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Autore: Annapis    09/02/2018    2 recensioni
"Come quando t'innamori, ma non va come ti aspettavi.
Come quando tutti sono innamorati e tu no.
Seriamente, potrebbe mai andare peggio?"
"Juvia e Gray si amavano.
O meglio, così credeva lei.
Strana la vita e la sua inconfutabilita.
Che un giorno t'innamori e sei la persona più felice del mondo, e il giorno dopo tutto crolla e no, non è andata come ti aspettavi."
"Meredy un'anima gemella non ce l'aveva e non l'avrebbe mai avuta.
Ma a lei andava bene così.
Anche se tutti erano innamorati, lei voleva stare da sola."
"A volte, semplicemente non è destino...
Non è destino sposarsi, amarsi, incontrare qualcuno...
Ma bisogna andare contro il destino, non incontro."
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Lluvia, Meredy
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non era destino amarci.
*{Mevia}*
 

"Come quando incontri la tua anima gemella ma non sei la sua.
Come quando t'innamori, ma non va come ti aspettavi.
Come quando tu già sogni, ma hai fatto il passo più lungo della gamba.
Come quando passi tutta la vita a cercare l'amore e poi scopri che era meglio stare da soli.
Come quando tutti sono innamorati e tu no.
Seriamente, potrebbe mai andare peggio?"
 
 
 
 
Quando le capitava di immaginare il suo futuro, di fantasticarci sopra, Juvia vedeva sempre lo stesso scenario: lei e Gray, sposati o fidanzati che fosse.
Lui medico, lei assistente sociale.
Si vedeva nella casa che avrebbero comprato insieme: per viverci loro, due bigol - o un pastore tedesco, era indecisa -, il suo canarino e tre bambini.
Due maschi e una femmina.
Si vedeva lì, semi-nascosta tra gli arbusti del suo giardino, impegnata a prendersi cura delle rose come faceva sua nonna tempo addietro, quando era giovane come lei e viveva ancora in una villetta.
Vedeva Gray tornare a casa la sera tardi, un mese e mezzo dopo averle annunciato la promozione a capo-reparto, stanco e affaticato, il nodo della cravatta malamente allargato.
S'immaginava come sarebbe stato bello cucinare il bacon e i pancake per entrambi la domenica mattina, uscire il sabato - quando sarebbe stato possibile - a fare la spesa insieme, la testa già al ritorno a casa, dove avrebbero lasciato le buste sul tavolo per poi ordinare cinese, sedersi sul divano in salotto a guardare un film e poi a letto, tra le trapunte pesanti di fine novembre a coccolarsi ancora e ancora, come se le mani volessero mangiarli e le coperte ighiottirli per non farli mai più uscire.
Si vedeva il martedì mattina, quando il turno ce l'aveva di pomeriggio, a stendere i panni e a stirare le tutine per la bambina in arrivo.
Si vedeva il giovedì sera a casa di sua cognata Ultear, a parlare di quanto Gray sarebbe stato un bravo papà e lei una brava mamma.
S'immaginava già con la pancia un po' arrotondata, ma sempre bellissima.
E sapeva, ne aveva la certezza, che era quello che lei voleva per la sua vita.
Una famiglia, un compagno, dei figli...
Insomma, se a ventiquattro anni appena compiuti, una laurea in psicologia infantile fresca fresca e una carriera appena avviata al "Baby Fairy" le avessero chiesto cosa voleva, cosa si aspettava dal futuro, la risposta sarebbe stata semplice e immediata.
Lei. Gray. Insieme.
E invece...
 
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Grossi nuvoloni grigi coprivano il cielo di Magnolia, minacciando i pochi incoscienti in strada di inzupparli dalla testa ai piedi con un bel temporale di stagione.
Alle volte si alzava un vento freddo e ribelle a scompigliare le chiome verdi scuro degli alberi, sollevando le foglie arancioni dell'autunno appena passato.
Avvolta in una comoda e gigante felpa rosa firmata Zara, Meredy muoveva abilmente le dita affusolate sui tasti della tastiera e sul mouse del proprio computer, impegnata a correggere "Iris's adventure" della novella scrittrice Lucy Heartphilia. 
Davvero una bella storia, che l'aveva subito incollata allo schermo e alla sedia.
Appassionante e intrigante, con la giusta dose di magia, amicizia e... amore.
Lucy era brava, senza dubbio, sembrava quasi che le avventure di Iris le avesse vissute lei, ma il punto non era quello.
Il punto era che manco più riusciva a crederci nell'amore, Meredy, figurati scriverne.
In ventidue anni e mezzo, la rosa non aveva mai conosciuto l'amore vero, quello che tante ragazze sognano e che film, libri e fiabe hanno reso, forse, un po' commerciale ed eccessivamente... semplice.
Ma, a sua discolpa, non aveva mai provato neanche quelle piccole cottarelle adolescenziali che d'eterno non hanno nulla, l'argomento preferito delle sue coetanee ai tempi del liceo.
Dopotutto, l'aveva detto, lei, che un'anima gemella non ce l'aveva.
L'aveva capito subito, già da quel giorno all'asilo, quando la maestra Aries, bellissima nella pancia appena arrotondata, cercava di spiegare ai bambini l'amore e l'anima gemella, tutte cose ridicolarmente romantiche che da sempre le facevano venire il voltastomaco.
Meredy sapeva, anche nella sua ingenuità da bambina, che lei non avrebbe mai amato nessuno, che non aveva un'anima gemella e mai l'avrebbe avuta.
Forse, era solo stata un po' stupida ad alzare la mano e a dirlo davanti a tutti gli altri, quasi fosse un semplice: "posso andare in bagno?".
Invece, era un: "Ma io non ho un'anima gemella".
Ricordava ancora il silenzio tombale che aveva appestato la classe mentre la maestra Aries sorrideva e diceva che era presto, che l'avrebbe capito da grande.
Si, certo.
Come no.
Sbuffó, spostando dietro l'orecchio una ciocca rosa che le era finita davanti agli occhi.
Meredy non era fatta per amare, punto.
Ma, alla fine, chi aveva bisogno dell'amore?
Beh, non lei.
Lei era felice anche senza.
 
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Era tarda sera quando Juvia camminava velocemente sul marciapiede, diretta chissà dove.
Già, forse per la prima volta in vita sua si ritrovava a fare avanti e indietro senza una meta.
Però sapeva dove non voleva andare: a casa.
Si stringeva nel cappotto nero imbottito, la testa bassa e le braccia a circondarle il busto, quasi si stesse abbracciando da sola.
Effettivamente, aveva bisogno di conforto.
E anche tanto.
Si chiedeva se fosse possibile, Juvia, lasciare la propria ragazza dopo otto anni di relazione, di progetti, con un: "mi dispiace, ma non posso continuare a fingere".
Cosa aveva finto Gray, in quegli otto anni, precisamente?
Di amarla?
Li aveva fatti solo lei quei discorsi sulla casa più grande, sull'andare a vivere insieme?
Aveva parlato da sola quando gli raccontava tutti i suoi sogni, i suoi proggetti?
E, ancora, l'aveva fatto da sola l'amore?
Forse questa era stata la frase più ad effetto, perché quando l'aveva pronunciata, la voce che tremava dalla rabbia, lui era ammutolito.
Niente più giustificazioni, niente più:"No, Juvia, ti prego!" o "Ascoltami".
La risposta era ben chiara anche se taciuta: Si.
Però, questa era stata anche la cosa che aveva fatto più male in assoluto.
Mai possibile che lo stesso ragazzo che non aveva fatto altro che dirle "ti amo" per otto anni, e l'aveva fatta stare così bene, ora la facesse piangere?
Perché sì, Juvia stava piangendo; lacrime salate le pizzicavano gli occhi cobalto, ma la turchina non voleva dargli libero sfogo lì, in mezzo alla strada.
Anzi, non voleva proprio farlo.
Eppure non riusciva ad impedirselo.
Era così affranta, così delusa...
Faceva così dannatamente male.
Un dolore lancinante e logorante che partiva da dentro e che non aveva nulla a che fare con una semplice storta e nemmeno con un braccio rotto.
Non era la prima volta che la lasciavano, ma era sicuramente la prima volta che tutto sembrava così irreale, un brutto sogno e niente più: quasi la mattina del giorno dopo si dovesse svegliare nel loro letto, a casa loro e con lui affianco.
Ma non era così, non sarebbe mai più stato così.
Riusciva a sentire, nonostante il pesante cappello di lana a coprirle le orecchie, i rumori dela gente intorno a lei; sentiva dei bambini urlare dai balconi delle proprie calde case mentre lei, lì fuori, congelava.
Sentiva le voci festose dei ragazzi che si ritrovavano nei bar o nei locali lì vicino per parlare del più e del meno.
L'aveva fatto anche lei, soprattutto ai tempi del liceo; usciva con Lucy e Levy e si trovavano sempre lí, allo stesso bar.
Si sedevano allo stesso tavolo e ordinavano le stesse cose.
Di solito, incontravano anche le stesse persone.
Erza, qualche volta, ma più spesso Natsu e la sua comitiva.
Era così che aveva conosciuto Gray.
Possibile che tutto dovesse ricordarle lui?
La neve che tanto amava il corvino, perfino una macchina che assomigliava terribilmente alla sua.
Un singhiozzo le salí per l'esofago e fu una vera faticaccia mandarlo giù senza lasciarsi scappare nemmeno un sospiro.
Ma ce la fece.
Sentiva anche le coppie parlare lì fuori, appoggiati ad una moto o auto che fosse.
E, per la prima volta dopo otto anni, si sentiva di nuovo sola, abbandonata.
 Non aveva ancora alzato lo sguardo blu cobalto terribilmente spento da terra e dai suoi piedi, fasciati in un paio di stivali blu a collo alto.
Non ci teneva a guardare in faccia nessuno, inoltre non sapeva se sarebbe riuscita a resistere alla tentazione di piangere qualora il vento freddo di novembre le avesse punto le palpebre.
Probabilmente no.
Stava pensando a mille cose diverse in quel momento, Juvia.
A dove sarebbe andata, se avesse dovuto parlarne con qualcuno e sei si, con chi?
Aveva anche un solo amico o conoscente che non c'entrasse in qualche modo con Gray, che non lo conoscesse?
Ma ovviamente no.
Aveva davvero vissuto in simbiosi con lui?
Poi pensava al fatto che domani aveva il turno di mattina e anche, in minima parte, a che aspetto dovesse avere in quel momento.
Perché, sebbene non avesse ancora pianto e il trucco fosse probabilmente in buone condizioni, doveva comunque essere un disastro con gli occhi rossi e lucidi dalle lacrime, il fiato corto, le guance e la punta del naso rosse, le ciglia appiccicate e le labbra screpolate. 
Ma che le importava?
Ora come ora, nessun dolore fisico o nient'altro avrebbe potuto distogliere l'attenzione dal dolore *interno* che provava.
Niente di niente.
 
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Era solo uscita per godersi un piccolo aperitivo con suo fratello Gerard, appena tornato da un viaggio di lavoro in Sud America.
Sinceramente, Meredy non amava uscire; non amava le discoteche o i locali troppo affollati, dove la puzza di fumo e alcool si attaccava ai vestiti e non se ne andava dopo neanche mille lavaggi.
Non amava la gente che le ballava - o anche solo chiacchierava - intorno.
Di solito, la rosa non usciva se non per piccole cene in famiglia o con amici, ma cose comunque molto piccole e private.
E prendere un aperitivo con suo fratello e i suoi amici non rientrava tra quelle.
Ma Meredy adorava suo fratello maggiore, e non lo vedeva quasi mai per il suo lavoro di medico senza frontiere.
Quindi, poteva fare un eccezione, per questa volta, no?
E poi, se c'era un' altra cosa che Meredy amava, forse anche più del sushi, era il drink "Florida" che Mirajane, barista decennale del Fairy Tail, preparava.
No sul serio, per Meredy era stato un colpo di fulmine e non avrebbe mai rinunciato alla possibilità di gustarlo, poco ma sicuro.
Quindi quando, verso le 17, Gerard l'aveva chiamata per dirle che lui e i suoi amici si trovavano alle 19 al Fairy Tail per un aperitivo prima di cena, non aveva che potuto accettare.
Si affrettó a salutare suo fratello e la sua ragazza - che Meredy adorava - con un bacio sulla guancia, mentre infilava in fretta il telefono nella borsa a tracolla.
-Devi proprio andare?-
Sorridendo a mó di scuse, Meredy annuí.
-É una cosa importante- spiegó, prendendo il cappotto che Gerard le tendeva, -non posso proprio rimandare.-
Salutó con una mano tutti, anche se distratti da questa chiacchierata o da quel drink, in pochi se ne accorsero e ricambiarono.
Quando mise piede fuori dal locale, nonostante fosse ben coperta, un brivido di freddo le attraversó la schiena.
La differenza tra il tepore del locale, sicuramente riscaldato, e la cruda realtà di fuori era sorprendente.
Aveva fatto appena due passi, quando un dubbio atroce le passó davanti agli occhi come un fulmine a ciel sereno.
Ma aveva preso il portafoglio?
Non che Meredy fosse una particolarmente attaccata ai beni materiali, e alla fine in quel piccolo astuccio azzurro e bianco c'erano pochi spiccioli e solo una banconota da dieci.
Però, presa in contropiede, la soluzione istantanea che le venne in mente fu rientrare e controllare perché no, nella borsa non c'era.
Sfiló la mano, richiudendola, e si accinse a rientrare con passo mesto, forse un pelino imbarazzata.
Neanche tre secondi dopo, dove prima si trovava la rosa, passó Juvia, le spalle che tremavano in preda ai singhiozzi carcerati in gola dalle labbra serrate, cucite.
Se Meredy non fosse rientrata, se Juvia fosse passata anche solo due minuti dopo, le due si sarebbero incontrate.
Chi può dire se si sarebbero scontrate o no, ignorate o meno.
Non accadde e basta, quindi quando la rosa riuscí, la turchina era già sulla soglia del cancello del parco dove lei e Gray si erano fidanzati, inginocchiata a terra a piangere desolata, ignorata e giudicata dai passanti.
 
 
 
 
 
 
 
Note Autrice...
Questa storia nasce per il Yuri and Yaoi's week indetto dal forum Fairy Piece, ma non vi partecipa perché, purtroppo, non riuscii a finirla in tempo.
Però oramai l'avevo iniziata e come idea non mi è mai dispiaciuta, quindi ho voluto portarla a termine.
Spero che piaccia e ringrazio tantissimo le admin del forum per la grandissima ispirazione che danno ogni giorno.
   
 
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