First Meet
Mu
si era ritrovato in quel promontorio un po' per caso e non era del tutto sicuro
di come avesse fatto a raggiungerlo.
Il
giorno prima, sua madre era morta, o almeno così gli avevano detto. Mu aveva
tre anni e non era stato in grado di capire cosa fosse successo di preciso.
Semplicemente, era tornato a casa e l'aveva trovata a letto, così si era steso
accanto a lei che dormiva ed era rimasto lì tutta la notte. Suo padre era
sparito almeno un anno prima e lui aveva solo lei, ormai.
Era
stata la signora che veniva ad aiutare la madre a portarlo via di peso, a
staccarlo da lei con forza, dicendogli che sua madre non c'era più e che non
l'avrebbe più rivista. Lei piangeva, e allora Mu aveva iniziato ad urlare, a
scalciare, e quando era riuscito a farsi lasciare si era di nuovo avvinghiato
al corpo della madre e un istante dopo era sparito con esso.
Era
così che si era ritrovato lì, nel bel mezzo del niente. Aveva lasciato sua
madre a riposare, perché era certo che stesse solo dormendo, e aveva iniziato
ad esplorare il posto. Era piccolo e non riusciva a trovare niente da mangiare,
nei dintorni. Non riusciva ad arrivare ai frutti sugli alberi, e le bacche non
lo saziavano. Una volta, senza sapere come, affamato e in lacrime, si era
ritrovato con le mani piene di frutta. Frutta fresca, appena colta. Non aveva
idea di come avesse fatto, e non ci era più riuscito, purtroppo.
Dopo
due giorni, però, la fame era tornata implacabile, sua madre dormiva ancora, e
non lo aiutava di certo. Mu si avvicinò, le diede un bacio sulla fronte e
sorrise "Torno subito, mamma," disse, piano. Quasi un sussurro, come
se potesse disturbarla.
Ma
Mu non era stupido e, nonostante avesse solo tre anni, aveva capito che sua
madre non si sarebbe più svegliata.
Forse non voleva semplicemente più farlo. Forse era stanca di lui, di doversene
occupare. Non lo sapevo.
Sapeva
che dopo quattro giorni, era fredda come il ghiaccio, e non per le temperature
dello Jamir, e sapeva che la signora che aiutava sua
madre aveva ragione.
Non
sarebbe più tornata, era morta.
Ma
lui non poteva comunque lasciarla lì, anche ora che aveva capito.
Chiuse
gli occhi, come quando aveva preso sua madre e si era teletrasportato lì, e si
concentrò di nuovo. Non sapeva su cosa di preciso, perché non conosceva quel
posto, ma quando li riaprì era in un altro posto ancora. Davanti a lui, una
pagoda altissima, apparentemente disabitata.
Non
c'era nessuno nei dintorni, non c'era neanche niente, in effetti. Nemmeno le
porte. Mu scrollò le spalle, e dopo essersi accertato di essere solo, fece di
nuovo quella cosa strana. Quando aprì gli occhi, stavolta era dentro la pagoda.
Era
un luogo strano, pieno di cose strane. Scatole di bronzo e d'argento. Tanto
disabitato non doveva esserlo, però, perché cercando per la casa trovò diverse
cose commestibili. Afferrò dei panini, un barattolo di...marmellata? Non sapeva
leggere, ma aveva fame e basta, quindi si sedette a terra e infilò un dito nel
barattolo; sembrava buono, quindi continuò. Anche il panino era buono.
Mangiò
tutto, affamato, e quando finì si alzò e si affacciò alla finestra, ma non
c'era niente per chilometri e chilometri. Chissà se da lì era visibile il posto
in cui aveva lasciato la madre? Sarebbe dovuto tornare da lei, supponeva. Farlo
subito. O magari andare a cercare aiuto? Non lo sapeva.
Si
avvicinò invece ad una delle Cloth che c'erano in
quella stanza, sfiorandone appena il metallo freddo.
Anche
quell'armatura sembrava morta. Già. Morta proprio come sua madre. Anche se non
era una persona, era quella la sensazione che gli diede.
"Vorrei
aiutarti," sussurrò il giovane Mu "Mi dispiace, ma non so come
fare."
La
Cloth risuonò, come a parlargli. Mu sentì una voce in
testa, qualcosa, o qualcuno, che gli parlava. Non capì quello che gli aveva
detto, ma era una prova che quell'armatura non doveva essere morta. Non ancora,
almeno.
Così,
quasi senza pensarci, si sdraiò davanti ad essa. Quando aveva trovato sua
madre, al ritorno dal pomeriggio di giochi, non c'era stato niente da fare, era
già troppo tardi, anche se si era sdraiato accanto a lei. Ma a quell'armatura
avrebbe potuto fare compagnia, mentre aspettava che qualcuno venisse a curarla,
a ripararla.
Shion lo trovò così, sdraiato sul pavimento
accanto alla Cloth d'argento che non si era ancora
deciso a riparare, poiché con solamente due Gold Saint ancora poco più che
bambini al santuario, c'erano troppe cose da fare.
Ma
quando aveva sentito che la pagoda era stata invasa, aveva subito fatto ritorno
in Jamir per controllare quello che stava succedendo,
sperando che Saga e Aiolos fossero abbastanza maturi da non far succedere nulla
in un'ora d'assenza.
Di
certo, non si aspettava di trovare lì un bambino. Un bambino che, a giudicare
dall'aspetto, era proprio come lui. E se era arrivato lì dentro, doveva essere
in grado di teletrasportarsi, che ne fosse consapevole o meno.
Si
inginocchiò davanti a lui e lo scosse, il cuore stretto in una morsa; quando
doveva avere, quel frugoletto? Due anni, tre? Era davvero piccolo. Di recente
aveva avvertito il cosmo di altri due cavalieri, in Italia e Svezia, e
dovevano essere poco più grandi di quel fagotto, ma anche se li aveva mandati a
prendere, di certo non era pronto a trovarsi davanti lui.
In
quel secolo i Gold Saint si stavano svegliando troppo presto, erano tutti
troppo giovani. Certo, anche lui, Dohko e i loro vecchi compagni lo erano
stati, ma forse perché per la prima volta si trovava dall'altra parte della
barricata, la cosa lo straniva.
Il
bambino aprì pigramente gli occhi, puntandoli poi in quelli dell'uomo di fronte
a sé. Sembrava molto anziano, ma anche saggio e rassicurante. Non si sentì
minacciato, Mu, e si permise di sbadigliare e stropicciarsi gli occhi con
forza, con l'intento di svegliarsi per bene.
"Mi
dispiace molto! Non volevo entrare, questa è casa sua? Ho...avevo tanta fame, e
allora..." provò a spiegarsi, ma non sapeva che scusa trovare. Dopotutto,
era entrato in casa di qualcuno senza permesso, non c'erano giustificazioni.
Sua madre gli diceva sempre che non si faceva, ma lui non ci aveva pensato,
quando aveva visto che non c'era nessuno.
"Come
hai fatto ad arrivare qui?" gli chiese Shion, ma
non c'era astio nella sua voce, solo estrema tenerezza, ben mascherata da un
tono duro.
"Non
lo so. Ho chiuso gli occhi, e poi ero qui," fece Mu, poi indicò l'armatura
"E' venuto per ripararla? Dice che sta soffrendo molto, e che non vuole
morire. Può fare qualcosa?"
Shion sgranò gli occhi, piacevolmente
sorpreso. "Come hai detto?"
"Che
sta soffrendo e..."
"Come
fai a saperlo?"
"Me
lo ha detto lui. E' anche molto triste."
Shion si lasciò andare ad un sorriso,
fissando quel bambino. Sentiva la risonanza delle armature, percepiva la loro
anima, la loro vita. Poteva diventare un ottimo riparatore. Erano due secoli
che non incontrava qualcuno con un così grande dono, e lo aveva cercato a
lungo.
Quel
bambino non aveva ancora un Cosmo molto sviluppato, non riusciva ancora a
comprendere del tutto a cosa fosse destinato, ma avrebbe detto a grandi così.
Enormi.
"Posso
ripararlo e lo farò," rassicurò, mettendogli una mano fra i capelli corti
e biondi con fare rassicurante. "Quello che hai fatto è una cosa molto
particolare, e non tutti ne sono in grado, te ne rendi conto, piccolo?"
"Credo
di sì," annuì il bambino.
"Potresti
imparare anche tu ad aiutare queste armature. Sei in grado di capire che sono
vive, quindi puoi aiutarle."
"Davvero?
E come si fa?"
"Adesso
è troppo presto per te. Ma, dimmi, qual è il tuo nome? Da dove vieni?"
"Mi
chiamo Mu, signore. E non vengo da nessuna parte. Non più, ormai."
Shion assunse un'espressione dubbiosa e
scettica, ma non fece altre domande. Non era il momento. Quello che aveva detto
poteva significare molte cose, primo fra tutte che non aveva più un posto dove
tornare.
"Io
mi chiamo Shion, e mi farebbe molto piacere se tu
volessi venire con me, Mu, in un posto che si chiama Grande Tempio. Presto, lì
arriveranno molti altri bambini come te, e non sarai più solo."
"E
mi insegnerà a riparare le armature?"
"Naturalmente,"
assentì il Gran Sacerdote. E non solo quello, gli avrebbe insegnato. Shion lo sentiva, lo percepiva chiaramente, anche se era ancora
solo una sensazione; presto l'armatura dell'Ariete avrebbe richiamato a sé un
nuovo Cavaliere.
"Prima,
può aiutarmi a fare una cosa, signor Shion?"
"Una
cosa?"
"La
mia mamma è lì da qualche parte. Devo trovare un posto dove possa riposare in
pace, ma non sono capace. Ho provato, ma..." la voce di Mu si incrinò, e
il bambino si lasciò sfuggire un lungo singhiozzo, seguito da altri, lasciando
che le lacrime gli rigassero il viso.
Shion sospirò e lo prese a fatica in
braccio, facendogli premere in visino sulla spalla, ignorando la tunica nera
del Gran Sacerdote che andava macchiandosi delle lacrime di quel bambino.
Ma
andava bene che piangesse. Presto, troppo presto, avrebbe dovuto dire addio a
quella spontaneità, all'infanzia e alla gioia di quell'età.
"Puoi
portarmi da lei, Mu? Nello stesso modo in cui sei arrivato qui tu?"
Mu,
le spalle ancora scosse dai singhiozzi e il volto ben nascosto, annuì. Un
attimo dopo, erano spariti, e Shion ebbe l'assoluta
certezza che quel bambino nascondeva un grande talento.
Angolino Autrice:
Pensavo di essere in fissa con Shaka, ma mi sbagliavo. Ora
mi sogno Mu bimbo pure la notte!!
E niente, ho scritto di come ha incontrato Kiki, e come Kiki è rimasto solo, e
quindi perché non scrivere anche di come ha incontrato Shion,
e di come è lui ad essere rimasto solo?
L'altro giorno mi preparavo per andare a lavoro e puff,
niente, mi sono vista questo Mu piccino picciò che
parlava con le armature e niente, eccolo xD Che dire?
I Jamiriani sono una droga! Qualcuno mi
disintossichi!
Spero sia vagamente accettabile. Anche questa scritta totalmente di getto, ieri
notte. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando!
Un bacione,
Asu <3