Il
racconto è stato scritto per la XIX
Challenge Raynor's Hall.
La sfida non è competitiva.
Tema estratto: nozze
La certezza del futuro
I
Ci
eravamo
incontrati in uno di quei locali dove la sera il jukebox mandava disco
music a
tutto volume, le ampie gonne delle ragazze si aprivano come code di
pavone dai
mille colori e i cocktail dai sapori tropicali deliziavano labbra
estasiate.
Il
posto
si chiamava Metrò. Il nome, secondo una mia teoria, era nato
dalla fusione
delle parole “moda” e
“retrò”. Negli ultimi anni erano stati
aperti moltissimi
pub nostalgici, con atmosfere che ricordavano gli anni '70 e
'80 del XX secolo.
Sì, qui sembra di stare nel set cinematografico di un film
ambientato
nell’epoca della rivoluzione estetica e sociale, quando gli
hippie andavano ai
concerti vestiti solo di fiori e con la mente annebbiata dalla
droga.
Il nostro stile di vita, al contrario, segue una linea più moralistica e salutistica. La gente vive più a lungo e per questo vuole certezze lungimiranti. Ecco perché è usanza tra le coppie frequentarsi in media per tre anni prima di unirsi in matrimonio.
Io
e lui ci eravamo
conosciuti al Metrò quasi cinque anni addietro. Pian piano
l’amicizia si era
consolidata e tra noi si era sviluppata una particolare attrazione.
Ultimamente
le amiche me lo ripetevano spesso con una nota maliziosa:
«Vedrai che allo
scoccare dei cinque anni ti chiederà la mano».
Alla profetica data mancava davvero poco e io non sapevo cosa pensare. Mi trovavo in una situazione nuova che non avevo mai preso in considerazione. Se da una parte mi sarei sentita lusingata, dall’altra avrei avuto voglia di fuggire ed emigrare in una qualsiasi delle colonie del Sistema Solare.
II
Un
giorno
mi trovavo davanti alla vetrina di una gioielleria del centro a fissare
ori e
gemme di pregevole fattura: monili che non avrei mai
potuto permettermi. Quelli più costosi erano stati
realizzati con
materiali extraterrestri e sembravano emanare un’energia
propria.
«Leggo
il
futuro, signorina?»
Una
voce
femminile, gentile e dall’accento sibilante, distrasse
la mia
contemplazione. Mi voltai e mi trovai di fronte alla figura esotica di
una chironemis.
Piuttosto numerose in ogni Stato, venivano dal
pianeta Kepler, lontano 1400 anni luce dalla Terra. Arrivavano qui per
sfuggire
dalla loro condizione di schiavitù. Salivano sulle navi
spaziali terrestri
offrendosi di svolgere ogni tipo di mansione per pagarsi il viaggio.
Erano per
la maggior parte femmine, ma in città avevo visto anche
esemplari maschi.
Gli
esponenti di quella popolazione avevano la pelle bianchissima, quasi
tendente
all’azzurro, iridi colorate che riempivano l’intera
apertura dell’occhio, e
soprattutto possedevano incredibili doti sensitive. La legge terrestre
vietava
loro di esercitare, ma in molti lo facevano lo stesso.
«Leggo
bene. Io migliore chironemis
del pianeta», si indicò
con entrambe le mani. Aveva le dita ricoperte di tatuaggi e due
bracciali
neri che sbucavano da una manica dell’abito.
Normalmente
avrei rifiutato, non sono mai stata un’amante degli
spoiler, e in questo
caso non si trattava di un virtuolibro
o di un film a
realtà aumentata, ma del mio futuro. Oltretutto quella
specie mi inquietava.
Non so perché quel giorno mi lasciai convincere. Forse
volevo avere una
certezza in più riguardo le mie prossime scelte.
«Quanto?»,
le chiesi.
«Un
po’ di
pane», mi rispose. «Ragazza gentile, prezzo
speciale.»
Ci infilammo in un ristorante vicino. Ordinai due primi piatti, uno per lei e uno per me. Prima che il robot inserviente ci portasse le pietanze, la chironemis si tolse uno dei due bracciali che aveva addosso e me lo mise al polso. Poi la sentii parlare nonostante la sua bocca fosse chiusa e le sue labbra immobili. Si espresse usando il suo idioma natale, e io ebbi l’impressione di capire tutto. Quei suoni sibilanti aprirono la porta di un mondo magico. Fui proiettata con prepotenza in una realtà onirica che si faceva sempre più limpida e allora vidi…
III
C’era
gente che impazziva dopo aver ottenuto un responso chironemisico:
da un giorno all’altro cambiava radicalmente comportamento. A
me, invece, non
successe nulla. Avevo conosciuto gli avvenimenti principali della mia
vita
futura. E in quella frazione di tempo non accadeva nulla di
sconcertante, tutte
cose normali, se non quasi noiose.
Pochi
mesi
dopo, come previsto, arrivò il giorno del mio matrimonio.
Indossavo un abito
bianco, secondo la tradizione del XX secolo. Il bianco non mi
piaceva, era
troppo perfetto, monotono, vuoto. Ma il modello era bello. Anche la
chiesa
sconsacrata che avevamo scelto mi piaceva. Il problema era solo il
colore,
tutto il resto andava bene. Non avevo nulla di cui lamentarmi
né di cui
preoccuparmi.
Quando
lui
mi aveva chiesto la mano, avevo risposto con un sorriso. Ora bastava un
“sì”
pronunciato al momento giusto e tutti i pezzi del puzzle si sarebbero
incastrati precisamente, dando una forma concreta a ciò che
la chironemis mi
aveva fatto vedere.
L’amministratore
civile era presente in forma di ologramma di fronte a me. Le sue parole
mi
arrivavano in modo distorto, sembravano lontane. Stava citando una
sfilza di
note burocratiche e articoli. La sua figura subiva saltuariamente
qualche
interferenza e tremolava in modo innaturale. Alla fine di ogni frase
poneva una
domanda: «Accetti consapevolmente?»
«Accetto»,
rispondeva il mio futuro sposo, e poi era la mia
volta.
Più
continuava a leggere, più sentivo un peso insopportabile
gravarmi sulla testa.
“Perché
lo
chiede prima a lui?”, pensai.
“Dov’è andata a finire la
parità di diritti?
Avrebbe dovuto chiederlo a entrambi nello stesso momento, non prima a
uno e poi
all’altro.”
Sentii
una mano gentile sfiorarmi il braccio. «Cara, va
tutto bene? Perché non
dici nulla?»
Chissà
a
che punto della celebrazione eravamo arrivati. All’ennesimo
articolo, o al
fatidico “sì”? Di certo non avrei
chiesto di ripetere la domanda. Non mi andava
nemmeno di pronunciare un “sì” a
casaccio, senza sapere a cosa rispondevo.
«No»,
dissi.
«Cosa?»
Lo
sposo apparve confuso. La sua espressione mi sembrò
buffa.
«Scusa…
è
che… ho conosciuto una chironemis.»
E, dopo aver
detto ciò, mi voltai e uscii di corsa ridendo.
C’era gente che impazziva dopo aver ottenuto un responso chironemisico: da un giorno all’altro cambiava radicalmente comportamento. A me, invece, non successe nulla. Sarei stata pazza se avessi risposto di sì.
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie