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Autore: Symphonia    11/02/2018    8 recensioni
A Furano è iniziata la stagione fredda e Yoshiko si preoccupa che Matsuyama stia esagerando con gli allenamenti.
“Non ti preoccupare! In tanti anni di calcio, non mi sono mai ammalato!”. E fu con queste parole, che il capitano restò a letto con la febbre a quaranta.
[ Fluff, HurtComfort | Hikaru/Yoshiko | precampionato nazionale delle medie | Questa storia partecipa al “Flu&Fluff” a cura di Fanwriter.it! | Parole: 3180 ]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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yoshiko

    ★ Iniziativa: Questa storia partecipa al “Flu&Fluff” a cura di Fanwriter.it!
    ★ Numero Parole: 3180
    ★ Prompt/Traccia: 9. “Non mi ammalo mai!” le ultime parole famose di A.

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        In altre città, le strade sono ricoperte dai toni caldi del giallo, arancione e marrone.
    In altre città, un secco fruscio accompagna i cittadini, passo dopo passo, fino alla loro meta. In altre città, camminare tra i viali alberati, che lentamente si spogliano per il cambio d’abito, lascia un gusto nostalgico dell’estate.
    Furano non era le altre città.
    Non godeva della vista di foglie di ginkgo piovere dolcemente dai rami, né di quell’aria ancora caldiccia che rimembrava il calore di un raggio di sole.
    A Furano il sole faticava addirittura a fare capolino tra i nuvoloni sempre grigi, era difficile che scaldasse pure. Gli alberi, oltre a indossare quei kimono innevati, tra un po’ si sarebbero fatti crescere baffi e barbe trasparenti e appuntite. Le strade erano sempre più bianche; erano come un bambino che non voleva uscire dalle coperte, che se le teneva strette strette sopra la testa. Le calzemaglie e i calzini erano perennemente umidicci, i nasi arrossati erano un must e il vento freddo tintinnava di continuo una melodia di vetro, tra le campanelle poste fuori dalle finestre ghiacciate.
    Sì, a Furano era decisamente arrivato l’inverno; con un anticipo più largo del solito.
La prima nevicata fu una spruzzatina da niente. Giusto qualche centimetro da spazzare via dai propri vialetti e campi; ma nel giro di due settimane, la città era già piombata in quella fredda tenaglia che li avrebbe accompagnati fino ad aprile.

 

***


        Espirò una nuvoletta.
    Per Yoshiko non era assolutamente una novità spalare la neve dal campo, indossare di continuo i guanti e sentirsi qualche brivido scendere lungo la schiena. Lo faceva con piacere. In fondo, aveva scelto lei di fare la manager del club di calcio.
Il motivo della sua rassegnazione era vedere - di nuovo - il capitano che si allenava senza sosta.
    Non che anche quella fosse una novità: lo ammirava per l’impegno con cui si dedicava alla sua grande passione, il calcio. Tuttavia, stava iniziando a credere che stesse esagerando. Lei arrivava a scuola alle sei e lui era già lì, a calciare palloni. S’era fatta l’idea che Matsuyama si fosse portato un sacco a pelo a scuola e che dormisse giusto un paio d’ore nella stanza del club.
    Ecco, quell’idea sì che la faceva rabbrividire! Assieme a quel leggero, impercettibile palpito che perdeva ogni volta che il ragazzo tirava in porta. Quel bagliore di felicità nei suoi occhi, le faceva spuntare un sorriso. Era una gioia coinvolgente. E quell’ombra di instancabile determinazione — la trovava irresistibile.
    Forse erano quelli i motivi per cui restava a osservarlo rapita.

    Non fiatava.

Aspettava che lui sgusciasse fuori dalla sua concentrazione di ferro. In quel momento, l’avrebbe salutata; e lei gli avrebbe passato un asciugamano e (forse) convinto a fare una pausa.
    Era sempre così. Appena vedeva il viso di Matsuyama sudare troppo o che gli stava venendo il fiatone, preparava la borraccia e l’asciugamano da portargli. Eppure c’era qualcosa che stonava nei colori del suo viso: quelle gote, così rosse, non erano tipiche di lui.
    Yoshiko si toccò le guance d’istinto. Le sfregò leggermente — un’illuminazione. Sciarpa alla mano e si mise subito a correre verso il suo capitano.
    “F-Fujisawa, buong-!!”
    “Ti prenderai un malanno così!” esclamò la manager, senza neanche ricambiare. Lo avvolse nella lana rossa, senza pensarci due volte — per poi ritirare le mani di scatto. Matsuyama rise.
    “Non ti preoccupare! In tanti anni di calcio, non mi sono mai ammalato!”
    Tuttavia, quelle parole non la tranquilizzarono. Neanche quando il capitano le posò la mano sulla spalla. L’agitazione aumentò. E avrebbe avuto ragione: se non fosse stata coperta da quel giaccone pesante, avrebbe percepito che le mani di Matsuyama erano decisamente troppo calde.

 

***

 

        Non arrivò nemmeno alla quinta ora.
    Tra i pensieri martellanti, gli allenamenti distruttivi e i compiti di matematica noiosi, Hikaru Matsuyama finì per accasciarsi sul proprio banco al suono della campanella.
    Forse svegliarsi alle quattro e mezza non era stata una buona idea. Forse neanche allenarsi il doppio lo era... ma non aveva altra scelta. Era privo del talento di Oozora o Hyuga. Lo sapeva. Doveva perseverare. L’unico modo per sopperire a quella mancanza, era affinare le proprie capacità con la costanza.
Aveva deciso così, ma— sentiva le ginocchia urlare pietà, nonostante fosse seduto.
Dolore. Era di quello che erano fatte le lance con cui si sentiva perforare le cosce; ma avrebbe potuto sopportarlo benissimo, quel dolore. Quello che non avrebbe mai sopportato invece, era il caldo. Ne percepiva così tanto, che credeva di stare dentro un forno, invece che in classe. La schiena gli stava per andare in fiamme. Il male che sentiva alle spalle era come un enorme masso: lo stava schiacciando. Stava per cadere nel sonno.

Non doveva addormentarsi.

      Non doveva addormentar-

          Non doveva ad-

   

    “Matsuyama!”
    “S-sì?!”
    “Ti annoi così tanto? Vieni qui a risolvere questo problema!”
    Il ragazzo non provò nemmeno a protestare. Si alzò pigramente dalla sedia; con la lentezza di un bradipo, passò giusto oltre a Kazumasa — e svenne.

 

***

 

        “E dire che tu gliel’avevi pure detto che si sarebbe ammalato!”
    Le due amiche stavano arrancando l’una affianco all’altra, cercando di prendere la strada meno scivolosa verso la loro meta. Tenevano entrambe le sciarpe alte, usandole come barriera contro il freddo. “Quel ragazzo dovrebbe imparare ad ascoltarti, Yoshiko!” sbuffò Machiko, pulendo gli occhiali annebbiati.
    “Non dire così...”
    “Lo sai che ho ragione.”
    “Anche se fosse, si sta impegnando così tanto! Non me la sento di fargliene una colpa...”
    “Ma non lo sto colpevolizzando... Solo che è tutto inutile, se poi si ammala.”
    “Hai ragione anche su questo.”
    “E non dovrebbe comunque farti preoccupare.”
    La manager dai capelli corti rise di gusto. L’espressione di finta severità accompagnata dalla voce indignata, la faceva divertire. Camminarono ancora per un poco, rischiando di scivolare su un paio di lastre ghiacciate lungo il percorso, ma alla fine arrivarono a destinazione.
    “N-non sali con me?” chiese Yoshiko, vedendo che Machiko le stava lasciando il pacchettino.
    “Cosa? No, me ne torno al campo. Li conosci Kazumasa e compagnia... Quando non c’è il capitano attorno, bisogna che qualcuno li metta in riga!” replicò dittatoriale la manager occhialuta. “E poi, non vorrei rovinare il tuo momento da sola con Matsuyama.”
    Yoshiko divenne paonazza fino alla punta delle orecchie. Mormorò qualche protesta sotto la sciarpa, ma l’amica non la sentì. La salutò, lasciandola sola nelle grinfie del campanello.

    I suoi occhi fissavano un kanji, poi l’altro. Diede un’occhiata a ciò che c’era oltre al cancello.
    Una piccola casa. In legno e pietra, tetto innevato, piccolo cortile annesso, a due piani. Niente di speciale. Tuttavia, per qualche ragione, il suo cuore batteva più del dovuto. Non sapeva più dove e cosa guardare; le proprie scarpe, il giardino con le piante spoglie, il cancello di ghiaccio color carbone, il campanello maledetto, il lampione — che l’avrebbe condotta sulla strada del ritorno.
    Gli occhi vagarono verso l’orizzonte. Poi in alto, al cielo dalle tinte pastello — per posarsi infine sulla finestra del primo piano. Non sapeva neanche se quella fosse la camera del capitano, ma sperava che desse un qualche segno di vita.

    — Nulla.

    Pensò che magari dormisse. Sì, non le avrebbe risposto. Si passò nervosamente le dita tra le ciocche dei capelli.
    Aveva fatto un viaggio inutile. Cosa gli avrebbe detto, poi? Oltre a dargli gli appunti, ovviamente — Il sacchettino dondolò. Lo riprese tra le mani e se lo rigirò con cautela. Non poteva di certo gettare al vento tutti gli sforzi fatti per arrivare fin lì!
    “Forza, Yoshiko!”
    Il suo dito si schiantò sul campanello. Quando s’accorse della forza con cui lo premette, lo levò subito. Lo nascose in tasca, arrossendo.

    E passò mezzo minuto.

 

    Uno intero.

 

 

 

    Due.

 

    Nessuna risposta.
   “Probabilmente sta riposando...”
    Sospirò. Era meglio così. Almeno aveva la certezza che si stesse riprendendo. A capo chino, fece per alzare i tacchi — “Yoshiko, sei proprio tu?!” — ma un urlo le fece alzare lo sguardo; finestra a destra, primo piano.
    “S-sì... Aspettavi qualcun altro?” gridò, temendo che la sua voce fosse troppo flebile per essere sentita.
    “Eh??” ci mise un po’ a capire cosa gli aveva detto. “Ah, no! È che ogni tanto la febbre mi gioca brutti scherzi. Scusami! Ti apro subito!”
    Un sorriso le illuminò il volto. Aveva ancora la voce un po’ rauca, ma almeno sembrava il solito pimpante Matsuyama di sempre. Si sentì sollevata.
    “E-entra o prenderai freddo!” la incitò il ragazzo, sull’uscio della porta.
    “Con permesso...” mormorò la ragazza, togliendosi le scarpe con esitazione. Il capitano le porse un paio di ciabatte. Le indossò senza alzare gli occhi neanche una volta; non che i suoi piedi chiusi fossero interessanti, ma sentiva che se avesse incrociato lo sguardo del capitano, le sarebbe esploso il cuore.
    Rimasero in silenzio per alcuni istanti.
    “Tanto tu non ti ammali mai, eh?” mormorò timidamente la manager.
    Non era una frase ben contestualizzata, ma era ottima per rompere il ghiaccio. Non poteva più vantarsene con lei.
    “Eddai, mi prendi in giro?” chiese Matsuyama, ridendo.
    “Come ti senti?” chiese con una nota di preoccupazione nella voce. Nel mentre, seguì il gesto impacciato del ragazzo nel farla accomodare in salotto. “Sono quasi due settimane che non vieni a scuola...” continuò, sedendosi sul divano con l’amico.
    “La febbre è calata, ma mia madre mi tiene rinchiuso fino a lunedì.”
    “Fa bene, non vuole che rischi una ricaduta...”
    Lui annuì vagamente, alzandosi. “Vuoi qualcosa da bere?” chiese pensieroso, aprendo il frigo. Poi si mise a cercare qualcosa nel lavabo. “Un tè?”
    Yoshiko sorrise caldamente. Lo vedeva confuso, le guance un po’ imporporate. Forse era un residuo di febbriciattola. Si alzò per dargli una mano.
    “Dove sono i filtri?”
    “Ah... nella credenza in alto a destra.”
    La manager mise una mano sulla maniglia e appoggiò l’altra sull’anta, aprendola. Si alzò sulle punte. Prese la scatola gialla posta sul fondo, ne tirò fuori due filtrini e guardò un attimo il piano, in cerca delle tazze. Le trovò vicino ai bicchieri asciutti. Le girò, vi mise dentro le bustine del tè e le sue dita - quelle dita così fini, che ogni giorno maneggiavano palloni, asciugamani e attrezzatura varia, al punto di essere spesso screpolate - fecero fare al filo un giro attorno al manico di ogni tazza.
    Hikaru rimase rapito dall’eleganza e dalla confidenza nei suoi movimenti. L’avrebbe guardata per ore, mentre si muoveva come se fosse a casa sua.
    “Posso preparatelo io?”
    La domanda spezzo quella sorta di incantesimo.
    “Dovrei essere io a-”
    “Insisto.” disse, togliendogli dolcemente il bollitore dalle mani. “Sei ancora in convalescenza.” Per un attimo, sfiorò le dita calde del ragazzo. Sussultò. “Hai freddo? Stai tremando!”
    “Eh?” Matsuyama cadde dalle nuvole.
    Quella luce di naturale preoccupazione negli occhi di Fujisawa... lo rendeva felice, invece di mortificarlo. Sentiva il cuore venir avvolto da un caldo abbraccio. Era un sentimento confuso.
    Un brivido gli percorse la schiena. Non capì se fosse per il freddo o se era la mano di Yoshiko poggiata sulla fronte a fargli quell’effetto. Non riusciva a concentrarsi abbastanza; non la ascoltava. Adorava sentire la sua timida voce, ma in quel momento si sentiva come rinchiuso in una bolla, riempita con della nebbia.
    Febbricitante.
    O forse eccitante si avvicinava di più alla sensazione che provava.
    La ragazza era vicina abbastanza da fargli sentire il suo respiro. Era caldo. Irregolare. Intervallato da parole come ‘febbre’ e ‘malattia’ e ‘riposo’ e altre. Le sue labbra sottili restavano socchiuse alla fine di ogni frase. Aspettavano una risposta. S’avvicinarono.
    Lo tentavano — molto.
    Insiprò un po’ di quell’aria vaporosa che si era creata fra i due. Matsuyama inclinò un po’ la testa e — FIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!
    In un battito di ciglia, vide Yoshiko quasi saltare indietro. Il fischio del bollitore aveva infranto quel momento sospeso nel... “Nel?” il ragazzo si portò una mano sulla fronte, abbassando gli occhi. “Cos’è questa sensazione?”
    “Scusa!” esclamò d’un tratto la manager. Aveva uno sguardo mortificato, come se si sentisse di troppo.
    “N-no... Scusami tu, ho la testa un po’ tra le nuvole.”
    “Si vede che non ti sei ripreso del tutto... Perché non vai in camera a riposare? Ti porto il tè assieme agli appunti, d’accordo?”

 

 

***


        Clack— la porta si aprì.
    “Come ti senti?” chiese la ragazza entrando col vassoio in mano.
    “Devo essere ancora un po’ intontito per via delle medicine.” rispose il capitano, mettendosi seduto. Seguì Yoshiko con lo sguardo, mentre appoggiava il tutto sul comodino e gli porse la sua tazza. Ringraziò prontamente, ripensando che in salotto probabilmente aveva fatto la figura del pesce lesso. Sorseggiò un po’ della bevanda calda, ma notò che la manager lo fissava preoccupata.
    “Che c’è?”
    “S-scusami... Non ti ho chiesto neanche se lo volessi al limone! Ho-ho fatto come se fossi a casa mia e—”
    “Ma tu puoi fare come se fossi a casa tua, Fujisawa.” Quelle parole gli uscirono con una naturalezza incredibile. E per qualche ragione, Matsuyama non ne era sorpreso. Lo pensava davvero.
    Yoshiko arrossì. Non era inusuale per il capitano essere gentile col prossimo. Rimase in silenzio, in bilico tra la lusinga e l’imbarazzo.
    “E poi il tè al limone è il mio preferito.” continuò Matsuyama.
    “Davvero?”
    “Certo! E con questo dolce ci sta molto bene!”
    Indicò con la forchetta il tortino al cioccolato.
    “L-l’ho fatto con Machiko durante economia domestica.” Ommise che era un regalo preparato appositamente per lui.
    “Dici che si offende se lo finisco?”
    La brunetta scosse la testa.
    “M-ma no! Dice che per la squadra era troppo piccolo e sarebbe andato sprecato...”
    Notò che Matsuyama cambiò subito espressione. Aveva una smorfia a metà tra il serio e il divertito. Si radrizzò. “Avrà detto qualcosa tipo: “Qualcuno deve pur star dietro a Kazumasa e gli altri!”- borbottava con voce stridula, muovendo la forchettina in modo minaccioso - “... mi dispiace che i ragazzi diano sempre problemi.” finì, riprendendo il suo solito atteggiamento composto.
    Scrutò il viso di Yoshiko, che stava cercando di trattenersi dal ridere. Aveva le guance gonfie, un po’ arrossite. Scoppiò. Aveva una risata piena, gioiosa.
    “Non dirlo nemmeno... Non sarebbe divertente se fosse sempre tutto tranquillo.”
    Matsuyama si sentiva felice.
    Quel sorriso radioso lo rendeva felice. Era tutto così piacevole. Quotidiano. Gli sembrava che al posto di prender medicine, dovesse scappare a scuola e ricominciare a inebriarsi di quel semplici momenti che viveva assieme alla sua squadra.
    “A proposito... come se la stanno cavando?”
    “Molto bene...” rispose Yoshiko, sorseggiando il tè. Raccontò un po’ di aneddoti, dai battibecchi tipici tra Kazumasa e Machiko ai messaggi che i compagni le avevano detto di portare al capitano. Erano perlopiù auguri di pronta guarigione. “Si stanno impegnando molto. Sono sicura che quest’anno riuscirete a vincere i nazionali.”
    “Sarebbe un sogno...” mormorò Matsuyama, fissando il paesaggio grigiastro fuori dalla finestra. “Ma si può realizzare!”
    Il voltò che mostrò a Yoshiko era carico di risolutezza.
    “Sì, lo è.” confermò la ragazza con un sorriso affettuoso.

 

***

 

        Era sparita per un po’.
    L’aveva lasciato in balia dei compiti di matematica e inglese, mentre lavava le tazze al piano di sotto. Tutte quelle equazioni e parole straniere non facevano che assonnare Matsuyama. Lo studio non era proprio il suo forte. Si stava impegnando solo perché la sua Fujisawa si era premurata di portargli gli appunti. Comunque doveva distrarsi dal pensiero che erano quasi due settimane che non sallenava. Un incubo. Se ne tornò con la testa sui libri.
    Non sentì nemmeno Fujisawa rientrare in camera. La notò solo quando si sedette a bordo del letto.
    “Tutto a posto?” chiese Yoshiko.
    “Sì, è solo un po’ di noia.”
    La manager si fece scappare una leggera risatina. Poi si alzò, attirando lo sguardo curioso del ragazzo.
    “Io comunque dovrei andare...”
    “Di già?” Matsuyama scosse la testa. “Mi dispiace d’averti trattenuta così a lungo.”
    Un sorriso rassicurante si dipinse sul volto di Yoshiko. “Non dirlo nemmeno.”
    Prese il suo cappotto dalla sedia. “L’azzurro le dona.” Lo indossò, dando le spalle al capitano, che la osservava attento. “Forse dovrei dirglielo.” Aveva trovato un impiccio in una manica: era la sciarpa. “Ah, e io che pensavo di non avergliela restituita.” Chiuse gli alamari del montgomery e si avvolse nella lana rossa. S’infilò i caldi guanti rosa con un gesto raffinato.
    Afferrò la cartella.
    Hikaru lo interpretò come un segnale. Scattò dal letto.
    “Allora io v— Che fai?!” Yoshiko non credeva che, voltatasi per salutare, si sarebbe ritrovata il capitano in piedi, già in ciabatte e a un passo da lei.
    “Voglio accompagnarti alla porta.”
    La manager scosse la testa energicamente.
    “Ma no...” e prese a spingerlo dolcemente sul letto. Gli fece perdere qualche battito. “Devi rimetterti presto, capitano.”
    Hikaru la fissò per un attimo, colpito. Cercò di protestare, ma la ragazza non gli lascava scelta. Non ci mise una particolare forza, ma le sue mani guantate erano rimaste sulle spalle di Matsuyama e non gli avrebbero permesso di alzarsi. La sua esperessione era severa.
    Sbuffò. Rassegnato, se ne tornò sotto le coperte.
   “Grazie. Sei sempre molto premurosa... Yoshiko.” sussurrò il suo nome, quasi avesse paura di farla scappare. Ma non riusciva a trattenersi.
    Fujisawa sgranò gli occhi. Divenne rossa come un peperone. Il capitano non l’aveva mai chiamata per nome. Mai.
    “C-c-ci vediamo a scuola.” e prese la porta, quasi correndo via.

Sul volto di Matsuyama si dipinse un sorriso amarognolo. L’aveva davvero fatta fuggire, però — qualcosa sgorgava dal suo cuore. E necessitava di un nome. Un bel nome. Sussurrato.

 

    

    “Yoshiko.” 

 

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  Image and video hosting by TinyPic N.A.: Ciao! Scusate se la storiella è un po' quel che è (fluffosa, ma senza grandi pretese)... Speravo da un po' di poter scrivere qualcosa su questa ship e questo contest me ne ha dato l'occasione ♥ Matsuyama mi sembra uscito OOC (più che altro mi è difficile riprendere il suo atteggiamento che oscilla tra il calmo e il determinato), ma diciamo che forse è per l'inibizione della febbre. Spero che nonostante tutto (è una fic inconcludente e neanche tanto originale), vi sia piaciuta!^^ 

   
 
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