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Chasing cars
"I
dreamt about you nearly
every night this week
How many secrets can you keep?
'Cause
there's this tune I found
That makes me think of you
somehow
And I play it on repeat
Until I fall asleep"
[Do I Wanna Know? - Arctic Monkeys]
30 Aprile, 03:13, Villa Stark
Tony
sbarrò l'occhio nel buio, col fiato corto e la sensazione di
essere
in imminente pericolo.
Subito la luce azzurrina del reattore lo
rassicurò, ma portò comunque una mano al petto
per accertarsi che
fosse ancora lì, in un gesto ormai condizionato. Le sue dita
sfiorarono il contorno metallico del congegno, percependone il lieve
calore e cercando di trarne conforto. Socchiuse la palpebra
respirando piano, ma non azzardò altri movimenti,
paralizzato dal
dolore ai moncherini. Li sentiva pulsare violentemente contro il
metallo delle protesi e aveva l'impressione che anche gli arti
metallici lo percepissero; a nulla serviva convincersi che fosse solo
la sindrome dell'arto fantasma – o come diavolo l'aveva
chiamata
Ian. Si arrischiò ad allungare la testa per guardare
l'orologio sul
comodino, sentendo un'acuta fitta alla spalla. Erano appena le tre,
realizzò con disappunto. Aveva sperato che fosse
più tardi – o
più presto, a seconda dei punti di vista – per non
sentire
l'obbligo di doversi riaddormentare. Di solito le crisi lo assalivano
verso le cinque di mattina e aveva almeno la consolazione di
intravedere l'alba sul mare dalla vetrata. Adesso però la
finestra era una lastra nera e opaca; si intravedeva solo il lumicino
intermittente di una boa lontana. Si stancò ben presto di
fissarlo
nel tentativo di riprendere sonno.
Prese un profondo respiro prima
di girarsi sulla schiena, ignorando il breve e atroce dolore che lo
investì e ottenendo
subito dopo un po' di sollievo. Si premette il braccio sano sulla bocca
per soffocare nell'incavo del gomito i lamenti che gli risalivano il
petto, spinti dalla
morsa che continuava a stritolargli le piaghe. Non osò fare
altro
e tenne lo sguardo lucido rivolto al soffitto, dove si proiettava
flebilmente
la luce del reattore. Stette ad osservarla per qualche minuto,
cercando nel frattempo di distrarsi pensando ai progetti delle
protesi, ma ogni fitta gli faceva perdere il filo e gli riusciva
sempre più difficile mantenere la concentrazione. Alla fine
si
rassegnò a lasciar vagare la propria mente: che andasse dove
preferiva,
non aveva comunque la forza di tenerla a bada.
E subito i suoi
pensieri iniziarono a rimbalzare qua e là frenetici, come
pesanti
palline di
un flipper impazzito.
La consapevolezza del suo imminente processo
gli si stagliò davanti, simile a una chimera minacciosa:
ormai
mancavano poche ore e non si sentiva assolutamente preparato. Da
quel nucleo compatto di preoccupazione ed ansia sgorgavano mille
altri pensieri, tutti spiacevoli e difficilmente ignorabili. Le
protesi,
la fisioterapia, il palladio, Iron Man, i Vendicatori, suo padre
–
perché
suo padre, poi? – Stane, i suoi incubi,
l'Afghanistan... e
qui frenò il flusso con decisione ferrea, calando una
cortina
impenetrabile. La sua attenzione vagò smarrita per qualche
istante intervallato da altre stilettate ai moncherini,
finché non
si rassegnò a soffermarsi sul suo problema più
urgente e più
ignorato, che faceva capolino solo quando abbassava la
guardia.
"Capisci cosa sto cercando di dirti?" gli
rimbombò improvvisamente in testa, e vide i suoi occhi
azzurri
davanti a lui.
Affondò con rabbia la testa nel cuscino,
irrigidendosi nel sentire la tensione dei muscoli in aumento che gli
serrava lo stomaco e gli indolenziva il collo. Avrebbe voluto rigirarsi
nel letto per
sfogare un po' la sua irrequietezza, ma le proteste del suo corpo lo
dissuasero. Ancora, cercò di deviare i suoi pensieri, ma si
infransero contro la barriera oltre la quale scorgeva le fauci
spalancate di una grotta buia piena di armi e bombe e corpi... si
ritirò di scatto, chiudendo di nuovo quella porta e
ricominciando a
fluttuare smarrito tra immagini minacciose.
Non voleva pensare a
niente, soprattutto non all'Afghanistan e non a lei. Doveva
concentrarsi sul processo,
su qualcosa di tangibile e che era effettivamente in grado di
gestire. Doveva provare a imbastire una linea d'azione per l'udienza,
decise. Ma la sua risolutezza vacillò e di nuovo
sprofondò nel
buio della propria mente. Fu solo quando la sua attenzione confusa
dal dolore e dal sonno cominciò ad oscillare con insistenza
tra il
rapimento e suo padre – e sua madre e quell'addio mancato
–
perché proprio adesso, perché?
– che si arrese quasi con
liberazione, tremante.
L'immagine di Pepper gli apparve subito davanti
più nitida che mai, e si stupì di ricordare ogni
dettaglio del suo
volto, ogni lentiggine e capello ramato, inclusa l'espressione dura e
cupa degli ultimi tempi. I suoi occhi erano congelati nell'istante in
cui l'aveva guardato per l'ultima volta, in una sera irreale di
quelli che sembravano anni prima. Ricordava chiaramente il
quadro con la cornice rotta, sbilenco sul muro, a far da labile confine
tra loro. Rivedeva la
rabbia, la confusione e la preoccupazione che lei aveva cercato di
non far trasparire, ma che per lui erano fin troppo evidenti; gli
echi di una conversazione surreale, come sospesa nella notte,
trapelavano dalla scena.
Quello era l'ultimo ricordo che aveva di lei.
Quando si era risvegliato dopo il tentato suicidio era già
solo.
Nessun messaggio, nessun addio. Non trattenne un sospiro avvilito:
ci era abituato, le persone se ne andavano senza preavviso, ma
ciò
non addolciva la pillola. E in fondo sapeva di non potersi
lamentare. Quella sera l'aveva salutata, in un certo senso.
Cercava di convincersi che fosse così: non avrebbe
sopportato un
altro addio mancato a pesargli sulla coscienza.
"Sei
bellissima."
Sospirò, coprendosi il volto con le mani: di
tutto ciò che avrebbe potuto dirle... ma era il minore dei
problemi. C'erano domande più pungenti a cui non era ancora
stato in grado di trovare risposta. All'epoca sapeva già che
sarebbe stata l'ultima volta
che la vedeva? Forse la parte deviata di se stesso aveva già
deciso
di porre fine alla sua vita? Non riusciva a ricordarlo; forse non
voleva; forse non l'avrebbe mai saputo.
Lei non aveva proferito parola: l'aveva solo fissato spaesata. Ma
aveva capito? Aveva intuito l'intenzione orribile
che si celava dietro quella sorta d'addio implicito?
Scacciò il pensiero con stanchezza: ormai non
importava più.
Si concesse però di chiedersi cosa stesse facendo
in quel momento. Probabilmente dormendo, come tutte le persone
normali senza preoccupazioni, sensi di colpa e arti amputati fanno
alle tre di notte. Sperò fosse così e forse, al
contempo, una parte di sé sperò che non lo fosse.
Il nodo allo stomaco si strinse, ma allo stesso
tempo percepì un sottile velo di calma posarsi su di lui.
Era
una sensazione strana, non positiva, ma neanche negativa. Era il
sentimento di ovattato sconforto di chi si trova nello sfacelo causato
da una
catastrofe naturale: dopo i primi momenti di panico, diventa
perfettamente consapevole di non poter fare nulla per rimediare
all'istante e si
rassegna alla devastazione che lo circonda accettandola come normale,
cominciando semplicemente a ricostruire tutto un mattone dopo
l'altro. L'alternativa: disperarsi e correre all'impazzata in cerca
di una soluzione immediata e inesistente. Si adagiò in quel
limbo di indifferenza, nel quale di tanto in tanto penetrava la
consapevolezza del disastro già avvenuto e al momento
irrimediabile.
E insieme, concretizzò la consapevolezza ormai acquisita che
da
quando era solo gli sembrava di vivere molto meglio e di saper
gestire i suoi problemi in maniera quasi impeccabile, se non per
qualche momento di depressione momentanea e di sovraccarico emotivo
– come in quel momento. Prima con lei si era sentito
sicuro, protetto, guidato. Aveva creduto di non potercela fare senza di
lei,
di crollare; vi si era aggrappato con tutto se stesso e aveva finito
col trascinarla in basso con sé, per poi respingerla,
disgustato
dalla propria inadeguatezza e incapacità che l'avevano solo
ferita.
Adesso si rendeva conto che tutto quello che credeva di
riuscire a fare grazie a lei era in grado di farlo anche da solo
– ma non aveva avuto il coraggio di provarci davvero. Si
sentiva un perfetto idiota ad averlo realizzato solo adesso.
Certo,
gli mancava. Se ne rendeva conto ogni giorno, quando credeva di
sentire dei tacchi che scendevano le scale, o una voce sottile che lo
chiamava dal piano di sopra, o intravedeva uno sprazzo di rosso che
poi si rivelava essere solo un riflesso del sole. Sentì un
familiare vuoto farsi strada in lui, e riconobbe
la sensazione che aveva dimenticato da anni proprio grazie a
Pepper.
Si sentiva solo.
Anche se proprio per questo era riuscito a fare
passi da gigante, a recuperare un po' del tempo perso, a ritrovare
una parte del vecchio sé – il resto era ancora
lontano, forse
perduto per sempre – e a dimostrare a se stesso e agli altri
di
potercela fare, la solitudine aveva cominciato a scavare un nuovo
solco tra le tante cicatrici. Le telefonate di Kyle e le visite di
Ian alleviavano quel peso, sebbene in modo minimo, ma per il resto
del tempo l'unica voce che udiva era quella di JARVIS.
Essere
solo col suo maggiordomo nella villa deserta gli causava una
spiacevole sensazione di deja-vù. Si aspettava di sentire la
macchina di suo padre arrancare nel vialetto da un momento all'altro
o di vedere sua madre in terrazzo a leggere. A volte imboccava
sovrappensiero la porta sbagliata, memore della vecchia planimetria
della villa. C'erano ore intere di silenzio assoluto, intenso,
rotto solo dalla risacca. In quei momenti il raro squillo del
telefono gli faceva sobbalzare il cuore di un terrore irrazionale, ed
era sempre con indescrivibile sollievo misto ad amarezza che sentiva
la voce di Kyle o di Ian o di Fury all'altro capo, invece del timbro
monotono di un ufficiale di polizia che ha già dato troppe
volte
brutte notizie a qualcuno.
Pepper era riuscita a riportare una
scintilla di vitalità in quel guscio vuoto che era diventata
Villa
Stark dopo l'incidente dei suoi. In quel clima non si stupiva di
pensare ai suoi genitori molto più spesso del solito. Aveva
avuto la
tentazione di aprire lo studiolo in cui aveva ammassato tutta la loro
roba – era troppo furioso con loro per esporla in bella
vista, ma
troppo addolorato per buttarla semplicemente via – ma infine
si
era
risolto nell'evitarlo categoricamente. Non era quello il momento;
non era mai il momento per pensare.
Odiava quelle ore
insonni in cui il suo cervello rimuginava e si arrovellava senza
sosta quasi a rinfacciargli quel rifiuto, arrivando a conclusioni che
lo inquietavano nel profondo
senza per questo arrivare mai a nulla di concreto.
Si rigirò
lentamente nel letto, stremato dall'insonnia, dal dolore spietato ai
moncherini e dal turbinio dei suoi stessi pensieri. Iniziava a sentire
la
palpebra farsi pesante e fu con sollievo che la chiuse, anche se il
sonno tardò ancora ad arrivare, interrotto continuamente da
ricordi
e immagini sfumate che si affacciavano nel suo dormiveglia come
invitati non richiesti.
Oltre una coltre onirica percepì infine l'inizio
di uno di quei suoi sogni vividi e allo stesso tempo surreali, popolati
di
androidi, specchi e cloni, che gli capitava di fare dal giorno
dell'incidente. Gli piacevano quei sogni. Gli davano la
rassicurante impressione che, in fondo, il suo inconscio sapesse
perfettamente ciò che doveva fare, e cercasse
così di guidarlo nel
percorso a modo suo.
Il suo volto si rilassò al pensiero e si
abbandonò finalmente al sonno.
***
30 Aprile, Helicarrier, 12:15
Perché
doveva essere così difficile?
Pepper sospirò, bevve ancora un
sorso del suo caffè decaffeinato e fece un respiro profondo.
Solo
allora tornò a fissare lo schermo del computer, sul quale
lampeggiava minaccioso un avviso che la informava freddamente di un
errore nel modulo appena compilato. Eppure aveva controllato
più
volte... e non voleva chiedere di nuovo l'aiuto dell'Agente Hill,
così si rassegnò a passare in rassegna per
l'ennesima volta i
documenti cartacei dello SHIELD. Si sentiva più seccata del
dovuto per quell'inconveniente; forse perché una parte di
lei, che
si premurava di tenere a bada, le ricordava che qualche tempo prima
sarebbe bastato chiedere a JARVIS per avere delle risposte –
e
probabilmente sarebbe stato lui a occuparsi dell'intera
faccenda.
Finalmente trovò l'errore – aveva osato mettere
uno
spazio in più del dovuto in una delle caselle – lo
corresse e
premette l'agognato tasto "invio". Stavolta il computer
non ebbe nulla da ridire. Si godette la sua vittoria per pochi
istanti, prima di tornare a fissare la colossale pila di documenti
ancora in attesa di fronte a lei.
Il fatto era che Fury aveva
finalmente deciso di digitalizzare gli archivi dello SHIELD. Una
decisione lodevole, se non per il fatto che ciò comportava
il
riesumare approssimativamente quarant'anni di documenti antecedenti
l'era informatica. Quindi i valorosi agenti dell'organizzazione
erano impegnati a ticchettare sulle tastiere da mattina a sera,
combattendo il terrorismo e i supercattivi nelle pause
pranzo. Persino Banner era stato inchiodato a una scrivania, e
Pepper temeva di vederlo trasformarsi in un colosso verde da un
momento all'altro. Hawkeye era stato abbastanza scaltro da farsi
inviare in missione in un villaggio sperduto della Sokovia, lontano
da ogni forma di telecomunicazione, Nataša era
più sfuggente del
solito, anche se cercava abbastanza spesso la sua compagnia, e i
tentativi di istruire Steve e Thor alle nuove tecnologie si erano
rivelati fallimentari. Ciò lasciava lei, Hill, Coulson,
Banner e
altri sfortunati di basso rango a sorbirsi quell'incarico ingrato.
Pepper
lo odiava particolarmente. Negli ultimi tempi aveva avuto un forte
rigetto per la tecnologia e il suo nuovo compito l'aveva incupita
molto. Avrebbe preferito tornare a occuparsi dell'agenda dello
SHIELD dal punto di vista organizzativo, cosa che non differiva poi
molto
da ciò che faceva prima, visto che sorprendentemente
ciò includeva
spesso la supervisione di svariate e sontuose feste per le alte cariche
politiche e militari. Per la sicurezza, certo, l'antiterrorismo,
ovvio, la sorveglianza generale dell'evento, naturalmente... ma era
davvero necessario ordinare personalmente casse di champagne e chili
di caviale? La risposta di Fury a questo interrogativo era stata
un'alzata di spalle molto, molto seccata e un
qualche
riferimento a potenziali avvelenamenti di massa. Pepper sapeva
che tra sé e sé avrebbe volentieri mandato al
diavolo gli alti
gradi che gli davano incombenze simili, ma tutto sommato lei non
aveva nulla di cui lamentarsi: era un lavoro con cui aveva confidenza
e vi si era destreggiata molto bene nell'ultimo mese.
E adesso,
questo. La stava innervosendo in modo
indescrivibile. Quella
mattina, poi, si era ritrovata tra le mani un dossier secretato
riguardante Obadiah Stane. Fino a pochi mesi prima, posta nella
stessa situazione, si sarebbe limitata a metterlo subito da parte
senza aprirlo, lasciando che fosse qualcun altro a occuparsene.
Stavolta invece aveva avuto una lunga esitazione, sormontata da una
traccia di indifferenza da una parte, e di curiosità
dall'altra. Avrebbe potuto aprire tranquillamente il file:
lavorava per lo SHIELD adesso, non aveva alcun obbligo nei confronti
del suo precedente datore di lavoro. Stava per seguire questo
ragionamento, quando si era resa conto che una parte di lei si
sentiva profondamente a disagio all'idea di leggerlo.
Stane era
stato un vecchio "amico" di famiglia degli Stark. Era
sicura che in quel fascicolo vi fossero informazioni sensibili anche
su di loro e leggerle a sua insaputa era
semplicemente
sbagliato. E poi Stane era il vero, unico responsabile di tutto
ciò che era successo in quei mesi e quella
consapevolezza la
scombussolava e riempiva di frustrazione solo a leggerne il nome
stampato sulla carta. Se non fosse stato per lui, lei non avrebbe
mai dovuto premere quel pulsante... a quel punto si era sentita di
nuovo sprofondare al pensiero di ciò che aveva causato.
Così
aveva poggiato senza una parola la cartellina sulla risma di Maria
Hill, prendendone in cambio una più voluminosa. L'altra
donna aveva
alzato la testa, squadrandola perplessa per un istante, poi aveva
adocchiato il dossier e un lampo di comprensione era balenato nei
suoi occhi. Di sfuggita, Pepper l'aveva vista mentre stava per
dire qualcosa, per poi tacere e tornare al suo lavoro.
"Meglio
così," aveva pensato: non era dell'umore per parlarne.
Il
fatto le era ritornato in mente per tutto il giorno e anche adesso la
pungolava fastidiosamente mentre cercava di concentrarsi
sull'ennesima cartella di documenti, costringendola a rileggere ogni
riga tre volte per essere sicura di non dimenticare nulla. Quando
il pensiero si faceva troppo invadente afferrava quasi con foga il
bicchiere di caffè, bevendone un gran sorso senza
però ricevere il
beneficio della caffeina. Sospirò, scocciata.
Doveva essere così
che si era sentito T...
Poggiò il bicchiere sulla scrivania con
tanta veemenza che quasi strabordò, ma a malapena
registrò
l'occhiata allarmata dell'Agente Hill. Mormorò una qualche
scusa
riguardo a un mal di testa e si alzò in fretta, dirigendosi
verso il
bagno a passi veloci. Fu con sollievo che chiuse la porta dietro di
sé, attutendo il suono di decine di mani che ticchettavano
sulle
tastiere. Entrò in un cubicolo e si chiuse dentro, tentando
di
calmarsi.
Per la prima volta in tutto quel tempo aveva permesso
che qualcosa rompesse il suo equilibrio; e non stava facendo nulla
per recuperarlo, anzi, si stava lasciando sbilanciare quasi con
sollievo. Si era già resa conto della sua ipocrisia nel
voler
evitare di affrontare i problemi: lei, convinta sostenitrice di come
ciò fosse indispensabile. Non era esatto dire che li
ignorasse;
piuttosto li osservava da lontano chiedendosi se sarebbero mai
riusciti a raggiungerla. E, nel dubbio, continuava a indietreggiare
senza perderli di vista, non riuscendo però a metterli a
fuoco del
tutto.
Rimase nel bagno a lungo, ancora riluttante a soffermarsi
sulla questione. Cercava di aggirarla e non concretizzarla in
forme e parole reali, temendo quel che poteva accadere. Quanto
poteva resistere ancora quella sua parvenza di equilibrio? Si era
convinta di stare bene, stava bene: lavorava, era
impegnata da
mattina a sera e quando si ritirava nella sua stanzetta
sull'Helicarrier riusciva a leggere appena un paio di pagine di un
romanzo prima che il sonno avesse la meglio. Non si lasciava tempo
per pensare.
Aveva anche delegato il suo ruolo di amministratore
delegato delle Stark Industries ai burocrati dello SHIELD. Questi
l'avevano consultata solo un paio di volte per delle delucidazioni
che aveva fornito in modo assolutamente professionale e distaccato.
D'altronde non si poteva certo lasciare allo sbando la più
grande
industria tecnologica al mondo.
Certo, nei primi tempi aveva sofferto un
po' di solitudine. Per natura tendeva ad essere abbastanza schiva
con tutti, ma era in ottimi rapporti con Phil e iniziava anche ad
avvicinarsi all'Agente Hill, sebbene le incutesse un po' di
soggezione. Passava le pause pranzo in loro compagnia e di tanto in
tanto riusciva a intercettare Phil per una tazza di tè tra
una
mansione e l'altra. Per il resto non era ancora scesa
dall'Helicarrier da quando vi era salita un mese prima e, nonostante
iniziasse a sentire la mancanza di terra solida sotto ai piedi e si
tenesse ben lontana dalle vetrate per non fomentare le sue vertigini,
non trovava nulla di serio di cui lamentarsi.
Allora perché era
bastato un fascicolo su Stane per causarle una crisi simile? Iniziava
a dubitare che il suo equilibrio fosse mai stato così solido
come
pensava.
Diede un'occhiata all'orologio, decidendo di concedersi
qualche altro minuto prima di tornare a lavorare. Fu in quel
momento che notò la data odierna, nella minuscola casellina
bianca
sul quadrante. Di colpo le fu chiaro il perché del suo
nervosismo e
si chiese come avesse fatto a ignorarlo fino ad allora.
«Potts!
Tutto bene?» da dietro la porta le arrivò ovattata
una voce, che
riconobbe come quella squillante dell'Agente Hill; bastò a
interrompere il flusso dei suoi pensieri e gliene fu grata.
Fece
un breve respiro profondo, rilassando il viso. Si sistemò la
frangetta un po' scomposta e impose un timbro morbido alla propria
voce:
«Ho un po' di nausea, devo aver bevuto troppo
caffè,»
rispose, sbloccando la porta e facendo capolino per rassicurare la
collega.
Maria era appoggiata al piano dei lavandini e sembrava
sentirsi abbastanza fuori posto. Soprattutto, sembrava non sapere
dove mettere le mani, se lungo i fianchi o davanti a sé o se
poggiarle sul piano d'acciaio. Infine si risolse a incrociare le
braccia.
«Ah, bene. Cioè, mi dispiace, ma almeno non
è nulla di
serio.»
Era chiaro che non fosse convinta, ma non
insistette. L'Agente Hill era tanto competente e decisa sul campo
quanto impacciata nelle relazioni sociali, e il fatto che fosse venuta
a cercarla
fin lì confermava quanto ritenesse fondata la sua
preoccupazione. Pepper si decise a uscire dal cubicolo,
avvicinandosi a un lavello per rinfrescarsi il viso.
«Magari vuoi
staccare prima?» la incalzò Maria, un po'
bruscamente.
«Sarebbe
un problema?» replicò l'altra, troppo in fretta, e
tacque subito
nel rendersene conto.
Anche l'altra esitò, e Pepper fu conscia di aver commesso un
passo falso. Normalmente era
estremamente riluttante a sottrarsi al suo lavoro e si sarebbe fatta
pregare come minimo una decina di volte prima di accettare
l'offerta.
«Certo che no. Si tratta solo di un paio d'ore in
meno,» minimizzò comunque l'altra, scrutandola con
perplessità.
Pepper non
aggiunse altro e le rivolse un sorriso un po' tirato mentre si
asciugava; Maria ricambiò con un cenno del capo prima di
avviarsi
verso la porta. Si bloccò sulla soglia, come colta da un
pensiero improvviso.
«Sicura di star bene?»
Il sorriso di
Pepper s'incrinò un poco.
«Ho solo bisogno di una pausa. Grazie,
non preoccuparti.»
Finalmente l'agente uscì, lasciandola sola e
permettendole di ricadere in un'espressione cupa che si riflesse
nello specchio. Osservò le occhiaie sotto ai propri occhi,
che non
avevano nulla a che vedere con l'insonnia. Non era così
sicura di
stare bene.
Indugiò ancora un po' nel bagno, prima di uscire e
dirigersi verso l'ufficio di Phil.
***
30 Aprile, Tribunale di L.A., 12:30
Tony
uscì dall'aula del tribunale con malcelato sollievo, per poi
abbandonarsi su una delle poltroncine nel corridoio, con le stampelle
posate sulle ginocchia a mo' di bastoni da passeggio.
Ian gli si
affiancò in piedi, e si allentò il nodo della
cravatta e il primo
bottone della camicia con un gesto insofferente. Sembrava sentirsi
fuori posto senza camice addosso e si era agitato nel suo discutibile
completo di
tweed per tutta la durata del processo, chiedendosi come Tony potesse
essere più disinvolto di lui in abito formale avendo due
arti in
meno. A quel proposito, sia Kyle che Ian avevano notato che il
loro assistito aveva scelto una tenuta decisamente meno vistosa del
solito, presentandosi in un sobrissimo completo grigio e cravatta
nera in luogo delle sue amate giacche e cravatte appariscenti. In
questo modo il suo aspetto sembrava meno costruito e più
spontaneo,
a partire dai capelli lasciati leggermente più lunghi, ma
ordinati e
senza brillantina.
Soprattutto, aveva deciso di non indossare la
benda sull'occhio. L'aveva già rimossa da qualche giorno su
consiglio di Ian per aiutare la guarigione della ferita, ma il medico
non si sarebbe mai aspettato che Tony fosse già pronto a
mostrarsi
così in pubblico, né tantomento che fosse in
grado di mantenere il
suo aplomb nel subirne la reazione. Aveva
affrontato la cosa
con totale indifferenza, nonostante il brusio pettegolo che aveva
accolto il suo ingresso in aula. Se l'era però rimessa non
appena uscito dall'aula con un gesto quasi frenetico, chiaro segno che
non fosse poi così a suo agio come voleva far credere. In
generale aveva comunque tenuto un
atteggiamento decisamente più composto e stavolta sembrava
aver
preso il processo quasi sul serio e non come un'occasione per
pavoneggiarsi. Erano addirittura riusciti ad arrivare in
anticipo, nonostante fosse evidente che aveva dormito molto meno del
dovuto.
Ian notò il modo in cui Tony si stringeva la gamba, che
doveva aver risentito degli spostamenti forzati e aveva preso a
dolergli nonostante gli analgesici. Gli scoccò un'occhiata
significativa e pungente, ma si astenne da commenti. Tony
sfuggì il suo
sguardo, ma intuiva a cosa fosse rivolto il rimprovero inespresso del
medico. E adesso ammetteva che sarebbe stato meglio usare la sedia a
rotelle come aveva suggerito lui, invece di usare le stampelle.
Fortunatamente aveva dovuto
zoppicare solo dal banco della difesa a quello dei testimoni ed era
anche riuscito a non inciampare in diretta nazionale.
Considerata
la sua docilità nel rinunciare alle vere protesi durante il
processo, sia Ian che Kyle avevano deciso di soprassedere sulla sua
repulsione per la sedia a rotelle; dopotutto, tanto peggio per
lui. Tony si sentiva dolorante e anche un po' stupido per quella
presa di posizione, ma era sollevato per essersi risparmiato le
battutine pungenti di Knight sulla "accoppiata perfetta" e
per averle risparmiate forse anche a Kyle.
Quest'ultimo uscì
finalmente dall'aula facendo lo slalom tra la fiumana che affollava
il corridoio e che, notò Tony con fastidio, non si
preoccupava più
di tanto di agevolare il suo passaggio. Infine li raggiunse,
mascherando la sua palese irritazione con una piccola sgommata della
sedia a rotelle. Era stranamente su di giri per aver passato le
ultime tre ore a parlare ininterrottamente, e i suoi occhi verdi
erano illuminati da una luce vivace.
«Allora? Come sono andato?»
esordì Tony prima che l'avvocato potesse aprire bocca.
Kyle ci
pensò su un momento. Ian si cacciò le mani nelle
tasche della
giacca e sembrò ruminare una risposta caustica.
«Otto per
l'esposizione, sette per i contenuti e sei in condott,.»
concluse
infine Kyle, lasciando trasparire un lieve disappunto.
Il processo
era filato relativamente liscio, senza particolari momenti di
epicità
– niente rivelazioni teatrali, foto scabrose o mani che
cadono. La
deposizione di Ian non aveva portato alla luce nulla di rilevante per
Knight. e l'accusa si era dimostrata stranamente a corto di prove,
aveva avuto modo di constatare Kyle. Sospettava che lo SHIELD
c'entrasse qualcosa. Evidentemente i superiori di Stark avevano molto
interesse a proteggere i loro beniamini, anche quelli più
turbolenti.
Il
processo si era concluso con un battibecco tra Stark e Hammer sulla
tecnologia arc e sui suoi rischi, condita dalle battutine snervanti
di Knight e dalla sua apparente ossessione per Howard Stark e i
progetti originari del reattore. Doveva ammettere che in quel
frangente Tony aveva mantenuto un notevole sangue freddo, riuscendo a
non mandare a quel paese il procuratore. Non subito, almeno.
Tony
si agitò sulla sedia, sentendosi esaminato dallo sguardo di
Kyle.
«Mi sembrava di aver mantenuto un comportamento
ineccepibile.»
Stavolta Ian si schiarì la gola in modo
eloquente.
«Ha detto che Hammer avrebbe potuto effettuare perizie
tecniche solo sul suo cesso, Stark.»
«Quella è la pura verità,»
lo rimbeccò serafico Tony, celando un sorrisetto compiaciuto.
«Anche la
digressione di venti minuti sulla "meravigliosa cromatura della
Mark III" era po' fuori luogo,» aggiunse Kyle.
«È stato un
espediente per prendere tempo...» ammise controvoglia Tony,
in un
mugugno.
Stava giocherellando sovrappensiero con la mano in
vetroresina inerte della protesi, sorbendosi la paternale senza
però
risentirsene troppo. Aveva cercato di moderare parole e comportamenti
riuscendoci anche abbastanza bene, visti i suoi standard, ma la combo
"Knight-Hammer" avrebbe fatto uscire dai gangheri un
santo.
«E poteva risparmiarsi le frecciatine a Knight,»
aggiunse
per l'appunto Ian. «O evitare almeno di farne una ventina a
interrogatorio.»
Qui Tony si fece improvvisamente serio.
«Lui
poteva risparmiarsi quelle su moncherini e sedie a rotelle. E su mio
padre.»
Ignorò il medico che alzava gli occhi al cielo,
evidentemente a corto di commenti per due adulti che bisticciavano
come ragazzini delle elementari. Tacque per un istante prima di
riprendere con più veemenza, rivolgendosi stavolta al suo
avvocato:
«Senti, K, io non sono un tipo violento...»
Ian e
Kyle
si scambiarono un'occhiata di sottecchi, probabilmente sforzandosi di
non sbottargli a ridere in faccia.
«... va bene, non lo sonospesso,»
si
corresse con un secco sospiro. «E non so che problemi ci
siano fra te e Knight. Ma
giuro
che se finita questa storia lo incrocio per strada gli spacco la
faccia. Con questa,» aggiunse, alzando
rigidamente la protesi
provvisoria e ben poco minacciosa.
Ma una volta completata quella
vera, ricevere un pugno con quella o con l'armatura di Iron Man
avrebbe fatto ben poca differenza. Forse non avevano tutti i torti
a volergliele sequestrare...
Ian sospirò, ma Kyle si lasciò
sfuggire un sorrisetto.
«Quando mi avrai rimesso in piedi, Stark,
mi toglierò quella soddisfazione di persona.»
«Io farò finta
di non aver mai sentito nulla,» borbottò subito
Ian, ma dalla sua
faccia si capiva che trovandosi di fronte a Knight reduce da un
pestaggio avrebbe probabilmente messo da parte il suo giuramento di
Ippocrate per curarlo nel modo più rude e sbrigativo
possibile.
Tony
si limitò a strizzare l'occhiolino a Kyle. Non si era
dimenticato
della promessa ed era contento di vedere come l'avvocato continusse
ad avere fiducia in lui, nonostante tutto. Nel periodo di
convalescenza aveva evitato di menzionare il suo "pagamento",
forse intuendo che mettergli pressione non era il modo migliore per
farlo mettere all'opera, soprattutto in un frangente così
critico. Aveva dimostrato una dose di tatto e pazienza
inaspettata.
«Comunque, in attesa di quel giorno...» Kyle
sollevò trionfante il foglio dall'aria ufficiale che teneva
in mano
da quando era uscito dall'aula, «... possiamo prenderci una
piccola
rivincita.»
Tony prese il documento, mentre Ian lo scrutava da
sopra la sua spalla. Entrambi si illuminarono leggendo le prime
righe.
«Knight si è preso un'ammonizione?»
enunciò incredulo
Tony, continuando a scorrere il foglio senza nascondere il suo
entusiasmo.
«Strano che non sia per lei, eh?»
commentò Ian, ma
anche lui sfoderò un sogghigno soddisfatto.
«Ho fatto notare al
giudice che i suoi modi poco garbati di interrogare un testimone ed
imputato in chiaro stato di disagio psico-fisico ed emotivo potevano
avere risultati deleteri e falsare la deposizione,»
sciorinò Kyle
con serenità.
«Per una volta sono contento di essere considerato
uno squilibrato,» borbottò Tony, restituendogli il
foglio. «Quindi è
stata una vittoria,» concluse, stiracchiandosi per poi
pentirsene
immediatamente nel sentir scrocchiare la giuntura metallica della
spalla.
Represse la smorfia di dolore e continuò, ancora pimpante:
«Un'altra
udienza tra un mese, potrò legalmente usare le protesi in
casa mia e
forse troviamo un cavillo per farmele usare fuori, le foto presentate
all'ultimo processo sono state ufficialmente dichiarate invalide, e
abbiamo tutto il tempo per prepararci alla questione di Iron
Man...»
cominciò a elencare, contando sulle dita sane,
«...
Knight è
ammonito, e vista la situazione Hammer non farà perizie
almeno per un
altro po'. Ho dimenticato qualcosa? A parte lo champagne.»
«È
andata sicuramente meglio delle altre volte,»
concordò Kyle,
evitando di aggiungere che non era un gran risultato migliorare
rispetto ai precedenti processi, visto che difficilmente si poteva
fare di peggio.
Era riluttante a smorzare la rediviva positività
di Tony, ma d'altra parte non voleva neanche che si adagiasse troppo
sugli allori. Doveva però dire che apprezzava molto il fatto
che si
fosse sforzato di comportarsi in modo consono a un'aula di tribunale,
nonostante avesse avuto qualche caduta di stile.
«Per la prossima
udienza dovremo prepararci meglio,» lo avvisò.
«Sai dove potrebbero
andare a parare.»
Tony si accigliò e il suo sguardo si fece
attento, quasi guardingo, come se si sentisse improvvisamente
accerchiato.
«L'incidente,» precisò Kyle intuendo un
fraintendimento, e Tony si rilassò, allentando la stretta
sulle
stampelle.
Le sue nocche ripresero un colorito roseo, ma
l'espressione rimase circospetta. Si sfiorò inconsciamente
la benda sull'occhio e sobbalzò
al
contatto un po' troppo brusco, trattenendo un singulto.
«Sì, certo. L'incidente,»
ripeté, come se la cosa fosse ovvia.
"Non l'Afghanistan, non
Pepper, non mio padre. Va tutto bene," si rassicurò
mentalmente.
«Finora ti hanno lasciato stare, vista la situazione
e il focus sulle protesi, ma non potrai fare scena muta per sempre.
Knight preferirebbe farti condannare per l'uso improprio
dell'armatura per avere il suo momento di gloria e implicare
nell'affare anche le intere Stark Industries e la loro trascorsa
manifattura bellica, ma se non troverà appigli si potrebbe
accontentare di una semplice condanna per omicidio
volontario.»
«Non
sto facendo "scena muta",» ribatté gelidamente
Tony. «Sono
mesi che
provo a ricordare, ma il massimo che ottengo sono delle
immagini sconnesse. E non posso beccarmi un'altra accusa di falsa
testimonianza.»
«Non sto dicendo che sia colpa tua, ma dobbiamo
trovare una soluzione o almeno elaborare un piano B.»
«L'unica
altra testimone è Pepper,» disse Tony, a voce
più bassa. «Mi ha
detto che è stata lei a sovraccaricare il reattore arc,
anche se a
quanto dice gliel'ho chiesto io, ma non ho idea di cosa sia successo
dopo. E non ho intenzione di farla testimoniare ancora,»
riprese
subito con fermezza, alzando una mano e anticipando Ian, che stava
per aggiungere qualcosa. «Abbiamo la chiave USB con le prove
che
incastrano Stane. Se veramente mi troverò messo
all'angolo...»
deglutì, sforzandosi di continuare con tono leggero,
«... porterò
la discussione sulla mia vacanza in Afghanistan. Terrò
impegnati
quegli avvoltoi, non vedono l'ora di sentirmene parlare. Ci
farà
guadagnare tempo. E dipingerò Stane come il bastardo che
era.»
Prese fiato, di nuovo oppresso dai pensieri di quella notte.
«Nel
frattempo, sì, cercherò di ricordare, anche se mi
ci vorrebbero
delle sedute spiritiche. Ma se non dovessi riuscirci, sono disposto a
dire che l'ho ucciso io, piuttosto che coinvolgere di nuovo Pepper.
Non è neanche così sbagliato accusarmi del suo
omicidio e
tecnicamente non
mi dispiace che sia morto,» aggiunse con leggerezza.
Ian e Kyle
non seppero replicare e calò un silenzio teso.
«Beh, ci
penseremo al momento, genio. Credo che per ora il problema
più
tangibile sia quello di Iron Man. Finché non ricorderai
qualcosa,
anche la corte preferirà concentrarsi su quello,»
alzò le spalle
Kyle, chiudendola lì mentre estraeva il cellulare dal
taschino. «Ora
perdonatemi, ma devo iniziare a fare qualche telefonata preparatoria.
Un mese passa in fretta!» concluse, sospingendosi verso
l'uscita con
rinnovata vitalità.
Tony lo guardò allontanarsi, adesso
incupito. Ian percepì la sua tensione, ma non era mai stato
bravo
con le parole e si limitò a passarsi una mano sulla nuca con
fare
imbarazzato, in cerca di un modo per stemperare l'atmosfera.
Nel
frattempo il corridoio si era svuotato. Di tanto in tanto li
superavano giudici e procuratori in toga, diretti frettolosamente
verso le rispettive udienze. Qualcuno diede segno di aver
riconosciuto Tony, ma nessuno li importunò, troppo presi
dalle loro
faccende. Tony stava aspettando che il fastidio alla gamba cessasse per
potersi alzare e uscire il prima possibile da quel posto che odorava
fastidiosamente di cera per pavimenti e polvere.
«Ho parlato con quel collega di
cui le dicevo l'altro giorno,» esordì infine Ian,
cauto.
L'attenzione di Tony si risvegliò all'istante e gli fece
cenno di continuare.
«In realtà l'avevo chiamato per altri
motivi, ma la discussione è arrivata a lei, così
ne ho approfittato
per chiedere un parere medico. Anche lui
è un neurochirurgo.
È diventato molto più bravo di me, anche se
teoricamente
è stato un mio allievo.»
«Di sicuro non ha impiantato delle
protesi biomeccaniche sperimentali alimentate da reattori arc, ma le
credo sulla parola,» ribatté Tony.
Ian esitò, preso in
contropiede da quel complimento indiretto; sembrò voler dire
qualcosa ma poi scosse la testa.
«È una persona molto
riservata,» premise, come a giustificarsi. «Ma
forse
potreste
venirvi incontro coi vostri... problemi,» concluse spiccio.
Tony lo fissò
confuso.
«Doc, quale sarebbe questo "parere medico"?»
Ian
sospirò con rinnovata reticenza.
«Sa perfettamente che io non ho alcuna
intenzione di operarla per un possibile intervento
all'occhio,» si
decise a confessare, e Tony rimase stolidamente a bocca
aperta. «Forse
lui sarebbe disposto a farlo. Ma ora
non può. È
complicato e...»
cominciò subito a frenarlo, come preoccupato di essersi
sbilanciato
troppo e temendo la reazione del suo paziente.
«Doc,» lo
interruppe Tony, pacatamente. «Ho due protesi incomplete, un
corpo
che è praticamente da buttare tra atrofia e palladio e
un'armatura
da rimettere in sesto. Per una volta direi che posso anche aspettare
qualche tempo prima di riprendere a pensare a progetti
futuristici.»
Ian
rimase di sasso di fronte a quell'inaspettata dimostrazione di
razionalità. O era rassegnazione? Si sarebbe piuttosto
aspettato
un interrogatorio serrato e implacabile per estorcergli quante
più
informazioni possibili.
«Ma se posso farò qualcosa per quel suo
collega,» riprese Tony, con un accenno di sorriso.
«A questo punto
potrei prenderlo come uno svago dal lavoro sulle protesi.»
Ian
non rispose, ma annuì e lo aiutò a rialzarsi per
raggiungere Kyle e Happy e
tornare a Villa Stark.
«Ah, a proposito di novità...» riprese
Ian, strada facendo.
«Cos'è, la giornata delle belle
notizie?»
ridacchiò Tony, di nuovo incuriosito.
«Forse le ho trovato anche
una fisioterapista.»
«Una?»
Tony rallentò
il passo per
squadrare guardingo il medico.
«Sì. E non le piacerà.»
***
30 Aprile, Helicarrier, 12:50
Forse
era stata una decisione avventata.
Pepper indugiava di fronte
all'ufficio di Coulson, tormentandosi le mani senza avere il coraggio
di bussare. Probabilmente stava lavorando. Sarebbe stato scortese
interromperlo... per poi, cosa? Non sapeva esattamente cosa volesse
dirgli, né come lui potesse risolvere il suo problema, se
davvero ne
aveva uno. Rimase ferma, fissando il cartellino "P. Coulson"
fissato alla porta all'altezza dei suoi occhi. Accanto era
appiccicato un adesivo di Capitan America un po' sbiadito.
Pepper
sospirò, costringendo le proprie mani a smettere di tremare.
Bussò
lievemente, sperando in cuor suo di non ricevere risposta.
In
effetti, non arrivò.
Invece di tornarsene sui suoi passi come
voleva disperatamente fare, bussò con più
decisione.
«Avanti,»
arrivò da dietro la porta, a voce un po' alta.
Ormai era troppo
tardi per tirarsi indietro. Entrò risoluta, mettendosi allo
scoperto.
Coulson era seduto dietro alla scrivania con delle ampie
cuffie in testa, completamente abbandonato sullo schienale mentre
fissava svogliatamente il computer. Prendeva appunti su un tablet in
modo abbastanza disordinato e a portata di mano aveva una tazza di
tè
fumante con il logo dei Vendicatori. La sua giacca era scivolata per
terra e un plico di documenti occupava l'unica sedia libera di fronte a
lui. Alzò
lo sguardo all'ingresso di Pepper e si affrettò a liberarsi
delle
cuffie e a mettere in pausa il video in riproduzione, rivolgendole un
sorriso cordiale.
«Pepper, che sorpresa!» esordì,
rendendosi
poi conto del disordine che regnava nell'ufficio e affrettandosi a
liberarle la sedia e a raccogliere la giacca. «Ti offro un
tè? Ce
n'è ancora!» le propose allegro, accennando al
thermos poggiato
accanto alla tazza.
«No, non disturbarti, sono solo di
passaggio,» mentì lei, messa in imbarazzo
dall'agitazione del
collega, ma si sedette volentieri di fronte a lui.
Coulson era
solitamente impeccabile e compassato ed era raro vederlo scomposto o
in momenti di relax – o di grande noia, come era evidente
dalla
rapidità con cui aveva messo da parte il suo lavoro per
accoglierla. Nonostante il suo rifiuto le riempì una tazza
di
tè,
questa con lo scudo di Capitan America – Pepper si ritenne
onorata.
Adocchiò un'altra tazza delle Stark Industries in cima a un
portadocumenti, ma decise di ignorarla fermamente.
«Tutto bene?» ruppe il
silenzio Pepper, bevendo subito un sorso di tè per
nascondere la sua
espressione poco stabile.
Si rendeva conto di essere tesa, ma non
voleva che Coulson lo notasse, anche se l'aveva probabilmente
già fatto. Questi sospirò, mostrandole le
cuffie.
«La digitalizzazione degli archivi comprende anche la
revisione dei file audiovisivi...» si limitò a
dire in tono
eloquente. «Centinaia di ore di nastri registrati in pessima
qualità.
Un toccasana per le orecchie.»
Pepper annuì in modo comprensivo:
quell'improvvisa decisione di Fury stava mettendo a dura prova i loro
nervi e tutti non vedevano l'ora di tornare alle loro solite
mansioni. Phil era particolarmente frustrato dal suo stato di
"prigionia", come le aveva confessato di recente, ed era
spesso di malumore, soprattutto perché non vedeva Audrey da
dieci
giorni. A guardarlo bene, anche lui iniziava a dare cenni di
stanchezza.
L'occhio le cadde involontariamente la custodia del
nastro in riproduzione. L'etichetta recitava "H. Stark.,
Project: Rebirth, 1943". Si accigliò: forse quel
giorno
il caso voleva dirle qualcosa...
«Noi siamo a buon punto. Credo,»
cercò di rassicurarlo un po' debolmente, anche per
mascherare il suo
turbamento.
Phil alzò le spalle con noncuranza.
«Se questi
sono i nostri problemi più urgenti, tanto meglio,»
commentò, con
poca convinzione e un po' di ipocrisia.
Si vedeva che scalpitava
per tornare a lavorare sul campo e che avrebbe preferito un'invasione
aliena al lavoro d'ufficio. Ci fu un lungo momento di silenzio, in
cui Pepper sorseggiò il suo tè, chiedendosi come
le fosse venuto in
mente di presentarsi lì. Phil diede un'occhiata distratta al
suo telefono e una lieve sorpresa gli attraversò il volto.
«Sei in
pausa?»
Di sicuro aveva realizzato che, teoricamente, quello era
il suo orario di lavoro.
«Ho staccato prima e ho pensato di
passare a salutarti,» rispose lei con disinvoltura.
«Non mi sentivo
molto bene,» aggiunse cautamente.
«Sono stati giorni pesanti.
Forse dovresti prenderti delle ferie,» le
consigliò, con apparente
leggerezza, ma lei notò che la stava fissando in modo quasi
inquisitorio. «Fuori dall'Helicarrier, intendo.»
Pepper si
rabbuiò, ma finse di pensarci su qualche istante,
trattenendo la
risposta impulsiva che le era balenata in mente, ovvero "neanche per
sogno".
«Vorrei prima concludere questo lavoro...»
Phil fece
un profondo sospiro, scoccando uno sguardo astioso al computer e alle
cuffie abbandonate sulla scrivania che le strappò un
sorrisino
forzato.
«Già, prima il dovere,» si decise a
concludere, in
tono definitivo, e Pepper capì con una punta di smarrimento
che la
sua visita si era già conclusa.
Fissò la sua tazza quasi vuota. Si
stava sentendo un'idiota, ma si alzò comunque con
naturalezza. Non
riuscì però ad evitare di soffermarsi qualche
istante di troppo
nell'ufficio, maledicendosi per la propria indecisione.
Infine si
risolse ad aprire la porta, ma la voce di Phil la bloccò
sulla
soglia:
«Il processo è finito poco fa,» disse
laconico.
Lei
si girò repentinamente, colta in fallo, e sentì
accentuarsi una
stretta al petto che non si era accorta di provare. Sarebbe
stato
inutile fingere disinteresse adesso, così optò
per il
tacere.
Phil era
imperscrutabile come sempre, ma non le sembrava ostile.
Interpretò
il suo silenzio come un invito a continuare – e, in fondo, lo
era.
«Mi ha chiamato Kyle. Non sono arrivati a un verdetto, ma
sembrava ottimista per la prossima udienza e ha detto che quella di
oggi è stata perlopiù positiva.»
Pepper abbassò lo sguardo,
non sapendo come prendere la notizia. Sicuramente non se
l'aspettava. Aveva pensato che il processo si sarebbe concluso quel
giorno nel peggiore dei modi, considerando... l'instabilità
dell'imputato.
Si mordicchiò nervosamente le labbra.
«Quando
sarà la prossima?» chiese infine.
«Tra circa un mese. Credo che
Kyle ti informerà non appena verrà decisa una
data.»
Phil sembrava
intento a scrutare le sue reazioni e Pepper era altrettanto decisa a
non mostrarne.
«Bene.»
Non sapeva cos'altro aggiungere, anche se
avrebbe voluto chiedere di più. Aveva saputo in modo
più o meno
indiretto della situazione più stabile di Tony, ma non aveva
idea di
cosa significasse quel "più stabile" e il fatto che quel
dettaglio la interessasse la faceva adirare con se stessa. Non
meritava la sua attenzione, non dopo ciò che quell'ingrato
aveva
osato fare e farle.
Phil si dondolava inquieto sulla sedia girevole, con
le cuffie al collo, come ponderando il da farsi. Infine si
appoggiò coi gomiti sulla scrivania, sporgendosi verso
Pepper e
cercando di incrociarne lo sguardo basso.
«Pepper, anch'io sono
ancora arrabbiato. Non riesco a immaginare quanto tu lo sia, ma
continuare così non ti farà stare
meglio.»
A quel punto Pepper
rialzò di scatto gli occhi di un azzurro penetrante.
«Cosa
vorresti dire? Che dovrei tornare sui miei passi e perdonare tutto
come se nulla fosse?» sbottò, e non
riuscì a controllare il
tremore nella sua
voce.
«Al contrario,» ribatté lui, secco.
Pepper sentì una
punta di consapevolezza farsi strada nella sua mente. Phil
sembrò
rendersi conto di essersi esposto troppo e ammutolì
nuovamente. Si
stropicciò gli occhi, per poi tornare a poggiarsi contro lo
schienale. Incrociò le braccia a disagio.
«Non sono affari
miei,» ammise, parando le mani avanti. «Ma penso
che dovresti decidere
chiaramente se ti
importa o meno di lui, e convivere con la tua decisione.»
Pepper si trovò ad abbassare di nuovo gli occhi,
trovando conferma dei propri pensieri. Nel momento in cui aveva
lasciato Villa Stark, aveva deciso che, no, non le importava
più.
Era diventato troppo doloroso per importarle. Ma i suoi pensieri
si soffermavano sempre lì, su di lui, anche quando non ne
era
pienamente
consapevole. Sapeva che, nel profondo, oltre il velo di rabbia e
delusione che la tratteneva, forse le importava ancora. Non era davvero
riuscita a prendere una decisione, si era solo imposta di ignorare il
problema, e ciò le richiedeva uno sforzo tale che
paradossalmente le
impediva di ignorarlo davvero. Ed era consapevole di essere scappata,
senza davvero mettere la parola fine a nulla, se mai c'era stato un
inizio.
Phil aveva ragione: rimanere in un
limbo che la faceva palesemente soffrire non l'avrebbe
aiutata. Doveva uscire da quell'impasse, se lo ripeteva da
settimane; settimane passate a crogiolarsi nell'indecisione, incapace
di scacciare il senso di colpa che le impediva di ignorare veramente
tutto ciò che le dava pensiero. Incapace di ammettere che,
sì, le importava di Tony, ed era per questo che era ancora
così profondamente arrabbiata con lui; era per questo che
non riusciva ad andare avanti, ma nemmeno a tornare indietro. Non ora,
almeno.
Pepper si arrischiò a rialzare
gli occhi su Coulson, che si stava rimettendo le cuffie come se
niente fosse accaduto, probabilmente per lasciarle i suoi spazi dopo
averli invasi così indiscretamente. Gli rivolse un sottile
sorriso di gratitudine, che lui ricambiò appena, poi
uscì chiudendo
piano la porta dietro di sé. Non era stata esattamente la
chiacchierata che aveva prospettato.
Si decise ad avviarsi verso
la mensa per la pausa pranzo, per una volta sovrappensiero, quando il
suo cellulare vibrò nella tasca della giacca riportando
un'ombra sul
suo volto.
Era Kyle.
Soppesò il telefono per qualche istante
per poi rimetterlo in tasca, lasciandolo squillare a
vuoto. Sentì la
tensione sul suo viso sciogliersi come cera al sole.
Aveva ancora
bisogno di tempo.
Forse, si rese conto all'improvviso, ne avevano
bisogno entrambi.
Note dell'Autrice:
Massalve, popolo di EFP *balla di fieno*
Dopo troppo tempo torno ad aggiornare questa storia, che era destinata a non trovare una fine sino a due mesi fa. Adesso, invece, annuncio ufficialmente (a chi nun se sa) che Phoenix ha imboccato la strada della conclusione; dopo 6 anni era pure ora... ci è voluto un po', ma c'è una mezza dozzina di capitoli pronti (!) e un prossimo aggiornamento è previsto per il 18 Marzo, anniversario della storia.
In realtà avevo intenzione di tornare proprio il 18, ma diciamo che questo capitolo è un regalo.
Yes, cara _Atlas_, dico proprio a te, che hai predetto un aggiornamento di Phoenix per il 6 marzo... e visto tutto il supporto che mi hai fornito in questo periodo, il minimo che potessi fare era far avverare la tua profezia ;)
Grazie di tutto, davvero, se non fosse stato per te non avrei mai ripreso in mano la storia né la scrittura <3
Tornare su questi schermi (?) dopo così tanto tempo è un'emozione e un'ansia allo stesso tempo, ma spero che qualcuno apprezzerà tutti gli sforzi che sono stati versati in questa storia da me e in precedenza anche da MoonRay (spero che prima o poi passerai di qui anche tu <3)
Come avrete notato questo è un altro capitolo di stallo, anche se mi sono decisa a introdurre nuovamente Pepper, sebbene a distanza. Nulla di nuovo, insomma, a parte un Tony più stabile del solito e un paio di indizi qua e là sulla trama.
Diciamo che il tono di questi capitoli sarà in linea con il titolo di questa seconda parte, Ashes, anche se la situazione si fa più movimentata già dal prossimo.
Chiudo il papiro ringraziando di nuovo infinitamente _Atlas_, che si è impegnata a recensire tutti i capitoli corretti, e Alexandre94 che ha recensito lo scorso capitolo :)
-Light-
P.S. Per chi fosse un vecchio lettore (dubito fortemente) e abbia coraggio da vendere, consiglio di rileggere almeno parte dei capitoli precedenti, in quanto sono stati revisionati in toto con correzioni, aggiunte e modifiche a volte sostanziali. Sssì, Phoenix era invecchiata maluccio e c'era qualche buco di trama, ora corretto.
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