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Autore: Ily Briarroot    01/03/2018    5 recensioni
Gli avevi chiesto aiuto pur non dicendolo a voce alta, mentre la corazza si frantumava ai suoi piedi, mentre mostravi i tuoi sentimenti e il tuo dolore come non avevi mai potuto fare nella vita. E lui ti aveva capita, per la prima volta. Poi ti aveva accolta, aiutata e protetta. Si era affezionato a te.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Alla mia amica Tosawi.



Pieces 

"Come faccio a capire e aiutare una persona che ha inventato una sostanza che uccide la gente?! Tu sei un mostro!"

Quella frase ti aveva smontata, facendo crollare ogni sorta di orgoglio che ti eri imposta di mantenere. Non lo conoscevi ancora, al tempo ti aveva trasmesso fiducia e basta. Perché non avevi avuto scelta, era l'unico che potesse tutelarti, l'unico al quale avresti chiesto aiuto. Lo avevi fatto e basta, non senza mantenere un certo distacco, la rigidità alla quale eri abituata, la malizia per fare in modo che lui, brillante nel cogliere le sfumature negli altri, non scalfisse la corazza che ti eri costruita in tutti quegli anni. 
Perché non doveva leggere il tuo dolore. 
Nessuno avrebbe dovuto farlo. 
Eri rimasta a fissarlo con gli occhi sgranati, mentre percepivi i battiti furiosi del cuore nel petto e un peso di un certo spessore ti si bloccava in gola. 
Un mostro, già. Non avresti mai voluto diventarlo, ma nella vita non hai mai avuto una possibilità di scelta. Avevi pensato che forse il detective vittima della tua stessa creazione ti stesse parlando con cognizione di causa, forse aveva ragione a trattarti a quel modo dato il tuo scherzo pesante o, più semplicemente, per ciò che eri sempre stata. 
Non lo conoscevi e lui non conosceva te, ma avresti dovuto prevederlo. Dopotutto, sei stata tu a creare un farmaco che gli ha rovinato la vita. 
Volevi tenerlo lontano, volevi tenerlo oltre il muro. Non avrebbe dovuto avvicinarsi. Ti sarebbe bastata la sua protezione e nient'altro, come una criminale che usa la gente come e quando le va. E volevi capire il motivo, quel motivo. Lo avevi studiato, mentre risolveva il caso davanti a te. Hai cercato di mettergli i bastoni tra le ruote nel corso delle prime indagini alle quali avevi assistito, soltanto perché non poteva sul serio essere così bravo. Altrimenti l'avrebbe salvata. Altrimenti Akemi sarebbe stata ancora viva. 
Ma lui era bravo. Dannatamente bravo. Ed è stato questo a farti buttare giù il muro che avevi costruito. 
Gli avevi chiesto aiuto pur non dicendolo a voce alta, mentre la corazza si frantumava ai suoi piedi, mentre mostravi i tuoi sentimenti e il tuo dolore come non avevi mai potuto fare nella vita. E lui ti aveva capita, per la prima volta. Poi ti aveva accolta, aiutata e protetta. Si era affezionato a te. E' a questo che pensi mentre, sdraiata sotto le coperte, osservi il soffitto nel buio della stanza. Sorridi, pensando a quante cose sono cambiate da allora e a quanto lui abbia fatto per te, perché condividete un destino comune. Perché vi siete affezionati, l'uno all'altra. E quel motivo, forse non importa più.


"Tu che sei così bravo, perché non hai capito quello che stava succedendo? Perché non hai aiutato anche lei salvandola da quella brutta fine? Dimmi perché non l'hai salvata... "

Eri rimasto teso quando l'avevi vista piangere, stupito e confuso. Era riuscita a trasportarti in un'altra dimensione, scavando nella tua mente e nel tuo profondo. Di colpo, i ricordi erano tornati palpabili, il dolore per non essere riuscito a salvare quella donna torna a stringere il cuore. 
Era lei, sua sorella. La sua famiglia. 
Inerme, non eri riuscito a muoverti. Non eri riuscito a consolarla, né a spiegarle ciò che voleva sapere. Era troppo difficile farlo, perché neanche tu conoscevi la risposta. 
Ma quella non era una domanda. 
Era una richiesta di aiuto, era un lasciare andare ciò che la tormentava. Era un "io sono qui e sono a pezzi", che non avevi compreso immediatamente, troppo preoccupato dal resto. Di colpo, non la vedevi più come una donna dell'organizzazione dalla quale stare all'erta, ma una ragazza fragile che aveva rotto il vetro impenetrabile che si era costruita, rivelando una persona sopraffatta dal grande dolore che le pesava sulle spalle. 
E ti sentivi in parte responsabile di quel dolore, troppo concentrato su te stesso, senza renderti conto della vita che aveva passato e della sua storia. In quel momento, riuscivi a leggere l'angoscia nei suoi occhi, mentre si inginocchiava davanti a te in lacrime, quando i singhiozzi le scuotevano il corpo e le sue mani strattonavano freneticamente la stoffa della tua maglietta. 
Shinichi Kudo, il famoso detective. Già. Il famoso detective che non ha saputo vedere, che risolve tanti casi tranne uno. 
Quel caso che ancora pesa sul tuo cuore, nonostante gli anni trascorsi. Quel caso che ti tormenta ancora, quando la guardi e la lasci ricostruire il suo muro, quando la guardi e non le dici niente sulle tue indagini, perché la vuoi proteggere. Quando la guardi, adesso, e le vuoi bene. 
Sorridi, rigirandoti sul materasso e realizzando ciò su cui, probabilmente, non ti eri mai soffermato. 
Lei ti ha salvato molte più volte di quanto lo abbia fatto tu.  




 
  
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