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Autore: KH4    17/02/2018    0 recensioni
[Yu-Gi-Oh Arc V]
[Yu-Gi-Oh Arc V]Quella di lei era ormai la svaporante condizione dei sogni tremolanti.
Paring: Pendulumshipping (ReijixFemYuya).
Note: GenderBender - Higanbana Au (questa shot è uno spin off di Higanbana, una Pendulumshipping di cinque capitoli presente nella mia galleria) - Sad.
Dedicata a : Selena_Leroy.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
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Prima dell'alba.
 

Non era mai stato in grado di conferire, al dì fuori della bizzarria, una forma all’inintelliggibile carezzare mossosi dall’imperituro disincanto del suo spirito. 
Nella basilare cognizione di essere stato l’artefice della sua origine, l’empireo centellinare ne aveva sunto il palato con polpa involta da un’intima sfumatura d’acquerello, ammorbidendo il gusto della solitudine pleonastica senza per questo immobilizzarlo nell’imperizia. 
Sapeva ergersi dall’espressione discinta delle sue convinzioni quando coglieva la percepibilità di un’aberrazione e nella laboriosa perfezione di automatismi che trascendevano immotivate sospensioni di sé si articolavano le note ligie di cui l’affilato profilo era bordato.
Quelle dita, dure e indiscutibili, non si esulavano dalla nitida predilizione di astrarsi da ciò che lo attorniava; gradiva le emozioni fintanto che il loro frullare perseguiva la millimetrica rigoria con cui si pennellava un potenziale estremismo.
La contraddizione stessa del suo ufficio obbediva a tale impostazione: non si focalizzava su una qualsivoglia tipizzata cornice, benchè ella non disattendesse il pregiudizio umano volto a collocarne la posizione laddove i clangori incombevano in un inesorabile appiattirsi. Eppure, da lassù, era possibile impadronirsi di quesiti che una bassa prospettiva proibiva di fissare nell'immaginario umano. Scaturiva spontaneo ponderare se a una così provocante vicinanza con il cielo fosse fattibile predisporre un infuso di nuvole o se la carica di un sogno si pronunciasse con la totale assenza di gretti languori, ma talvolta i suoi pensieri non pretendevano null'altro che della carta per il mero bisogno di annichilire su di essa l’inchiostro di disutili avventatezze.
Ciò nonostante, giaceva risoluto il proponimento a non lasciarsi paventare dall’assottigliarsi della vita. Gestiva la malleabilità del proprio volto nell'oggettiva molteplicità dell’argilla, i palmi a disperdersi nella bruma di un moto vessato da caotici ansiti che apostrofavano con teorica fronte l’imprevidenza a non volerne avvertire l’omogenea gravità.
Esporsi completamente a una sospensione fra le barriere dell’ignoto avrebbe soltanto suggellato l’apogeo di interpellanze inadatte a reclamare diritto alcuno nella loro irreale indelicatezza, ma la sensazione infusa di una percezione che si discostava dai sensi comuni incombeva su Reiji Akaba come un’abitudine contorta ed egli vi scattava senza remora alcuna, senza stabilire ragionevoli perplessità su una connessione esercitante un così libero potere decisionale sul suo essere.
- Hai intenzione di diventare parte del mobilio o ti si è solo paralizzato il collo? Quanto vuoi farmi aspettare? -
Immerso fra le alacri consuetudini appartate dal declivio, l’intemperanza di Serena innalzò l’implicita pretesa di esplorare il valore che egli attribuiva al reiterarsi nell’incessante illusione di un miraggio destinato a non lasciarsi impadronire da provvisorie corporeità.
- Probabilmente meno del tempo che occorrerà alla tua pazienza per affinarsi -, le rispose, sovrapponendo la sua voce al sottile tamburellare dei polpastrelli sulla tastiera immacolata.
- E’ questa l’accoglienza che riservi a tutti i tuoi ospiti? -
- Soltanto a quelli di cui non rammento la telefonata che ne annunci la visita. -
- Quindi mi lascerai a macerare sul tuo costosissimo divano fino a quando lo reputerai opportuno? -
Perseverò lei piccata. Anche senza inquadrarne il profilo battagliero, il giovane presidente captò il pulsare del cipiglio imbronciato all’interno degli smeraldi lastricati che la frangia violetta pizzicava allegramente.
- La strada per il piano ristorante la conosci già. Sei libera di usufruirne come meglio preferisci. -
La ragazza inarcò la mascella e quel tenue bruciore impegnato a raschiare la parete umida della gola ne arrochì lo sbuffo incipiente. Giusto o sbagliato, esisteva solo quanto si confaceva alle opinioni di Reiji Akaba e questo precludeva l’animosità esterna, compresa la sua; che poi incespicasse nella condizione di essere punzecchiata sui risvolti fallimentari del proprio carattere era una questione agevolata dalla sua medesima disapprovazione al ritrarsi nella modestia con elegante rassegnazione.
Si conoscevano dacchè avevano intrecciato una reciproca convivialità che soltanto l’infanzia sanciva indelebile e la sua utilità si era rivelata efficace al fine di non tastare eventuali circostanze con una condiscendenza che, nelle mani di lei, propendeva a inerpicarsi sino a scioglierne lo suscettibile raziocinio in una precoce arrabbiatura.
Quanto più serrava le falangi negli avambracci, tanto più le sembrava di poter penetrare la filiforme trasparenza di quelle labbra dove baluginava una tacita trascuratezza.
Portava la fede al dito. Non al collo, al dito, perché era lì che le si addiceva e non vi erano ragioni legittime per appenderla con il rischio che il suo significato venisse banalizzato nell’anonimato di un pedestre fronzolo.
Non di rado, Reiji assumeva la consapevolezza di inseguire peculiari elucubrazioni con scomposita meditazione e come l’atto si ripercuotesse nella cerea lucentezza dell’incarnato: per quanto devoto fosse alla postura che trovava pieno sostegno nello schienale della poltrona, era l’assunzione di attecchite ritualità a contraddistinguerne l’immobilità dell’anima dal celere prolungarsi che comprovava come egli avesse già afferrato una realtà satura di albagia.
Talvolta, e ultimamente gli capitava con un lieve ispessimento nella frequenza, si consumava il pollice a forza di mantenere eretta la storica parvenza di star pensando a qualcosa. Da parte sua, Serena non era stata baciata dalla grazia di ripiegare sulla noiosità di immortali formalismi o, ancora peggio, dall’impicciòso dono di districare eventuali rigidità interrogandone la densità dell’umore: i suoi rimbrotti oltrepassavano il “Piantala di contemplare quello schermo, ti si caveranno gli occhi!” e il “Non ti stanchi mai a essere sempre così inquadrato?” per esternare una rivisitata preoccupazione che ne salvaguardasse la preziosa dignità. Contrariamente a lui, non serbava il potere di maneggiare le altrui condizioni, rattrappirle, se lo desiderava, e lasciarle soffocare nella loro cenere, ma indubbiamente non gli avrebbe permesso di concepire l’apatia come virtù per sopportare il dondolio del giorno.
I petali danzano, scivolano, si arrotano nell'amaranto sbocciare mentre discettano il pelo dell'amenità che oltrepassa la consistenza dei ricordi.
Quella visione lo teneva stretto a sé sino all’estrema vicinanza del primo ciglio ambrato, soffuso al punto da farne inciampare la bocca in un empito insopportabile. Nondimeno, non vi era prova alcuna che il suo tocco potesse esprimersi unicamente in un afono arrendersi delle palpebre.

No. Di certo, ogni parola sussurratagli era stata orchestrata per ottunderne il vuoto catatonico, tuttavia Serena non gli avrebbe perdonato la follia di circoscrivere la sua esistenza in un immoto interstizio. Ma neppure  possedeva i requisiti per biasimarne la rannuvolata volontà cinta dalla sua morbida litania.
- Parli con lei? - Un giorno glielo aveva semplicemente chiesto, arrischiandosi in quel palpito cicatrizzato di un’unica tonalità che governava la mente di lui.
- Quasi sempre -, ma era quel quasi a essere di inutilità assoluta, seconda a come egli si era sentito quando, in realtà, avrebbe solo voluto fare scempio del suo essere per averla lasciata andare come era giusto che fosse.
Disattendere la levità disperdendone il valore, paragonandola a un’idea controcorrente, mitigava i pilastri dell’universo al cospetto dell’accecante raggiera che si crogiolava nel scottarlo, ma terminato il giorno l’attesa adagiata nella sua mente lo accoglieva per saccheggiargli l’anima di un altro poco, con un consenso che non prendeva mai più di quanto egli stesso offriva.
Scivolando fra le screpolature di ombre gentili, la precisione dei sensi si dissipava fra estrose coperte che lo reclamavano nella disarmante delicatezza dei sensi, affondando nello splendore di una singola fioritura evanescente, avvolta nello spettro del crepuscolo autunnale.
- Sei qui. -
Quella di lei era ormai la svaporante condizione dei sogni tremolanti.
L’impronta di rapinoso etere confinava l’aurea effige con il quale la rammentava, mentre da una porta inesistente filtrava il fruscìo sommesso degli Higanbana che li cullava. Poteva vederla come se non se ne fosse mai andata via, assolto dall’incombenza di dover scattare per inseguire un tempo risoluto a ricompensarne gli sforzi se non con aspro rimprovero.
- Resti? - Fu la sua domanda, quella notte, e come sempre non lesinò sulla calma per sondarne la melanconica grazia.
- Rimarrò fino a che continuerai a desiderare l'esistenza di questo momento. -
- Non è una risposta. -
- Ma è ciò che vuoi sentirti dire. Se ti dessi quanto mi chiedi dovresti essere disposto a non venire più qui. -

E Reiji taceva, allora, erto su un piano che non voleva accostarsi a una ferita parzialmente assorbitasi. Quando l’indebolirsi di confini onirici si lasciava ghermire e la doratura di attimi conservavano l’incognito di sé, la disgiunzione del corpo incalzava non appena la monotonia del buio si spruzzava di rubino, precipitando nel liquido torpore che raccoglieva lo svigorito ovattarsi delle pareti dimensionali al suo scorrere in un fluido dal ventre contratto, corroborando tiepidi istanti che mai più gli sarebbero appartenuti.
Solo quel momento. Potevano avere solo quello. Viverlo e riavvolgerlo nel licenzioso gorgoglio di labili ombrosità, ma era lui quello più avviluppato dalla nastriforme malia di quei fiori. Se non stesse attento a non far pendere la propria brama nel desiderio di proiettarla oltre laide estremità perderebbe il vanto di insinuarsi fra le deboli screpolature di un intonso viluppo, la cui indefinita nomea lo stava lasciando libero di bearsi di quel sorriso che sapeva trasportarlo oltre amorali concezioni.
Le dita giacciono coricate senza spezzare l’incanto con un incauto lambire, i respiri coccolano le chiome opaline…Ma è quel bacio di lei, tocco esangue verso cui non aveva mai osato sporgere velleità alcuna, per timore che fosse l’ennesimo riverbero disseppellito, a obnubilare mellifluo e leggero ogni altra celestiale proibizione, che insabbia gli occhi di un mondo smanioso di giudicarli dall’alto di un'autoproclamata supponenza; la lingua sciolta dal palato trema nel valicare il fioco lineamento di quella guancia che si abbandona al muto solcare di un calore cristallizzato in lacrime.
- Non c’è altro posto dove io possa andare che non sia dove voglio essere, Senpai. Tu sai dove trovarmi, senza inibirti dalla vita che ti ruota intorno. Devi solo tenerlo a mente. -
Vorrebbe poter afferrarne le mani anziché anelarne la gioia che gli hanno fatto assaggiare. Le labbra si muovono lentamente, avanzano come farebbe una timida radice che sa di dover crescere con spossante lentezza, ma prima ancora che il flebile crepitio dell’alba plani imprescindibile sulla città, che quel nodo si discinga e tutto si nullifichi nel limato rimbombo di una melodia troppo lontana dai petali di Higanbana che solleticano le nuvole, esse si amareggiano nel vermiglio lucore di un viso che appassisce definitivamente nell’infondere un brivido traslucido al suo spirito illividito.
“Tu sai cosa vuol dire amare qualcuno?”
Quel loro autunno si era fatto irraggiungibile alle sue mani.
Ma soltanto perché doveva ancora imparare a farlo crescere dentro di sé.


 
  
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