Videogiochi > Danganronpa
Ricorda la storia  |      
Autore: MadLucy    24/02/2018    0 recensioni
{Monaca Towa/Nagisa Shingetsu | Ultra Despair Girls!arch | angst | missing moments| future!fic | non-con hints | + warriors of hope}
Nagisa abbandonò la testa contro l'ossatura fine del suo viso, ansimando. Le pulsazioni del cuore erano serrate e ripugnanti, immerse nel catrame. Non c'era modo di assentarsi, tutto restava presente e attaccato alla pelle come vestiti fradici. Monaca posò l'indice sulle sue labbra tremule, con gentile fermezza.
«Shhh. Non devono sentirti. Non devi dirlo a nessuno, è il nostro segreto, giusto?» Fece coincidere la propria fronte con quella di Nagisa. «Nagisa non vuole che gli altri sappiano che cosa vuole che Monaca gli faccia, giusto?»
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Quello di Monaca era un letto così grande che non sembrava un letto. Nagisa lo sapeva benissimo fin dall'inizio, perchè era stato lui a commissionarlo. Aveva detto descrivi come lo vuoi, e Monaca aveva spalancato le braccia, con la sua mite megalomania. Però non sapeva benissimo fin dall'inizio cosa si provava a starci sopra. Per arrivare al centro bisognava strisciare su quella coperta traslucida, piatta. Non sembrava di stare su un letto. Era tutto surreale per aiutarlo, perchè Nagisa doveva perdere la testa, e sopravvivere. Nagisa era stato contento di perderla. Aveva capito, in tutta franchezza, con diplomazia, come una divisione in colonna su un foglio di carta, che non aveva senso tenersi attaccato ad essa, che sarebbe stato stupido. Non poteva tenere la propria testa ed accettare il fatto che chi... Ascolta, la giustizia non esisteva, e io non sapevo di averne bisogno. Ogni tanto Nagisa immaginava di parlare di Monaca a qualcuno che non conoscesse Monaca, per capire se sarebbe stato in grado di dipingerla in maniera fedele. Per capire se Nagisa la conosceva. Lei ha inventato la giustizia per me. L'ha disegnata, e mi ha fatto vedere che era bella. Non sapevo che aspetto avesse -una cosa bella. E poi se l'è ripresa. L'ha fatta sparire in un astuccio a fiori. Ha tirato una zip e mi ha tagliato la testa. 
Monaca stava immobile, sdraiata sul fianco, la mano sotto l'orecchio, l'altra sotto il cuscino, come se volesse addormentarsi, ma i suoi occhi erano vigili. «Sai, un sacco di gente è già morta, e loro continuano a morire... anche in questo momento. Tu hai ordinato molti omicidi, vero, Nagisa?»
Ascolta, è come per gli astucci di certi bambini. Quelli con tanti piani, hai presente? tante sezioni. Quella per i pennarelli, per i pastelli, e quella per temperino e righello e gomma e forbici e colla. Li comprano con dentro tutto completo, tutto ordinato per sfumature, tutto pulito e lucido. E per i primi giorni di scuola cercano di rimettere tutto a posto dov'era all'inizio, dove dovrebbe stare. Poi le cose cambiano e se ne fregano. Invertono, sporcano, rompono, e trovi due pastelli nella stessa fascetta, metà pennarelli secchi senza tappo, il temperino perso, la gomma diversa. Non si sa bene perchè. Non si sa perchè arriva il caos a un certo punto. E i bambini non sapevano nemmeno come facevano a tenere tutto in ordine prima. Non si sa perchè certe cose vengono bene senza sforzo. E non si sa perchè smettono. La perfezione va a momenti. La felicità sta in una fascetta per pastelli, poi scappa via, e chissà chi te l'ha rubata. 
«Un sacco» ripetè Nagisa. 
«Perchè a Nagisa non piace sporcarsi le mani» sorrise Monaca, intenerita, come se fosse un pregio sviluppato grazie alla sua supervisione. «Però lo stavi per fare, vero? Con il servo, lo stavi... quasi per fare.»
Ascolta. Ci sono stati tanti giorni perfetti. Adesso sembra giusto mandare tutto quanto all'aria, ma non lo è. Basta pensare a quei giorni perfetti... Nessuno stava fingendo. Era perfezione vera. Perchè se non fosse stata vera adesso non sarei in grado di fare un paragone e capire di essere nel brutto sogno di qualcun altro. Non nel mio... I miei incubi non erano così. Non sarei mai stato in grado di immaginare una cosa del genere. Quando tutto diventa incomprensibile, penso alla partita di shangai. Tutti si stavano divertendo. Ne avevamo quasi paura, ma ci stavamo abituando in fretta. Era il nostro posto del mondo. Forse dovevamo scattare una fotografia e poi spegnere tutto. Spegnere il mondo. Far finire il film. 
«Sarebbe stato come quella volta, con i tuoi genitori? Sarebbe stato così?» domandò Monaca, seria, quasi preoccupata. 
Nagisa la guardò. Non sarebbe mai riuscito a starle così vicino una volta, adesso era indifferente. Era troppo intelligente per non capire cosa stesse succedendo, e troppo intelligente per impedirlo. 
«Sì, sarebbe stato così.»
Ci dev'essere qualcosa di quei giorni perfetti nei suoi occhi. Lei era la chiave di tutto quanto. Lei funzionava... Non può aver smesso di funzionare. Forse ho smesso io di funzionare. Dov'è l'errore? Dov'è stato? Perchè non si può correggere? Chiudere gli occhi, riaprirli... e tutto va di nuovo bene. 
«C'è qualcosa che non va, Nagisa?» Monaca tolse la mano da sotto il cuscino, lentamente. Tutti i suoi gesti parevano a rallentatore. Niente aveva la bontà di sorprendere Nagisa di soprassalto. Ogni cosa fermentava e ribolliva e si preparava ore prima nella sua testa consumandolo. Niente aveva la bontà di smettere. La sua mano trovò il suo collo e cominciò a tastarlo con curiosità ma anche attenzione, come se cercasse una fessura, un'irregolarità -guidata da un impulso. 
«Una volta eri così entusiasta... di soddisfare tutti i miei desideri. Trascorrevi ore e ore a lavorare per i miei giochi con tutte le tue forze... e mi consolavi in qualsiasi modo possibile per non farmi arrabbiare» raccontò Monaca, la voce più intristita che lamentosa. «E lo facevi sempre sorridendo. Monaca vuole che qualsiasi cosa tu faccia, tu la faccia sorridendo. O arrossendo.» Il suo pollice gli accarezzò la guancia, ripetutamente, come per evocarci del colore. Nagisa rispose al suo sguardo, ma non potè evitare di contrarre le labbra. Rispondeva al suo sguardo perchè quella era l'unica prova rimasta al mondo che lo sguardo di prima -quello che non gli ispirava repulsione, quello che gli faceva pensare che era vero che una persona può piacerti più di altre- era esistito.  
Questa non è la via giusta che le cose devono imboccare. Non ne so niente, niente, di come va di solito, so solo che non è così che ci si sente quando tutto procede bene. Perchè io le ho vissute, delle ore giuste, in cui tutto andava bene ed era così che doveva andare. So riconoscere la differenza tra ciò che provavo allora e ciò che provo adesso. Nella perfezione non c'era ansia e non c'era sospetto, c'era solo riposo e divertimento e gioia...Una serie di bollicine che brulicavano a livello del cuore, come un sapone lasciato sotto al rubinetto. C'è un po' di paura di troppo qua. Un'urgenza di fuga. Qualcosa che ti fa venire voglia che non stia succedendo, anche se pensi che forse dovresti volerlo. L'amore dovrebbe essere un po' più facile. Dovrei poterla perdonare più facilmente. Dovrei passare dalla sua parte senza soffrire. Dovrei volerle dare quello che vuole. 
Monaca non sembrava volergli chiedere niente. Sembrava trovare dentro di lui qualcosa che lui non conosceva, che gli era estraneo. Annusarlo nelle sue orecchie, e inspirarlo fino a sentirlo sulla lingua. Sembrava quasi, per la prima volta, avere bisogno di qualcosa di suo. No, era di più, non era una necessità o una ricerca. Era un ritrovamento continuo che non la stupiva e avveniva con naturalezza. Ne era ottenebrata. Monaca gli tenne ferma una spalla con una mano, la testa con l'altra, e parlò con la bocca che sfiorava la curva della sua gola. «Ti ricordi come mi chiamavi?»
La sua voce soffiava un tepore flebile. Nagisa provò un dolore piacevole, come se il sangue si fosse acceso nei polsi. Voleva gettarlo via, ma era anche parte di sè. Il suo respiro cominciò a fremere. 
«Sì» sussurrò. Quei ricordi contenevano tutto il suo amore. Era qualcosa di sacro e non voleva che l'ansia li contaminasse, li profanasse della loro purezza. Però li voleva. Li voleva lì con lei. Quanto li voleva. Evocarli era pericoloso e bellissimo. 
«E com'era?» Monaca mantenne il respiro sulla vena del suo collo. Nagisa si appese a quel ricordo a peso morto -la sua ultima speranza- sperando che non si rompesse. Schiuse la meraviglia fragile della sua memoria, nella disperata evocazione del passato, come se lo stesse richiamando per vederlo materializzarsi, e allo stesso tempo temesse che il prezzo da pagare fosse perderlo per sempre. La sua voce non era mai stata tanto debole. 
«... Monaca-chan.»
Monaca socchiuse gli occhi, traendo in sè l'innocenza di quel bisbiglio. Un sorriso aleggiò sulle sue labbra, mentre le sue mani si appendevano alle spalle. «Già, la chiamavi così, e Monaca era felice. Fallo di nuovo!»
E tu ricordi? Ricordi che eri felice di essere come ti amavo io? Ricordi che era tutto facile quando era giusto? Ricordi che non avevi bisogno di ordinarmi di sorriderti o di arrossire? Cosa ci hai guadagnato a rovinare tutto? Tutto era tuo. Non dovevi far altro che tenertelo.
«Monaca-chan.» Non la stava più chiamando. Era una deplorazione. Non gli era mai mancata tanto come in quel momento, in cui gli veniva imposta la nostalgia.
«Di nuovo.» Era sadico e ipnotico. Nagisa incontrò gli occhi di lei, avvertendo i propri pizzicare di lacrime. Ricorda. Ricorda e torna da me. Non puoi aver dimenticato, non puoi essertene andata. Non puoi aver inventato quella che amavo. Come l'immaginazione di Nagisa era troppo limitata per quell'orrore, l'immaginazione di Monaca era troppo limitata per quella perfezione. Spingevo la tua sedia vicino al camino e guardavamo gli altri azzuffarsi, e tu mi toccavi la mano come se scottasse e dicevi dobbiamo farlo per loro, per tutti quelli come loro, tutti quelli come noi, andrà tutto bene. E non c'era una ragione per cui non dovesse essere così. Mi sarei buttato in quel camino per te senza fare domande. L'unica cosa che non avevi il diritto di togliermi eri tu.
Nagisa la guardò e si vergognò di come il male si stesse nutrendo dell'ultimo bene che gli restava, facendogli odiare il suono della propria voce. 
«Monaca-chan...»
Ormai non aveva più senso nè valore. Il timido imbarazzo con cui l'aveva chiamata con riverenza era distorto in qualcosa di grottesco. Monaca pareva soddisfatta. Il lenzuolo, così immenso in quel letto immenso che non si vedevano gli orli, nascondeva i loro corpi in una coltre uniforme come nebbia. Le mani di Monaca ci sparirono sotto, quatte e spregevoli. 
«Ancora una volta, continua.»
Gli chiedeva di umiliarsi di fronte a se stesso, adesso. Il contrasto tra ciò che aveva perso e ciò che restava era miserevole. Nagisa non vedeva nulla, c'era il lenzuolo, ma non riusciva a guardarla lo stesso. Chiuse gli occhi.
«Monaca-chan, Monaca-chan.»
Monaca invece continuò ad osservare dolcemente le sue palpebre arrossate mentre lo toccava. Parlò sottovoce, vicino al suo naso, lambendo la sua bocca. 
«Non dovresti disprezzare Monaca, Nagisa. Perchè lei sente i tuoi pensieri. Lei li sente tutti. E soprattutto perchè tu sei come lei. Tu sei proprio come lei.» La sua voce era quasi esultante, e si assottigliava di estasi. «Nagisa crede di essere molto meglio di Monaca, ma non lo è. Lui è spezzato e la sua testa non funziona bene. Gli fa fare delle cose orribili. Cose che nemmeno i demoni potrebbero pensare.» Monaca affondò i denti nel suo labbro inferiore, senza preavviso. Nagisa chinò il mento, strizzando gli occhi. Il piacere e il dolore lo torturavano allo stesso ritmo. Monaca cantilenava, la voce più roca. «Solo Monaca può salvarlo dalla sua pazzia, perchè è buona. Le persone buone amano anche le persone cattive. Anche le persone che non servono a niente a nessun'altra persona o che non piacciono a nessun altro. Le persone buone sono meravigliose, non pensi?» Nagisa avvertì la testa vorticare e lottò contro l'impulso di afferrarsela. Non poteva muoversi, non prima che tutto fosse finito e lui congedato. Monaca strofinò il naso contro la sua guancia. «Smettila di trattenerti. Fai il bravo. Vieni per me. Così... Così.»
Nagisa abbandonò la testa contro l'ossatura fine del suo viso, ansimando. Le pulsazioni del cuore erano serrate e ripugnanti, immerse nel catrame. Non c'era modo di assentarsi, tutto restava presente e attaccato alla pelle come vestiti fradici. Monaca posò l'indice sulle sue labbra tremule, con gentile fermezza. 
«Shhh. Non devono sentirti. Non devi dirlo a nessuno, è il nostro segreto, giusto?» Fece coincidere la propria fronte con quella di Nagisa. «Nagisa non vuole che gli altri sappiano che cosa vuole che Monaca gli faccia, giusto?» 
Un giorno avrei avuto il coraggio di dirti che mi piacevi. Ci sarei riuscito, sì. Potevo comandare la distruzione di una città e la strage dei suoi abitanti senza tante storie, ma rimanere da solo con te e trovare un modo per pronunciare quelle parole mi metteva una paura tremenda a confronto. Perchè tutti i miei sentimenti erano appesi lì, uno dietro all'altro, tutto dipendeva da quello. Ci sarei riuscito, adesso lo so. E se potessi ritornare indietro ti impedirei di cambiare rotta al nostro futuro. Te lo direi prima che tu possa rivelarmi di aver sempre mentito. Ti incastrerei nella nostra perfezione. Tu avresti avuto pietà di me e non ti saresti smascherata, ti saresti tenuta la timidezza, il sorriso bianco, i biscotti. Il nuovo paradiso era facile da costruire, è sempre stato a un passo da me, solo che non me ne sono mai accorto. Ti avrei messo sulle labbra il dito che mi stai mettendo tu. Avrei detto, aspetta, aspetta un momento. Rifletti. Resta con me. 
Non avresti mai avuto pietà. 

Da così vicini, i suoi occhi sembravano privi di coscienza, come quelli di un rettile. Svegli e selvatici. Nagisa ricambiò lo sguardo, vacuo. Non aveva più niente da perdere. Presto sarebbe diventato una vittima noiosa. 
«Dormiamo» ordinò Monaca, aggiustando la coperta sulla sua spalla. «Domani è un giorno pieno di lavoro. Devi essere al pieno delle forze! Buonanotte, Nagisa.»
Lei vuole che diventi la mia quotidianità. La mia abitudine, il mio equilibrio. Che mi adegui al male senza giudicarlo e sopravviva. Che sia il complice del mio annullamento. Fino a dove? Finchè mi uccide? Finchè mi uccido? Finchè le va. La sto aiutando ancora una volta. È più forte di me. Nagisa le aveva chiesto in che letto avrebbe voluto dormire, e lei aveva spalancato le braccia, in un gesto vago, indicando un'isola, un mare, una zattera dove potesse restare all'asciutto in superficie e in cui far annegare il mondo intero, più l'unica persona che la amava. 
«Buonanotte Monaca.»

***

Masaru battè un pugno sul tavolo. «Ci vado io, che diamine. Ne ho bisogno. Andrò io da lei.»
Intorno al tavolo si respirava un'aria di competizione. Kotoko si alzò in piedi, colta dall'impeto, e la sedia su cui sedeva ondeggiò prima che le gambe si riassestassero. 
«Tu non te lo meriti abbastanza» lo tolse di mezzo. «Non devi essere tu. Non sei mai stato tra i suoi preferiti. Non ti ha nemmeno pianto quando sei morto.»
«E con questo?» sbottò Masaru. «E con questo?»
«E con questo, non ti sei meritato abbastanza di rivederla per primo, idiota che sei. Devi cedere questo privilegio a chi ha delle vere ragioni per rincontrarla.» Kotoko aggrottò la fronte, chiudendo le braccia davanti al petto, e un'ombra le attraversò il viso. «Credete che sia vero? Io... mi sembra impossibile. Ho paura che sia morta e non la rivedremo mai più.» 
«Non è morta» la aggredì Masaru, ruvidamente. «È viva, non c'è dubbio. E io devo incontrarla il prima possibile. Io.»
«È la cosa che anche io vorrei di più al mondo, ma se già voi due vi state contendendo il primo posto non ce la farò mai a spuntarla» bofonchiò Jataro, rimpicciolendo sulla propria sedia. 
«Non ti ci mettere anche tu» lo fulminò Kotoko. «È una faccenda personale, lo volete capire?! Non è la stessa cosa, se puoi essere tu o io. Ci sono cose tra me e lei che voi non potete neanche immaginare.» 
Masaru fece una smorfia esasperata. «Non fare la protagonista come al solito! Non c'è niente che non possiamo capire anche noi. Quello che provi tu lo provano tutti.» 
Jataro sospirò. «Se continuiamo a p-perdere tempo, finirà in prigione e ne-nessuno la incontrerà. Non possiamo permetterlo.» 
«Certo che no! Fosse l'ultima cosa che faccio, impedirò che lei ci venga strappata dalle mani» esclamò Masaru, con determinazione rabbiosa.
«Senza che la Future Foundation lo scopra...! Altrimenti... ahhh! correremmo dei grossi guai» gli ricordò Jataro, scosso da un tremito per conto proprio. 
«Nessuno lo scoprirà!» dichiarò Kotoko, in tono definitivo. «Per loro sarebbe come se fossimo passati di nuovo dalla parte dei cattivi, no?»
«Mi coprirete mentre io andrò da lei» puntualizzò Masaru.
«Mentre io andrò da lei!» strillò Kotoko.
Nagisa alzò il mento chino. «Ci vado io.» Il suo tono di voce era più basso e non li sovrastò, ma i due ragazzini tacquero. Si lanciarono una breve occhiata a vicenda.
«Sei sicuro, Nagisa?» ribattè Masaru, esitante.
«Devo essere io a farlo» rispose Nagisa. Sul suo viso era stampata un'espressione di apatia e fatalità. Kotoko, imperscrutabile, spinse verso di lui il fodero fermo al centro del tavolo.
«Ti ricordi ancora come si fa, vero?» 
Nagisa lo aprì ed estrasse un lungo rasoio affilato. Lo soppesò e ne percorse la lama con il pollice. «Lo farò e basta.» 

***

Di certo non si poteva dire che Monaca cercasse di nascondersi. Una musica pop ad alto volume faceva quasi tremare la porta dell'appartamento in cui si nascondeva. Fermo sul pianerottolo, Nagisa cercò di capire che cosa potesse avere in mente. Si chiese se potesse trattarsi di una melodia che portasse alla disperazione, come i video di cui gli aveva parlato la Future Foundation, ma scartò l'ipotesi. Si trattava di una banale hit radiofonica. La verità era che si attardava in pensieri casuali per tergiversare. Per contraddire quell'autocritica, diede un poderoso calcio alla porta e la sua serratura, poco solida, scattò. 
Lo spettacolo che si presentò davanti a lui era pittoresco e un po' scadente. Una minuscola stanza, il cui pavimento era stato ricoperto di una brutta moquette arancione fluorescente a pelo lungo, era stata riempita fino a scoppiare da cataste di spazzatura colorata e appariscente. Scatole di sushi a domicilio, riviste patinate con in copertina modelle in bikini, gonfiabili sgargianti, camicette e sandali gettati alla rinfusa, un paio di cuffie gigantesche, un cumulo di confezioni di videogiochi spalancate, tablet dall'aria fragile scaraventati in giro, bigiotteria che spuntava qua e là. Monaca Towa era distesa a terra, a pancia in giù, e da quella posizione era difficile valutare se fosse cresciuta in altezza. Era infagottata in una pelliccia fucsia dalla testa ai piedi, e spuntava solo una folta coda di fluenti capelli verdi. Di fronte a lei c'era lo schermo immenso di una televisione, alla sua destra uno stereo, alla sua sinistra un computer portatile, nelle sue orecchie gli auricolari di un mp3, fra le sue mani una console, e posato accanto a lei uno smartphone. La canzone più rumorosa, che si udiva fin fuori dalla porta, era quella diffusa dallo stereo, ma tutti i dispositivi erano sintonizzati su qualcosa di diverso. Il baccano sconclusionato che ne risultava era babelico. Appena Nagisa fece un passo oltre la soglia, tutto si zittì. Piombò il silenzio. 
Monaca rotolò sulla schiena, la testa appoggiata alla moquette, e lo guardò roteando gli occhi il più possibile. 
«Quindi sei venuto alla fine.» Il suo tono di voce era secco, quasi scontroso. Nagisa s'irrigidì, colto alla sprovvista. Non era l'accoglienza che si era preparato a gestire. 
«Così pare» ribattè, nello stesso registro. La tattica che aveva studiato era di fingere di volersi legare a lei, ma... Non sembrava nemmeno desiderosa di tentarlo. 
Monaca scrutò la sua espressione turbata. «Ti piacerebbe che facessi finta di essere sorpresa? Che facessi un piantino di gioia? Mmhh, non sono dell'umore giusto.» Rialzò con le mani la console a livello del viso, interponendo l'oggetto tra Nagisa e il proprio sguardo. «Sei ancora carino. Ti dona questa mezza età» sentenziò noncurante. 
Nagisa strinse i denti. «Non perdiamoci in chiacchiere che non c'entrano nulla, per favore.» 
«Questa ricongiunzione non assomiglia per niente a quella che immaginavi, vero?» commentò Monaca, senza partecipazione. «Che delusione, povero Nagisa... L'adolescenza è una fase molto delicata e temo mi abbia cambiata un po'. Però, per non dilungarmi, posso riassumere tutto in tre differenze principali.» Staccò una mano sola dal videogioco per indicare il numero tre con pollice, indice e medio, continuando a fissare il display. Mosse un dito ciascuno mano a mano che esponeva i punti. «Ho abbandonato la terza persona -era così da perdenti. Mi sono cresciuti i capelli... e sono diventata nichilista.» Il suo viso si animò. Nagisa scoprì con un misto di inquietudine e fascinazione che il tempo ci aveva scolpito su -il suo viso era più ovale, le guance tonde erano scomparse affinchè la pelle si adeguasse alla forma degli zigomi e il taglio degli occhi era più sottile. «Adesso ho un account tumblr pieno di foto dei miei outfit con filtri suggestivi e ho speso gli ultimi due anni a guardare serie tv su Netflix. È così figo essere adolescenti! Abbiamo totalmente sbagliato età per la nostra ribellione! Se avessimo aspettato ancora un paio d'anni, adesso saremmo tutti e cinque in una vasca idromassaggio a fare le orge. Errore mio.» Monaca sospirò plateale, poi sogguardò Nagisa. «Come faceva a piacerti una bambinetta così insulsa?»
Nagisa non si aspettava certo che lei potesse capire. Sorrise con amarezza e disprezzo, guardando dall'alto quel sentimento così lontano. «Non è ovvio? Tu eri Monaca e ogni cosa di te era perfetta.»
Monaca mise da parte la console e si alzò in piedi, flettendo le ginocchia. Sotto la pelliccia si intravedeva un vestito azzurro fiordaliso a balze, che fasciava un corpo minuto. «Sei arrabbiato perchè volevi trovare lei, vero? Hai ragione. Ma ti sei consolato con gli altri, no? Soprattutto con Kotoko, no?» La sua voce si fece petulante. 
«Adesso siamo esenti dalla tua contaminazione» la corresse Nagisa, serio, quasi che non avesse tempo per le sue facezie immature. «I rapporti tra noi sono sani, come tu non potresti nemmeno immaginarli, e viviamo una vita normale. Quella che ci siamo sempre meritati.»
«Quella che vi siete sempre meritati?» gli fece eco Monaca, scettica. «Vallo a dire a tutti i bambini di cui hai ucciso i genitori.»
Nagisa scosse la testa, guardandola dall'alto in basso con degnazione, come se vedesse la sua miseria con disincanto. «Tu non sei nella posizione di giudicare nessuno.»
Lei tacque per qualche istante, valutando il proprio avversario. «Lo sai cosa direbbe Monaca-chan se fosse qui e non fosse stata sostituita da un'avvenente quattordicenne? Loro ti mentono perchè hanno bisogno di una tata, e allora ti tengono buono. Ma Monaca non ti mente. Tu e lei avete sempre comunicato... dal profondo dei vostri veri io.» Imitò la voce in falsetto che ricordava la sua da bambina, acutizzandola in eccesso di proposito. Nagisa fece una smorfia, poco persuaso. Tutto scorreva nelle sue orecchie a vuoto. 
«Dacci un taglio, sono trucchi vecchi.»
Monaca dissimulò il fastidio e sorrise. «Allora perchè sei qui, se non per un po' di vecchiume?»  
«Abbiamo scoperto che eri viva. Qualcuno di noi doveva fungere da ambasciatore per esprimere la volontà di tutti, no? Doveva venire per forza.» La sua mano toccò il fodero del pugnale nascosto sotto la giacca. 
«È vero, qualcuno di voi doveva venire per forza. Ma allora perchè io mi aspettavo già che lo facessi solamente tu?» 
Nagisa scrutò nei suoi occhi e vide qualcosa, una dolcezza velenosa incagliata. Il sapore sulla punta della lingua dei biscotti che non gli aveva fatto. Quando i suoi scatti d'ira finivano e lei riposava gli occhi nei suoi. Credeva di aver capito la logica per sfuggire, ma la logica cambiava ogni volta. Monaca approfittò dell'assenza della sua risposta per avvicinarsi. Parlava melodiosa e cristallina. 
«Voi piccoli fallimenti umani dovete ricordarvi da dove venite. Dal marcio. E così siete. Basta con questo teatrino degli adolescenti normali. Dopo due anni, ancora qua a pianificare omicidi... Non ti dà di che pensare? Siete neri come la frutta lasciata sul tavolo per un mese. E tra tutti... Tu, Nagisa! Tu sei il più putrescente di tutti.» Ridacchiò, coprendosi la bocca con una mano. 
«Taci» sibilò Nagisa. Il suo cuore aveva preso a ronzare d'angoscia. La vicinanza di quel barlume definitivo nel suo sguardo. Monaca lo acchiappò per la nuca, lo tenne fermo mentre procedeva a parlare, piano, a bassa voce, come se non fossero soli nella stanza. Le sue parole come un solletico doloroso e assuefante.  
«Ti ricordi i nostri giochi? Quelli che non dovevi dire a nessuno?» 
Nagisa avvertì una fitta al basso ventre e una al cuore, come se gli avessero ritagliato la carne sotto, ci avessero aperto un baratro pieno di vertigini.  
«Sono ancora vergine» cinguettò Monaca, prendendogli le mani appassionatamente. «Mi sono conservata solamente per te. Questo pensiero non ti eccita? A me un sacco. Ma penso sia l'età... Si è sempre un po' alluppati.»
Nagisa fece un passo indietro, e Monaca aderì al suo petto con il proprio, alla sua pancia con la propria. Per un attimo tutto fu sospeso in un silenzio di realtà effettiva, di respiri impalati nel naso. Si guardarono e la videro -Monaca tranquilla, Nagisa atterrito- riflessa nell'acqua. Era la verità ferma sopra di loro, e il ritorno era semplicemente inevitabile.
«Adesso ti dico cosa facciamo» raccontò Monaca, serena e paziente coma una madre, aggiustandogli una ciocca dietro l'orecchio con cura. «Sarebbe un peccato non usare quel tuo coltello carino che hai portato. Torni a casa, e dici che hai fatto quello che entrambi sapevamo benissimo che non saresti stato in grado di fare. Per punire la loro stupidità, ucciderai il primo. Quello che preferisci-»
«No.»
«Dev'essere un omicidio perfetto -perfetto, capito?- perchè solo la settimana successiva potrai uccidere il secondo. Per sette giorni dovrai seguire le indagini con gli altri...» Monaca gli accarezzò la schiena, sorridendo. «Mi stai ancora ascoltando...? Dovrai asciugare le loro lacrime e dare loro speranza, finchè non morirà il secondo. Sceglierai tu che parte di loro portarmi come regalo. Come la favola di Biancaneve al contrario, no? E poi... la settimana dopo, ucciderai l'ultima.» 
«No...»
«Sarà difficile compiere tre omicidi perfetti, e sostenere i loro sguardi mentre si rendono conto che li hai traditi, ma... Dopo avrai me.» Monaca appoggiò le labbra sulle sue, senza premere. «Tutto di me. Non è questo che mi hai sempre chiesto? Avevi bisogno di tutto... E io ti darò tutto.»
Nagisa pensò che la violenza che avevano creato era qualcosa che aveva ingerito Monaca stessa, qualcosa di più grande di lei. La musica d'un tratto copriva di nuovo i suoi pensieri mentre lei lo spingeva contro la moquette arancione fluorescente. I capelli verdi si adagiarono sulla sua spalla. Era di nuovo dentro di lui, si era svegliata come un gatto. Gli accarezzò il viso di nuovo, commossa, sarcastica. Nagisa chiuse gli occhi e pensò alla sedia e al focolare e andrà tutto bene.
«Monaca-chan...»
«Ciao Nagisa.»

 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Danganronpa / Vai alla pagina dell'autore: MadLucy