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Autore: Maniac Queen    02/03/2018    1 recensioni
[Fate/Apocrypha ]
Un veloce flash sulla vita su Arturia, sulla sua ricerca dell'essere un re perfetto, una discesa nei suoi fallimenti, palese esempio dell'effimera natura umana, votata alla debolezz e al fallimento, ma anche alla perserveranza, al ripetere i propri gesti alla ricerca del giusto che possa porre fine ad un ciclo ininterroto.
Questa un'ignobile ricostruzione di ciò, che secondo me, avrebbe potuto segnare un personaggio tanto complesso e affascinante purtroppo oramai reso una macchietta dalla Type Moon e da Nasu.
Attenzione, seppur appena accennato, in questa storia abbiamo l'elemento futanari, ovver una figura tipica degli fantasy e7o hentai che a seconda del caso può usufruire dell'organo maschile, tuttavia se conoscete Fate già lo sapete ma così almeno chi è estraneo a queste follie non potrà lamentarsi di non essere stato avvisato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: Lime, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Sapete come si riconosce l’uomo? L’uomo prova desiderio, è uno dei tre fattori che lo spinge a chinare il capo e obbedire: paura, desiderio e dolore. Se uno è privo di paura ne proverà una volta sperimentato il dolore, se non ha desiderio ne verrà consumato dopo aver conosciuto il dolore di aver perso tutto, oppure desidererà no aver paura del dolore. Non vi è mai stato un essere umano che fosse immune a questi tre fattori ma alla fine forse sono le debolezze e non la forza che caratterizza l’umanità… una parola incredibilmente complessa, una parola che Arturia Pendragon aveva cercato di seppellire nel momento in cui le sue mani avevano sfilato la lama di Excalibur dalla roccia partorendo così il desiderio di essere un re perfetto, capace di proteggere la Britannia da paura e dolore, ma fu stolta, e questo la portò alla rovina.
 

Un uomo perfetto non poteva più definirsi come tale, perdeva ogni diritto di essere annoverato nella grande specie dell’umanità e a poco a poco veniva bandito, allontanato dal suo branco, Arturia subì il medesimo destini. Più si allontanava dalla sfera cognitiva dei mortali più questi nutrivano paura nei suoi confronti, paura, rabbia… Odio. Ma questo non bastò, Arturia fu troppo arrogante per comprendere quanto il suo cammino la stesse allontanando da una nazione che voleva così ardentemente difendere, amare persino. Si, lei amava enormemente il suo popolo e la terra, e per questo era disposta a farsi odiare, a farsi temere poiché “ se vieni temuto dagli occhi del popolo, allora i cuori del nemico fuggiranno la tua persona tenendosi lungi dal tuo nido “.
 

Erano state queste le parole del padre sul letto di morte, aveva appena 17 all’epoca e non ne comprese appieno il reale significato, troppo impegnata com’era a stringere la mano di Uther Pendragon con le lacrime agli occhi e un asfissiante groppo che si faceva via via più atroce nella sua gola consumando il suo fiato, impedendole di respirare. Le dita sole si muovevano in spasmi incontrollati di dolore e angoscia; forse fu in quel momento che raggiunse l’apice dell’umanità, quando ne apprese l’infinita condizione di imperitura sofferenza, un’esistenza che trovava il culmine nell’acqua e nel sale che le rigavano le guance mentre con le labbra tremanti invocava suo padre, oramai lontano dall’infelice valle di lacrime che era la Terra.
 

- Padre… PADREEE!! –

 
Questi gli unici suoni che riuscì a proferire la notte in cui il re di Britannia si spense a causa delle ferite mortali causate dalle frecce dei barbari scozzesi, neanche o era stato capace di curarlo poiché l’uomo tornò a Camelot ormai tardi, divorato dalla febbre, consumato dal dolore e con assai poco sangue rimasto nelle vene del suo possente corpo di re. Da quando l’avevano deposto sul letto non aveva proferito una parola, le ultime parole erano state per sua figlia, la stessa che ora, straziata dal dolore della perdita, dilaniata dal silenzio dei morti che le ottundeva la percezione e la vista e l’udito lasciandola come una storpia in balia della corrente che si stringeva con veemenza ad un ramo protendente da un arbusto su un fiume impetuoso e diretto verso la più alta delle cascate la quale terminava su scogli acuminati.
Arturia si era sentita così quella notte, la notte in cui perse ogni diritto ad essere donna, ad essere un’anima felice e fino al sorgere del nuovo sole non aveva fatto altro che strillare con note acute e folli sulla salma del padre inzuppandone il velo funebre con le lacrime e il sangue che colava dalle labbra che si era morsa. Forse fu per questo che divenne poi il re perfetto reso però ceco dal suo desiderio di essere tale, ceco ai bisogni reali di un popolo, della sua stessa famiglia.
Pochi mesi la sua incoronazione quando estrasse la lama incantata dal macigno posto al centro di Stonehenge venne portata al suo cospetto quella che sarebbe divenuta la sua sposa e consorte per il resto della propria immortale vita da re, fu un matrimonio senz’anima e senza amore e la bellissima e pura Ginevra venne data ad Arturia, re della Britannia, come firma in natura di un trattato di alleanza, vi era un dilemma tuttavia, un matrimonio per essere reso valido doveva essere coronato dalla notte di nozze e, per garantire un’amicizia duratura, da un erede che potesse prendere il posto del precedente re. Per far fronte a quest’arduo dilemma reso impossibilitato a risolversi per la natura fisica dei diretti interessati, Arturia ne disquisì a lungo con o il giorno delle nozze lasciando la sposa sola, in mezzo al ricevimento circondata da dignitari, militari e nobili i quali non perdevano occasione per sussurrare in maniera piuttosto orribile la vergognosa personalità quasi blasfema della fanciulla che dal canto suo poteva solo guardarsi intorno e annuire cercando invano un qualsiasi cenno d’affetto, o quanto meno Umano da parte del suo re, ma questi non era più nel salone e la giornata passò lenta e asfissiante per Ginevra che alla fine, ridotta all’ombra della ragazza allegra e ansiosa che era stata la sera prima corse con il volto segnato dal pianto e il viso dalla stanchezza e dall’amarezza nella stanza che per il resto dei suoi anni avrebbe condiviso con una persona che, aveva capito, neanche poteva dirsi umana e che probabilmente mai sarebbe stata capace di amare.
 

Ebbene, con sua grande sorpresa, pochi minuti dopo che stava davanti allo specchio cercando di darsi un tono per la prima notte di nozze, e ad essere sinceri la delusione provata durante la giornata stava via via lasciando posto ad una velata curiosità mista ad un accenno di esitazione? Come amoreggiavano le donne? Come si davano piacere? A quei pensieri arrossì violentemente. Vuoi per l’esperienza appena vissuta, vuoi per l’attesa di un matrimonio così prestigioso che aveva fatto rifulgere di gloria la sua casata, ma per tempo non aveva realizzato che quella notte, per la prima volta, qualcuno l’avrebbe vista nuda scoprendo le sue vergogne e che l’avrebbe toccata li dove le avrebbe fatto più male… o più piacere, dopotutto né la balia, né sua madre avevano mai affrontato con lei il discorso della congiunzione carnale e ora si trovava come un fuscello in alto mare, del tutto in balia delle contrastanti emozioni che provava nel suo cuore. Non sapeva se doveva essere nervosa, felice, impaurita, non sapeva se doveva essere placida e remissiva o rispondere attivamente ai tocchi del suo re, e dove l’avrebbe toccata poi? Il pensiero bastava per farla arrossire, vergognare del suo copro di peccato che tanto allettava il diavolo.
 

In questi e mille altre elucubrazioni era impegnata la sua mente giovane e ingenua e quando udì la porta cigolare sui cardini sussultò visibilmente facendo cadere a terra lo specchiò che andò in frantumi spargendo schegge acuminate di vetro sul pavimento reso tiepido dalle fiamme dei tra grandi focolari nella stanza che la ospitava. Si era chinata per raccoglierli ma un tocco più delicato di quel che si sarebbe aspettato la raggiunse alla mano tesa prima che le dita potessero ferirsi con i cocci e levando lo sguardo incontrò gli azzurri occhi di Arturia Pendragon la quale, sorridendo con una dolcezza appena accennata, strinse fra le proprie mani lo specchio infranto squarciandosi la pelle e le carni e sanguinando copiosamente, tuttavia non perse il sorriso e gettò con non curanza i resti nel camino più vicino prima di rivolgere la totalità della propria attenzione sulla bella Ginevra.
 

- Questo mio dolore non è che una pallida imitazione del vostro, voi, che io ho abbandonato così sconsideratamente, lasciata in pasto a iene e avvoltoi per avere un consiglio da un vecchio amico. Possiate perdonarmi moglie per il modo in cui mi sono presentato a voi, io che dovrei proteggervi e onorarvi finché Dio non deciderà diversamente –
 

E come per accentuare il profondo senso delle proprie parole s’inchinò sulle ginocchia prendendo delicatamente una mano fra le dita e sfiorandola appena con le labbra e a quel tocco tanto delicato, Ginevra arrossì, ma di un rossore diverso da quello caratteristico della vergogna o dell’imbarazzo, era espressione di un dolce e intimo sentimento che forse, si disse, non le sarebbe stato così impossibile provare e forse, sempre, aveva giudicato nel peggior modo possibile la persona inchinata dinanzi a lei.
Sforzandosi di sorridere di rimando prese un immacolato fazzoletto dal tavolino li accanto e pulì amorevolmente la mano della consorte lambendone appena le ferite slabbrate e mosse adagio la morbida stoffa su quei segni.
 

- Vi chiedo perdono mia signora, non è trascorso neanche un giorno, e già le ho arrecato sofferenza... –
 
- Non vi è nulla in tutto questo che mi causi dolore, solo una profonda malinconia, malinconia per voi, fanciulla, e per averle fatto passare delle ore tanto buie. Ma sarei onorata se accettasse le mie scuse, prendesse queste mie mani infrante dalla mia stoltezza e mi accompagnasse verso il domani come sono certa, solo voi potreste fare –
 
- Lo volete davvero? Io ingenua, stupida che nulla conosco se non la rugiada sui campi e il sole del mattino sui prati e i fiumi? –
 
- Mia dolce Ginevra, se è questo che conoscete allora credete senza timore alle mie parole, siete immensamente più saggia di me –
 

E con quelle parole la baciò, fece proprie le labbra e la cinse con le braccia attirandola a se stringendole i fianchi e portandola con se verso il letto che si piegò dolcemente sotto il lieve peso delle due donne e poco ci volle alla forte Arturia per liberare la giovane dalle vesti, quelle vesti che avevano anche troppo a lungo coperto dai suoi occhi le nudità della compagna, lievi e morbide curve che stavano appena sbocciando, una pelle bianca, dotata di una propria lucentezza accentuata dai capelli corvini, neri come la notte senza stelle, un ventre piatto, un inguine glabro e gambe toniche, lisce e morbide al tatto. Si piegava quel corpo sotto il suo tocco e poi… giunse. Glielo aveva detto o cosa implicava quel suo desiderio, che avrebbe avuto la possibilità di entrare nel fiore della consorte, coglierne la purezza della virginità ma al costo di perdere la propria femminilità durante l’atto. Sospirando si tolse la casacca in lino che le velava i floridi e seni bianchi come il latte e due capezzoli di un rosa delicato ritti che tradivano la crescente eccitazione alla quale era soggetta la donna.
 

- Le prego di non spaventarsi Ginevra –

 
Sussurrò quando si rese conto che le braghe in maglia oramai le stavano vergognosamente stratte e quando le strappò dalle proprie gambe per gettarle nelle fiamme ancora guizzanti, la giovane donna restò a osservare quel curioso spettacolo non sapendo però come reagire, non aveva mai visto un uomo o una donna nudi e non sapeva esattamente come fossero fatti, si, era a conoscenza dell’aspetto e delle differenze generali ma per lei, che tutto quello rappresentava la più grande delle scoperte, pareva si curioso. Strano quasi, ma pittoresco e perché no, mentirebbe se dicesse il contrario, anche eccitante. Arturia stava davanti a lei, seduta sulle gambe all’altezza delle sue ginocchia, sudava freddo, i capelli biondi sciolti, le curve del magnifico corpo accentuate dalla luce tenue che riempiva la stanza; gli occhi di Ginevra ammirarono il modo in cui la grazia femminile si era armoniosamente fusa con l’addestramento tipico militare che in modo alcuno aveva intaccato il corpo, anzi, l’avevano reso più definito, più bello e il culmine di quella fusione stava nel fallo nudo ed eretto fra le cosce di Arturia il cui glande pulsava e l’asta tremava.
Senza aggiungere altro, il Re si allungò sul corpo della compagna, lo avvolse con le calde coperte e strinse fra le braccia, la baciò sulla bocca cullandola col proprio tocco e ansimando per lo sfregare del pene contro le cosce della moglie, la bionda lo spinse adagio nella natura pura della ragazza gemendo piano per il calore e il piacere crescente prima di sentire come un ostacolo alla sua avanzata, e qui si fermò portandosi sopra la donna e accarezzandole il volto
 

- Mia bellissima Ginevra, se le dovessi far male, me lo dica… -

- Mi permetta mio dolce re, niente di ciò che da lei proviene, potrebbe mai danneggiarmi poiché oramai le appartengo…. –
 
 
Ma questo era uno dei pochi ricordi felici che aveva Arturia di quel lontano passato ed era l’unico che le era venuto in mente mentre osservava le campagne attorno a Parigi durante l’alba del 16 giugno del 2018, un’alba che inondava i fiumi della valle, gli arbusti di bacche e lamponi, coi raggi dorati i quali come aurea pioggia cadevano sul tristo destino dell’umanità, ma non era per quello che piangeva, non per l’amore perduto, l’orgoglio infranto o la nazione distrutta per i suoi errori, ma perché, a distanza di secoli e varie guerre per il dominio del Graal, ancora una volta non aveva riconosciuto la propria umanità nella gioia, ma nella disperazione più nera che andava in contrasto con la rigogliosa natura che acquisiva energia da ciò che la circondava, dalle piccole cose, come il verso degli uccelli, al rumore delle ruote dei mulini e le macine che pressavano la farina. Cadde in ginocchio senza energie e urlò tutta la sua rabbia, la sua frustrazione e il suo odio per se stessa e la propria infinita stupidità, e ancora una volta, raggiunse l’apogeo di ciò che i filosofi definiscono essere umano, mentre stringeva fra le braccia zuppe di sangue e il grembo sul quale, alla rinfusa, erano sparsi i capelli dorati della figlia Mordred, ancora una volta prossima alla morte per mano sua, della sua perfezione che, oramai comprese, non faceva altro che fare terra bruciata intorno a lei facendola sprofondare in un abisso di solitudine senza fine. Urlò ancora, straziata dalla propria natura così effimera e senza senso di esistere e abbassò il volto su quello della figlia, versando fiumi di lacrime salate, amare tanti da bruciarle quasi gli occhi ma lei, aveva compreso, meritava di peggio, di essere abusata dagli oltre sette milioni di demoni dell’inferno, squartate dalle loro zanne e stuprata dai loro blasfemi falli che spingevano il seme del demonio nel corpo dei peccatori, fossero questi donne o uomini. Si, questo lei meriterebbe.
 

- Padre… non sono riuscita a superarti –
 
- Mordred… sei sempre stata varie spanne avanti a me… tu sei stata umana –
 
- Non mi è mai interessato davvero… volevo solo… che mi amassi come una figlia, perché era chiedere troppo? –
 
- Mordred, mi…. Mi dispiace, mi dispiace così tanto… AAAHHHHH –

 
L’urlo finale giunse come un atroce esplosione di anima e di potere e la figlia, prima di spirare e spegnersi per far si che il proprio animo potesse tornare nel Trono degli Eroi, vide qualcosa di strano nel padre, come se in quell’esplosione d’aura dorata vi fosse celato dell’altro, il motivo per cui Arturia era sempre stata lontana dall’umanità. Semplicemente, Arturia aveva paura, paura di veder soffrire chi la circondava, paura che il desiderio potesse accecarla e arrecare dolore alle persone che aveva accolto nel proprio cuore. La verità era semplice e totale, Arturia era sempre stata umana, era nella natura dell’uomo fallire e ritentare, la storia lo palesa in varie occasioni, quindi, semplicemente, lei aveva fallito nell’essere padre, e nell’essere re ma, in quel momento, era tutto ciò che desiderava essere, anche se nel modo peggiore possibile.


- Ti aspetterò ragazzo mio… giocheremo ancora con la mamma, e quando lo vorrai, ti prenderò sulle mie spalle sulla riva del mare al tramonto. Ti aspetto, figlio mio –
 
- Padre, sento… amore, l’universo prova… amore… l’umanità è propria dell’universo, quindi anche noi. Staremo insieme per sempre padre, perché siamo umani, e amiamo. Restiamo insieme padre –

 
E muovendo la mano con le ultime forze che le erano rimaste, spinse la lancia che aveva afferrato un istante prima nel cuore di Arturia che non fece in tempo a dire alcunché o a spostare lo sguardo verso la figlia, e si scomposero nello stesso istante ascendendo ancora una volta al trono degli eroi, insieme, nell’amore… e nell’omicidio.
 

 
   
 
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