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Autore: ___Page    10/02/2018    3 recensioni
"Reiju Vinsmoke per casa era una situazione estrema per far fronte alla quale non bastava una scarsa conoscenza del russo."
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Per il compleanno di Zomi. Ti giuro che voleva essere un regalo.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Eustass Kidd, Sugar, Trafalgar Lamy, Violet
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Masticò un insulto insieme all’ultimo boccone di toast che aveva buttato giù con il bibitone a base di tuorlo d’uovo, la sua classica colazione a cui aggiungere una tazza di fumante caffè nero. C’erano tre cose che a Kidd servivano per poter iniziare la giornata con il piede giusto. Una colazione abbondante, una tazza di fumante caffè nero e una doccia.
Ora dal momento che colazione e caffè erano presenti, non risultava più di tanto complicato capire cosa avesse provocato quell’espressione verbale dei propri sentimenti, fenomeno tutt’altro che raro per lui ma che nell’ultimo periodo aveva subito un notevole incremento.
In generale, Eustass Kidd si riteneva una persona abbastanza equilibrata. Collerico certo, poco propenso alla diplomazia, era innegabile. Ma tutto sommato equilibrato, nel suo personale modo di esserlo. Si incazzava facilmente ma sapeva come camuffare una mazzata volontaria in una accidentale per evitare di dare il via ad una rissa, era competitivo ma anche quando giocavano male la sua prima preoccupazione era incitare i propri compagni, come ci si aspettava dal ruolo che ricopriva, sebbene forse con un linguaggio lievemente colorito.
Sì, Eustass Kidd era, nel complesso, una brava persona, con un passato discutibile e un’educazione non proprio da gentiluomo ma non aveva mai ucciso nessuno e sapeva essere disponibile, entro certi ben precisi limiti da lui accuratamente segnalati. Non era diventato capitano della squadra per un colpo di fortuna, se l’era meritato, e quando il coach li aveva informati che la loro scuola di pattinaggio artistico e hockey su ghiaccio aveva attivato un programma di scambio culturale e che, nei mesi a venire, chi fosse stato così gentile da rendersi disponibile, avrebbe ospitato pattinatori e giocatori di hockey provenienti dalle più disparate parti del mondo lui appunto non si era tirato indietro.
Col senno di poi, lo avrebbe fatto eccome.
A sua discolpa c’era da dire che si era aspettato una più oculata scelta da parte dei gestori del programma di scambio, nell’accoppiare ospite e anfitrione. Non aveva avuto dubbi sul fatto che, all’inizio, avrebbe comunque provato fastidio nel trovarsi il proprio personale spazio invaso da un estraneo ma si conosceva anche abbastanza da sapere che era solo questione di tempo prima di trovare un punto di incontro, verosimilmente l’aggancio dei joystick nella playstation, a cui si sarebbero sfondati di gare e sfide fino a notte fonda.
Sì, Kidd si era crogiolato in quella rosea illusione nei giorni precedenti la grande rivelazione su chi avrebbe vissuto sotto il suo stesso tetto per i dodici mesi successivi. E Kidd non era tipo da sognare ad occhi aperti ma quella volta l’aveva fatto, aveva dovuto farlo, in parte per autoconvincersi di non aver fatto una cazzata a rendersi disponibile, in parte per superare il trauma che gli aveva provocato Killer annunciandogli che anche lui si era iscritto al programma e per un anno se ne sarebbe andato in Canada. Così, senza nemmeno un po’ di preavviso per metabolizzare la notizia.
Il suo migliore amico lo mollava da solo e Kidd si era scoperto ad attendere quasi con trepidazione l’arrivo del suo ospite, attento ovviamente a non darlo a vedere.
Quanto era stato coglione.
Certo mai quanto i suoi compagni che avevano pure il coraggio di invidiarlo, quei deficienti. D’accordo, sapeva che sarebbe potuta andargli molto peggio. Come a Marco, per esempio, che, povero cristo, si era ritrovato in casa quel pazzoide con l’acconciatura da geisha e le mani troppo lunghe.
Se non altro però, Izou era, almeno anatomicamente parlando, un uomo. E al di là dell’inaspettato e destabilizzante dettaglio che non solo Marco sembrava quasi contento – per quanto lo desse a vedere – di essere stato accoppiato con Izou ma addirittura nell’ultimo periodo era così distratto che non si era neanche accorto di come Satch avesse preso a provarci con sua sorella in modo oscenamente plateale, questo significava che nel bagno di Marco nessun cassetto sarebbe stato obbligatoriamente sacrificato per riporci quegli strumenti ad alto rischio di contaminazione, conosciuti comunemente come assorbenti.
Purtroppo non si poteva dire lo stesso dei cassetti del suo bagno. O di quelli del bagno di Zoro.
Quale genere di momentaneo blackout avessero sperimentato le sinapsi di Kuzan quando aveva scelto le loro due ospiti, Kidd non era in grado di immaginarlo. Apparentemente c’era una spiegazione del perché il coach avesse avuto la geniale idea di appioppare due donne ai due soggetti più rozzi dell’intera scuola, e cioè entrambe parlavano poco – nel caso di quella di Zoro – o proprio niente – nel caso della sua – la lingua locale.
Ma se Zoro non aveva effettivamente problemi a conversare correntemente in giapponese con la Cocoyashi, per Kidd la faccenda si faceva più spinosa. Sì perché era vero che sua madre era russa, peccato che lui in russo sapesse dire solo “succo di mela”, oltre a un altro paio di convenevoli di circostanza, atti giusto a salvargli la vita in situazioni estreme.
Purtroppo, Reiju Vinsmoke per casa era una situazione estrema per far fronte alla quale non bastava una scarsa conoscenza del russo, dal momento che la creatura non era in grado di parlare o capire una parola che fosse una in una qualsiasi lingua diversa dal suo idioma natio. E dire che aveva l’aria tanto intelligente!
Certo non che a Zoro le cose andassero particolarmente bene solo perché riusciva a parlarci, con quella rossa viziata e autoritaria che, fosse capitata in casa a lui, non ne sarebbe uscita indenne nemmeno dopo un giorno, ma almeno Zoro poteva dirle cosa le era consentito fare e cosa no. E se lei non lo ascoltava – cosa che quanto pareva avveniva piuttosto di frequente – almeno ci poteva litigare. Se poi questo fosse di alcuna soddisfazione per Zoro, Kidd non lo sapeva ma era certo che fosse meglio che non poterci litigare affatto. Lui, a non poterci nemmeno litigare con Reiju, viveva ormai in uno stato di costante frustrazione, ecco cosa sapeva Kidd, e sapeva anche che Zoro da un paio di settimane non si lamentava più di Nami con la stessa frequenza di prima. Anzi non si lamentava più quasi per niente e aveva sempre quell’espressione rilassata, il bastardo…
Stava divagando di nuovo. Dov’era rimasto? Ah già, la frustrazione.
Ora, se doveva essere completamente onesto, non è che non potesse capire il punto di vista dei propri compagni di squadra. Reiju era innegabilmente bella. I grandi occhi blu, il ciuffo biondo fragola che le accarezzava gentile il lato del viso regolare e simmetrico, il corpo snello e, essendo l’atleta di punta della propria scuola di pattinaggio in Russia, così flessibile da avvelenare con la più selvaggia delle immaginazioni persino la mente dell’uomo più integerrimo, cosa che indubbiamente Kidd non era. Il fatto di non capire e non conoscere nemmeno una parola diversa dal russo le conferiva, poi, un’aria di vulnerabile innocenza, che, manco ce ne fosse stato bisogno, aggiungeva sensualità a badilate, e poco importava che fosse solo un’impressione dovuta alle circostanze.
Ma proprio per questo, definire una fortuna avercela in casa confermava solo quanto fossero effettivamente imbecilli i suoi compagni di squadra. Perché proprio il fatto di avercela in casa per un anno la rendeva assolutamente, del tutto, al cento per cento non-scopabile.
Perché a Kidd le donne piacevano, sì, ma all’incirca per le prime sei ore dal momento del primo approccio, che fosse uno scambio di battute o semplicemente di sguardi, per poi diventare intollerabili. L’unica eccezione che confermava la regola nella vita del rosso era la sorella di quel gatto attaccato alle balle, di cui apparentemente non era destinato a potersi liberare se non ponendo fine all’esistenza o dell’uno o dell’altro, e che, non contento di avergli reso l’adolescenza un inferno come vicino di casa, aveva pensato bene di diventare medico sportivo proprio della scuola di cui faceva parte la sua squadra. In altre parole era diventato ufficialmente il suo medico, senza possibilità di replica.
Ma Lamy era, appunto, un’eccezione e Reiju non aveva fatto altro che provare la sua teoria. Il primo pomeriggio insieme era andato, nel complesso, tutto liscio. Il fatto che lui e Reiju non riuscissero a comunicare inizialmente era sembrata addirittura una benedizione. Kidd le aveva offerto per tre volte del succo di mela in mancanza di altro lessico e aveva scoperto con sollievo di averne davvero una bottiglia a casa, avevano cenato senza imbarazzo, nonostante la totale assenza di chiacchiere, e poi messo su un dvd che avesse i sottotitoli in russo. E fin lì, nulla da eccepire.
Era stato circa a metà pellicola che le canoniche sei ore – compreso il tragitto dall’aeroporto a casa sua – erano scadute e, come da copione, avendo preso famigliarità con la casa, Reiju aveva iniziato a mettere le mani dove non doveva, prendersi libertà non previste e comportarsi, in generale, in modo intollerabile.
Il problema? A differenza di tutte le donne a cui Kidd aveva provato a dare una possibilità, sbagliando ogni volta, lei non poteva sbatterla fuori di casa. Con quel poco di pazienza di cui Madre Natura lo aveva distrattamente dotato, aveva provato a spiegarle cosa potesse e non potesse fare, sottolineando più volte che comunque non era necessario che facesse niente a livello di faccende domestiche, visto che Kidd nel proprio disordine ci viveva da sempre più che bene. Era andata a finire che Reiju aveva finito il succo di mela nell’arco della serata, probabilmente perché secondo una qualche tradizione russa a lui sconosciuta era maleducazione rifiutare un’offerta di chi ti ospita, Kidd il giorno successivo era andato bestemmiando a comprarne una quantità sufficiente da stipare un’intera anta della dispensa, con la sensazione che nei mesi a venire sarebbe scorso a fiumi, e Reiju aveva continuato a mettere le mani dove non doveva, combinando danni.
E quando un giorno Kidd non era riuscito a trovare la sua mazza da hockey portafortuna e avevano perso la partita, si era visto costretto a scegliere tra due sole alternative. Dire a Kuzan che ci aveva ripensato, far spostare Reiju in un’altra casa e chi se ne fregava se lì nessuno sarebbe stato in grado nemmeno di offrirle del succo di mela, oppure fare una cosa che mai, neppure in mille anni di vita, neppure sotto minaccia o in cambio di soldi, Eustass Kidd avrebbe fatto.
Prendere un dizionario di russo, chiedere un aiuto a sua madre per essere sicuro di non fare stronzate con l’alfabeto cirillico e stilare una lista di poche, semplici regole da appendere al frigo.
La scelta era ovvia, non c’era nemmeno da pensarci.
Certi giorni, quando si avvicinava all’elettrodomestico per tirare fuori le uova o concedersi una birra, Kidd si fermava a fissare il foglio che non sapeva leggere ma su cui ricordava a memoria cosa ci fosse scritto e si chiedeva quale genere di disagio mentale lo avesse mai colto. Perché mai si fosse dato tanta pena, a che scopo avesse sacrificato tutto quel tempo per fare una cosa tanto stupida. Un ictus forse.
A volte quasi cedeva alla tentazione di chiamare Law per chiedergli di fargli un check-up ma per fortuna rinsaviva sempre appena in tempo. Fatto sta che una risposta, intanto, non l’aveva ancora trovata.
Di certo non aveva a che fare con lei. Non era per come sgranava i suoi già giganteschi occhi blu quando lui si alterava e il pensiero che a qualcun altro quella visione non sarebbe bastata per farlo desistere nei suoi rimproveri, non era l’entusiasmo che trapelava dalla sua voce quando, tornata a casa dopo un allenamento, gli raccontava nel dettaglio chissà cosa, pur sapendo che lui tanto non ci capiva una mazza, e non era neppure il modo in cui sembrava esaltarsi ogni volta che c’era del cibo che poteva mangiare con le mani.
No. Non c’entrava niente. Non era l’aria da bambina che sembrava non avere avuto un’infanzia, da principessa cresciuta in una campana di vetro a cui quel viaggio oltreoceano aveva dato, per la prima volta in diciannove anni, la libertà, non era istinto di protezione verso di lei o verso la sua felicità.
Assolutamente, non l’aveva fatto per Reiju Vinsmoke. Se per qualcuno si era tanto impegnato, era stato per se stesso.
Perché, scoperta l’identità del suo ospite, tutti avevano dato per certo che non sarebbe durato più di due settimane e a Kidd non piaceva perdere. Certo ormai erano passati due mesi e mezzo, anche gettando la spugna non avrebbe comunque perso la scommessa. Ma Kidd aveva deciso che avrebbe resistito fino alla fine dell’anno e quindi avrebbe resistito fino alla fine dell’anno. Non avrebbe dato soddisfazione ai suoi compagni, non avrebbe fornito a Trafalgar-pezzo-di-merda-Law un valido motivo per deriderlo. Come se non ne trovasse già abbastanza da solo.
Ma per quanto non volesse dare soddisfazione ai suoi compagni e a quel cazzone di Law, per quanto volesse dimostrare di non essere prevedibile come loro lo dipingevano e forse, da qualche parte molto nel profondo, per quanto volesse dimostrare di essere migliore di quel che sembrava, quando era troppo era troppo. E per i suoi standard, aveva già superato se stesso nel portare pazienza.
«Reiju!!!»
Uscì dal bagno come una furia, tra le mani il gigantesco accappatoio giallo maculato a giraffa, regalo idiota di Killer, Heat e Wire. Era imbarazzante sì, ma era un bell’accappatoio, in microfibra di alta qualità, della misura giusta e, soprattutto, suo. Quello era il suo accappatoio e serviva a lui per potersi fare la sua meritata doccia mattutina ma quel concetto, evidentemente, non era destinato a passare neppure attraverso un foglio scritto e appeso in una zona della casa dove, per forza di cose, capitava spesso nel campo visivo. Da due mesi e mezzo, almeno due volte a settimana, Kidd si era visto costretto a rinunciare alla doccia o a doversi asciugare alla meno peggio con una spugna striminzita, senza potersi godere nemmeno cinque minuti con il manubrio al vento perché, a quanto pareva, anche se a Reiju sarebbe bastata la spugna striminzita per nascondere le nudità importanti da nascondere, lei preferiva il suo gigantesco accappatoio dentro cui ci sarebbe stata tranquillamente quattro volte e riusciva anche, probabilmente con un qualche genere di magia nera, a inzupparlo sempre tutto, dall’orlo al cappuccio.
Aveva fatto tutto quello che doveva. Glielo aveva spiegato, chiesto con relativa cortesia, imposto con la giusta autorità, aggiunto una regola ad hoc al foglio e, per finire, proprio il giorno prima, gettato ai porci l’orgoglio e chiesto a Lamy di accompagnarlo a scegliere un accappatoio in microfibra da regalare a Reiju.
Si era anche sforzato di non essere banale. Aveva scelto la linea butterfly nonostante costasse un po’ di più, aveva perso il suo prezioso tempo ad aspettare che quell’assatanata di Califa controllasse in magazzino se c’era la taglia giusta di quello viola con quella fantasia particolare sulle maniche, a cerchi concentrici pesca e gialli. Per l’amor del cielo, se l’era pure fatto incartare!
Gli era sembrato che le fosse piaciuto, certo difficile dirlo con lei. Aveva sgranato gli occhi con sincera sorpresa, non come quando le sbraitava addosso, lo aveva spacchettato con cura, quasi che tenesse persino alla carta regalo, e gli aveva sorriso con calore, sebbene a labbra rigorosamente strette e con quella punta di perenne superiore divertimento, che Kidd aveva ormai capito essere il suo modo di contenersi e non una tendenza intrinseca a prendere chiunque per il culo. Forse un po’ gli aveva bruciato. Forse, in fondo, in fondo, si era aspettato una reazione più esplosiva, più entusiasta, meno da lei. Ma lo sapeva, quello era un privilegio riservato alle lezioni con Monet, alla possibilità di andare a pattinare spensieratamente sulla pista di Piazza Gyoncorde senza doversi preoccupare una volta tanto di punteggi, penalità, sottigliezze tecniche, all’hamburger del Water Seven Grill che si concedevano un paio di volte al mese con mezza compagnia dell’Ice Village e che sicuramente, ormai Kidd ne era certo, aveva qualcosa a che fare con la parola “vkusno”.
E sì, Kidd poteva accettare che l’accappatoio che le aveva regalato, nonostante l’impegno che ci avesse messo, non fosse poi così vkusno come aveva pensato, poteva persino scendere a patti con se stesso e ammettere che, sì, ci era rimasto male. Ma non poteva tollerare che Reiju avesse usato ancora il suo. Okay, non le piaceva quello che le aveva comprato ma ciò non toglieva che ora ne aveva uno e questo significava niente più scuse accettabili che giustificassero il furto del suo accappatoio.
Entrò come un uragano nella sua camera da letto, senza nemmeno bussare. Reiju si voltò, quanto mai perplessa ma per nulla imbarazzata dal fatto di avere addosso solo i collant effetto nudo e il body intimo da allenamento color carne che, a una prima occhiata, la fece sembrare completamente nuda agli occhi di Kidd. Il sangue gli defluì tutto dal cervello al basso ventre e, per un attimo, si dimenticò perché avesse quasi scardinato la porta. Poi le mani si strinsero spasmodiche intorno a un indumento umido e tutto tornò chiaro e lucido nella sua testa, spedendo il perfetto corpo di Reiju, il modo adorabile in cui corrugava le sopracciglia, il vibrare sensuale della sua voce nel pronunciare parole incomprensibili, ma con la chiara intonazione di una domanda, e la grazia con cui il suo ciuffo oscillava al lato del viso mentre piegava il capo di lato con fare interrogativo, in secondo piano.
Con passo da kamikaze avanzò nella piccola stanza, l’accappatoio ormai uno straccio malmesso tra le sue mani. «Reiju! Cosa non ti è chiaro di “non devi usare il mio accappatoio”? L’ho scritto male per caso?! Ho dimenticato il “non”?! Provi un qualche piacere perverso a fare esattamente quello che ti si dice di non fare?!?» Kidd strinse più forte, cercando di sopprimere così l’impulso di tirare un cazzotto al muro, e per un attimo pensò di essersi insaccato le dita. «Cazzo!!! Cosa ti costava, cosa ci voleva a usare quello che ti ho comprato io, porca puttana?!? Mi spiace tanto se non è di tuo gradimento, se non ne ho scelto uno abbastanza “vkusno” per la principessa del ghiaccio ma, francamente, per me puoi essere la principessa del cazzo che ti pare!!! Questo non cambia che questo è mio e se vuoi rimanere in questa casa devi smettere di usarlo, chiaro?! Anzi, nuova regola! Se vuoi usare il mio fottuto accappatoio allora devi condividere anche la doccia con me, nello stesso momento! Ti piace come soluzione?!?!» ruggì tutto d’un fiato, prima di rendersi conto.
Reiju sgranò gli occhi. Kidd sgranò gli occhi.
Che cazzo aveva detto?!
Oh magnifico! Davvero magnifico! Era a quei livelli?! Era al punto da non riuscire nemmeno più, neppure incazzato com’era, a tenersi per sé la propria voglia di prenderla e farci l’am… sesso! Farci sesso! Solo del sano sesso e non sarebbe stato neanche un desiderio così incomprensibile o strano – dato che si trattava solo di sano sesso senza implicazioni – se solo Reiju non fosse stata già da tempo classificata come non-scopabile.
Non esisteva al mondo che Kidd potesse desiderare di fare l’amore con una ragazza che conosceva da più di un quarto di giornata.
Kidd sgranò ancora di più gli occhi.
Sesso! Sesso, sesso, solo sesso!
«Dannazione!»
Reiju sgranò ancora di più gli occhi. Kidd ammutolì.
Ora, c’era da dire che quando Kidd sbraitava contro di lei, Reiju sgranava sì i suoi immensi occhi blu ma non come un cerbiatto impaurito, come succedeva per esempio a Perona quando si agitava. Reiju sgranava gli occhi con indignazione, arcuava le sopracciglia, assumeva un’espressione di superiore impassibilità e lo superava a testa alta, in genere diretta alla porta. Di solito a quel punto, in un tentativo di fermarla, Kidd ravanava nel proprio cervello alla ricerca di qualcosa che sapesse dire in russo adatto alla situazione e, puntualmente, finivano in cucina a bere il succo di mela, non senza che Reiju, nel tornare sui propri passi, avesse schioccato la lingua per le maniere rozze di quel giocatore di hockey senza educazione.
Tutto considerato, avrebbe dovuto ringraziare di essere ancora viva, decidersi a imparare una volta per tutte come scusarsi in una lingua che Kidd potesse comprendere e scendere un po’ dal piedistallo ma invece no! Non fosse mai!
Anche quella volta, come tutte le altre volte, Reiju scosse appena il capo, squadrò le spalle, sollevò il mento e avanzò decisa per uscire dalla camera, chiaramente diretta alla porta d’ingresso. Quella volta, a differenza delle altre volte, Kidd ci mise un po’ di più a reagire, ancora sotto shock per le sue stesse parole, e quando si riscosse e la raggiunse veloce, Reiju aveva già indossato il trench rosso alizarina – una sfumatura di rosso che Kidd avrebbe continuato a ignorare senza problemi se il fottuto dottore non avesse sentito il bisogno di mostrare ancora una volta al mondo la propria saccenza. – , infilato gli stivali e stava aprendo la porta di casa, il borsone sulla spalla.
«Ehi!» la chiamò Kidd, di colpo agitato. Cosa voleva fare?! Andarsene in giro per l’Ice Village senza niente addosso?! «Ma che cazzo fai?! Reij…»
La porta sbatté con un tonfo e Kidd rimase perfettamente immobile a fissare l’uscio chiuso, incredulo.
Se ne voleva andare davvero in giro per l’Ice Village senza niente addosso?!?
Con un ultimo moto di rabbia, Kidd esalò un ringhio esasperato e appallottolò ancora di più l’accappatoio. Un buon inizio di giornata, non c’era che dire.
«Sai che c’è, principessa di sto cazzo? Arrangiati!»
 

 
§ 

 
«Sono tornato» annunciò con voce cavernosa, entrando in casa. Il rumore del borsone lanciato con violenza contro il muro dell’ingresso coprì l’imprecazione che lasciò subito dopo le sottili labbra scure di Kidd.
Che cazzo di abitudine gli era venuta di annunciare il proprio ritorno a casa, che non lo aveva mai nemmeno fatto quando Killer era ancora lì. Una volta, dopo allenamento, avevano passato l’intera serata entrambi a casa e se n’erano accorti a mezzanotte passata, quando si erano incrociati casualmente in cucina.
Per chi mai sentiva la necessità di avvisare?! Per una ragazzina viziata, senza rispetto e senso della privacy, così convinta che tutto le fosse dovuto che nemmeno si degnava di rispondergli.
Si bloccò con la giacca ancora infilata su un braccio, voltandosi sospettoso verso l’interno della casa. Perché non rispondeva?
Okay, era sicuramente arrabbiata per la lite di quella mattina, nessuno stupore che da brava donna matura e ragionevole qual era gli riservasse il trattamento del silenzio anche se aveva torto marcio e in generale, comunque, non era come se avesse mai risposto verbalmente.  Ma quando lui arrivava a casa e, puntualmente, con suo stesso fastidio, si premurava di farglielo sapere, Reiju trovava sempre il modo di ricambiare, che fosse apparire sulla porta del salotto o della cucina per omaggiarlo di un enigmatico sorriso o una risposta incomprensibile ma chiaramente contrariata se avevano discusso o, per finire, un generale sbattere di stoviglie, cassetti e ante nel caso in cui fosse stata incazzata nera e a ragione.
Persino Reiju Vinsmoke si rendeva conto, in fondo, quando aveva davvero il diritto di fare l’arrabbiata e quando era solo questione di preservare la propria dignità senza comunque oltrepassare il segno.
Ma in quel momento, la casa era silenziosa come non mai e un brivido freddo attraversò la schiena di Kidd.
«Sono tornato!» ritentò, attento a suonare burbero come sempre, il tono più alto e quasi interrogativo.
Niente. Niente di niente. Non un suono, nemmeno un lieve frusciare, neanche il cadenzato ritmo di un respiro regolare e addormentato, che avrebbe quantomeno indicato che Reiju era andata a dormire prestissimo pur di non doversi interfacciare con lui. Nessuna luce da sotto la porta della sua camera dove sarebbe potuta essere asserragliata a leggere pur di ignorarlo, nessun borsone sformata color albicocca accanto al posto per le scarpe, totalmente vuoto senza gli scarponcini che Kidd non aveva ancora sfilato, e nessun trench rosso alizarina appeso all’appendiabiti da muro.
Kidd rimase immobile ancora qualche secondo, fissando il gancio vuoto con sguardo momentaneamente stranito, mentre incastrava insieme tutte le informazioni. Poi in uno slancio d’urgenza, si finì di sfilare il giaccone imbottito borgogna e lo inchiodò alla bell’e meglio alla parete, prima di lanciarsi dentro casa con le scarpe ancora ai piedi.
«Reiju?»
Accese la luce in salotto con il passo già diretto verso le camere, spalancò la porta di entrambe, tornò in cucina, provò a bussare al bagno.
Niente.
Reiju non c’era.
E dove cazzo era?!
A quell’ora, che ormai iniziava a fare buio e va bene che l’Ice Village era “chiuso” e tutti conoscevano tutti, ma non era “chiuso chiuso”. Chiunque poteva entrare da fuori e una ragazza sola, che non sapeva nemmeno la lingua e praticamente nuda…
Kidd sgranò gli occhi con orrore al ricordo di come Reiju era uscita di casa quella mattina, si irrigidì e strinse i pugni, preventivamente già incazzato con chiunque avesse osato anche solo pensare di importunarla, in quella linea temporale o in qualsiasi altra, poi scosse il capo con violenza e grugnì a denti stretti.
Non erano affari suoi. Non gliene fregava un cazzo. Succedesse quello che doveva succedere, se l’era cercata e che s’arrangiasse una volta tanto.
Lui non avrebbe fatto nulla, non avrebbe cambiato i suoi piani per lei, avrebbe fatto quello che aveva sempre avuto in mente di fare, dritto per la sua strada, deciso e convinto e…
«Vaffanculo» tuonò a mezza voce mentre tornava verso la porta e sradicava il giubbotto dal muro. Non si preoccupò neppure di chiudere a chiave mentre si avviava per le fredde e famigliari strade dell’Ice Village.
Non aveva idea di dove partire con le ricerche ma sapeva benissimo da dove non partire. Mentre provava a chiamarla sul cellulare senza ottenere risposta, accogliendo ogni ingresso della segreteria russa con una mezza bestemmia, Kidd si allontanò senza pensarci due volte né colpo ferire dal settore dell’hockey.
Se fosse andata da qualcuno dei suoi compagni, lo avrebbero avvisato. Dovevano avvisarlo, se tenevano alla propria incolumità. A meno che non fosse capitata da qualcuno dell’Under 19. Quelli dell’Under 19 erano i peggiori, dei pervertiti senza vergogna, ma neppure loro erano tanto masochisti da rischiare di mettersi contro Eustass Kidd.
No, Kidd ne era certo, Reiju non era nel settore hockey e la cosa aveva solo senso. E ristretto il campo di ricerca era più facile immaginare dove trovarla. Da qualcuno che potesse capirla e non in senso metaforico ma proprio letterale, qualcuno con cui per forza di cose aveva dovuto trovare un modo per comunicare, un punto di incontro. Era logico, era la sua coach. Doveva essere da…
«Eustass-ya?»
Kidd rischiò di scivolare giù dai gradini del patio quando si ritrovò a fissare la fastidiosa espressione perplessa a sopracciglio alzato che, il cielo solo sapeva come, lui riusciva a far apparire perfettamente identica a quella scettica e Kidd, il cielo solo sapeva come, era in grado di distinguere. Ma non aveva tempo da perdere con certe domande esistenziali, non quella sera.
«Che cazzo ci fai qui?»
Ed ecco che l’espressione diventava scettica, restando perfettamente identica a quella di prima. «Ci vivo» lo freddò Law, quasi con sfida. Se stava cercando di insinuare qualcosa tra le righe, non era proprio in vena.
Kidd strabuzzò gli occhi. Si era perso qualcosa per caso?! Cosa voleva dire che ci viveva?! Che cazzo aveva combinato?!
«E perché cazzo vivi da Monet?!»
L’espressione di Law tornò perplessa e Kidd capì seriamente che qualcosa non tornava quando Law incrociò le braccia al petto e lo scrutò con attenzione nella penombra. «Stai bene?» gli chiese, sporgendosi appena verso di lui. «Zoro ti ha starnutito in faccia per caso?» sogghignò, mandando a puttane quel po’ di autocontrollo che ancora gli restava ma Kidd non riuscì a reagire come avrebbe normalmente reagito perché il suo cervello era troppo impegnato a cercare di capacitarsi del fatto che, sovrappensiero, fosse andato diretto a bussare a Law, senza nemmeno accorgersi che aveva sbagliato casa.
Insomma, non capiva cosa gli prendesse. Non era come se Law fosse il suo fottuto punto di riferimento da quando Killer era partito e non era nemmeno come se fosse stato così preoccupato per Reiju da giustificare una simile reazione.
Non lo era. Assolutamente non lo era! Né l’uno, né l’altro!
E comunque foss’anche stato, ora che a lui il malinteso era chiaro bastava girare i tacchi, attraversare la strada e bussare alla casa giusta. E non gli avrebbe di certo augurato una buona serata, al fottuto bastardo.
«E comunque cosa fai in questa zona a quest’ora? Monet e Gladius ti hanno invitato a cena?»
«Sto cercando Reiju»
E che cazzo però!
Questa volta Kidd riuscì almeno a restare impassibile, mentre incassava con sempre meno tolleranza il secondo ghigno della serata del proprio peggiore amico. «L’hai persa?»
Le dita di Kidd scattarono, chiudendosi a pugno contro i palmi. «Senti Trafalgar…»
«È da Viola!» esclamò una voce da dentro casa, cancellando istantaneamente il sorriso dalla faccia di Law e disegnandone uno su quella di Kidd. «E tu schiodati dal tuo quarto d’ora di autoerotismo umorale e vieni ad aiutarmi che è quasi pronto. Sabo e Ishley saranno qui a minuti» lo ammonì Koala, spuntando sulla porta accanto a lui e dandogli una sonora e soddisfatta pacca sul sedere.
Law non si mosse di un millimetro, girando piano il capo per guardarla, trenta centimetri più in basso. «Come fai a sapere che è da Viola?»
«Perché ho installato delle cimici nelle case di tutti e la stanza nello scantinato dove non ti lascio mai entrare è una sala di videosorveglianza» mormorò con tono cospiratore, prima di tendersi sulle punte e fino allo spasimo per schioccargli un bacio sul mento. «Sugar era da Viola quando Reiju è arrivata e ha avvisato Lamy che me lo ha detto prima quando ci siamo sentite su Whatsapp» spiegò semplicemente, un secondo prima di ritrovarsi stritolata in un abbraccio un filo troppo possente per la sua minuta stazza, non avesse avuto un fisico abbastanza allenato per sopportarlo comunque.
«Eustass-ya!» scattò Law, l’omicidio negli occhi. Si sentì tirare in avanti e non oppose resistenza quando Kidd, mollata finalmente Koala, lo afferrò per il davanti della felpa e avvicinò il proprio volto al suo.
«Non te la meriti, cazzone. Spero che tu lo sappia» soffiò con soddisfazione prima di mollare pure lui, scendere di corsa le scale del patio e riprendere la via a passo sostenuto, diretto al civico 26. Ci arrivò di fronte quasi correndo, se ne rese conto solo quando realizzò di aver frenato di colpo e si avvicinò sovrastando il povero e innocente uscio.
Per un attimo soltanto, in un ritorno di lucidità, Kidd si chiese nuovamente cosa stesse facendo, considerò di lasciar perdere e tornarsene a casa, tanto ormai sapeva che Reiju era al sicuro, era altamente probabile che avrebbe dormito lì da Viola e quindi non si sarebbe dovuto nemmeno preoccupare del pensiero di lei che riattraversava l’Ice Village da sola, a chissà che ora di notte. Sì, tutto sommato era molto meglio limitare i danni per la propria reputazione, che già con Law e Koala aveva subito un duro colpo. In fondo non era come se sentisse la mancanza di Reiju o non lo allettasse l’idea di passare la serata finalmente da solo, in totale tranquillità, senza nessuno, ma proprio nessuno, a rompergli i coglioni.
Anzi, lo allettava quella prospettiva, lo allettava eccome, lo allettava così tanto che alzò il braccio e picchiò per tre volte il pugno sulla porta, rischiando di scardinarla e non passarono neppure cinque secondi che un’ombra oscurò minacciosa la luce che filtrava dalla fessura in basso.
Kidd squadrò le spalle e sollevò il mento mentre l’uscio si apriva con lentezza esasperante, fino a rivelare la procace figura di una ragazza mora e dagli occhi ambrati, la cui espressione sempre fiera si trasformò in qualcosa di molto simile al disgusto quando lo mise a fuoco.
«Oh» mormorò con un che di deluso. Chi cazzo si aspettava, il principe azzurro? «Ecco il gentiluomo»
Kidd si concesse un attimo soltanto di vago e infastidito stupore per poi aprire bocca con l’intenzione di risponderle di abbassare un po’ la cresta e imparare lei le buone maniere prima di rompere i coglioni agli altri al riguardo. Intenzione che però rimase tale quando ai lati di Viola si accostarono altre due figure.
Una più slanciata e filiforme, l’altra più tonica e compatta. Una dai capelli verdi e lo sguardo di fuoco, l’altra castana e dagli occhi dolci ma penetranti. Una campionessa indiscussa di pattinaggio di velocità della categoria juniores, l’altra il suo orgoglio, la migliore giocatrice di hockey della squadra femminile dopo Halta. Nessuna delle tre comunque da fare incazzare e tutte tre assai poco propense a schierarsi con lui.
Spostò lo sguardo da Viola a Sugar a Lamy e fu quando incrociò quello di sua sorella acquisita che capì. Lamy scosse il capo, sconsolata.
Ora iniziavano i veri cazzi.
   
   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 Angolo dell'autrice: 
Buongiorno a tutti! 
Sì, eccomi con un altro parto della mia mente disagiata, che doveva essere una OS ed è diventata una short-long di due capitoli per lei, la sola, inimitabile e insostituibile Zomi! Tesoro, io spero che ti piaccia almeno un po' e di non averli del tutto rovinati. Ti prego non odiarmi! 
Buon compleanno e grazie davvero per tutto! 
Un bacione. 
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