★ Iniziativa: Questa storia partecipa al
“Flu&Fluff” a cura di Fanwriter.it!
★ Numero Parole: 3180
★ Prompt/Traccia: 9. “Non mi ammalo mai!” le ultime
parole famose di A.
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In altre città, le strade
sono ricoperte dai toni caldi del giallo, arancione e marrone.
In altre città, un secco fruscio accompagna i cittadini,
passo dopo passo, fino alla loro meta. In altre città,
camminare tra i viali alberati, che lentamente si spogliano per il
cambio d’abito, lascia un gusto nostalgico
dell’estate.
Furano non era le altre città.
Non godeva della vista di foglie di ginkgo piovere dolcemente dai rami,
né di quell’aria ancora caldiccia che rimembrava
il calore di un raggio di sole.
A Furano il sole faticava addirittura a fare capolino tra i nuvoloni
sempre grigi, era difficile che scaldasse pure. Gli alberi, oltre a
indossare quei kimono innevati, tra un po’ si sarebbero fatti
crescere baffi e barbe trasparenti e appuntite. Le strade erano sempre
più bianche; erano come un bambino che non voleva uscire
dalle coperte, che se le teneva strette strette sopra la testa. Le
calzemaglie e i calzini erano perennemente umidicci, i nasi arrossati
erano un must e
il vento freddo tintinnava di continuo una melodia di vetro, tra le
campanelle poste fuori dalle finestre ghiacciate.
Sì, a Furano era decisamente arrivato l’inverno;
con un anticipo più largo del solito.
La
prima nevicata fu una spruzzatina da niente. Giusto qualche centimetro
da spazzare via dai propri vialetti e campi; ma nel giro di due
settimane, la città era già piombata in quella
fredda tenaglia che li avrebbe accompagnati fino ad aprile.
***
Espirò una nuvoletta.
Per Yoshiko non era assolutamente una novità spalare la neve
dal campo, indossare di continuo i guanti e sentirsi qualche brivido
scendere lungo la schiena. Lo faceva con piacere. In fondo, aveva
scelto lei di fare la manager del club di calcio.
Il
motivo della sua rassegnazione era vedere - di nuovo - il capitano che
si allenava senza sosta.
Non che anche quella fosse una novità: lo ammirava per
l’impegno con cui si dedicava alla sua grande passione, il
calcio. Tuttavia, stava iniziando a credere che stesse esagerando. Lei
arrivava a scuola alle sei e lui era già lì, a
calciare palloni. S’era fatta l’idea che Matsuyama
si fosse portato un sacco a pelo a scuola e che dormisse giusto un paio
d’ore nella stanza del club.
Ecco, quell’idea sì che la faceva rabbrividire!
Assieme a quel leggero, impercettibile palpito che perdeva ogni volta
che il ragazzo tirava in porta. Quel bagliore di felicità
nei suoi occhi, le faceva spuntare un sorriso. Era una gioia
coinvolgente. E quell’ombra di instancabile determinazione
— la trovava irresistibile.
Forse erano quelli i motivi per cui restava a osservarlo rapita.
Non fiatava.
Aspettava
che lui sgusciasse fuori dalla sua concentrazione di ferro. In quel
momento, l’avrebbe salutata; e lei gli avrebbe passato un
asciugamano e (forse) convinto a fare una pausa.
Era sempre così. Appena vedeva il viso di Matsuyama sudare
troppo o che gli stava venendo il fiatone, preparava la borraccia e
l’asciugamano da portargli. Eppure c’era qualcosa
che stonava nei colori del suo viso: quelle gote, così
rosse, non erano tipiche di lui.
Yoshiko si toccò le guance d’istinto. Le
sfregò leggermente — un’illuminazione. Sciarpa
alla mano e si mise subito a correre verso il suo capitano.
“F-Fujisawa, buong-!!”
“Ti prenderai un malanno così!”
esclamò la manager, senza neanche ricambiare. Lo avvolse
nella lana rossa, senza pensarci due volte — per poi ritirare
le mani di scatto. Matsuyama rise.
“Non ti preoccupare! In tanti anni di calcio, non mi sono mai
ammalato!”
Tuttavia, quelle parole non la tranquilizzarono. Neanche quando il
capitano le posò la mano sulla spalla. L’agitazione
aumentò. E avrebbe avuto ragione: se non fosse stata coperta
da quel giaccone pesante, avrebbe percepito che le mani di Matsuyama
erano decisamente troppo calde.
***
Non arrivò nemmeno alla
quinta ora.
Tra i pensieri martellanti, gli allenamenti distruttivi e i compiti di
matematica noiosi, Hikaru Matsuyama finì per accasciarsi sul
proprio banco al suono della campanella.
Forse svegliarsi alle quattro e mezza non era stata una buona idea.
Forse neanche allenarsi il doppio lo era... ma non aveva altra scelta.
Era privo del talento di Oozora o Hyuga. Lo sapeva. Doveva perseverare.
L’unico modo per sopperire a quella mancanza, era affinare le
proprie capacità con la costanza.
Aveva
deciso così, ma— sentiva le ginocchia urlare
pietà, nonostante fosse seduto.
Dolore.
Era di quello che erano fatte le lance con cui si sentiva perforare le
cosce; ma avrebbe potuto sopportarlo benissimo, quel dolore. Quello che
non avrebbe mai sopportato invece, era il caldo. Ne percepiva
così tanto, che credeva di stare dentro un forno, invece che
in classe. La schiena gli stava per andare in fiamme. Il male che
sentiva alle spalle era come un enorme masso: lo stava schiacciando.
Stava per cadere nel sonno.
Non
doveva addormentarsi.
Non doveva addormentar-
Non doveva ad-
“Matsuyama!”
“S-sì?!”
“Ti annoi così tanto? Vieni qui a risolvere questo
problema!”
Il ragazzo non provò nemmeno a protestare. Si
alzò pigramente dalla sedia; con la lentezza di un bradipo,
passò giusto oltre a Kazumasa — e svenne.
***
“E dire che tu
gliel’avevi pure detto che si sarebbe ammalato!”
Le due amiche stavano arrancando l’una affianco
all’altra, cercando di prendere la strada meno scivolosa
verso la loro meta. Tenevano entrambe le sciarpe alte, usandole come
barriera contro il freddo. “Quel ragazzo
dovrebbe imparare ad ascoltarti, Yoshiko!”
sbuffò Machiko, pulendo gli occhiali annebbiati.
“Non dire così...”
“Lo sai che ho ragione.”
“Anche se fosse, si sta impegnando così tanto! Non
me la sento di fargliene una colpa...”
“Ma non lo sto colpevolizzando... Solo che è tutto
inutile, se poi si ammala.”
“Hai ragione anche su questo.”
“E non dovrebbe comunque farti preoccupare.”
La manager dai capelli corti rise di gusto. L’espressione di
finta severità accompagnata dalla voce indignata, la faceva
divertire. Camminarono ancora per un poco, rischiando di scivolare su un paio di lastre
ghiacciate lungo il percorso, ma alla fine arrivarono a destinazione.
“N-non sali con me?” chiese Yoshiko, vedendo che
Machiko le stava lasciando il pacchettino.
“Cosa? No, me ne torno al campo. Li conosci Kazumasa e
compagnia... Quando non c’è il capitano attorno,
bisogna che qualcuno li metta in riga!” replicò
dittatoriale la manager occhialuta. “E poi, non vorrei
rovinare il tuo momento da sola con Matsuyama.”
Yoshiko divenne paonazza fino alla punta delle orecchie.
Mormorò qualche protesta sotto la sciarpa, ma
l’amica non la sentì. La salutò,
lasciandola sola nelle grinfie del campanello.
I suoi occhi fissavano un kanji, poi l’altro. Diede
un’occhiata a ciò che c’era oltre al
cancello.
Una piccola casa. In legno e pietra, tetto innevato, piccolo cortile annesso, a
due piani. Niente di speciale. Tuttavia, per qualche ragione, il suo
cuore batteva più del dovuto. Non sapeva più dove
e cosa guardare; le proprie scarpe, il giardino con le piante spoglie,
il cancello di ghiaccio color carbone, il campanello maledetto, il
lampione — che l’avrebbe condotta sulla strada del
ritorno.
Gli occhi vagarono verso l’orizzonte. Poi in alto, al cielo
dalle tinte pastello — per posarsi infine sulla finestra del
primo piano. Non sapeva neanche se quella fosse la camera del capitano,
ma sperava che desse un qualche segno di vita.
— Nulla.
Pensò che magari dormisse. Sì, non le
avrebbe risposto. Si passò nervosamente le dita tra le
ciocche dei capelli.
Aveva fatto un viaggio inutile. Cosa gli avrebbe detto, poi? Oltre a
dargli gli appunti, ovviamente — Il sacchettino
dondolò. Lo riprese tra le mani e se lo rigirò
con cautela. Non poteva di certo gettare al vento tutti gli sforzi
fatti per arrivare fin lì!
“Forza, Yoshiko!”
Il suo dito si schiantò sul campanello. Quando
s’accorse della forza con cui lo premette, lo levò
subito. Lo nascose in tasca, arrossendo.
E passò mezzo minuto.
Uno intero.
Due.
Nessuna risposta.
“Probabilmente
sta riposando...”
Sospirò. Era meglio così. Almeno aveva la
certezza che si stesse riprendendo. A capo chino, fece per alzare i
tacchi — “Yoshiko, sei proprio tu?!”
— ma un urlo le fece alzare lo sguardo; finestra a destra,
primo piano.
“S-sì... Aspettavi qualcun altro?”
gridò, temendo che la sua voce fosse troppo flebile per
essere sentita.
“Eh??” ci mise un po’ a capire cosa gli
aveva detto. “Ah, no! È che ogni tanto la febbre
mi gioca brutti scherzi. Scusami! Ti apro subito!”
Un sorriso le illuminò il volto. Aveva ancora la voce un po’ rauca, ma almeno sembrava il
solito pimpante Matsuyama di sempre. Si sentì sollevata.
“E-entra o prenderai freddo!” la incitò
il ragazzo, sull’uscio della porta.
“Con permesso...” mormorò la ragazza,
togliendosi le scarpe con esitazione. Il capitano le porse un paio di
ciabatte. Le indossò senza alzare gli occhi neanche una
volta; non che i suoi piedi chiusi fossero interessanti, ma sentiva che
se avesse incrociato lo sguardo del capitano, le sarebbe esploso il
cuore.
Rimasero in silenzio per alcuni istanti.
“Tanto tu non ti ammali mai, eh?”
mormorò timidamente la manager.
Non era una frase ben contestualizzata, ma era ottima per rompere il
ghiaccio. Non poteva più vantarsene con lei.
“Eddai, mi prendi in giro?” chiese Matsuyama,
ridendo.
“Come ti senti?” chiese con una nota di
preoccupazione nella voce. Nel mentre, seguì il gesto
impacciato del ragazzo nel farla accomodare in salotto. “Sono
quasi due settimane che non vieni a scuola...”
continuò, sedendosi sul divano con l’amico.
“La febbre è calata, ma mia madre mi tiene
rinchiuso fino a lunedì.”
“Fa bene, non vuole che rischi una ricaduta...”
Lui annuì vagamente, alzandosi. “Vuoi qualcosa da
bere?” chiese pensieroso, aprendo il frigo. Poi si mise a
cercare qualcosa nel lavabo. “Un
tè?”
Yoshiko sorrise caldamente. Lo vedeva confuso, le guance un
po’ imporporate. Forse era un residuo di febbriciattola. Si
alzò per dargli una mano.
“Dove sono i filtri?”
“Ah... nella credenza in alto a destra.”
La manager mise una mano sulla maniglia e appoggiò
l’altra sull’anta, aprendola. Si alzò
sulle punte. Prese la scatola gialla posta sul fondo, ne
tirò fuori due filtrini e guardò un attimo il
piano, in cerca delle tazze. Le trovò vicino ai bicchieri
asciutti. Le girò, vi mise dentro le bustine del
tè e le sue dita - quelle dita così fini, che
ogni giorno maneggiavano palloni, asciugamani e attrezzatura varia, al
punto di essere spesso screpolate - fecero fare al filo un giro attorno
al manico di ogni tazza.
Hikaru rimase rapito dall’eleganza e dalla confidenza nei suoi movimenti.
L’avrebbe guardata per ore, mentre si muoveva come se fosse a casa sua.
“Posso preparatelo io?”
La domanda spezzo quella sorta di incantesimo.
“Dovrei essere io a-”
“Insisto.” disse, togliendogli dolcemente il
bollitore dalle mani. “Sei ancora in
convalescenza.” Per un attimo, sfiorò le dita
calde del ragazzo. Sussultò. “Hai freddo? Stai
tremando!”
“Eh?” Matsuyama cadde dalle nuvole.
Quella luce di naturale preoccupazione negli occhi di Fujisawa... lo
rendeva felice, invece di mortificarlo. Sentiva il cuore venir avvolto
da un caldo abbraccio. Era un sentimento confuso.
Un brivido gli percorse la schiena. Non capì se fosse per il
freddo o se era la mano di Yoshiko poggiata sulla fronte a fargli
quell’effetto. Non riusciva a concentrarsi abbastanza; non la
ascoltava. Adorava sentire la sua timida voce, ma in quel momento si
sentiva come rinchiuso in una bolla, riempita con della nebbia.
Febbricitante.
O forse eccitante si
avvicinava di più alla sensazione che provava.
La ragazza era vicina abbastanza da fargli sentire il suo respiro. Era
caldo. Irregolare. Intervallato da parole come
‘febbre’ e ‘malattia’ e
‘riposo’ e altre. Le sue labbra sottili restavano
socchiuse alla fine di ogni frase. Aspettavano una risposta.
S’avvicinarono.
Lo tentavano — molto.
Insiprò un po’ di quell’aria vaporosa
che si era creata fra i due. Matsuyama inclinò un
po’ la testa e — FIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!
In un battito di ciglia, vide Yoshiko quasi saltare indietro. Il
fischio del bollitore aveva infranto quel momento sospeso nel... “Nel?”
il
ragazzo si portò una mano sulla fronte, abbassando gli
occhi. “Cos’è
questa sensazione?”
“Scusa!” esclamò d’un tratto
la manager. Aveva uno sguardo mortificato, come se si sentisse di
troppo.
“N-no... Scusami tu, ho la testa un po’ tra le
nuvole.”
“Si vede che non ti sei ripreso del tutto...
Perché non vai in camera a riposare? Ti porto il
tè assieme agli appunti, d’accordo?”
***
Clack—
la porta si aprì.
“Come ti senti?” chiese la ragazza entrando col
vassoio in mano.
“Devo essere ancora un po’ intontito per via delle
medicine.” rispose il capitano, mettendosi seduto.
Seguì Yoshiko con lo sguardo, mentre appoggiava il tutto sul
comodino e gli porse la sua tazza. Ringraziò prontamente,
ripensando che in salotto probabilmente aveva fatto la figura del pesce
lesso. Sorseggiò un po’ della bevanda calda, ma
notò che la manager lo fissava preoccupata.
“Che c’è?”
“S-scusami... Non ti ho chiesto neanche se lo volessi al
limone! Ho-ho fatto come se fossi a casa mia e—”
“Ma tu puoi fare come se fossi a casa tua,
Fujisawa.” Quelle parole gli uscirono con una naturalezza
incredibile. E per qualche ragione, Matsuyama non ne era sorpreso. Lo
pensava davvero.
Yoshiko arrossì. Non era inusuale per il capitano essere
gentile col prossimo. Rimase in silenzio, in bilico tra la lusinga e
l’imbarazzo.
“E poi il tè al limone è il mio
preferito.” continuò Matsuyama.
“Davvero?”
“Certo! E con questo dolce ci sta molto bene!”
Indicò con la forchetta il tortino al cioccolato.
“L-l’ho fatto con Machiko durante economia
domestica.” Ommise che era un regalo preparato appositamente
per lui.
“Dici che si offende se lo finisco?”
La brunetta scosse la testa.
“M-ma no! Dice che per la squadra era troppo piccolo e
sarebbe andato sprecato...”
Notò che Matsuyama cambiò subito espressione.
Aveva una smorfia a metà tra il serio e il divertito. Si
radrizzò. “Avrà detto qualcosa tipo:
“Qualcuno deve pur star dietro a Kazumasa e gli
altri!”- borbottava con voce stridula, muovendo la
forchettina in modo minaccioso - “... mi dispiace che i
ragazzi diano sempre problemi.” finì, riprendendo
il suo solito atteggiamento composto.
Scrutò il viso di Yoshiko, che stava cercando di trattenersi
dal ridere. Aveva le guance gonfie, un po’ arrossite.
Scoppiò. Aveva una risata piena, gioiosa.
“Non dirlo nemmeno... Non sarebbe divertente se fosse sempre
tutto tranquillo.”
Matsuyama si sentiva felice.
Quel sorriso radioso lo
rendeva felice.
Era tutto così piacevole. Quotidiano. Gli sembrava
che al posto di prender medicine, dovesse scappare a scuola e
ricominciare a inebriarsi di quel semplici momenti che viveva assieme
alla sua squadra.
“A proposito... come se la stanno cavando?”
“Molto bene...” rispose Yoshiko, sorseggiando il
tè. Raccontò un po’ di aneddoti, dai
battibecchi tipici tra Kazumasa e Machiko ai messaggi che i compagni le
avevano detto di portare al capitano. Erano perlopiù auguri
di pronta guarigione. “Si stanno impegnando molto. Sono
sicura che quest’anno riuscirete a vincere i
nazionali.”
“Sarebbe un sogno...” mormorò Matsuyama,
fissando il paesaggio grigiastro fuori dalla finestra. “Ma si
può realizzare!”
Il voltò che mostrò a Yoshiko era carico di
risolutezza.
“Sì, lo è.”
confermò la ragazza con un sorriso affettuoso.
***
Era sparita per un po’.
L’aveva lasciato in balia dei compiti di matematica e
inglese, mentre lavava le tazze al piano di sotto. Tutte quelle
equazioni e parole straniere non facevano che assonnare Matsuyama. Lo
studio non era proprio il suo forte. Si stava impegnando solo
perché la
sua Fujisawa
si era premurata di portargli gli appunti. Comunque doveva distrarsi
dal pensiero che erano quasi due settimane che non s’allenava.
Un incubo. Se ne tornò con la testa sui libri.
Non sentì nemmeno Fujisawa rientrare in camera. La
notò solo quando si sedette a bordo del letto.
“Tutto a posto?” chiese Yoshiko.
“Sì, è solo un po’ di
noia.”
La manager si fece scappare una leggera risatina. Poi si
alzò, attirando lo sguardo curioso del ragazzo.
“Io comunque dovrei andare...”
“Di già?” Matsuyama
scosse la testa. “Mi dispiace d’averti trattenuta
così a lungo.”
Un sorriso rassicurante si dipinse sul volto di Yoshiko. “Non
dirlo nemmeno.”
Prese il suo cappotto dalla sedia. “L’azzurro
le dona.” Lo
indossò, dando le spalle al capitano, che la osservava
attento. “Forse
dovrei dirglielo.” Aveva
trovato un impiccio in una manica: era la sciarpa. “Ah,
e io che pensavo di non avergliela restituita.” Chiuse
gli alamari del montgomery e si avvolse nella lana rossa.
S’infilò i caldi guanti rosa con un gesto
raffinato.
Afferrò la cartella.
Hikaru lo interpretò come un segnale. Scattò dal
letto.
“Allora io v— Che fai?!” Yoshiko non
credeva che, voltatasi per salutare, si sarebbe ritrovata il capitano
in piedi, già in ciabatte e a un passo da lei.
“Voglio accompagnarti alla porta.”
La manager scosse la testa energicamente.
“Ma no...” e prese a spingerlo dolcemente sul
letto. Gli fece perdere qualche battito. “Devi rimetterti
presto, capitano.”
Hikaru la fissò per un attimo, colpito. Cercò di
protestare, ma la ragazza non gli lascava scelta. Non ci mise una
particolare forza, ma le sue mani guantate erano rimaste sulle spalle
di Matsuyama e non gli avrebbero permesso di alzarsi. La sua
esperessione era severa.
Sbuffò. Rassegnato, se ne tornò sotto le coperte.
“Grazie.
Sei sempre molto premurosa... Yoshiko.” sussurrò
il suo nome, quasi avesse paura di farla scappare. Ma non riusciva a
trattenersi.
Fujisawa sgranò gli occhi. Divenne rossa come un peperone.
Il capitano non l’aveva mai chiamata per nome. Mai.
“C-c-ci vediamo a scuola.” e prese
la porta, quasi correndo via.
Sul
volto di Matsuyama si dipinse un sorriso amarognolo. L’aveva
davvero fatta fuggire, però — qualcosa
sgorgava dal suo cuore. E necessitava di un nome. Un bel nome.
Sussurrato.
“Yoshiko.”
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N.A.: Ciao! Scusate
se la storiella è un po' quel che è (fluffosa, ma
senza grandi pretese)... Speravo da un po' di poter scrivere qualcosa
su questa ship e questo contest me ne ha dato l'occasione ♥
Matsuyama mi sembra uscito OOC (più che altro mi
è difficile riprendere il suo atteggiamento che oscilla tra
il calmo e il determinato), ma diciamo che forse è per
l'inibizione della febbre. Spero che nonostante tutto (è una
fic inconcludente e neanche tanto originale), vi sia piaciuta!^^