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Autore: Sylphs    13/02/2018    2 recensioni
Una raccolta di quattro missing moments sulla convivenza forzata tra Cedric e Orube, dal loro primo incontro a quando lui si rende conto di provare amore nei suoi confronti. Mi sono basata su alcune scene solo accennate nei fumetti, ampliandole e dando una mia interpretazione.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cedric, Orube
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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~~Due alieni



Ogni volta che Cedric udiva il trillo del campanello, doveva reprimere l’insopprimibile fiotto di fastidio che gli avvelenava il sangue e assumere, con consumata abilità, l’espressione gentile e disponibile del libraio umano, nascondendo ai disgustosi e deboli terrestri che varcavano la soglia del suo negozio il disprezzo totale che provava per loro. Gli era già capitato infinite volte di impersonare un ruolo che non corrispondesse al suo, si poteva quasi dire che non fosse mai stato pienamente sé stesso, eppure, da quando era stato privato dei suoi poteri e imprigionato su quel fetido pianeta, non gli riusciva più naturale come prima. Doveva sforzarsi, costantemente, sforzarsi per non esplodere, anche perché, senza magia, non avrebbe potuto nulla contro quei fragili esseri.
Non era tanto diverso da loro, ormai, tranne per il fatto che, quantomeno, non si faceva influenzare dai sentimenti che li portavano puntualmente alla rovina.
Eppure, quando sollevò lo sguardo in risposta all’ennesima scampanellata, qualcosa nel suo petto si torse spiacevolmente e il sorriso da brav’uomo traballò, paralizzandosi in un’espressione gelida.
Una figura alta ed atletica, scattante negli abiti terrestri e troppo in forma, troppo elegante nei movimenti, per appartenere ad una semplice umana. Una carnagione chiarissima nella quale spiccavano le labbra rosee e carnose e i luminosi occhi dorati, allungati come quelli di un gatto ed estremamente vigili. Un caschetto di scompigliati capelli scuri e il passo fluido e silenzioso di chi era abituato a non farsi sentire.
Non aveva mai interagito prima con la giovane donna appena entrata nella sua libreria, ma nell’istante in cui posò gli occhi su di lei, Cedric comprese chi era.
La guerriera di Basiliade, colei che aveva aiutato le odiose Guardiane in tante missioni e che era stata il loro fedele braccio destro. Un’aliena, come lui, anche se, a differenza di lui, non era prigioniera su quel pianeta, in un corpo debole e impotente. Sentiva a pelle che non apparteneva a quel luogo, che emanava un’aura differente, simile alla sua, nonostante fosse sicuro che i miopi sensi dei terrestri non fossero in grado di cogliere tale diversità.
Anche lei lo riconobbe, era sempre stato un attento osservatore e vide il lampo che le passava fulmineo nelle pupille, la camminata sciolta che si faceva più rigida e il minuscolo sussulto che le scuoteva le spalle, ma doveva essere abituata a fronteggiare una possibile minaccia poiché si riprese fin troppo in fretta e raddrizzò il capo, dopo quel primo, glaciale scambio di sguardi, quasi sfidandolo a farle qualcosa.
Temeva che l’avrebbe attaccata vista l’alleanza che aveva stretto con le sue acerrime nemiche? Che il suo viso apparentemente innocuo si squarciasse rivelando le ripugnanti squame del serpente e le si avventasse alla gola? Oh, a Cedric non sarebbe dispiaciuto affatto disfarsi della sua ingombrante umanità e mostrare a lei e ai clienti che in quel momento bazzicavano la sua libreria, appestando l’aria che lui respirava, che era ancora quello di un tempo, ma non poteva farlo. L’Oracolo e le cinque sgualdrine lo avevano privato di quella possibilità.
Inoltre, cosa gliene sarebbe venuto a fare del male alla guerriera?
Pertanto, al cipiglio guardingo di lei oppose un sorriso dalla cortesia impeccabile e, con voce altrettanto garbata, le chiese: “Signorina, posso esserle utile?”
L’aliena sbatté le palpebre, stupita dalla sua noncuranza. A Cedric parve perfino di intravedere un’ombra di rossore che le colorava le guance, ma svanì subito e lei incrociò le braccia sul seno, stando al gioco: “Sì. Avrei bisogno di consultare alcuni testi per un articolo che mi è stato commissionato”.
Dunque anche la donna si era costruita un’identità fittizia e un lavoro fittizio. Chissà se amava ricoprire un ruolo che non era il suo e fingersi qualcuno che non era. Ma che importanza aveva, in fondo?
“Capisco” Cedric allargò il sorriso; di solito gli idioti a cui lo rivolgeva si ritrovavano a sorridere di rimando, ammaliati dal suo fascino mendace, invece lei rimase seria e lucida, si limitò ad inarcare un sopracciglio. “Qual è l’argomento?”
“Leggende metropolitane su Heatherfield”.
Buffo. Loro stessi potevano considerarsi leggende metropolitane, un lucertolone venuto dal Metamondo che si celava dietro le spoglie del severo libraio e una giornalista in carriera che era in realtà un’implacabile guerriera dai sensi ultrasviluppati.
“Ah, questione interessante” Cedric scandì con cura le parole e fece il giro del bancone, accennandole di seguirlo tra gli scaffali gonfi di libri che aveva racimolato da ogni polveroso angolo di quel rivoltante pianeta, nel tentativo di annegare la frustrazione di esservi intrappolato tra le pagine che tanto amava. “Ho molte opere che potrebbero illuminarla e darle una mano col suo articolo, signorina. Se vuole può prenderle in prestito, oppure fermarsi qui a leggere”.
“Credo che mi fermerò qui”.
Stavolta fu lui a provare un barlume di stupore. La guerriera sapeva chi lui fosse e, soprattutto, le azioni malvage che aveva compiuto contro le sue amichette, eppure decideva comunque di trattenersi nelle sue vicinanze. Non sembrava spaventata, né a disagio. Forse avrebbe dovuto ricavarne fastidio, risentirsi per quell’assenza di timore, invece era stranamente confortante l’atteggiamento di lei, un’agognata novità nell’oceano di tedio che era la sua vita lì.
“Perfetto” rispose con disinvoltura, scorrendo le coste dei volumi con un lungo dito pallido e sfilando i libri che potevano interessare alla sua bizzarra cliente. Conosceva a memoria la collocazione di ogni singolo tomo che aveva in libreria, prima di esporlo all’attenzione vacillante dei terrestri si era preoccupato di divorarlo da cima a fondo, e se di norma lo irritava profondamente doverlo affidare alle loro mani, in questo caso non aveva l’impressione di donare prezioso sapere ai porci. “Ecco, questi dovrebbero andar bene. Mi faccia sapere se la soddisfano o se, eventualmente, ne desidera altri”.
“Grazie” disse seria la guerriera, dimostrando di conoscere come lui le buone maniere terrestri e di apprezzarle.
“Non c’è di che, signorina. Non c’è di che”.
Cedric le porse una pila di cinque libri e, nel momento in cui passavano da lui alla sua cliente, le loro mani si sfiorarono inavvertitamente. Fu un contatto brevissimo, di appena una frazione di secondo, ma il metamondese si ritrovò ugualmente a deglutire e a distogliere lo sguardo, senza neppure sapere perché. Il tocco era stato diverso dal solito, aveva scatenato nel suo corpo estraneo reazioni fin troppo intense, per essere tanto fugaci. Cosa poteva esserci di tanto interessante nel premere la pelle contro altra pelle? Evidentemente l’aria malsana della Terra tendeva a contaminare anche le tempre più ferree.
Per togliersi da quell’improvviso e incomprensibile impaccio, tagliò corto: “La lascio alla sua lettura”.
Lei, che evidentemente era stata rassicurata dai suoi modi garbati, accennò un minuscolo sorriso e ripeté: “Grazie”.
Due alieni che facevano finta di essere terrestri, pur sapendo perfettamente quale fosse la reciproca natura.

“Libri d’amore!” esclamò Orube, sorpresa e lieta, sfilando da uno scaffale una copia de Romeo e Giulietta quasi fosse una sacra reliquia: “La tua libreria è piena di sorprese, Cedric! Ma tu ci credi ai colpi di fulmine?”
L’uomo emise un verso di insofferenza, abbandonato in una posa indolente sulla sua poltrona preferita vicino al fuoco. Era un sollievo, dopo l’ennesima giornata passata a reprimere l’odio che lo consumava dall’interno e a sorridere agli imbecilli che affollavano il suo negozio – tra cui le cinque Guardiane, che si erano portate dietro un’altra ragazzina e avevano passato il tempo a far chiasso – potersi concedere un pizzico di sincerità con l’unica persona la cui compagnia non gli riusciva indigesta.
“Per quanto mi riguarda” sbuffò, sprezzante: “Il colpo di fulmine è solo una tra le tante disgrazie di cui i terrestri soffrono. Se ci credo? Ma certo. Qui” storse il naso: “Tutto è possibile”.
Orube ridacchiò della sua malevolenza, il che era piuttosto sorprendente. La maggior parte delle persone, aliene e non, lo considerava una viscida serpe quando esprimeva i suoi punti di vista, mentre lei pareva divertita.
“È vero, questo amore da cui i terrestri sono ossessionati mi è incomprensibile per molti versi” rispose, scorrendo le pagine del pesante volume che teneva tra le mani e scrollando le spalle in quel suo modo timido e scostante al tempo stesso: “Però devo ammettere che mi incuriosisce. Ho letto tanto, in proposito, e ascoltato i discorsi delle mie amiche… e talvolta mi domando se sia davvero bello come dicono”.
Cedric fece una smorfia a metà tra l’esasperazione e la pietà: “L’amore è una debolezza, Orube. Prendi Romeo e Giulietta, appunto. Li ha condotti alla morte”.
Lei si accigliò: “Forse ne valeva la pena”.
L’uomo alzò ostentatamente un sopracciglio: “Quando mai vale la pena di morire?”
“Mai, pensavo una volta. Però…” la giovane donna esitò, quindi, con un sospiro, carezzò la copertina del tomo e lo rimise al suo posto: “C’è qualcosa di nobile, di ultraterreno, nel sacrificare la propria vita per amore, nel mettere il benessere di un altro davanti al tuo. A Basiliade, si conquistava la gloria morendo in battaglia, per il proprio re e la propria nazione, ma era meno… autentico. Battersi per qualcuno al punto da rinunciare alla vita forse è poco eclatante, e tuttavia più… vero”.
Quella parola, “vero”, era sempre stata relativa per Cedric. Lui era un maestro del falso e dell’inganno e le cose vere non le aveva mai conosciute, preferiva stargli alla larga.
“Nessuno ricorda chi ama, a prescindere da quali e quanti sacrifici vengono compiuti per amore” disse in risposta, sibillino: “Al contrario, ad essere ricordato è chi arriva in cima a tutti gli altri, chi accumula più potere”.
Orube lo guardò negli occhi, corrucciata: “Io ricorderei chi ha messo a repentaglio la sua sicurezza per me”.
Cedric emise una risatina caustica: “Tu sei una, Orube”.
“E allora? Preferisci che ti ricordino migliaia di individui per essere un tiranno freddo e senza scrupoli, anziché un singolo per le buone azioni che hai compiuto per lui?”
A suo modo, era un’affermazione disarmante e l’ex servitore di Phobos non replicò subito, fissando con la fronte leggermente aggrottata le fiamme che ardevano nel camino. Aveva passato tutta la sua esistenza a desiderare il potere, si era piegato in ginocchio davanti al Tiranno di Meridian nella speranza che un giorno quel sovrano volubile e capriccioso si ricordasse di riservargli un posto al suo fianco, e alla fine non aveva ottenuto altro che disonore e vergogna. Ma la morte non era forse peggiore? Non era forse ancora più umiliante andarsene per colpa di un sentimento umano come l’amore?
“D’accordo, potresti avere ragione” concesse sarcastico: “Ma non vale per tutti. Non per me”.
Gli occhi dorati di Orube lo scandagliarono a fondo: “E quale destino speri di avere, tu?”
Sperava di riconquistare i suoi poteri, incenerire le Guardiane e tutta Kandrakar e fare un trionfale ritorno a Meridian, ma era chiaro che non potesse confessare una cosa simile a lei. Anche se era piacevole parlarle, strano ma interessante ascoltare ciò che pensava, permettersi di deporre in parte la maschera quando affrontavano questioni relativamente innocue, permaneva un confine tra di loro, rappresentato proprio dalle cinque adolescenti a cui Orube voleva bene e che Cedric invece odiava.
Optò per una mezza verità: “Spero di trovare il mio posto, in questo o in qualsiasi altro mondo, prima o poi”.
Lo sguardo della giovane donna si velò di qualcosa a cui Cedric non era abituato, una comprensione profonda e solidale che accese una solitaria scintilla di calore nel suo petto contratto dalla nostalgia e dall’amarezza.
“Anche io” sussurrò Orube: “Anche io spero in un destino del genere”.
Due alieni che anelavano ad una casa che potessero definire tale, soli in un territorio estraneo con solo l’altro a cui poterlo confidare.

“Ecco, scusa l’interruzione… oh!”
Avrebbe dovuto immaginarlo. Orube era più forte e resistente di tutti quelli che conosceva, ma chiunque, prima o poi, arrivava al limite. Finalmente si era addormentata, mentre lui si liberava in fretta di un cliente fastidioso e pensava a come riguadagnarsi la sua fiducia, e adesso giaceva acciambellata sulla poltrona rossa come una gatta sazia e sonnacchiosa, una ciocca di capelli scuri che si sollevava e abbassava tra le sue labbra morbide e un’espressione che Cedric non aveva mai visto prima sul suo volto severo.
Quando dormiva, la guerriera di Basiliade sembrava molto più innocua, molto più dolce e vulnerabile, come una fanciulla che giocava a fare la dura ma, nel suo intimo, non era meno delicata e femminile di qualsiasi altra. L’uomo si sorprese a fissarla intensamente, immobile dinnanzi a lei, memorizzando le linee e le sporgenze del suo viso, la postura rannicchiata del suo corpo flessuoso e le lunghe ciglia nere che le ombreggiavano le guance, incantato dal suo aspetto placido e dalla semplice grazia della sua figura, che non aveva mai notato prima. In effetti, non si era mai accorto che Orube era… bella. E anche adesso scoprirlo era una sorpresa.
Era bella, sì, nel suo modo anticonvenzionale e felino, non umano. Quella bellezza, in qualche modo, lo affascinava, tanto che pensò che sarebbe potuto rimanere ad osservarla dormire per ore ed ore senza stancarsi. Era la follia terrestre che si impadroniva di lui? Il suo corpo di uomo normale, carico di istinti e di pulsioni malsane che tentava di reprimere, che si ribellava al suo autocontrollo? O il fatto che non avesse mai incontrato prima qualcuno come Orube, con il suo vigore d’acciaio, la sua franchezza e la dolce vulnerabilità che mostrava dormendo?
Era alla sua mercé, avrebbe potuto sgozzarla nel sonno come il serpente che era, ma l’idea non gli sfiorò neanche la mente. Si disse che ucciderla sarebbe stato troppo rischioso, che doveva tenersi buone le sue amichette, eppure non fu per tornaconto che si avvicinò alla sua figura scomodamente raggomitolata e la prese in braccio. Pesava meno di quanto si fosse aspettato e, nel momento in cui la sollevò, la guerriera emise un mugolio e si accoccolò tra le sue braccia, affondandogli il volto nel petto, un gesto di fiducia istintiva che lo lasciò frastornato, con il cuore che batteva troppo rapidamente e i palmi coperti di sudore, spaventato dalle emozioni che gli si gonfiavano dentro e che non riconosceva.
Aveva un letto su cui talvolta andava a riposare, al piano superiore della libreria, e fu lì che trasportò Orube, attento a non svegliarla. Si accorse che era piacevole, tenerla tra le braccia, avvertire il suo calore, che gli veniva da stringerla forte e proteggerla, ma ricacciò indietro quegli impulsi e la posò con riguardo sul materasso, avvolgendola in una vecchia coperta. Lì avrebbe potuto riposare comodamente.
“Se non ti conoscessi direi che sei quasi preoccupato per me!”
Forse lo era. Forse, in qualche maniera, gli importava di lei. Ma questo non cambiava nulla.
Dando le spalle alla guerriera addormentata, Lord Cedric tornò nello scantinato buio dove lo aspettava il libro maledetto, mentre il calore dentro di lui avvizziva nella familiare e tetra freddezza del calcolo e della menzogna.

Possibile che avesse ragione lei? Che lui potesse davvero provare un sentimento come l’amore?
Quel dubbio ossessionava Cedric mentre sentiva Orube trafficare con i libri alle sue spalle, stanca e provata dalla persistente situazione di stallo. Le parole che la donna gli aveva gridato si rincorrevano nella sua mente come i versi di una canzone e alimentavano la sua paura, la sua rabbia e la sua insicurezza. Era dunque diventato un umano in tutto e per tutto? Non ne aveva più soltanto l’aspetto, ma anche i modi? L’Oracolo aveva vinto, riuscendo a rammollirlo completamente?
No! C’era quasi, alle Guardiane mancavano solo due pietre per aprire il libro di Ludmoore, e una volta che lo avessero fatto, il folle scrittore gli avrebbe reso i suoi poteri e la sua identità. Non poteva gettare alle ortiche tutto il lavoro fatto e le menzogne dette perché una guerriera di Basiliade sosteneva che lui fosse cambiato, perché guardarla, interagire con lei, toccarla persino, lo metteva in subbuglio. Doveva rinsavire da quella follia prima che fosse troppo tardi. Doveva tornare ad essere sé stesso.
Ma chi era lui? Aveva cambiato ruolo così tante volte, mutato nome e trascorsi, che non lo rammentava nemmeno… in pochi anni si era ritrovato a vestire i panni di Elyon, Yan Lin e addirittura di un orribile mostro, quando Phobos lo aveva potenziato per permettergli di sconfiggere le Guardiane. Era stato l’attraente ed enigmatico libraio che aveva sedotto la Luce di Meridian portandola al lato oscuro, il lucertolone che tante volte aveva affrontato Will e le sue amiche, l’anziana consigliera corrotta che favoriva l’ascesa al potere del suo signore… come poteva tenersi stretta un’identità che non c’era?
A ben vedere, proprio quell’ultimo periodo trascorso sulla Terra a fare il doppiogioco e a trascorrere lunghe giornate con Orube gli era successo di rimanere a lungo nello stesso corpo, impersonando un unico ruolo, quello del semplice Cedric. Aveva mentito sui suoi obiettivi, ma non su di sé. Ormai stava assuefacendosi alle sembianze che scorgeva nello specchio, alla sua libreria, alla compagnia costante di Orube. In definitiva, ora era sé stesso per davvero e non prima.
Ma ora era una nullità.
E prima no? Phobos ti ha sempre trattato come tale.
“Orube?” invocò d’istinto, stringendo convulsamente i pugni.
Lei lo guardò con la coda dell’occhio, tesa: “Sì?”
“Quando questa storia di Ludmoore e di Matt Olsen sarà finita…” l’uomo si morse il labbro, incredulo delle parole che pronunciava: “Hai intenzione di rimanere qui sulla Terra?”
La guerriera, accigliata, si volse verso di lui: “Perché me lo chiedi?”
Già, perché glielo chiedeva? Una volta che avesse scoperto della sua alleanza con lo scrittore, non lo avrebbe voluto in ogni caso, sia che avesse vinto, sia che avesse perso. Quindi che senso aveva quel discorso?”
“Mi domandavo semplicemente…” Cedric lanciò uno sbuffo che era insieme amarezza e macabro divertimento: “Se fossi libero di andarmene da qui, tu… mi seguiresti a Meridian?”
Orube inarcò un sopracciglio: “Mi stai proponendo un’ipotetica fuga?”
“Diciamo di sì. Lo faresti?”
La fissò, celandole abilmente la propria ansia, che strisciava sottopelle e lo faceva sentire fastidiosamente esposto. Di solito era molto bravo a decifrare lo stato d’animo altrui, ma Orube si era sempre rivelata un enigma, era davvero raro che intuisse cosa le passava per la testa e anche ora che avrebbe dato qualunque cosa per conoscere i suoi pensieri il suo viso era una maschera imperturbabile.
“Se mi provassi di essere veramente cambiato” mormorò la guerriera: “Se potessi esserne certa… allora sì. Ti seguirei”.
I suoi occhi erano sinceri e scintillanti, due pozze di luce in cui era fin troppo facile perdersi.
“Come posso provartelo?” chiese Cedric in un soffio.
Di sicuro, ingannandola e preparando la disfatta delle sue migliori amiche, non aveva iniziato nel modo migliore, ma si sorprese a desiderare che lei capisse cosa provava nei suoi confronti, che andasse al di là delle bugie e arrivasse alla verità che cercava di trasmetterle con lo sguardo. Era vero, stava tradendo e mentendo per l’ennesima volta, ma l’emozione che lo legava a quella creatura aliena era autentica, l’unica cosa autentica della sua intera esistenza.
“Non posso dirtelo io, Cedric” rispose Orube, ferma: “Devi capirlo da solo. Forse sarà l’istinto ad agire, quando verrà il momento. E allora, solo allora… io mi fiderò”.

Ma la prova che lei cercava, Lord Cedric riuscì a dargliela con la morte.

Angolo autrice: Recentemente mi sono riletta tutta la saga di Ludmoore, visto il mio sconfinato amore per la Cedric/Orube, mai venuto meno in tanti anni. Tuffandomi nelle loro scene mi è venuta l’ispirazione per questa shot e ho deciso di buttarla giù. Ho deciso di presentare momenti che appaiono, anche se più brevemente, nei fumetti, ampliandoli, nel caso del primo incontro mi sono basata sul racconto che ne dà Orube a Will nel numero 51. Enorme rammarico per la sorte del povero Cedric, sempre.
Un saluto,
Sylphs

  
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