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Autore: Bad Devil    08/03/2018    1 recensioni
“Pensi che sia stupida, Johnny?”
“No, bisnonna, mi dis-”
Lei non lo lasciò nemmeno terminare, prendendo il pacchetto in mano e rigirandoselo con curiosità tra le pallide dita.
[AU - Parte della raccolta "Riddler's Box of Memories"][Menzione di violenza e abuso]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Scarecrow
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'Riddler's Box of Memories'
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Titolo: “Not a liar (but close enough)”
Autore: Cadaveria Ragnarsson
Fandom: Batman
Personaggi: Jonathan "Scarecrow" Crane; Mary Keeny
Pairing: Nessuno
Genere: Generale
Rating: Giallo
Avvertimenti: Menzione di abuso e violenza
Disclaimer: I personaggi presenti in questa storia non sono reali, né di mia proprietà. Inoltre sono maggiorenni. Non ho nessun diritto legale su di loro a differenza degli autori e, dalla pubblicazione di questo scritto, non vi ricavo un benché minimo centesimo.

Note: Questa storia fa parte della raccolta "Riddler's Box of Memories", concettualmente basata sull'idea di Edward e Jonathan cresciuti insieme, prima di diventare i villains di Gotham.



Not a liar
(but close enough)



Mary Keeny sedeva in cucina, quel tardo pomeriggio di novembre. Composta sulla sedia, continuava a passare distrattamente la punta dell’indice sul fine bordo della tazza da te che, immobile dinnanzi a lei, aveva già da tempo fatto raffreddare il suo contenuto. Era solita leggere il giornale, a quell’ora, in attesa che la soap opera che ormai seguiva da quattro anni e mezzo andasse in onda, ma non quel giorno. Quel giorno aspettava che il nipote tornasse a casa, doveva parlare con lui e fare la cosa giusta, come le era stato insegnato. Lo sguardo le cadde ancora una volta sul pacchetto di sigarette quasi vuoto che aveva trovato in una delle tasche dei pantaloni di Jonathan. Era stato scaltro, il ragazzo, per riuscire a tenerle nascosta una cosa del genere, ma era suo dovere assicurarsi che questi smettesse di buttare via i suoi soldi in un vizio tanto dozzinale. Non sapeva da quanto quell’abitudine andasse avanti, non aveva mai scorto odore di fumo sugli abiti del ragazzo, ma era pur vero che l’odore della candeggina restava a lungo sulla sua pelle e quella lo imprimeva ai vestiti in modo duraturo. Udì distintamente il suono della serratura della porta che scattava e, come d’impulso, le sue dita afferrarono il manico della tazza, portandola alle sue labbra distrattamente. Jonathan si era fatto strada a passo lento e quasi stanco nell’ampio soggiorno dell’abitazione, salutando come educatamente la donna gli aveva insegnato a fare sin da quando era piccolo. Le buone maniere prima di tutto. La voce del ragazzo si spezzò a metà frase, alla vista della donna che lo fissava glaciale dalla cucina; uno dei suoi piccoli sporchi segreti, ormai non più tale.

“Risparmia tutte le puerili scuse possano venirti in mente, ragazzo.” Lo avvisò subito, invitandolo con un cenno della mano a prendere posto al tavolo. Jonathan sembrò molto incerto sul da farsi, ma infine cedette, approcciandosi alla sedia con lo stesso spirito in cui si va incontro alla ghigliottina.
“Sai dove l’ho trovato?” Jonathan fu solo capace di deglutire a vuoto, scuotendo la testa in dissenso. Continuava a dirsi che doveva aver frugato tra le sue cose, per trovarlo, ripetendosi quanto fosse stato stupido per aver anche solo pensato di fregarla.

“Rispondi!”

“N-no.”

Un angolo della bocca di lei si incurvò appena in un sorriso, alla vista del palpabile timore mostrato dal nipote, mentre il senso di completa sottomissione da parte sua, le donava un orrendo senso di piacere.

“Era nella tasca dei tuoi pantaloni.” Disse semplicemente, forzandosi a prendere un altro sorso di te per ostentare una calma che non possedeva. “Pensi che sia stupida, Johnny?”

“No, bisnonna, mi dis-”
Lei non lo lasciò nemmeno terminare, prendendo il pacchetto in mano e rigirandoselo con curiosità tra le pallide dita.

“Nemmeno io penso che tu sia stupido.”
Un peccatore, un castigo, un dovere, era tante cose Jonathan, il figlio che non aveva mai avuto, ma un idiota proprio no.
“Per questo motivo immagino che, il fatto che io l’abbia trovato, sia stato solo il risultato di una svista da parte tua. Non è il primo pacchetto che porti nella mia casa, non è così?”

Jonathan contemplò l’idea di negare il tutto e farsi passare sul serio per stupido, giacché solo un idiota avrebbe scordato di nascondere un qualcosa che avrebbe voluto tenere segreto, ma le parole della donna erano state fredde e condiscendenti al punto che si vide impossibilitato a farlo. Debolmente diede il proprio dissenso, confermando la sua accusa.

“Quando hai cominciato?”

Per quanto Jonathan si sforzasse, non riusciva a sentire rabbia o risentimento nella sua voce, non era come se lo stesse sgridando. Non che l’avrebbe mai fatto, certo com’era che il curarsi della sua salute fosse l’ultima delle sue preoccupazioni.

“Stavamo ancora ad Arlen... p-poco prima di trasferisci.”
La donna sembrò divertita nel realizzare che il nipote le avesse nascosto la situazione per più di un anno. Quasi ammirata.

“Andiamo fuori, vieni.” Si alzò qualche istante successivo, stringendo ancora il pacchetto tra le dita. Si fermò solo una volta raggiunta la soglia della cucina, nel vedere Jonathan ancora impietrito a fissarla sulla sedia.
“Muoviti.”

Ben presto il ragazzo obbedì, obbediva sempre, seguendo la donna oltre il soggiorno e fuori in giardino e sostando accanto a lei sul pavimento in pietra, appena di fronte al prato curato.
La donna aprì il pacchetto e sfilò una sigaretta, portandosela alle labbra e accendendola con l’ausilio dell’accendino trovato al suo interno. Inspirò profondamente, sotto lo sguardo incredulo del nipote, voltandosi poi verso di lui per porgergli il pacchetto.

“Prendine una, forza.” Lo esortò, sospirando. Con esitazione Jonathan fece come richiesto, ancora titubante per tutta la situazione. Si portò la sigaretta alla bocca e l’accese, stringendola tra le dita tremanti.
“Avevo smesso da quasi quarant’anni, sai?” Lo informò disinteressata, volgendo lo sguardo al cielo grigio e ormai tendente alla tenebra.
“Poco dopo essermi sposata.”

“Avevi smesso?” Domandò stupidamente Jonathan, troppo confuso e in cerca di spiegazioni a quella insolita faccenda.
Lei aveva annuito, lasciando cadere un po’ di cenere sul prato e inspirando ancora.

“Mio marito ha voluto così.” disse ad un tratto. Jonathan non mancò di notare come avesse detto mio marito e non il tuo bisnonno. Era così abituato a sentirsi escludere dalla famiglia che nemmeno ne rimase ferito.
“Diceva che non era elegante su una signora e che non avevamo abbastanza soldi, ho dovuto smettere.”
Soffiò via del fumo, volgendo poi lo sguardo su di lui.

“Lui, però ha continuato.”

Ricordava ancora perfettamente come, una volta scoperto del suo piccolo vizio, l’uomo avesse deciso di farle capire che tassativamente avrebbe dovuto smettere. Una mano le si strinse al braccio, volle pensare fosse per via del freddo, ma la verità era ben altra: rabbrividiva al ricordo di quella sera, di quegli infelici anni di matrimonio e della vita che si era trovata costretta ad affrontare pur di non cadere in rovina e far fronte ai debiti lasciati dai suoi genitori. Julius aveva fatto parte di una fascia alto-borghese, finanziariamente e socialmente agiata per i tempi e, sebbene le maniere e l’atteggiamento ripugnanti di quest’ultimo avessero fatto sì che l’ereditiera dei Keeny avesse rifiutato la sua corte in più occasioni, una volta caduta in disgrazia ella non poter far altro che cedere a lui e accettare di sposarlo, bella a sufficienza da spingerlo a volerla salvare dalla completa rovina. Non aveva mai mancato di sottolineare il dettaglio, durante gli anni, ma Mary aveva sorriso e ringraziato ogni volta, ingoiando tutte le male parole che l’uomo le avesse mai rivolto. Aveva mantenuto il cognome da nubile, lei, non mancando di pagarne il prezzo ogni giorno.
Jonathan al suo fianco sembrava assorto in altri pensieri.

“Quando l’ha scoperto mi ha colpita.” Non era un grosso scandalo, per i tempi. Era cosa comune che un uomo avesse certe inclinazioni nell’ambiente domestico. Non faceva scalpore.
“Non ho potuto mostrarmi in paese per giorni.” Con difficoltà era riuscita a stento a lasciare il letto, Julius era un uomo imponente nella sua taglia e lei troppo leggera e fragile, ma non a sufficienza da imporgli clemenza.
Jonathan aggrottò le sopracciglia, volgendo lo sguardo su di lei. Non aveva mai immaginato un’eventualità simile, e come avrebbe potuto d’altra parte? Sapeva così poco persino di se stesso e di quanto concerne la propria famiglia e sicuramente Mary non era mai stata troppo aperta al dialogo in tal senso.

“Mi dispiace.”

“Non è vero.”

Guardò assorta la propria sigaretta, ormai al termine, prima di afferrare il braccio del nipote e sollevargli la manica in un unico fluido movimento. L’istante successivo questi gridò di dolore, nell’avvertire il bruciante calore della fiamma contro la propria pelle scoperta. Mary aveva forzato il mozzicone contro il braccio del ragazzo, spegnendolo contro di esso. Lo sguardo restava malinconico e impietoso, mentre Jonathan la fissava incredulo e in preda al dolore.

Lei però era nel giusto. Doveva compiere il suo dovere.

Esattamente come le era stato insegnato.





End
Cadaveria†Ragnarsson

  
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