandogli la lama alla gola: lei continuò a fissare la scena, incapace di muoversi, mentre la lama tagliava la pelle dell'uomo e il sangue che usciva copioso.
Gabriel si portò le mani alla gola, aprendo e chiudendo le labbra, incapace di dire alcunché mentre si voltava e osservava il suo assassino: «Sai molto bene che ho sempre pensato che le cose fatte da soli sono sempre le migliori» commentò l'uomo, chinandosi in avanti e sorridendo: «Grazie, però, per aver ucciso per me Tom Dupain. Non sai che favore mi hai fatto» continuò, dando una lieve spinta all'altro e osservandolo mentre cadeva a terra, la vita che stava scivolando via dal corpo: «Ah, Gabriel. Gabriel. Avresti dovuto tenere gli occhi aperti, stare attento a ciò che ti circondava.»
Marinette fece un passo indietro, stringendo la presa sull'elsa della spada e osservando l'uomo rialzarsi e scavalcare con facilità il corpo ormai senza vita di Gabriel Agreste, nonostante il corpo per nulla atletico: «Chi siete voi?» domandò, portando la lama davanti a sé e stringendo la guardia con entrambe le mani: «Perché lo avete ucciso?»
«Lasciate che mi presenti, madamoiselle» si fermò, sorridendo appena: «O forse dovrei dire principessa Marinette. Vabbè, non è che questo sia importante: il mio nome è André Bourgeois, consigliere dell'ormai defunto reggente di Paris e…» si chinò leggermente, continuando a piegare le labbra in un'espressione di pura soddisfazione: «futuro possessore di quella carica, ovviamente non appena avrò ucciso voi e il giovane principe Adrien.»


Il rumore dei combattimenti stava giungendo alle sue orecchie, facendogli portare la mano all'elsa della spada e stare attento a ogni passo: da quel momento in poi sarebbe stato complicato avanzare nel castello e avvicinarsi all'uscita; nessuno sapeva della sua rinuncia al titolo e, cosa ancora più importante, del suo matrimonio con Marinette.
Nessuno lo legava al nome dei Dupain, ma tutti lo associavano a quello degli Agreste, rendendolo così un loro nemico.
«Stammi vicino» mormorò, voltandosi appena e osservando Nathaniel parecchi passi dietro a lui, la testa china e incassata nelle spalle: «Va tutto bene?» domandò, avvicinandosi di qualche passo al cugino e notando, solo a quella distanza, del tremore che gli scuoteva le spalle: Nathaniel era totalmente estraneo a tutto ciò e quindi era possibile che si sentisse spaventato da ciò che avvertiva: «Non preoccuparti…» mormorò, facendo qualche altro passo verso di lui e posandogli una mano sulla spalla, voltandosi leggermente indietro e cercando di capire come avrebbe fatto ad attraversare quel putiferio, occupandosi della propria incolumità e di quella del cugino.
Doveva portarlo in salvo con lui, non poteva abbandonarlo lì.
Strinse le labbra, inghiottendo il fiotto di saliva e voltandosi verso l'altro: «Nath…» cominciò, interrompendosi a metà nome e avvertendo un dolore al ventre, come se qualcosa fosse entrato nel suo stomaco: abbassò lo sguardo, osservando quasi come se appartenesse a qualcun altro il proprio corpo e la lama che lo infilzava, spostando poi l'attenzione sulla mano che stringeva l'elsa.
Nathaniel lo aveva pugnalato: il suo mite cugino, colui che era sempre dedito al disegno, lo aveva ferito. Strinse le labbra, alzando stringendo le spalle dell'altro e sentendo la lama farsi strada nella sua carne, giungere ancora più in profondità e poi venire mossa in orizzontale, in modo che venisse fatto ancora più danno.
Serrò la mascella, sentendo i denti dolere e il sapore ferrigno del sangue in bocca: «Nathaniel» mormorò, la voce spezzata e lo sguardo che non riusciva ad alzarsi e a fissarsi in quello del suo carnefice: non voleva crederci, non doveva essere così, non…
Abbassò una mano, posandola su quella di Nathaniel e cercando di tirar fuori il pugnale dal suo corpo, riuscendo invece a farlo piantare ancora più a fondo; Adrien boccheggiò, stringendo le dita dell'altro e osservando le iridi smeraldine, completamente prive di ogni forma di interesse: «Cugino…» mormorò, accentuando inutilmente la presa delle dita e storcendo la bocca, quando la lama del pugnale affondò maggiormente nella sua carne: «Perché?»

 
   
 
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