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Autore: Hi Im a Kupo    21/02/2018    3 recensioni
"Mi muovo svogliatamente, rotolando su un fianco per affondare il viso nel cuscino ed allungare le gambe al di sotto della leggera pressione del lenzuolo. Prendo un gran respiro, prima di aprire gli occhi ed affrontare quei pochi raggi di sole che evadono la protezione delle tapparelle chiuse. Respiro che, ahimè, mi muore nella gola nell’istante stesso in cui esso nasce.
Non sono da sola in stanza. Spalanco gli occhi e mi immobilizzo, incapace di realizzare davvero l’accaduto."
Insieme di Slice of Life riguardanti la storia di una ragazza che si trova a dover convivere con qualcuno di, decisamente, inaspettato.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio, Roronoa Zoro, Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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THERE IS A PIRATE IN MY WORLD, remastered

 ​capitolo I
NOTA AUTRICE
Salute a voi, miei prodi.
Inserisco la nota autrice ad inizio capitolo, anziché alla fine, così che sia chiaro fin da subito che questa NON è una storia nuova. Come ho già lasciato intendere dal titolo stesso, ho semplicemente preso in mano la vecchia, omonima storia, e l’ho ritoccata. Il perché l’ho fatto? Semplice, quando l’ho scritta ero più piccola, e a rileggerla mi è venuto il mal di stomaco. In conclusione, quindi, la trama sarà pressoché quella, magari alcune scene verranno un filo cambiate, e il personaggio di Ginevra sarà evoluto al fine di renderla meno “mollacciona” di prima.
Per fini della trama metto quindi in evidenza alcuni cambiamenti:
-        Ginevra non ha 17 anni, ma ne ha 21 (ho realizzato solo dopo che in effetti, altrimenti, ci sarebbe stata un po’ troppa differenza d’età fra lei e la sua dolce metà);
-        La suddetta ragazza ha, di conseguenza, già iniziato l’università, ma (per ora) vive ancora coi suoi genitori, per non distruggere troppo la trama della storia originale;
-        Sempre la suddetta ragazza non ha più la timidezza della ragazzina (visto il dovuto aumento d’età), e si è già fatta le sue oneste esperienze.
Date le dovute precisazioni, vi presento quindi una Nuova Ginevra, un pelo più cresciuta e molto più cazzuta.
Nella speranza di dare nuova luce alla vecchia storia e di fornire a voi materiale migliore da leggere, vi saluto con un grande abbraccio.
Buona lettura!
 
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Lentamente la mia testa torna alla razionalità della veglia, i pensieri cominciano a sostituire gli ormai sfocati colori del sogno e il formicolio agli arti mi porta nuovamente coscienza degli stessi. Mi muovo svogliatamente, rotolando su un fianco per affondare il viso nel cuscino ed allungare le gambe al di sotto della leggera pressione del lenzuolo. Prendo un gran respiro, prima di aprire gli occhi ed affrontare quei pochi raggi di sole che evadono la protezione delle tapparelle chiuse. Respiro che, ahimè, mi muore nella gola nell’istante stesso in cui esso nasce.
Non sono da sola in stanza. Spalanco gli occhi e mi immobilizzo, incapace di realizzare davvero l’accaduto.
Un ragazzo, capelli verdi, abbigliamento assolutamente non ordinario, e tre inquietanti katane (le individuo come tali, vista la loro forma tipica) al seguito, se ne sta semisdraiato contro il mio armadio, il capo leggermente reclinato all’indietro e il respiro pesante di colui che sembra essere immerso in un beato sonno. Faccio leva sul braccio per sollevare il busto ed esaminare meglio la situazione, mentre qualcosa nella mia testa sembra essersi incrinato. Mi sporgo appena, ben attenta a non fare alcun rumore, convincendomi sempre di più, ad ogni secondo che passa, di non essermi mai svegliata quella mattina. Probabilmente, penso, sono ancora avvolta nel lenzuolo, mano affondata sotto al cuscino e gambe allungate in posizione scomposta sul materasso. Magari il sogno sembra essere così vivido solo perché sono profondamente addormentata, e magari (ringrazio il cielo di essere sola in casa) sto persino beatamente russando.
“Finalmente ti sei svegliata, ero davvero stufo di aspettare!” un’altra voce, proveniente sempre dalla stanza, rompe il teso silenzio di quella calda mattina estiva. Colta in fragrante mentre osservo quella che, ormai, ho catalogato come assurda proiezione astrale dei miei sogni, sobbalzo. Mi giro fulminea nella direzione di provenienza del suono, e lo vedo lì. Un secondo ragazzo, appollaiato sulle punte dei suoi piedi, e tutto sporto in avanti per avere una visione più completa di me, mi osserva imbronciato, come se averlo fatto attendere così a lungo fosse una mia propria colpa. Socchiudo le labbra dalla sorpresa, dopo aver ingoiato il piccolo urlo che stavo per emettere all’aver udito la nuova voce. Sbatto le palpebre un paio di volte, senza dargli alcuna risposta, rimanendo soltanto ad osservarlo incredula. Ora ne sono certa, non c’è altra spiegazione al di fuori della mia fervida immaginazione, sostenuta da un sonno particolarmente intenso.
“Credo tu le abbia causato uno shock cognitivo” una terza voce, seguita da quello che pare essere un lieve sbuffo divertito, risuona nitida nella stanza. Mi giro con uno scatto anche verso di essa. Lui è lì, in piedi, appoggiato con una spalla allo stipite della porta e lo sguardo fisso su di me. Gli occhi grigi che paiono trapassarmi da parte a parte celano, dietro al fare sarcastico, un’iniziale diffidenza nei miei confronti.
Dubito di poter sembrare, comunque, in qualsivoglia modo, un pericolo: i capelli raccolti in una coda spettinata, reduce di una notte passata a girarsi e rigirarsi nel tentativo di affrontare l’afoso caldo estivo, ed una sola t-shirt larga, taglia XXL, da uomo, a farmi da pigiama. L’espressione sconvolta, poi, aggiunge quella punta di comicità in più alla già discutibile situazione. Mi porto una mano alla testa, facendo scorrere le dita sottili fra i capelli per spostare una ciocca indomita, sfuggita dall’elastico nero, all’indietro.
Scuoto leggermente il capo, causandomi una violenta fitta alla tempia per via dell’emicrania in rapida ascesa. Devo star proprio dormendo pesantemente, penso, lasciandomi cadere all’indietro contro la spalliera del letto. Li osservo, ormai quasi divertita, senza dire una parola. Per una santa volta, la mia testa ha deciso di farmi vivere un sogno decente, almeno.
“Hey tu, ma stai bene?” il ragazzo dal cappello di paglia, ormai abbandonata la comoda posizione rannicchiata, si è avvicinato a me, e mi osserva dal bordo del letto. Sposto lo sguardo su di lui, inclinando la testa confusa. La sua versione 2D non rende affatto giustizia a quella tridimensionale, gli occhi scuri ed espressivi che risaltano sotto alla frangetta nera spettinata, lo rendono davvero un bel ragazzo. Una nuova fitta alle tempie mi irrita alquanto, e gelo il sorriso che gli stavo porgendo in un’espressione piuttosto disorientata. Realizzo solo ora, in effetti, quanto sia strano riuscire a percepire del dolore vero in un sogno.
“Ohi, parlo con te!” sbuffa ancora il ragazzo, appendendosi questa volta al mio braccio per scuoterlo con violenza. Il suo tocco, il suo calore umano sulla mia pelle, sono quella scintilla che mi fa perdere del tutto la cognizione. Mi sposto indietro rapidamente, come mi avesse scottato. Il mio sguardo, ormai calmo e sereno, muta rapidamente in puro sconvolgimento. Mi porto l’altra mano a coprire l’esatto punto in cui lui mi ha afferrata, e continuo a guardarlo sconcertata. Non so cosa sia stato, forse il tocco, forse l’emicrania che sempre più prepotentemente pervade la mia testa, ma qualcosa in me è scattato. La consapevolezza, pura e terribile, del fatto che tutto ciò non sia solo un sogno, stravolge la mia mente. Un’altra fitta alle tempie, più forte della precedente, mi arrotola lo stomaco. Dopo l’ennesimo sguardo frastornato, gli do rapida le spalle e butto le gambe giù dal letto, affannandomi in una disperata corsa verso il bagno.
“Devo vomitare” rantolo, accompagnata dall’indispettito verso dello spadaccino, violentemente svegliato dal suo profondo sonno per via del mio essere inciampata sulle sue gambe, nel mio miserabile tentativo di giungere il più in fretta possibile alla meta.
 
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Mi pulisco l’angolo della bocca con il dorso della mano, ancora accucciata a fianco del sanitario, mentre tengo lo sguardo fisso sulla tavoletta sollevata del water.
Che cosa così poco elegante presentarsi in questo modo, realizzo senza aver il coraggio di voltare la testa verso il ragazzo che, percepisco, sta appoggiato alla porta del bagno poco distante da me. Probabilmente ha avuto l’accortezza di seguirmi solo per assicurarsi che non tentassi in qualche modo la fuga (così poco probabile, trattandosi di me).
“Stai bene?” la voce di Cappello di Paglia mi rimbomba nelle orecchie, ancora scossa dal recente voltastomaco. Alzo, finalmente, lo sguardo verso di lui. Sta in piedi, al centro della piccola stanza, con le braccia a penzoloni lungo i fianchi e lo sguardo confuso. Sempre ben attenta ad evitare con gli occhi il Chirurgo della Morte, ancora tranquillamente appoggiato nella sua posizione di controllo, abbozzo un sorriso a Rufy.
“Sai” inizio, prendendo un gran respiro “sinceramente, non lo so”. Lo guardo spostare una mano dietro al suo capo per scompigliarsi i capelli, forse indeciso su come rispondermi.
“Perché siete qui?” chiedo, spostando finalmente l’attenzione sull’altro ragazzo il quale, in unica risposta, solleva un sopracciglio. Accetto l’iterazione senza domandare oltre, e faccio leva con le braccia per alzarmi, andando verso il lavandino con l’intento di lavarmi le mani. Faccio scorrere l’acqua, e al suo contatto contro le dita mi sembra di percepire un minuscolo sollievo dall’agitazione della mattina. Mi concentro sul getto, provando per un attimo ad escluderli dalla mia mente, aggrappandomi agli ultimi rimasugli di convinzione che, alla fine, tutto ciò sia davvero soltanto un sogno. Purtroppo, vengo strappata dal mio flebile tentativo troppo in fretta, il quale si sgretola definitivamente nella mia mente.
“Perché siamo qui devi dircelo tu, ed anche velocemente” irrompe una nuova voce, quella dello spadaccino, nel bagno troppo piccolo per contenere così tante persone. Sposto lo sguardo su di lui, chiudendo l’acqua ed afferrando distrattamente l’asciugamano poco distante. Noto qualcosa fra le sue mani, un piccolo libricino dalla copertina colorata che riconosco bene. Mi si gela per un attimo il sangue nelle vene, prima di realizzare di aver collezionato i volumi della serie solo fino alla saga di Thriller Bark. Torno a respirare, sollevata. È un bene che loro non sappiano la loro storia, a nessuno farebbe bene sapere il proprio destino.
Sposto gli occhi contro ai suoi per un istante, prima di girarmi e concentrare la mia attenzione sul riporre nuovamente l’asciugamano al suo posto.
“Del perché siate qui, non ne ho idea” borbotto sovrappensiero, portandomi le mani ai fianchi prima di girami nuovamente verso di lui, appoggiandomi contro al mobile chiaro del bagno “per quelli, possono soltanto dirti che portano la vostra storia, gesta passate, presenti e future” termino, indicando con la mano il piccolo libro custodito dallo spadaccino. Alle mie parole Rufy spalanca gli occhi in un istante di terrore, prima di assumere un cipiglio deciso e gettarsi a capofitto contro il suo compagno, nel tentativo di strapparglielo dalle mani di violenza, urlando qualcosa riguardo al fatto che non voleva saperne proprio niente del suo futuro, o che, altrimenti, non avrebbe avuto neanche più senso andare oltre nella sua avventura.
“Per dio!” sbotto basita, restia dal mettermi in mezzo allo scontro fra i due ragazzi “Non c’è proprio niente di nuovo lì dentro! Tutto quello che ho, parla del vostro passato!” rincaro la dose, sporgendomi verso loro di appena un passo.
“Cosa significa questo?” domanda il Chirurgo, assottigliando lo sguardo diffidente contro di me. Mi giro verso di lui, che sembra del tutto indifferente alla tentata rissa appena scoppiata a meno di un metro dal suo regale fondoschiena.
“Che è un gran casino” gli rispondo arricciando le labbra indispettita, chiedendogli poi di seguirmi in cucina per approfondire il discorso, mentre i due a fianco a noi continuano a strillarsi contro senza minimamente ascoltare le risposte che si danno l’uno con l’altro.
 
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Posiziono il piccolo pentolino stracolmo di acqua sul fornello, mentre Law prende silenziosamente posto a sedere al tavolo dietro di me. Comincio a parlare senza curarmi di osservare le espressioni del ragazzo, aprendo distrattamente gli armadietti della dispensa per recuperare i biscotti ed una bustina di the. Domando se ne vuole una anche lui, risponde negativamente, così continuo nella spiegazione del nostro mondo, differente dal loro, e nelle varie, insulse, teorie che affollano la mia mente sul motivo per cui loro si trovino attualmente in casa mia. Dubito che qualcosa di quello che sto dicendo convinca pienamente il dottore, che mi lascia continuare a parlare senza interrompermi, studiando con attenzione i miei movimenti e tutto ciò che nel mio corpo potrebbe tradirmi. Evidentemente, niente lo insospettisce più del dovuto, perché, terminato il monologo, si appoggia più comodamente allo schienale della sedia accavallando, in contemporanea, le gambe.
“La teoria che mi pare più valida, comunque, è quella del multiverso, o teoria delle bolle” concludo io, seduta al lato opposto del tavolo rispetto a lui, mentre mi porto alla bocca la tazza di the caldo.
“Esisterebbero quindi più universi?” domanda lui, ricordando la mia spiegazione precedente.
“Si, creati al momento dell’esplosione del Big Bang” continuo la sua frase “probabilmente, per qualche ragione, questi universi sono in collegamento, ma non so davvero come voi abbiate fatto a finire qui” termino, tuffando un altro biscotto nel liquido ambrato di fronte a me.
“Sembra interessante” la voce dello spadaccino, appena arrivato in seguito al furioso scontro col suo capitano (non sono certa di voler sapere ciò che ne è stato del mio manga), attira la mia attenzione su di lui. Accenno un sorriso, tirando appena gli angoli della bocca, ancora troppo scombussolata dall’accaduto.
“Più o meno” rispondo io, portando alla mente sia i lati positivi della loro permanenza qui, così come tutti quelli negativi. Non si prospetta un’avventura semplice la convivenza con i tre pirati ed il loro inserimento in un mondo alquanto diverso da quello da loro conosciuto.
“Cosa stava succedendo, prima che vi trovaste qui?” domando, facendo oscillare la tazza di the, ormai quasi vuota, fra le mie mani.
"Stavamo discutendo su come raggiungere Doflamingo quando il cappellaio, che non stava ascoltando naturalmente, ha fatto scivolare una strana boccetta sul tavolo dalla quale è fuoriuscito un liquido nero. Per sbaglio ne abbiamo toccato il contenuto." Comincia il chirurgo, sottolineando il suo disappunto verso la più che nota disattenzione dell’altro capitano.
"L'abbiamo toccata ed è stato come esserne assorbiti, poi ci siamo trovati nel tuo salotto, ma non è stato difficile trovarti, è bastato seguire il tuo russare." Conclude rapido Zoro, ghignando furbo. Spalanco gli occhi per un istante, spaesata, prima di gonfiare le guance e borbottare un “Oh, insomma!” nei confronti dello spadaccino. Mi alzo sbuffando, agguantando la povera tazza vuota, colpevole solo di trovarsi nel posto sbagliato, al momento sbagliato, e la scarico malamente nel lavandino.
È così assolutamente piacevole sapere di aver fornito come prima impressione quella di una delicata fanciulla che russa come uno scaricatore di porto.
"Proveremo a risolvere e a farvi tornare nel vostro mondo il prima possibile. Per quello che posso, almeno." Ringhio, ancora rivolta al lavandino, cominciando a lavare spasmodicamente le poche stoviglie al suo interno. Com’è che si chiamavano quei cerottini nasali contro il russare? Ricordo di aver visto la pubblicità non troppo tempo fa, chissà se in farmacia li vendono..
"Come si chiama il gatto?" compare Cappello di Paglia alle spalle dei due, strappandomi dalle mie importanti riflessioni di colpo, tenendo il mio povero animale, probabilmente con un attacco cardiaco in corso, dalla collottola.
"Ma tu non ascolti mai?!" gli urlano insieme gli altri uomini facendomi per un attimo scordare i miei pensieri e ridacchiare sotto i baffi.
Rufy li osserva indifferente, e poi sposta lo sguardo su di me, sorridendomi solare.
"Comunque piacere, mi chiamo Rufy e diventerò il re dei pirati!" esclama mollando di colpo il gatto, che dopo un miagolio indispettito se la dà a gambe, nascondendosi ansimante dietro alla spalliera del divano.
Sorrido affabile anche io, appoggiandomi l’asciugamano che ho appena utilizzato per la tazza, sulla mia spalla.
"Sono Ginevra, chiamatemi Gin” mi rivolgo anche agli altri, per coinvolgerli nelle dovute presentazioni “Onorata di conoscere il futuro re dei pirati." rido leggermente mentre porgo rispettosa la mano a Rufy, che la stringe allegramente, gonfio di orgoglio per l’essere stato chiamato in tale modo.
“Questa ragazza mi piace Zoro!” esclama tutto tronfio rivolto al suo compagno, sistemandosi meglio il cappello sulla testa “Hey, che ne pensi di entrare nella mia ciurma?” domanda poi a me, con uno smagliante sorriso dipinto sulla faccia. Non posso far a meno che mettermi a ridere, declinando gentilmente la sua offerta per impossibilità della cosa, mentre lui, tutto abbacchiato, si sposta trascinando i piedi verso il frigorifero, sicuro che un po’ di carne avrebbe certamente migliorato il suo morale distrutto.
Zoro ribatte che deve smetterla di invitare ad unirsi alla sua ciurma chiunque incontri per strada, ma Rufy non ascolta più. Lo spadaccino, rassegnato alla testardaggine del suo capitano, prende un respiro profondo e scuote la testa, prima di girarsi verso di me.
"Parlando di cose serie donna, dove si trovano gli alcolici in questa casa?" persino Law, che sembrava avvolto nei suoi oscuri pensieri, si gira sbigottito verso Zoro e spalanca gli occhi chiari.
Io lo imito, sufficientemente spaesata per essere rimasta senza parole, prima di portarmi una mano a premere delicatamente contro le tempie. Sconsolata scuoto la testa, sentendo Rufy borbottare indisposto verso l’esigua quantità di generi alimentari contenuta nel mio frigorifero. Realizzo a pieno solo ora quanto davvero sarà difficile portare avanti una convivenza con questi tre individui, mentre cerco appoggio contro il mobile della cucina.
Law urla agli altri due di essere due idioti.
   
 
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