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Autore: ___MoonLight    06/03/2018    2 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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31



Chasing cars







"I dreamt about you nearly every night this week
How many secrets can you keep?
'Cause there's this tune I found

That makes me think of you somehow
And I play it on repeat
Until I fall asleep"

[Do I Wanna Know? - Arctic Monkeys]







30 Aprile, 03:13, Villa Stark

Tony sbarrò l'occhio nel buio, col fiato corto e la sensazione di essere in imminente pericolo.
Subito la luce azzurrina del reattore lo rassicurò, ma portò comunque una mano al petto per accertarsi che fosse ancora lì, in un gesto ormai condizionato. Le sue dita sfiorarono il contorno metallico del congegno, percependone il lieve calore e cercando di trarne conforto. Socchiuse la palpebra respirando piano, ma non azzardò altri movimenti, paralizzato dal dolore ai moncherini. Li sentiva pulsare violentemente contro il metallo delle protesi e aveva l'impressione che anche gli arti metallici lo percepissero; a nulla serviva convincersi che fosse solo la sindrome dell'arto fantasma – o come diavolo l'aveva chiamata Ian. Si arrischiò ad allungare la testa per guardare l'orologio sul comodino, sentendo un'acuta fitta alla spalla. Erano appena le tre, realizzò con disappunto. Aveva sperato che fosse più tardi – o più presto, a seconda dei punti di vista – per non sentire l'obbligo di doversi riaddormentare. Di solito le crisi lo assalivano verso le cinque di mattina e aveva almeno la consolazione di intravedere l'alba sul mare dalla vetrata. Adesso però la finestra era una lastra nera e opaca; si intravedeva solo il lumicino intermittente di una boa lontana. Si stancò ben presto di fissarlo nel tentativo di riprendere sonno.
Prese un profondo respiro prima di girarsi sulla schiena, ignorando il breve e atroce dolore che lo investì e ottenendo subito dopo un po' di sollievo. Si premette il braccio sano sulla bocca per soffocare nell'incavo del gomito i lamenti che gli risalivano il petto, spinti dalla morsa che continuava a stritolargli le piaghe. Non osò fare altro e tenne lo sguardo lucido rivolto al soffitto, dove si proiettava flebilmente la luce del reattore. Stette ad osservarla per qualche minuto, cercando nel frattempo di distrarsi pensando ai progetti delle protesi, ma ogni fitta gli faceva perdere il filo e gli riusciva sempre più difficile mantenere la concentrazione. Alla fine si rassegnò a lasciar vagare la propria mente: che andasse dove preferiva, non aveva comunque la forza di tenerla a bada.
E subito i suoi pensieri iniziarono a rimbalzare qua e là frenetici, come pesanti palline di un flipper impazzito.
La consapevolezza del suo imminente processo gli si stagliò davanti, simile a una chimera minacciosa: ormai mancavano poche ore e non si sentiva assolutamente preparato. Da quel nucleo compatto di preoccupazione ed ansia sgorgavano mille altri pensieri, tutti spiacevoli e difficilmente ignorabili. Le protesi, la fisioterapia, il palladio, Iron Man, i Vendicatori, suo padre – perché suo padre, poi? – Stane, i suoi incubi, l'Afghanistan... e qui frenò il flusso con decisione ferrea, calando una cortina impenetrabile. La sua attenzione vagò smarrita per qualche istante intervallato da altre stilettate ai moncherini, finché non si rassegnò a soffermarsi sul suo problema più urgente e più ignorato, che faceva capolino solo quando abbassava la guardia.
"Capisci cosa sto cercando di dirti?" gli rimbombò improvvisamente in testa, e vide i suoi occhi azzurri davanti a lui.
Affondò con rabbia la testa nel cuscino, irrigidendosi nel sentire la tensione dei muscoli in aumento che gli serrava lo stomaco e gli indolenziva il collo. Avrebbe voluto rigirarsi nel letto per sfogare un po' la sua irrequietezza, ma le proteste del suo corpo lo dissuasero. Ancora, cercò di deviare i suoi pensieri, ma si infransero contro la barriera oltre la quale scorgeva le fauci spalancate di una grotta buia piena di armi e bombe e corpi... si ritirò di scatto, chiudendo di nuovo quella porta e ricominciando a fluttuare smarrito tra immagini minacciose. 
Non voleva pensare a niente, soprattutto non all'Afghanistan e non a lei. Doveva concentrarsi sul processo, su qualcosa di tangibile e che era effettivamente in grado di gestire. Doveva provare a imbastire una linea d'azione per l'udienza, decise. Ma la sua risolutezza vacillò e di nuovo sprofondò nel buio della propria mente. Fu solo quando la sua attenzione confusa dal dolore e dal sonno cominciò ad oscillare con insistenza tra il rapimento e suo padre – e sua madre e quell'addio mancato – perché proprio adesso, perché? – che si arrese quasi con liberazione, tremante.
L'immagine di Pepper gli apparve subito davanti più nitida che mai, e si stupì di ricordare ogni dettaglio del suo volto, ogni lentiggine e capello ramato, inclusa l'espressione dura e cupa degli ultimi tempi. I suoi occhi erano congelati nell'istante in cui l'aveva guardato per l'ultima volta, in una sera irreale di quelli che sembravano anni prima. Ricordava chiaramente il quadro con la cornice rotta, sbilenco sul muro, a far da labile confine tra loro. Rivedeva la rabbia, la confusione e la preoccupazione che lei aveva cercato di non far trasparire, ma che per lui erano fin troppo evidenti; gli echi di una conversazione surreale, come sospesa nella notte, trapelavano dalla scena.
Quello era l'ultimo ricordo che aveva di lei. Quando si era risvegliato dopo il tentato suicidio era già solo. Nessun messaggio, nessun addio. Non trattenne un sospiro avvilito: ci era abituato, le persone se ne andavano senza preavviso, ma ciò non addolciva la pillola. E in fondo sapeva di non potersi lamentare. Quella sera l'aveva salutata, in un certo senso. Cercava di convincersi che fosse così: non avrebbe sopportato un altro addio mancato a pesargli sulla coscienza.
"Sei bellissima."
Sospirò, coprendosi il volto con le mani: di tutto ciò che avrebbe potuto dirle... ma era il minore dei problemi. C'erano domande più pungenti a cui non era ancora stato in grado di trovare risposta. All'epoca sapeva già che sarebbe stata l'ultima volta che la vedeva? Forse la parte deviata di se stesso aveva già deciso di porre fine alla sua vita? Non riusciva a ricordarlo; forse non voleva; forse non l'avrebbe mai saputo.
Lei non aveva proferito parola: l'aveva solo fissato spaesata. Ma aveva capito? Aveva intuito l'intenzione orribile che si celava dietro quella sorta d'addio implicito?
Scacciò il pensiero con stanchezza: ormai non importava più.
Si concesse però di chiedersi cosa stesse facendo in quel momento. Probabilmente dormendo, come tutte le persone normali senza preoccupazioni, sensi di colpa e arti amputati fanno alle tre di notte. Sperò fosse così e forse, al contempo, una parte di sé sperò che non lo fosse. Il nodo allo stomaco si strinse, ma allo stesso tempo percepì un sottile velo di calma posarsi su di lui.
Era una sensazione strana, non positiva, ma neanche negativa. Era il sentimento di ovattato sconforto di chi si trova nello sfacelo causato da una catastrofe naturale: dopo i primi momenti di panico, diventa perfettamente consapevole di non poter fare nulla per rimediare all'istante e si rassegna alla devastazione che lo circonda accettandola come normale, cominciando semplicemente a ricostruire tutto un mattone dopo l'altro. L'alternativa: disperarsi e correre all'impazzata in cerca di una soluzione immediata e inesistente. Si adagiò in quel limbo di indifferenza, nel quale di tanto in tanto penetrava la consapevolezza del disastro già avvenuto e al momento irrimediabile.
E insieme, concretizzò la consapevolezza ormai acquisita che da quando era solo gli sembrava di vivere molto meglio e di saper gestire i suoi problemi in maniera quasi impeccabile, se non per qualche momento di depressione momentanea e di sovraccarico emotivo – come in quel momento. Prima con lei si era sentito sicuro, protetto, guidato. Aveva creduto di non potercela fare senza di lei, di crollare; vi si era aggrappato con tutto se stesso e aveva finito col trascinarla in basso con sé, per poi respingerla, disgustato dalla propria inadeguatezza e incapacità che l'avevano solo ferita.
Adesso si rendeva conto che tutto quello che credeva di riuscire a fare grazie a lei era in grado di farlo anche da solo – ma non aveva avuto il coraggio di provarci davvero. Si sentiva un perfetto idiota ad averlo realizzato solo adesso.
Certo, gli mancava. Se ne rendeva conto ogni giorno, quando credeva di sentire dei tacchi che scendevano le scale, o una voce sottile che lo chiamava dal piano di sopra, o intravedeva uno sprazzo di rosso che poi si rivelava essere solo un riflesso del sole. Sentì un familiare vuoto farsi strada in lui, e riconobbe la sensazione che aveva dimenticato da anni proprio grazie a Pepper.
Si sentiva solo.
Anche se proprio per questo era riuscito a fare passi da gigante, a recuperare un po' del tempo perso, a ritrovare una parte del vecchio sé – il resto era ancora lontano, forse perduto per sempre – e a dimostrare a se stesso e agli altri di potercela fare, la solitudine aveva cominciato a scavare un nuovo solco tra le tante cicatrici. Le telefonate di Kyle e le visite di Ian alleviavano quel peso, sebbene in modo minimo, ma per il resto del tempo l'unica voce che udiva era quella di JARVIS.
Essere solo col suo maggiordomo nella villa deserta gli causava una spiacevole sensazione di deja-vù. Si aspettava di sentire la macchina di suo padre arrancare nel vialetto da un momento all'altro o di vedere sua madre in terrazzo a leggere. A volte imboccava sovrappensiero la porta sbagliata, memore della vecchia planimetria della villa. C'erano ore intere di silenzio assoluto, intenso, rotto solo dalla risacca. In quei momenti il raro squillo del telefono gli faceva sobbalzare il cuore di un terrore irrazionale, ed era sempre con indescrivibile sollievo misto ad amarezza che sentiva la voce di Kyle o di Ian o di Fury all'altro capo, invece del timbro monotono di un ufficiale di polizia che ha già dato troppe volte brutte notizie a qualcuno.
Pepper era riuscita a riportare una scintilla di vitalità in quel guscio vuoto che era diventata Villa Stark dopo l'incidente dei suoi. In quel clima non si stupiva di pensare ai suoi genitori molto più spesso del solito. Aveva avuto la tentazione di aprire lo studiolo in cui aveva ammassato tutta la loro roba – era troppo furioso con loro per esporla in bella vista, ma troppo addolorato per buttarla semplicemente via – ma infine si era risolto nell'evitarlo categoricamente. Non era quello il momento; non era mai il momento per pensare.
Odiava quelle ore insonni in cui il suo cervello rimuginava e si arrovellava senza sosta quasi a rinfacciargli quel rifiuto, arrivando a conclusioni che lo inquietavano nel profondo senza per questo arrivare mai a nulla di concreto.
Si rigirò lentamente nel letto, stremato dall'insonnia, dal dolore spietato ai moncherini e dal turbinio dei suoi stessi pensieri. Iniziava a sentire la palpebra farsi pesante e fu con sollievo che la chiuse, anche se il sonno tardò ancora ad arrivare, interrotto continuamente da ricordi e immagini sfumate che si affacciavano nel suo dormiveglia come invitati non richiesti.
Oltre una coltre onirica percepì infine l'inizio di uno di quei suoi sogni vividi e allo stesso tempo surreali, popolati di androidi, specchi e cloni, che gli capitava di fare dal giorno dell'incidente. Gli piacevano quei sogni. Gli davano la rassicurante impressione che, in fondo, il suo inconscio sapesse perfettamente ciò che doveva fare, e cercasse così di guidarlo nel percorso a modo suo.
Il suo volto si rilassò al pensiero e si abbandonò finalmente al sonno.



***


30 Aprile, Helicarrier, 12:15

Perché doveva essere così difficile?
Pepper sospirò, bevve ancora un sorso del suo caffè decaffeinato e fece un respiro profondo. Solo allora tornò a fissare lo schermo del computer, sul quale lampeggiava minaccioso un avviso che la informava freddamente di un errore nel modulo appena compilato. Eppure aveva controllato più volte... e non voleva chiedere di nuovo l'aiuto dell'Agente Hill, così si rassegnò a passare in rassegna per l'ennesima volta i documenti cartacei dello SHIELD. Si sentiva più seccata del dovuto per quell'inconveniente; forse perché una parte di lei, che si premurava di tenere a bada, le ricordava che qualche tempo prima sarebbe bastato chiedere a JARVIS per avere delle risposte – e probabilmente sarebbe stato lui a occuparsi dell'intera faccenda.
Finalmente trovò l'errore – aveva osato mettere uno spazio in più del dovuto in una delle caselle – lo corresse e premette l'agognato tasto "invio". Stavolta il computer non ebbe nulla da ridire. Si godette la sua vittoria per pochi istanti, prima di tornare a fissare la colossale pila di documenti ancora in attesa di fronte a lei.
Il fatto era che Fury aveva finalmente deciso di digitalizzare gli archivi dello SHIELD. Una decisione lodevole, se non per il fatto che ciò comportava il riesumare approssimativamente quarant'anni di documenti antecedenti l'era informatica. Quindi i valorosi agenti dell'organizzazione erano impegnati a ticchettare sulle tastiere da mattina a sera, combattendo il terrorismo e i supercattivi nelle pause pranzo. Persino Banner era stato inchiodato a una scrivania, e Pepper temeva di vederlo trasformarsi in un colosso verde da un momento all'altro. Hawkeye era stato abbastanza scaltro da farsi inviare in missione in un villaggio sperduto della Sokovia, lontano da ogni forma di telecomunicazione, Nataša era più sfuggente del solito, anche se cercava abbastanza spesso la sua compagnia, e i tentativi di istruire Steve e Thor alle nuove tecnologie si erano rivelati fallimentari. Ciò lasciava lei, Hill, Coulson, Banner e altri sfortunati di basso rango a sorbirsi quell'incarico ingrato.
Pepper lo odiava particolarmente. Negli ultimi tempi aveva avuto un forte rigetto per la tecnologia e il suo nuovo compito l'aveva incupita molto. Avrebbe preferito tornare a occuparsi dell'agenda dello SHIELD dal punto di vista organizzativo, cosa che non differiva poi molto da ciò che faceva prima, visto che sorprendentemente ciò includeva spesso la supervisione di svariate e sontuose feste per le alte cariche politiche e militari. Per la sicurezza, certo, l'antiterrorismo, ovvio, la sorveglianza generale dell'evento, naturalmente... ma era davvero necessario ordinare personalmente casse di champagne e chili di caviale? La risposta di Fury a questo interrogativo era stata un'alzata di spalle molto, molto seccata e un qualche riferimento a potenziali avvelenamenti di massa. Pepper sapeva che tra sé e sé avrebbe volentieri mandato al diavolo gli alti gradi che gli davano incombenze simili, ma tutto sommato lei non aveva nulla di cui lamentarsi: era un lavoro con cui aveva confidenza e vi si era destreggiata molto bene nell'ultimo mese.
E adesso, questo. La stava innervosendo in modo indescrivibile. Quella mattina, poi, si era ritrovata tra le mani un dossier secretato riguardante Obadiah Stane. Fino a pochi mesi prima, posta nella stessa situazione, si sarebbe limitata a metterlo subito da parte senza aprirlo, lasciando che fosse qualcun altro a occuparsene. Stavolta invece aveva avuto una lunga esitazione, sormontata da una traccia di indifferenza da una parte, e di curiosità dall'altra. Avrebbe potuto aprire tranquillamente il file: lavorava per lo SHIELD adesso, non aveva alcun obbligo nei confronti del suo precedente datore di lavoro. Stava per seguire questo ragionamento, quando si era resa conto che una parte di lei si sentiva profondamente a disagio all'idea di leggerlo.
Stane era stato un vecchio "amico" di famiglia degli Stark. Era sicura che in quel fascicolo vi fossero informazioni sensibili anche su di loro e leggerle a sua insaputa era semplicemente sbagliato. E poi Stane era il vero, unico responsabile di tutto ciò che era successo in quei mesi e quella consapevolezza la scombussolava e riempiva di frustrazione solo a leggerne il nome stampato sulla carta. Se non fosse stato per lui, lei non avrebbe mai dovuto premere quel pulsante... a quel punto si era sentita di nuovo sprofondare al pensiero di ciò che aveva causato.
Così aveva poggiato senza una parola la cartellina sulla risma di Maria Hill, prendendone in cambio una più voluminosa. L'altra donna aveva alzato la testa, squadrandola perplessa per un istante, poi aveva adocchiato il dossier e un lampo di comprensione era balenato nei suoi occhi. Di sfuggita, Pepper l'aveva vista mentre stava per dire qualcosa, per poi tacere e tornare al suo lavoro.
"Meglio così," aveva pensato: non era dell'umore per parlarne.
Il fatto le era ritornato in mente per tutto il giorno e anche adesso la pungolava fastidiosamente mentre cercava di concentrarsi sull'ennesima cartella di documenti, costringendola a rileggere ogni riga tre volte per essere sicura di non dimenticare nulla. Quando il pensiero si faceva troppo invadente afferrava quasi con foga il bicchiere di caffè, bevendone un gran sorso senza però ricevere il beneficio della caffeina.  Sospirò, scocciata. Doveva essere così che si era sentito T...
Poggiò il bicchiere sulla scrivania con tanta veemenza che quasi strabordò, ma a malapena registrò l'occhiata allarmata dell'Agente Hill. Mormorò una qualche scusa riguardo a un mal di testa e si alzò in fretta, dirigendosi verso il bagno a passi veloci. Fu con sollievo che chiuse la porta dietro di sé, attutendo il suono di decine di mani che ticchettavano sulle tastiere. Entrò in un cubicolo e si chiuse dentro, tentando di calmarsi.
Per la prima volta in tutto quel tempo aveva permesso che qualcosa rompesse il suo equilibrio; e non stava facendo nulla per recuperarlo, anzi, si stava lasciando sbilanciare quasi con sollievo. Si era già resa conto della sua ipocrisia nel voler evitare di affrontare i problemi: lei, convinta sostenitrice di come ciò fosse indispensabile. Non era esatto dire che li ignorasse; piuttosto li osservava da lontano chiedendosi se sarebbero mai riusciti a raggiungerla. E, nel dubbio, continuava a indietreggiare senza perderli di vista, non riuscendo però a metterli a fuoco del tutto.
Rimase nel bagno a lungo, ancora riluttante a soffermarsi sulla questione. Cercava di aggirarla e non concretizzarla in forme e parole reali, temendo quel che poteva accadere. Quanto poteva resistere ancora quella sua parvenza di equilibrio? Si era convinta di stare bene, stava bene: lavorava, era impegnata da mattina a sera e quando si ritirava nella sua stanzetta sull'Helicarrier riusciva a leggere appena un paio di pagine di un romanzo prima che il sonno avesse la meglio. Non si lasciava tempo per pensare.
Aveva anche delegato il suo ruolo di amministratore delegato delle Stark Industries ai burocrati dello SHIELD. Questi l'avevano consultata solo un paio di volte per delle delucidazioni che aveva fornito in modo assolutamente professionale e distaccato. D'altronde non si poteva certo lasciare allo sbando la più grande industria tecnologica al mondo.
Certo, nei primi tempi aveva sofferto un po' di solitudine. Per natura tendeva ad essere abbastanza schiva con tutti, ma era in ottimi rapporti con Phil e iniziava anche ad avvicinarsi all'Agente Hill, sebbene le incutesse un po' di soggezione. Passava le pause pranzo in loro compagnia e di tanto in tanto riusciva a intercettare Phil per una tazza di tè tra una mansione e l'altra. Per il resto non era ancora scesa dall'Helicarrier da quando vi era salita un mese prima e, nonostante iniziasse a sentire la mancanza di terra solida sotto ai piedi e si tenesse ben lontana dalle vetrate per non fomentare le sue vertigini, non trovava nulla di serio di cui lamentarsi.
Allora perché era bastato un fascicolo su Stane per causarle una crisi simile? Iniziava a dubitare che il suo equilibrio fosse mai stato così solido come pensava. 
Diede un'occhiata all'orologio, decidendo di concedersi qualche altro minuto prima di tornare a lavorare. Fu in quel momento che notò la data odierna, nella minuscola casellina bianca sul quadrante. Di colpo le fu chiaro il perché del suo nervosismo e si chiese come avesse fatto a ignorarlo fino ad allora.
«Potts! Tutto bene?» da dietro la porta le arrivò ovattata una voce, che riconobbe come quella squillante dell'Agente Hill; bastò a interrompere il flusso dei suoi pensieri e gliene fu grata.
Fece un breve respiro profondo, rilassando il viso. Si sistemò la frangetta un po' scomposta e impose un timbro morbido alla propria voce:
«Ho un po' di nausea, devo aver bevuto troppo caffè,» rispose, sbloccando la porta e facendo capolino per rassicurare la collega.
Maria era appoggiata al piano dei lavandini e sembrava sentirsi abbastanza fuori posto. Soprattutto, sembrava non sapere dove mettere le mani, se lungo i fianchi o davanti a sé o se poggiarle sul piano d'acciaio. Infine si risolse a incrociare le braccia.
«Ah, bene. Cioè, mi dispiace, ma almeno non è nulla di serio.» 
Era chiaro che non fosse convinta, ma non insistette. L'Agente Hill era tanto competente e decisa sul campo quanto impacciata nelle relazioni sociali, e il fatto che fosse venuta a cercarla fin lì confermava quanto ritenesse fondata la sua preoccupazione. Pepper si decise a uscire dal cubicolo, avvicinandosi a un lavello per rinfrescarsi il viso.
«Magari vuoi staccare prima?» la incalzò Maria, un po' bruscamente.
«Sarebbe un problema?» replicò l'altra, troppo in fretta, e tacque subito nel rendersene conto.
Anche l'altra esitò, e Pepper fu conscia di aver commesso un passo falso. Normalmente era estremamente riluttante a sottrarsi al suo lavoro e si sarebbe fatta pregare come minimo una decina di volte prima di accettare l'offerta.
«Certo che no. Si tratta solo di un paio d'ore in meno,» minimizzò comunque l'altra, scrutandola con perplessità.
Pepper non aggiunse altro e le rivolse un sorriso un po' tirato mentre si asciugava; Maria ricambiò con un cenno del capo prima di avviarsi verso la porta. Si bloccò sulla soglia, come colta da un pensiero improvviso.
«Sicura di star bene?»
Il sorriso di Pepper s'incrinò un poco.
«Ho solo bisogno di una pausa. Grazie, non preoccuparti.»
Finalmente l'agente uscì, lasciandola sola e permettendole di ricadere in un'espressione cupa che si riflesse nello specchio. Osservò le occhiaie sotto ai propri occhi, che non avevano nulla a che vedere con l'insonnia. Non era così sicura di stare bene.
Indugiò ancora un po' nel bagno, prima di uscire e dirigersi verso l'ufficio di Phil.



***


30 Aprile, Tribunale di L.A., 12:30

Tony uscì dall'aula del tribunale con malcelato sollievo, per poi abbandonarsi su una delle poltroncine nel corridoio, con le stampelle posate sulle ginocchia a mo' di bastoni da passeggio.
Ian gli si affiancò in piedi, e si allentò il nodo della cravatta e il primo bottone della camicia con un gesto insofferente. Sembrava sentirsi fuori posto senza camice addosso e si era agitato nel suo discutibile completo di tweed per tutta la durata del processo, chiedendosi come Tony potesse essere più disinvolto di lui in abito formale avendo due arti in meno. A quel proposito, sia Kyle che Ian avevano notato che il loro assistito aveva scelto una tenuta decisamente meno vistosa del solito, presentandosi in un sobrissimo completo grigio e cravatta nera in luogo delle sue amate giacche e cravatte appariscenti. In questo modo il suo aspetto sembrava meno costruito e più spontaneo, a partire dai capelli lasciati leggermente più lunghi, ma ordinati e senza brillantina.
Soprattutto, aveva deciso di non indossare la benda sull'occhio. L'aveva già rimossa da qualche giorno su consiglio di Ian per aiutare la guarigione della ferita, ma il medico non si sarebbe mai aspettato che Tony fosse già pronto a mostrarsi così in pubblico, né tantomento che fosse in grado di mantenere il suo aplomb nel subirne la reazione. Aveva affrontato la cosa con totale indifferenza, nonostante il brusio pettegolo che aveva accolto il suo ingresso in aula. Se l'era però rimessa non appena uscito dall'aula con un gesto quasi frenetico, chiaro segno che non fosse poi così a suo agio come voleva far credere. In generale aveva comunque tenuto un atteggiamento decisamente più composto e stavolta sembrava aver preso il processo quasi sul serio e non come un'occasione per pavoneggiarsi. Erano addirittura riusciti ad arrivare in anticipo, nonostante fosse evidente che aveva dormito molto meno del dovuto.
Ian notò il modo in cui Tony si stringeva la gamba, che doveva aver risentito degli spostamenti forzati e aveva preso a dolergli nonostante gli analgesici. Gli scoccò un'occhiata significativa e pungente, ma si astenne da commenti. Tony sfuggì il suo sguardo, ma intuiva a cosa fosse rivolto il rimprovero inespresso del medico. E adesso ammetteva che sarebbe stato meglio usare la sedia a rotelle come aveva suggerito lui, invece di usare le stampelle. Fortunatamente aveva dovuto zoppicare solo dal banco della difesa a quello dei testimoni ed era anche riuscito a non inciampare in diretta nazionale.
Considerata la sua docilità nel rinunciare alle vere protesi durante il processo, sia Ian che Kyle avevano deciso di soprassedere sulla sua repulsione per la sedia a rotelle; dopotutto, tanto peggio per lui. Tony si sentiva dolorante e anche un po' stupido per quella presa di posizione, ma era sollevato per essersi risparmiato le battutine pungenti di Knight sulla "accoppiata perfetta" e per averle risparmiate forse anche a Kyle.
Quest'ultimo uscì finalmente dall'aula facendo lo slalom tra la fiumana che affollava il corridoio e che, notò Tony con fastidio, non si preoccupava più di tanto di agevolare il suo passaggio. Infine li raggiunse, mascherando la sua palese irritazione con una piccola sgommata della sedia a rotelle. Era stranamente su di giri per aver passato le ultime tre ore a parlare ininterrottamente, e i suoi occhi verdi erano illuminati da una luce vivace.
«Allora? Come sono andato?» esordì Tony prima che l'avvocato potesse aprire bocca.
Kyle ci pensò su un momento. Ian si cacciò le mani nelle tasche della giacca e sembrò ruminare una risposta caustica.
«Otto per l'esposizione, sette per i contenuti e sei in condott,.» concluse infine Kyle, lasciando trasparire un lieve disappunto.
Il processo era filato relativamente liscio, senza particolari momenti di epicità – niente rivelazioni teatrali, foto scabrose o mani che cadono. La deposizione di Ian non aveva portato alla luce nulla di rilevante per Knight. e l'accusa si era dimostrata stranamente a corto di prove, aveva avuto modo di constatare Kyle. Sospettava che lo SHIELD c'entrasse qualcosa. Evidentemente i superiori di Stark avevano molto interesse a proteggere i loro beniamini, anche quelli più turbolenti.
Il processo si era concluso con un battibecco tra Stark e Hammer sulla tecnologia arc e sui suoi rischi, condita dalle battutine snervanti di Knight e dalla sua apparente ossessione per Howard Stark e i progetti originari del reattore. Doveva ammettere che in quel frangente Tony aveva mantenuto un notevole sangue freddo, riuscendo a non mandare a quel paese il procuratore. Non subito, almeno.
Tony si agitò sulla sedia, sentendosi esaminato dallo sguardo di Kyle.
«Mi sembrava di aver mantenuto un comportamento ineccepibile.»
Stavolta Ian si schiarì la gola in modo eloquente.
«Ha detto che Hammer avrebbe potuto effettuare perizie tecniche solo sul suo cesso, Stark.»
«Quella è la pura verità,» lo rimbeccò serafico Tony, celando un sorrisetto compiaciuto.
«Anche la digressione di venti minuti sulla "meravigliosa cromatura della Mark III" era po' fuori luogo,» aggiunse Kyle.
«È stato un espediente per prendere tempo...» ammise controvoglia Tony, in un mugugno.
Stava giocherellando sovrappensiero con la mano in vetroresina inerte della protesi, sorbendosi la paternale senza però risentirsene troppo. Aveva cercato di moderare parole e comportamenti riuscendoci anche abbastanza bene, visti i suoi standard, ma la combo "Knight-Hammer" avrebbe fatto uscire dai gangheri un santo.
«E poteva risparmiarsi le frecciatine a Knight,» aggiunse per l'appunto Ian. «O evitare almeno di farne una ventina a interrogatorio.»
Qui Tony si fece improvvisamente serio.
«Lui poteva risparmiarsi quelle su moncherini e sedie a rotelle. E su mio padre.»
Ignorò il medico che alzava gli occhi al cielo, evidentemente a corto di commenti per due adulti che bisticciavano come ragazzini delle elementari. Tacque per un istante prima di riprendere con più veemenza, rivolgendosi stavolta al suo avvocato:
«Senti, K, io non sono un tipo violento...»
Ian e Kyle si scambiarono un'occhiata di sottecchi, probabilmente sforzandosi di non sbottargli a ridere in faccia. 
«... va bene, non lo sonospesso,» si corresse con un secco sospiro. «E non so che problemi ci siano fra te e Knight. Ma giuro che se finita questa storia lo incrocio per strada gli spacco la faccia. Con questa,» aggiunse, alzando rigidamente la protesi provvisoria e ben poco minacciosa.
Ma una volta completata quella vera, ricevere un pugno con quella o con l'armatura di Iron Man avrebbe fatto ben poca differenza. Forse non avevano tutti i torti a volergliele sequestrare...
Ian sospirò, ma Kyle si lasciò sfuggire un sorrisetto.
«Quando mi avrai rimesso in piedi, Stark, mi toglierò quella soddisfazione di persona.»
«Io farò finta di non aver mai sentito nulla,» borbottò subito Ian, ma dalla sua faccia si capiva che trovandosi di fronte a Knight reduce da un pestaggio avrebbe probabilmente messo da parte il suo giuramento di Ippocrate per curarlo nel modo più rude e sbrigativo possibile.
Tony si limitò a strizzare l'occhiolino a Kyle. Non si era dimenticato della promessa ed era contento di vedere come l'avvocato continusse ad avere fiducia in lui, nonostante tutto. Nel periodo di convalescenza aveva evitato di menzionare il suo "pagamento", forse intuendo che mettergli pressione non era il modo migliore per farlo mettere all'opera, soprattutto in un frangente così critico. Aveva dimostrato una dose di tatto e pazienza inaspettata.
«Comunque, in attesa di quel giorno...» Kyle sollevò trionfante il foglio dall'aria ufficiale che teneva in mano da quando era uscito dall'aula, «... possiamo prenderci una piccola rivincita.»
Tony prese il documento, mentre Ian lo scrutava da sopra la sua spalla. Entrambi si illuminarono leggendo le prime righe.
«Knight si è preso un'ammonizione?» enunciò incredulo Tony, continuando a scorrere il foglio senza nascondere il suo entusiasmo.
«Strano che non sia per lei, eh?» commentò Ian, ma anche lui sfoderò un sogghigno soddisfatto.
«Ho fatto notare al giudice che i suoi modi poco garbati di interrogare un testimone ed imputato in chiaro stato di disagio psico-fisico ed emotivo potevano avere risultati deleteri e falsare la deposizione,» sciorinò Kyle con serenità.
«Per una volta sono contento di essere considerato uno squilibrato,» borbottò Tony, restituendogli il foglio. «Quindi è stata una vittoria,» concluse, stiracchiandosi per poi pentirsene immediatamente nel sentir scrocchiare la giuntura metallica della spalla.
Represse la smorfia di dolore e continuò, ancora pimpante:
«Un'altra udienza tra un mese, potrò legalmente usare le protesi in casa mia e forse troviamo un cavillo per farmele usare fuori, le foto presentate all'ultimo processo sono state ufficialmente dichiarate invalide, e abbiamo tutto il tempo per prepararci alla questione di Iron Man...» cominciò a elencare, contando sulle dita sane, «... Knight è ammonito, e vista la situazione Hammer non farà perizie almeno per un altro po'. Ho dimenticato qualcosa? A parte lo champagne.»
«È andata sicuramente meglio delle altre volte,» concordò Kyle, evitando di aggiungere che non era un gran risultato migliorare rispetto ai precedenti processi, visto che difficilmente si poteva fare di peggio.
Era riluttante a smorzare la rediviva positività di Tony, ma d'altra parte non voleva neanche che si adagiasse troppo sugli allori. Doveva però dire che apprezzava molto il fatto che si fosse sforzato di comportarsi in modo consono a un'aula di tribunale, nonostante avesse avuto qualche caduta di stile.
«Per la prossima udienza dovremo prepararci meglio,» lo avvisò. «Sai dove potrebbero andare a parare.»
Tony si accigliò e il suo sguardo si fece attento, quasi guardingo, come se si sentisse improvvisamente accerchiato.
«L'incidente,» precisò Kyle intuendo un fraintendimento, e Tony si rilassò, allentando la stretta sulle stampelle.
Le sue nocche ripresero un colorito roseo, ma l'espressione rimase circospetta. Si sfiorò inconsciamente la benda sull'occhio e sobbalzò al contatto un po' troppo brusco, trattenendo un singulto.
«Sì, certo. L'incidente,» ripeté, come se la cosa fosse ovvia.
"Non l'Afghanistan, non Pepper, non mio padre. Va tutto bene," si rassicurò mentalmente.
«Finora ti hanno lasciato stare, vista la situazione e il focus sulle protesi, ma non potrai fare scena muta per sempre. Knight preferirebbe farti condannare per l'uso improprio dell'armatura per avere il suo momento di gloria e implicare nell'affare anche le intere Stark Industries e la loro trascorsa manifattura bellica, ma se non troverà appigli si potrebbe accontentare di una semplice condanna per omicidio volontario.»
«Non sto facendo "scena muta",» ribatté gelidamente Tony. «Sono mesi che provo a ricordare, ma il massimo che ottengo sono delle immagini sconnesse. E non posso beccarmi un'altra accusa di falsa testimonianza.»
«Non sto dicendo che sia colpa tua, ma dobbiamo trovare una soluzione o almeno elaborare un piano B.»
«L'unica altra testimone è Pepper,» disse Tony, a voce più bassa. «Mi ha detto che è stata lei a sovraccaricare il reattore arc, anche se a quanto dice gliel'ho chiesto io, ma non ho idea di cosa sia successo dopo. E non ho intenzione di farla testimoniare ancora,» riprese subito con fermezza, alzando una mano e anticipando Ian, che stava per aggiungere qualcosa. «Abbiamo la chiave USB con le prove che incastrano Stane. Se veramente mi troverò messo all'angolo...» deglutì, sforzandosi di continuare con tono leggero, «... porterò la discussione sulla mia vacanza in Afghanistan. Terrò impegnati quegli avvoltoi, non vedono l'ora di sentirmene parlare. Ci farà guadagnare tempo. E dipingerò Stane come il bastardo che era.» 
Prese fiato, di nuovo oppresso dai pensieri di quella notte. 
«Nel frattempo, sì, cercherò di ricordare, anche se mi ci vorrebbero delle sedute spiritiche. Ma se non dovessi riuscirci, sono disposto a dire che l'ho ucciso io, piuttosto che coinvolgere di nuovo Pepper. Non è neanche così sbagliato accusarmi del suo omicidio e tecnicamente non mi dispiace che sia morto,» aggiunse con leggerezza.
Ian e Kyle non seppero replicare e calò un silenzio teso.
«Beh, ci penseremo al momento, genio. Credo che per ora il problema più tangibile sia quello di Iron Man. Finché non ricorderai qualcosa, anche la corte preferirà concentrarsi su quello,» alzò le spalle Kyle, chiudendola lì mentre estraeva il cellulare dal taschino. «Ora perdonatemi, ma devo iniziare a fare qualche telefonata preparatoria. Un mese passa in fretta!» concluse, sospingendosi verso l'uscita con rinnovata vitalità.
Tony lo guardò allontanarsi, adesso incupito. Ian percepì la sua tensione, ma non era mai stato bravo con le parole e si limitò a passarsi una mano sulla nuca con fare imbarazzato, in cerca di un modo per stemperare l'atmosfera.
Nel frattempo il corridoio si era svuotato. Di tanto in tanto li superavano giudici e procuratori in toga, diretti frettolosamente verso le rispettive udienze. Qualcuno diede segno di aver riconosciuto Tony, ma nessuno li importunò, troppo presi dalle loro faccende. Tony stava aspettando che il fastidio alla gamba cessasse per potersi alzare e uscire il prima possibile da quel posto che odorava fastidiosamente di cera per pavimenti e polvere.
«Ho parlato con quel collega di cui le dicevo l'altro giorno,» esordì infine Ian, cauto.
L'attenzione di Tony si risvegliò all'istante e gli fece cenno di continuare.
«In realtà l'avevo chiamato per altri motivi, ma la discussione è arrivata a lei, così ne ho approfittato per chiedere un parere medico. Anche lui è un neurochirurgo. È diventato molto più bravo di me, anche se teoricamente è stato un mio allievo.»
«Di sicuro non ha impiantato delle protesi biomeccaniche sperimentali alimentate da reattori arc, ma le credo sulla parola,» ribatté Tony.
Ian esitò, preso in contropiede da quel complimento indiretto; sembrò voler dire qualcosa ma poi scosse la testa.
«È una persona molto riservata,» premise, come a giustificarsi. «Ma forse potreste venirvi incontro coi vostri... problemi,» concluse spiccio.
Tony lo fissò confuso.
«Doc, quale sarebbe questo "parere medico"?»
Ian sospirò con rinnovata reticenza.
«Sa perfettamente che io non ho alcuna intenzione di operarla per un possibile intervento all'occhio,» si decise a confessare, e Tony rimase stolidamente a bocca aperta. «Forse lui sarebbe disposto a farlo. Ma ora non può. È complicato e...» cominciò subito a frenarlo, come preoccupato di essersi sbilanciato troppo e temendo la reazione del suo paziente.
«Doc,» lo interruppe Tony, pacatamente. «Ho due protesi incomplete, un corpo che è praticamente da buttare tra atrofia e palladio e un'armatura da rimettere in sesto. Per una volta direi che posso anche aspettare qualche tempo prima di riprendere a pensare a progetti futuristici.»
Ian rimase di sasso di fronte a quell'inaspettata dimostrazione di razionalità. O era rassegnazione? Si sarebbe piuttosto aspettato un interrogatorio serrato e implacabile per estorcergli quante più informazioni possibili.
«Ma se posso farò qualcosa per quel suo collega,» riprese Tony, con un accenno di sorriso. «A questo punto potrei prenderlo come uno svago dal lavoro sulle protesi.»
Ian non rispose, ma annuì e lo aiutò a rialzarsi per raggiungere Kyle e Happy e tornare a Villa Stark.
«Ah, a proposito di novità...» riprese Ian, strada facendo.
«Cos'è, la giornata delle belle notizie?» ridacchiò Tony, di nuovo incuriosito.
«Forse le ho trovato anche una fisioterapista.»
«Una
Tony rallentò il passo per squadrare guardingo il medico.
«Sì. E non le piacerà.»



***


30 Aprile, Helicarrier, 12:50

Forse era stata una decisione avventata.
Pepper indugiava di fronte all'ufficio di Coulson, tormentandosi le mani senza avere il coraggio di bussare. Probabilmente stava lavorando. Sarebbe stato scortese interromperlo... per poi, cosa? Non sapeva esattamente cosa volesse dirgli, né come lui potesse risolvere il suo problema, se davvero ne aveva uno. Rimase ferma, fissando il cartellino "P. Coulson" fissato alla porta all'altezza dei suoi occhi. Accanto era appiccicato un adesivo di Capitan America un po' sbiadito. 
Pepper sospirò, costringendo le proprie mani a smettere di tremare. Bussò lievemente, sperando in cuor suo di non ricevere risposta. 
In effetti, non arrivò.
Invece di tornarsene sui suoi passi come voleva disperatamente fare, bussò con più decisione.
«Avanti,» arrivò da dietro la porta, a voce un po' alta.
Ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. Entrò risoluta, mettendosi allo scoperto.
Coulson era seduto dietro alla scrivania con delle ampie cuffie in testa, completamente abbandonato sullo schienale mentre fissava svogliatamente il computer. Prendeva appunti su un tablet in modo abbastanza disordinato e a portata di mano aveva una tazza di tè fumante con il logo dei Vendicatori. La sua giacca era scivolata per terra e un plico di documenti occupava l'unica sedia libera di fronte a lui. Alzò lo sguardo all'ingresso di Pepper e si affrettò a liberarsi delle cuffie e a mettere in pausa il video in riproduzione, rivolgendole un sorriso cordiale.
«Pepper, che sorpresa!» esordì, rendendosi poi conto del disordine che regnava nell'ufficio e affrettandosi a liberarle la sedia e a raccogliere la giacca. «Ti offro un tè? Ce n'è ancora!» le propose allegro, accennando al thermos poggiato accanto alla tazza.
«No, non disturbarti, sono solo di passaggio,» mentì lei, messa in imbarazzo dall'agitazione del collega, ma si sedette volentieri di fronte a lui.
Coulson era solitamente impeccabile e compassato ed era raro vederlo scomposto o in momenti di relax – o di grande noia, come era evidente dalla rapidità con cui aveva messo da parte il suo lavoro per accoglierla. Nonostante il suo rifiuto le riempì una tazza di tè, questa con lo scudo di Capitan America – Pepper si ritenne onorata. Adocchiò un'altra tazza delle Stark Industries in cima a un portadocumenti, ma decise di ignorarla fermamente.
«Tutto bene?» ruppe il silenzio Pepper, bevendo subito un sorso di tè per nascondere la sua espressione poco stabile.
Si rendeva conto di essere tesa, ma non voleva che Coulson lo notasse, anche se l'aveva probabilmente già fatto. Questi sospirò, mostrandole le cuffie.
«La digitalizzazione degli archivi comprende anche la revisione dei file audiovisivi...» si limitò a dire in tono eloquente. «Centinaia di ore di nastri registrati in pessima qualità. Un toccasana per le orecchie.»
Pepper annuì in modo comprensivo: quell'improvvisa decisione di Fury stava mettendo a dura prova i loro nervi e tutti non vedevano l'ora di tornare alle loro solite mansioni. Phil era particolarmente frustrato dal suo stato di "prigionia", come le aveva confessato di recente, ed era spesso di malumore, soprattutto perché non vedeva Audrey da dieci giorni. A guardarlo bene, anche lui iniziava a dare cenni di stanchezza.
L'occhio le cadde involontariamente la custodia del nastro in riproduzione. L'etichetta recitava "H. Stark., Project: Rebirth, 1943". Si accigliò: forse quel giorno il caso voleva dirle qualcosa...
«Noi siamo a buon punto. Credo,» cercò di rassicurarlo un po' debolmente, anche per mascherare il suo turbamento.
Phil alzò le spalle con noncuranza.
«Se questi sono i nostri problemi più urgenti, tanto meglio,» commentò, con poca convinzione e un po' di ipocrisia.
Si vedeva che scalpitava per tornare a lavorare sul campo e che avrebbe preferito un'invasione aliena al lavoro d'ufficio. Ci fu un lungo momento di silenzio, in cui Pepper sorseggiò il suo tè, chiedendosi come le fosse venuto in mente di presentarsi lì. Phil diede un'occhiata distratta al suo telefono e una lieve sorpresa gli attraversò il volto.
«Sei in pausa?»
Di sicuro aveva realizzato che, teoricamente, quello era il suo orario di lavoro.
«Ho staccato prima e ho pensato di passare a salutarti,» rispose lei con disinvoltura. «Non mi sentivo molto bene,» aggiunse cautamente.
«Sono stati giorni pesanti. Forse dovresti prenderti delle ferie,» le consigliò, con apparente leggerezza, ma lei notò che la stava fissando in modo quasi inquisitorio. «Fuori dall'Helicarrier, intendo.»
Pepper si rabbuiò, ma finse di pensarci su qualche istante, trattenendo la risposta impulsiva che le era balenata in mente, ovvero "neanche per sogno".
«Vorrei prima concludere questo lavoro...»
Phil fece un profondo sospiro, scoccando uno sguardo astioso al computer e alle cuffie abbandonate sulla scrivania che le strappò un sorrisino forzato.
«Già, prima il dovere,» si decise a concludere, in tono definitivo, e Pepper capì con una punta di smarrimento che la sua visita si era già conclusa.
Fissò la sua tazza quasi vuota. Si stava sentendo un'idiota, ma si alzò comunque con naturalezza. Non riuscì però ad evitare di soffermarsi qualche istante di troppo nell'ufficio, maledicendosi per la propria indecisione.
Infine si risolse ad aprire la porta, ma la voce di Phil la bloccò sulla soglia:
«Il processo è finito poco fa,» disse laconico.
Lei si girò repentinamente, colta in fallo, e sentì accentuarsi una stretta al petto che non si era accorta di provare.  Sarebbe stato inutile fingere disinteresse adesso, così optò per il tacere.
Phil era imperscrutabile come sempre, ma non le sembrava ostile. Interpretò il suo silenzio come un invito a continuare – e, in fondo, lo era.
«Mi ha chiamato Kyle. Non sono arrivati a un verdetto, ma sembrava ottimista per la prossima udienza e ha detto che quella di oggi è stata perlopiù positiva.»
Pepper abbassò lo sguardo, non sapendo come prendere la notizia. Sicuramente non se l'aspettava. Aveva pensato che il processo si sarebbe concluso quel giorno nel peggiore dei modi, considerando... l'instabilità dell'imputato.
Si mordicchiò nervosamente le labbra.
«Quando sarà la prossima?» chiese infine.
«Tra circa un mese. Credo che Kyle ti informerà non appena verrà decisa una data.» 
Phil sembrava intento a scrutare le sue reazioni e Pepper era altrettanto decisa a non mostrarne.
«Bene.» 
Non sapeva cos'altro aggiungere, anche se avrebbe voluto chiedere di più. Aveva saputo in modo più o meno indiretto della situazione più stabile di Tony, ma non aveva idea di cosa significasse quel "più stabile" e il fatto che quel dettaglio la interessasse la faceva adirare con se stessa. Non meritava la sua attenzione, non dopo ciò che quell'ingrato aveva osato fare e farle.
Phil si dondolava inquieto sulla sedia girevole, con le cuffie al collo, come ponderando il da farsi. Infine si appoggiò coi gomiti sulla scrivania, sporgendosi verso Pepper e cercando di incrociarne lo sguardo basso.
«Pepper, anch'io sono ancora arrabbiato. Non riesco a immaginare quanto tu lo sia, ma continuare così non ti farà stare meglio.»
A quel punto Pepper rialzò di scatto gli occhi di un azzurro penetrante.
«Cosa vorresti dire? Che dovrei tornare sui miei passi e perdonare tutto come se nulla fosse?» sbottò, e non riuscì a controllare il tremore nella sua voce.
«Al contrario,» ribatté lui, secco.
Pepper sentì una punta di consapevolezza farsi strada nella sua mente. Phil sembrò rendersi conto di essersi esposto troppo e ammutolì nuovamente. Si stropicciò gli occhi, per poi tornare a poggiarsi contro lo schienale. Incrociò le braccia a disagio.
«Non sono affari miei,» ammise, parando le mani avanti. «Ma penso che dovresti decidere chiaramente se ti importa o meno di lui, e convivere con la tua decisione.»
Pepper si trovò ad abbassare di nuovo gli occhi, trovando conferma dei propri pensieri. Nel momento in cui aveva lasciato Villa Stark, aveva deciso che, no, non le importava più. Era diventato troppo doloroso per importarle. Ma i suoi pensieri si soffermavano sempre lì, su di lui, anche quando non ne era pienamente consapevole. Sapeva che, nel profondo, oltre il velo di rabbia e delusione che la tratteneva, forse le importava ancora. Non era davvero riuscita a prendere una decisione, si era solo imposta di ignorare il problema, e ciò le richiedeva uno sforzo tale che paradossalmente le impediva di ignorarlo davvero. Ed era consapevole di essere scappata, senza davvero mettere la parola fine a nulla, se mai c'era stato un inizio.
Phil aveva ragione: rimanere in un limbo che la faceva palesemente soffrire non l'avrebbe aiutata. Doveva uscire da quell'impasse, se lo ripeteva da settimane; settimane passate a crogiolarsi nell'indecisione, incapace di scacciare il senso di colpa che le impediva di ignorare veramente tutto ciò che le dava pensiero. Incapace di ammettere che, sì, le importava di Tony, ed era per questo che era ancora così profondamente arrabbiata con lui; era per questo che non riusciva ad andare avanti, ma nemmeno a tornare indietro. Non ora, almeno.
Pepper si arrischiò a rialzare gli occhi su Coulson, che si stava rimettendo le cuffie come se niente fosse accaduto, probabilmente per lasciarle i suoi spazi dopo averli invasi così indiscretamente. Gli rivolse un sottile sorriso di gratitudine, che lui ricambiò appena, poi uscì chiudendo piano la porta dietro di sé. Non era stata esattamente la chiacchierata che aveva prospettato.
Si decise ad avviarsi verso la mensa per la pausa pranzo, per una volta sovrappensiero, quando il suo cellulare vibrò nella tasca della giacca riportando un'ombra sul suo volto.
Era Kyle. 
Soppesò il telefono per qualche istante per poi rimetterlo in tasca, lasciandolo squillare a vuoto. Sentì la tensione sul suo viso sciogliersi come cera al sole. 
Aveva ancora bisogno di tempo.
Forse, si rese conto all'improvviso, ne avevano bisogno entrambi.




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Note dell'Autrice:

Massalve, popolo di EFP *balla di fieno*
Dopo troppo tempo torno ad aggiornare questa storia, che era destinata a non trovare una fine sino a due mesi fa. Adesso, invece, annuncio ufficialmente (a chi nun se sa) che Phoenix ha imboccato la strada della conclusione; dopo 6 anni era pure ora... ci è voluto un po', ma c'è una mezza dozzina di capitoli pronti (!) e un prossimo aggiornamento è previsto per il 18 Marzo, anniversario della storia.


In realtà avevo intenzione di tornare proprio il 18, ma diciamo che questo capitolo è un regalo.
Yes, cara
_Atlas_, dico proprio a te, che hai predetto un aggiornamento di Phoenix per il 6 marzo... e visto tutto il supporto che mi hai fornito in questo periodo, il minimo che potessi fare era far avverare la tua profezia ;)
Grazie di tutto, davvero, se non fosse stato per te non avrei mai ripreso in mano la storia né la scrittura
<3


Tornare su questi schermi (?) dopo così tanto tempo è un'emozione e un'ansia allo stesso tempo, ma spero che qualcuno apprezzerà tutti gli sforzi che sono stati versati in questa storia da me e in precedenza anche da 
MoonRay (spero che prima o poi passerai di qui anche tu <3)

Come avrete notato questo è un altro capitolo di stallo, anche se mi sono decisa a introdurre nuovamente Pepper, sebbene a distanza. Nulla di nuovo, insomma, a parte un Tony più stabile del solito e un paio di indizi qua e là sulla trama.
Diciamo che il tono di questi capitoli sarà in linea con il titolo di questa seconda parte, Ashes, anche se la situazione si fa più movimentata già dal prossimo.

Chiudo il papiro ringraziando di nuovo infinitamente
_Atlas_, che si è impegnata a recensire tutti i capitoli corretti, e Alexandre94 che ha recensito lo scorso capitolo :)

-Light-

P.S. 
Per chi fosse un vecchio lettore (dubito fortemente) e abbia coraggio da vendere, consiglio di rileggere almeno parte dei capitoli precedenti, in quanto sono stati revisionati in toto con correzioni, aggiunte e modifiche a volte sostanziali. Sssì, Phoenix era invecchiata maluccio e c'era qualche buco di trama, ora corretto.

 




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